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Autore: LanceTheWolf    24/12/2017    4 recensioni
"In casa, le chiacchiere e le risa aumentavano. Fuori, la neve sembrava più brillante di quanto non fosse in realtà, illuminata dalle flebili luci delle lanterne poste lungo il viale e le lucine colorate che lampeggiavano al ritmo di monotoni motivetti."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bolin, Lin Beifong, Mako, Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima di cominciare, un aneddoto divertente (se volete potete saltare questa parte, andando direttamente alla fine di tutto questo scritto in verde, che è solo il semplice e noioso racconto delle peripezie incontrate dalla sottoscritta prima di riuscire a scrivere questa storia ^.^): era un caldo (si fa per dire) pomeriggio di dicembre (appunto, “caldo” si faceva per dire! X-D), quando io (Lance) e la mia amica Mokuren davanti a una tazza (la mia bellissima tazzotta blu con il lupo e la luna che mi ha regalato Virkahell ^^) di thè caldo (veramente, veramente, troppo caldo) discutevamo amorevolmente, come ci capita spesso, sulle differenze tra la trasposizione cinematografica, rispetto al libro, del Signore degli Anelli (ebbene sì, per un volta non discutevamo su Herry Potter). Così tra una chiacchiera e l’altra, tra un Gandalf il grigio e un Gandalf il bianco, lo sguardo mi cade sul frigorifero e la mente vola irrimediabilmente alla mia assoluta inefficienza riguardo alla manutenzione degli elettrodomestici di casa e l’immagine del mio congelatore da 10 litri, dove ormai il ghiaccio è talmente spesso da farci entrare a malapena una scatola di piselli congelati, mi scatena intimamente una frase: “Manco ar Polo!” (In italiano, per i più fiscali: “Neanche al Polo Nord!”).
Capite da voi che nel secondo immediatamente successivo questa correlazione di eventi (dicembre, Virkhaell e il coccino del thè che mi riscaldava le mani, Gandalf, il ghiaccio, il Polo Nord) ha scatenato nella mia mente (sì, gira che ti rigira, succede sempre tutto lì. È un posto affollato.): “Vuoi vedere che tra un po’ è Natale?”.
Non che le lucine colorate, che
come funghi cominciavano ad apparire un po’ da per tutto, non fossero un chiaro sentore della cosa, ma dalle mie parti, mia madre, comincia a tirar fuori decori da fine settembre, quindi è normale che io sia portata a pensare che manchi sempre un sacco di tempo all’evento e finisca irrimediabilmente con il comprare a tutti un panettone dall’alimentari all’angolo a due ore dall’inizio del cenone della vigilia (non starò mica divagando? O.o).
Ma tornando a noi: -È Natale.- Mugugno senza senso alla mia povera amica che annuisce perplessa a quel mio esordire, cercando probabilmente di capire cosa c’entrasse quel “per nulla rivelatorio” intervento, con il tipo di biancheria intima portata dagli Hobbit (lasciate stare, anche io spesso mi domando come facciano determinati discorsi a portare inevitabilmente ad affrontare assurdità senza senso in maniera seria e vitale quando in verità… ma… sto divagando di nuovo, uff! Y_Y).
-Virkhaell (nome che non riuscirò mai a scrivere come si deve) mi ha chiesto una storia sul Natale!- Le dico io con l’aria di chi si trova davanti a un plotone d’esecuzione con la benda mezza calata.
Lei, dolce come al suo solito e con l’aria di chi la sa lunga, sorseggiando serafica il suo thè: -Avatar?-
E io: -Beh, è Virkhaell. Se la storia non parla di Godzilla, Gundam, Mazinga e robottoni vari, deve parlare di Avatar, o ci rimane male.-
E lei, carina come sempre: -Capisco. Ma in Avatar non c’è il Natale. Sai “natale”, “natività”… non so se mi spiego.-
Mi sono sentita sprofondare nel baratro: era vero, nel mondo di Avatar non esisteva il Natale.
Lei, probabilmente scorgendo sul mio viso lo sgomento crescente, con la sua naturale delicatezza: -Fregatene.- E al mio sfarfallare d’occhi aggiunse: -Fai un’AU. Tutti sotto le feste fanno AU per Natale, ne ho letta una di Voltron che…-
E mentre, non so come, dalle mutande degli Hobbit (di cui si sappia solamente che continuo a dissociarmi dal fatto che usino la lana. La lana pizzica, meglio le foglie di… i banani ci sono nella Terra di Mezzo?) si fosse giunte a parlare di Lance (non io, quello di Voltron. Non so perché l’ho sto specificando! =_=;) e di come finalmente fosse tornato al leone rosso, proprio come nella serie originale di Voltron (appunto! U_u) e a quanto ci dispiacesse del povero Shiro (Sven, si chiamava Sven, perché lo hanno chiamato Shiro? T_T Perché?) disperso, ho cominciato a riflettere sull’AU.
Purtroppo la cosa non mi andava davvero giù. Non amo particolarmente gli AU (anche se ne ho letti alcuni bellissimi), perché solitamente di una serie la cosa che mi colpisce più di tutte è l’ambientazione.
I giorni passano, mentre il Natale continua a sferzare le mie ultime resistenze all’ AU con le sue insegne colorate e le canzoncine allegre, io penso che l’unica cosa buona da fare per sciogliere il nodo della matassa sia tornare alle origini di tale festività, quando non era ancora “il Natale”, quando si festeggiava per dimenticare la rigidità dell’inverno davanti al calore del fuoco, stretti ai propri famigliari raccontando vecchie storie e si regalava un po’ di speranza ai più piccoli. E mentre un po’ da per tutto comincia a nevicare, nella mia ricerca natalizia, mi imbatto in un racconto orgiastico sulle Saturnali. Comincio a disperare, ma Focus (sì, quello sul 56) mi viene incontro con un documentario sull’origine di Babbo Natale e tra tutte le storie raccontate mi colpisce l’idea dello Spirito del Natale. Spiriti e Avatar si associano bene e, in aggiunta a questo, Mokuren (sì, sempre lei! :D) mi viene in salvo con uno dei suoi crossover ancora da finire (prima o poi lo pubblicherà, me lo ha promesso) dove usa il Mondo degli Spiriti come varco che porta un po’ da per tutto. Mi suggerisce di utilizzare la sua idea e quindi di fare che il Mondo degli Spiriti sia un luogo comune tra tutti i mondi e le realtà conosciute, ma che solo in alcuni, come in Avatar, esistono dei portali per accedervi fisicamente.
Ovviamente questa è una salvata pazzesca e mi metto all’opera: preparo una scaletta dove un Babbo Natale deluso incontra una Korra in crisi nel suo ruolo di Ponte degli Spiriti. Mi manca solo di scriverla e, proprio mentre sto mettendo tutto nero su bianco, mi rendo conto che, per quanto possa funzionare, non mi va proprio di trattare in due Oneshot consecutive (l’altra è quella di Halloween) l’ennesima festività con la clausola/scusante “Spiriti”.
Mi dico quindi: “E se scrivessi semplicemente una storia che tratti dei temi Natalizi senza usare la parola Natale?” Mi metto così a pensare a una trama che abbia a che fare con il calore famigliare, la generosità, la commozione, il ritrovare emozioni perdute, i regali, le luci colorare e i bambini (mettendo a cuccia quella vocina maliziosa che mi suggeriva di appendere il vischio un po’ da per tutto solo per far baciare personaggi che normalmente non si potrebbero vedere nemmeno per storto) e stilo una nuova scaletta. Questa volta mi piace davvero, mi fa però tanto strano parlare del Natale senza nominarlo e soprattutto: come chiamo questa festa? Insomma, se i personaggi stanno festeggiando una qualche festività, questa dovrà pur avere un nome.
Mentre mi scervello pensando a varie ricorrenze, squilla il telefono. Dall’altra parte del filo invisibile del cellulare mi giunge la voce squillante di Donnasole (sììì, Donnina dolce, che come molti altri ho conosciuto qui su EFP e che adoro, soprattutto quando mi massacra le storie *_*) per parlare di un progettino a cui stiamo lavorando insieme (ihihih, già, già, stiamo facendo una storiella a due mani, ma se spoilero qualcosa di più poi mi uccide, quindi meglio per me se la chiudo qui! X-D). Al ché, dopo le consuete chiacchiere e gli scambi di idee, io le dico affranta: -Vorrei scrivere una Oneshot per Avatar sul Natale. La storia in pratica già l’ho pensata, ma nel mondo di Avatar non esiste il Natale.-
-Allora perché non parli del Capodanno? Il Capodanno si festeggia in Avatar.- Mi dice lei. E sì, ha perfettamente ragione, ma nella mia testa desideravo festeggiare l’affetto, non l’anno a venire.
Finisce così che termino la telefonata riservandomi di pensarci sopra. Tra le varie opzioni avute fino a quel momento era quella che più riusciva a soddisfare la mia “incontentabile” natura, anche se l’idea di rimaneggiare il tutto per riadattare la storia non mi stuzzicava poi molto, piuttosto tanto valeva pensarne una tutta daccapo, mantenendo solo alcune scene. Mi addormento pensando alla fine di campionato di dominio sportivo (la finale si gioca proprio l’ultimo dell’anno, per chi non dovesse ricordarselo ^^) e alla festa dei fuochi della Nazione del Fuoco. Il giorno dopo mi rendo conto però che tutto mi sembra aver perso colore: insomma, ero partita con un’idea e adesso me ne trovavo cento (numero ipotetico, con i conti alla mano erano solo cinque di cui un paio raccontavano lo stesso evento, ma con sfumature leggermente diverse), indubbiamente tutte con il loro perché, ma la mia idea del Natale era sparita. Mi dimentico un po’ del grigiore dell’evento incontrando Eirien (Sì, sì, Eirien che scrive nel fandom dei CDZ, proprio lei… certo che ne conosco di persone che scrivono su questo sito! ^^) a pranzo e, in quella che ormai è diventata un’abitudine, le racconto sospirando i fatti avvenuti.
Lei dopo una attenta riflessione mi dice che per logica dovrei svolgere la storia a Capodanno, proprio come suggerito anche da Donnasole, così da non andare a inserire nulla di strano in un ambientazione particolare come quella di Avatar.
Beh, a quel punto che dire: Virkhael si sarebbe dovuto accontentare una Onshiottina sul Capodanno.
“Ma sì.” Mi dico. “Non ho mai scritto una storia sulla serie di Aang e un bel capodanno nella Nazione del Fuoco è l’occasione giusta per farlo.” La cosa, anche entusiasmandomi, non mi faceva sorridere a cuore aperto. Anche se ormai convinta, il grigiore che avevo provato era ancora tangibile, ancora aleggiava nell’aria come un delicato tormento.
Perché, direte voi a questo punto?
Perché
questo è un periodo particolare per me. Un periodo in cui vedo tante brutture e in cui avrei avuto davvero bisogno di rubare un po’ di quella magia del Natale di cui parlano i film, anche se solo nella mia fantasia, aggiustando magari qualcosa di rotto o terminando qualcosa di incompleto per qualcun altro, anche fosse questo uno dei tanti personaggi di carta e inchiostro di cui mi piace scrivere.
Il giorno dopo mi ritrovo nella sala d’aspetto dell’ospedale, in attesa di una delle persone più importanti della mia vita. Una delle solite visite, quelle cose che si fanno di routine, prima e dopo le feste, per così dire. Mi ritrovo a fissare uno stupendo alberello bianco e rosa con solo qualche pallina rossa e dorata qua e là e di nuovo mi torna in mente il mio stupido desiderio di Natale. Poi mi guardo in giro e vedo un paio di bambinetti che giocano con delle macchinine di plastica poco distanti e ridono e schiamazzano, e… dove di solito sarebbero stati ripresi, la gente, anche quella dall’aria più austera, si limitava a guardarli con un sorriso. Forse perché era un orario particolare ed eravamo quattro gatti in quella sala d’aspetto, forse perché le persone che mi sembravano tanto severe probabilmente non lo erano, fatto stava che ho voluto credere che fosse la magia del Natale a renderci tutti migliori.
Avevo bisogno di crederlo?
Sì, ma non solo io, tutti dovrebbero pensare che le cose belle esistano soprattutto quando i guai sembrano insormontabili, quindi… mentre una bambinetta (poco più grande di quei due monelli che sembravano trovare entusiasmante l’idea di far scalare a una macchinina verde la spalliera della seduta a schiera della sala d’aspetto sotto gli occhi attenti di quello che ho ritenuto fosse il loro papà) mi si sedeva accanto, decido di tirare fuori il mio cellulare e scrivere tra i mille appunti che prendo sul mondo che mi circonda e probabilmente utili solo a ricordarmi che esiste altro oltre il mio “cortile”: “Natale è quel qualcosa che riesce a portare la felicità dove troppo spesso si dimentica di poter essere felici.”
Mentre rifletto sul come sistemare la frase, in maniera da non dimenticare il momento stesso in cui l’ho scritta (e a chi pensa che forse una data sarebbe potuta bastare allo scopo, beh, deve sapere che per me una data è solo un numero. Mi piacciono i numeri, do ripetizioni di matematica, ma sono… numeri. E come tali sono perfetti e facili da capire, mentre un momento non è semplice da descrivere, figurarsi quindi a volerlo irreggimentare in barriere specifiche o a catalogarlo. Sì, sono una tipa strana e per questo non vi consiglio di leggere mai i foglietti scarabocchiati nel cassetto della mia scrivania, ne potrebbe andare della vostra sanità mentale, ^_^’ ma sto divagando, quindi…), la bambina accanto a me, senza concedermi la minima riservatezza, mi dice candidamente: -È bella.-
-Grazie.- Le rispondo con un sorriso, non senza tentare di celare il mio più completo imbarazzo nell’essere stata colta in fragrante nello scrivere una pseudo frase da Bacio Perugina.
A quel punto, un po’ per dissimulare, un po’ per dar chiacchiera a quella ragazzina che, con molta probabilità, se si trovava in quel luogo non era certo per divertirsi, domandai: -E tu? Cosa ne pensi del Natale?-
Fu un secondo e anche i due maschietti si unirono alla discussione e, prima che la femminuccia rispondesse, il più piccolo, mostrando quanto probabilmente era stato attento all’asilo: -Il Natale è quando nasce Gesù bambino.-
L’altro più veloce della luce: -Se si festeggia un bambino è la festa di tutti i bambini, giusto?-
Ok, forse avrei dovuto cercare uno spazietto in quella discussione per far presente che non era un’interrogazione e che non volevo certo stimare la loro conoscenza in tal ambito, ma avevano occhi troppo vispi per evitare di sorridere loro, perciò dissi: -Beh, il Natale è un sacco di cose.- Ovviamente avrei voluto spiegare che per me il concetto di Natale va oltre al significato religioso e che si tratta più che altro di un bel momento da passare insieme alla mia famiglia e alle persone che amo, ma la più grande di quella piccola comitiva non sembrava avere più di otto anni, quindi cosa avrei potuto aggiungere di più?
-Natale è solo un nome.- Disse a quel punto la bambina e, mentre tutti ci voltavamo a guardarla (anche gli altri presenti, non solo io, i bimbi e il loro papà), aggiunse: -È quando finisce la scuola e il lavoro, e stiamo tutti insieme. È una scusa per poter dire a tutti quanto gli vogliamo bene.-
E mentre desideravo essere la madre di quella piccoletta la mia mente ha ripetuto: "E sì, il Natale è solo un nome."
Poi successe rapidamente, mi trovai nuovamente sola, accanto a mia madre e di nuovo in attesa.
Il presunto papà dei due marmocchi doveva esserlo anche della ragazzina dato che li aveva portati tutti e tre fuori dalla sala d’aspetto con la scusa di prendere loro qualcosa alle macchinette al piano di sotto, ma probabilmente preoccupato che potessero fare troppa confusione.
Li ho rivisti poi, giocare ancora con quella macchinina a scalare questa volta la cornice del finestrone nel corridoio, mentre andavamo via.
A cosa serve tutta questa storia in realtà?
A tutto e a un bel niente, perché tornando a casa, mi sono resa conto di essermi comportata come un cane che inseguiva la propria coda e che la soluzione era tanto semplice, tanto più mi affaticavo a cercare di raggiungere il mio obbiettivo. Ovviamente questa è la mia soluzione, non siamo tutti uguali per fortuna (altrimenti sai che noia!), e in fine ho chiamato il Natale nel mio racconto, semplicemente “Natale”.
Esiste nel mondo di Avatar?
No, il Natale che ho immaginato in quella realtà è una festa dedicata a chi si vuole bene, un modo semplice e un po’ sciocco, per dimostrare, quello che spesso non si riesce a dire a parole, con un dono o con un sorriso (o un bacio sotto il vischio X-D). Quindi prendete la parola “Natale” sostituitela con quella che vi piace di più, non importa quale, l’unica cosa che importa veramente è che rappresenti appieno la magia di quel giorno speciale che da piccoli ci faceva sognare e che da grandi è diventato un momento in cui poter far sognare i più piccoli, al di là di credo e religione, al di là di tutto… quindi,

Buon Natale!


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Ricordo di un Natale

 
Lin guardava la neve cadere attraverso l’altissima vetrata, si era fatta sera e sedeva tranquilla tra i cucini rossi dell’ampio davanzale interno. La tazza di cioccolata calda tra le mani l’avvolgeva col tepore del suo coccio. Sentiva la stanchezza della giornata trascorsa pesarle sulle spalle e si ritrovò a sospirare senza accorgersene, appannando il suo riflesso sul vetro. Accennò un sorriso mentre resisteva all’istinto di disegnare ghirigori col dito sulla condensa del suo respiro che lentamente cominciava a dissiparsi.
In casa, le chiacchiere e le risa aumentavano. Fuori, la neve sembrava più brillante di quanto non fosse in realtà, illuminata dalle flebili luci delle lanterne poste lungo il viale e le lucine colorate che lampeggiavano al ritmo di monotoni motivetti. Tutto sapeva di festa, anche quei due bimbetti con i cappottini rossi che giocavano a inseguirsi e tirarsi palle di neve ridendo. Correvano lungo il marciapiede usando, di tanto in tanto, i pali dei lampioni come trampolini, ottimi per vorticarci intorno e poi saltare il più lontano possibile.
Anche lei, malgrado il suo solito modo di fare, sentiva quella sciocca aria di festa avvolgerla, mentre, con la coda dell’occhio, si ritrovò a sbirciare al suo fianco la fiamma della candela, racchiusa in un’ampolla, consumare lentamente la cera, spargendo nell’aria fumi odorosi.
“Cannella, chiodi di garofano, agrumi.” Analizzò nella sua mente.
Il padrone di casa sembrava adorare quei profumi e, doveva ammettere, si accostavano bene al profumo della cioccolata che stava gustando e a quel sentore di biscotti appena sfornati che giungeva dalla cucina. Non si era mai fermata a pensarci, ma se il Natale avesse avuto uno odore, probabilmente sarebbe stato una miscela di tutte quelle fragranze.
Il Natale non era una festa per gli adulti, era un momento da dedicare ai più piccini; una delle tante scuse inventate per offrirsi la possibilità di far regali a chi si vuole bene, simbolo materiale di un sentimento intangibile.
Lin aveva sempre trovato strano, se non totalmente assurdo, misurare il bene con i doni, ma doveva ammettere che, al di là delle sciocche tradizioni che l’avevano trascinata in quella casa, era piacevole starsene lì, coccolata dal calore e dall’affetto.
Lo sguardo le scorse nuovamente su quei monelli fuori tra neve e sui loro giochi. Ebbe un sussulto quando il più piccolo dei due cadde e rimase ginocchia in terra a singhiozzare con le manine guantate davanti al visetto. Quello che presupponeva fosse il fratello accorse a consolarlo, ma il piccolo non sembrava voler smettere di piangere.
“Dei bambini non dovrebbero stare da soli in mezzo…” Criticò nella sua mente, mentre, scavallando le gambe, si apprestava a posare la tazza sul davanzale per andare a portare aiuto a quei bimbi, interrotta sia nel fare che nel pensare, dall’apparire, nel suo campo visivo, di un omone dall’aspetto imponente. Lo vide correre accanto ai due bambini e, senza mostrare indecisione, si chinò ad abbracciarli stretti. Il più grandicello dei due scoppiò a ridere mentre quello, che Lin ritenne essere il padre, prese a sbaciucchiarli entrambi con fare scherzoso, prima di alzarli di peso da terra ridendo a sua volta. Il più piccolo sembrò dimenticare immediatamente l’accaduto, mentre la figura esile di una donna si accostava al gruppetto.
Ancora Lin si trovò a sorridere di sé stessa: come suo solito aveva tratto giudizi affrettati.
Si portò la tazza alle labbra per un nuovo sorso di quella densa e calda delizia al cioccolato.
Per un attimo la sua mente era corsa lontano al ricordo di altri due monelli: solo per un attimo e il rendersene conto, sfocando l’immagine di quella famigliola felice con lo sguardo, ritrovandosi così a mettere a fuoco il suo volto sul vetro, la riportò a quel momento.
“Anche quella volta ero attenta a fissare il mio riflesso. Ma i miei capelli erano ancora neri come la notte e i miei occhi più giovani, più grandi e forse più verdi di quelli che osservo ora.”

 
***
Guardava fuori, delusa dai fiocchi di neve che da giorni non volevano saperne di smettere di cadere. La neve era un divertimento solo per i ragazzini, per il resto del mondo, lei compresa, era semplicemente un fastidio.
Sbuffò, sentendo per l’ennesima volta, alle sue spalle, quello sciocco del suo collega far battute sulla tipa che avrebbe portato a cena fuori, mentre il detective della sezione omicidi, che sembrava bivaccare in continuazione nel loro settore con la scusa del caffè più buono della stazione di polizia, raccontava di quanto preferisse passare il Natale a casa con la famiglia e di quando adorasse vedere negli occhi dei suoi cari, mentre aprivano i doni, quel senso di aspettativa, d’emozione, e quella luce…
“Sì certo, quella luce.” Ripeté tra sé e sé con un misto di fastidio e d’invidia.
Ma che ne sapeva lei del Natale infondo? Era solo una festa sciocca, una festa che aveva perso il suo significato crescendo.
E poi… famiglia. Quale famiglia? Su ci ha lasciate e la mamma non è più la stessa. Proprio belle queste feste, non c’è che dire!” Non riusciva davvero a comprendere, né tanto meno a sopportare, tutta quell’allegria, le dava quasi ai nervi.
Era solo per quieto vivere che non commentava quanto quelle persone sfocate, riflesse sul vetro che osservava, stavano dicendo, preferendo lasciarle a far progetti e a dire fesserie. Già le vedeva ritornare all’indomani sfoggiando la tazza nuova per il caffè o il nuovo portapenne con scritto il solito “You're strong, dad!”, che avrebbe avuto il suo posto d’onore in mezzo agli altri mille portapenne sulla relativa scrivania.
Sospirò il suo dissenso, quando una voce disse: -Che fai Beifong, non vai a cambiarti? Non vorrai certo venire in divisa alla nostra festicciola?-
Era stato Seikhan a parlare, il perenne secondo in accademia e anche adesso, in quel distretto. In gamba, ma sempre un passo dietro di lei.
Gli sorrise, non era una cattiva persona, un po’ troppo imbalsamato a volte, ma lei era certamente l’ultima a poterlo giudicare in questo.
Odiava quell’abitudine di riunirsi nel locale all’angolo, qualche ora prima di ogni singola festa dell’anno, solo per prendere un aperitivo e scambiarsi gli auguri tra colleghi, come se potesse servire a chissà cosa. Era solo l’ennesima sciocca idea partorita da qualche assurda mente malata di quel distretto.
“Ah, quasi mi dimenticavo della cosa più importante: il tutto doveva sempre avvenire vestendo, rigorosamente, l’abito buono, giusto per essere già pronti per la festa vera e propria, per così dire.” Rifletté prima di rispondere: -L’idea era proprio questa.-
Dall’espressione sgomenta del suo interlocutore l’avrebbe anche scampata, non fosse che, sua madre irruppe in quella sala con, avvolto nel cellofan, il suo vestito migliore.

Non ricordava bene come e quando, ma era arrivata in quel maledetto pub. Le lucine verdi e rosse lampeggiavano incorniciando la vetrina del locale, mentre lei, seduta lì accanto, osservava, fasciata dalla stoffa del suo abito color smeraldo, la genitrice ridere di gusto nel rifilare una sonora pacca sulle spalle del ministro del consiglio cittadino, suo zio Sokka, facendogli sputare sul bancone quanto stava bevendo.
“E dire che doveva essere una cosa solo tra colleghi!” Pensò mentre la madre ridendo si appoggiava pesantemente sulla spalla di un agente mettendolo visibilmente in imbarazzo. Tutto questo, ovviamente, avveniva mentre lo zio raccontava qualcosa riguardo alle stupefacenti proprietà del succo di “non aveva capito quale emerito cactus” del deserto di Si Wong.
Beh, almeno sua madre sembrava divertirsi e questo, malgrado la noia mortale, le faceva piacere.
Avrebbe sorriso a quel pensiero se il rombare del motore di una grossa Satomobile non avesse attratto la sua attenzione. Dalla macchina scura vennero fatti scendere un paio di ragazzini.
Acuendo lo sguardo non tardò a riconoscere due dei bambinetti che passavano il loro tempo mendicando e rubacchiando nella zona della stazione. Un postaccio per dei bambini, ma che offriva, a chi era svelto di mano e sapeva correre veloce, un buon riparo tra i tanti vicoli che, dalla piazza centrale, si districavano in ogni dove. Un paio di volte ricordava di averli spaventati a morte e gli erano poi sfuggiti per il rotto della cuffia. “Sfuggiti”… sarebbe stato meglio dire che, una volta recuperata la refurtiva, aveva avuto poca voglia di prendersela con dei mocciosi disgraziati e aveva sperato che la paura presa fosse stata sufficiente a far loro decidere di rivedere quelle abitudini.
“Chissà che diamine ci stavano facendo quei ladruncoli su una macchina di lusso.” Si chiese nel momento stesso in cui i due, rapidi come ratti, erano già sfuggiti alla sua vista.
Scosse la testa evitando di pensarci ulteriormente: era entrata in polizia per seguire le orme della madre, ma non poteva salvare il mondo; questa era una realtà con cui era stata costretta a fare i conti da diverso tempo ormai.
A volte pensava che il suo cuore si fosse come anestetizzato a certe scene, ripetendosi, come una nenia, che tanto non avrebbe potuto farci nulla e aveva finito con lo smettere di credere alle parole della madre, a quelle parole che da piccola l’avevano indotta ad amare quel mestiere: “Il mondo si cambia un passo alla volta.”
“È strano il Natale, c’è qualcosa nell’aria che ti riporta alla mente cose che credevi sepolte da tempo. Per questo non mi piace.” Si disse, decidendo di alzarsi dalla seggiola: aveva sopportato abbastanza quella festa “pre-festa” per starsene ancora lì a far finta che le piacesse esserci.
Prese le sue poche cose, salutò raccontando di avere altri impegni, cosa a cui abboccarono tutti, e uscì dal locale. Impegni poi… l’unico impegno che aveva era verso sé stessa e il suo disperato bisogno di far finire quella tortura.

Si lasciò scivolare la tracolla della borsetta sulla spalla stringendosi nel cappotto, mentre s’incamminava per la via che, dalla stazione di polizia, portava al suo appartamentino. Affondò il viso nella sciarpa di lana, non amava il pizzicare di quel tessuto, ma era ben poco paragonato al tepore che ne ricavava, mentre tratteneva per lei il calore del suo respiro.
Non percorse però molta strada che fu costretta ad arrestare il suo andare, onde evitare d’essere investita dalla corsa forsennata di un paio di bambini. Li seguì con lo sguardo infilarsi in un vicoletto poco illuminato: erano gli stessi monelli che aveva intravisto dalla vetrina del locale.
“Non sono un po’ fuori zona?” Si domandò con un briciolo di apprensione. Le gang della città non erano molto gentili con chi sconfinava di territorio, ma infondo non erano fatti che la riguardassero.
Mosse un paio di passi verso casa, ma bloccandosi e stringendo i pugni con un mugolio, esasperata da sé stessa, cambiò direzione per infilarsi in quello stesso vicolo.

Scovò quei delinquentelli quasi subito in un angolino illuminato, anche se poco, dall’unico lampione semi-funzionante di quell’anfratto. Le davano le spalle, voltati verso il muro per controllare la refurtiva. Non la sentirono nemmeno arrivare e, mentre la lampadina ronzava pulsando il suo desiderio di morire, con un gesto rapido sfilò il portafogli di mano al più grandicello dei due. Il più piccolo, spaventato dal suo gesto, indietreggiò fino ad arrivare con le spalle alla parete, la sorpresa però non fu sufficiente a evitarle che l’altro, voltandosi di getto e stringendo la stoffa del suo cappotto con una mano, si protraesse verso quanto gli aveva appena sottratto, intimandole: -Ridammelo, è mio!-
“Come no? Ne sono certa al punto da scommetterci, moccioso!” Pensò ironica mostrando perplessità sul volto, guardando prima lui e poi il portafogli che teneva ben in alto, decisamente fuori dalla portata del piccoletto.
-Davvero?- Disse a quel punto poggiandogli una mano sulla spalla tanto per tenerlo al suo posto, mentre con l’altra lasciava che il portafogli si aprisse a libretto, mostrandole i documenti del… -Quindi ho il piacere di parlare con il signor Fang di… 36 anni, giusto? Non l’avrei mai detto, siamo quasi coetanei!- A quel suo dire il viso del ragazzino si fece paonazzo e, per la prima volta, da che lo aveva preso alla sprovvista, invece di guardare quanto lei teneva nella mano, incrociò il suo sguardo.
-Ho detto che è mio, dammelo, mi serve!- Rincarava dimenandosi per raggiungere quel portadenaro, come se quanto lei gli avesse appena detto non avesse il benché minimo significato per lui, costringendola a stringere la presa su quel braccino pur di tenerlo lontano.
Un mugolio sommesso da parte del ragazzino le fece aggrottare la fronte turbandola: non aveva stretto forte al punto da recargli dolore, ne era sicura.
-Ti serve? Uhm… Immagino che serva anche al suo legittimo proprietario.- Disse ancora, mentre una palla di neve la colpiva in pieno viso, subito seguita da una seconda e una terza in petto, accompagnate dalla voce dell’altro bimbetto: -Lascialo, non fargli male, brutta strega!-
Quel piccoletto, approfittando della sua distrazione, si era armato e, con gli occhi lucidi e il volto arrossato dalla rabbia, stava attaccando, gettandole addosso quanto gli capitava sotto mano.
Sbuffò un sospiro. Davvero quell’affarino pensava di batterla con delle palle di neve?
-Acc..!- Esordì portandosi,
di colpo, la mano alla fonte, lasciando cadere il portafogli in terra e stringendo ulteriormente la presa sulla spalla del moccioso che a quel fare si raggomitolò sofferente.
Non aveva fatto in tempo a formulare quel pensiero che quel mostriciattolo…
-Pietre?- Domandò sgomenta guardandosi la mano sporca di sangue. Quel piccolo bastardo le aveva fatto un bel taglio sul sopracciglio. -Hai messo delle pietre nelle palle di neve?-
-Solo in quella. Ma ne ho ancora, se non molli mio fratello…- Detto fatto alcune sfere di neve incominciarono a librarsi in aria neanche fosse un dominatore dell’acqua, o per meglio dire, era sì un dominatore, ma della terra.
-Scappa Mako!- Urlò il bambino mentre quelle sfere candide sfrecciarono verso di lei.
-Ora basta!- Intimò con un mezzo ringhio, bloccando il moto delle rocce con il suo dominio, lasciandole nude del loro gelido indumento che si proiettò a terra esaurendo la spinta ricevuta. -Comincio a stancarmi.-
Il piccolo indietreggiò preoccupato. -Una… sei una dom…- Balbettò prima di ingoiare le sue stesse parole e spalancare le palpebre in una maschera di terrore. -Tu sei… Anche se vestita bene, sei quella donna mostruosa della polizia.-
-Ce ne hai messo di tempo per…- Avrebbe continuato dicendo: “Riconoscermi”, non fosse che in un attimo le si buttò addosso colpendola, cercando di aprirle la mano con cui teneva l’altro ragazzino.
“Piccolo tu, piccole le tue mani.” Lo denigrò divertita nella sua mente. -Sei solo un bambino, cosa credi di fare?- Gli disse afferrandolo per il bordo dei pantaloni e sollevandolo da terra quasi fosse un gatto preso per la collottola. Non riuscì a far salire in superfice il ghigno che spingeva per apparirle in viso, che sgranò lo sguardo scoprendosi illuminata dal chiarore di una fiamma. Voltò le iridi nella direzione dell’altro bambino che, dall’intervento del fratellino, aveva solo ripreso a dimenarsi, fino a quell'esatto momento. Era immobile adesso e, infiammato il palmo, la guardava con un odio talmente persistente da farle scorrere brividi gelidi lungo la schiena.
-Lascialo andare.- Le disse freddamente. -Lascialo se non vuoi…-
-Cosa?- L’interruppe lei con un misto di disgusto e tristezza in grado di rivoltarle lo stomaco. -Vuoi bruciarmi? È questo che voi?- Era poco più di un bambino, non era normale “tutto quello”: non era normale quello sguardo tanto carico di cattiveria. Eppure, quegli occhi color miele, illuminati dalla propria fiamma, e non più frammentati dal accendersi e spegnersi di quel maledetto lampione, alle sue parole ebbero un’incertezza.
Abbassò il visetto, scosse il capo. -No, non voglio, ma… lascialo per favore, non ti abbiamo fatto nulla di male. Noi…-
Gli sembrò sul punto di scoppiare a piangere, mentre anche il marmocchio sospeso pareva aver perso la voglia di dimenarsi.
-…Noi volevamo solo un posto per dormire. Quel signore ben vestito ha sicuramente più soldi a casa sua di quelli che abbiamo preso.- Disse proprio il più piccolo, come a terminare la frase del fratello.
-Zitto.- Lo riprese l’altro, ancora a viso basso, mentre un fremito gli scuoteva le spalle.
-Ci porti in prigione adesso?- Chiese il bambino ciondolante senza dare ascolto alle parole del maggiore.
“Certo, vi porto in prigione, per venir presa in giro in eterno per essere il mostro senza cuore che è riuscita a sbattere dietro le sbarre due bambini la notte di Natale.” Pensò sbuffando per l’ennesima volta. -Non ho intenzione di chiudervi in una cella.- Rivelò a quel punto.
-Ah, no?- Esordì improvvisamente curioso il lanciatore di pietre.
-No. E, se prometti di smettere col colpirmi, ti rimetto in terra.-
-Sul serio?-
Lei annuì in risposta a quegli occhioni verdi che la guardavano stupiti, mentre a quella rivelazione sul visetto del bambino, per l’istinto tipico della sua età, si allargò un enorme sorriso.
-Promesso.- Aggiunse euforico come se gli stesse facendo chissà quale regalo.
Finalmente l’altro bambino tornò ad alzare il volto dal porfido: aveva gli occhi lucidi e le guance rosse, come di chi, per una manciata di secondi, si fosse sentito inutile.
Lin rimise il piccolo in terra, lentamente, e questi, riguadagnata stabilità, andiede a incrociare le braccia dietro la schiena, ancora sorridendo, prima di tirare su con il nasino arrossato.
La poliziotta notò solo in quel momento quanto i due ragazzini fossero mal coperti.
Allentò la presa anche sull’altro che d’istinto si portò una mano a massaggiarsi la spalla, prima di dirle: -Quindi… finisce così? Ci lasci andare?-
Dal tono sembrava incredulo, mentre Lin annuiva alla prima delle domande che le aveva posto. Ma nel vedere quel bambino abbassarsi a prendere il portafoglio in terra, assottigliò lo sguardo: stava già pentendosi di quel che aveva appena detto, quando quel monello, dopo aver spolverato quanto aveva raccolto, dalla neve, glielo porse.
Rimase meravigliata. Assecondò quel gesto mentre il minore tra i due diceva: -Scusa se ti ho chiamata Strega.-
-Noi, allora, andiamo.- Disse l’altro accostandosi al fratello, spingendolo per farlo muovere più velocemente, probabilmente convinto che fosse meglio per loro andarsene prima che lei potesse avere qualche ripensamento.
-Naaa! Tranquillo, a volte sono davvero una strega.- Disse, infondendo quanta più ironia potesse nella voce. -Ma…- Riprese. -…Non andate tanto di corsa.- Si voltarono per guardarla in viso e, nel notare l'abbassare dello sguardo da parte del più grande
, ne intuì la delusione. -Ho detto che non vi porto in prigione, non che vi sto lasciando andare.-
Cercò di quietare quell’esserino deluso con un sorriso, uno di quelli che concedeva sempre più di rado. -Non siamo ancora pari. Tu mi hai presa a sassate, dimentichi?- Disse con fare divertito indicando il più piccolo. -Dovete ancora farvi perdonare per questo!-
Ancora una volta li sorprese, costringendo quei due paia d’occhi ad aumentare di taglia, prima che sul volto del grande si aprisse un sorrisetto rassegnato, quasi fosse un uomo vissuto colto in fragrante nell’essersi dimenticato come gira il mondo. -Che vuoi che facciamo?- Le chiese deciso.
Lin, ticchettandosi un dito sul mento e guardando la neve cadere dal cielo, disse: -Mi ritrovo da sola alla vigilia di Natale, vi sembra normale?-
I due si guardarono tra loro senza capire dove volesse parare.
-Vi propongo un patto.- Disse ancora lei, tornando a fissare il più alto negli occhi. -Voi mi fate d’accompagnatori questa sera e io prometto di dimenticare l’accaduto, che ne dite?-
Ancora i bambini si guardarono tra loro e, mentre il più piccolo già sorrideva convinto sul da farsi, l’altro si voltò a domandarle: -Dov’è la fregatura?-
-Nessuna fregatura.- Rispose con un’alzata di spalle. -Beh, oltre ad essere costretti a vestire come si deve. Insomma, non posso certo farmi vedere in giro con due ragazzini dall’aria trasandata come voi.-
Ancora il più grandino riservò lo sguardo al suolo. Rifletté per qualche minuto prima di alzare il viso e dirle: -Ci stiamo!- E allungò la mano come a siglare quel loro patto.
“Chissà quante volte ha già fatto questo gesto.” Si domandò Lin, mentre il minore tra i due tirava nuovamente sul col naso, tormentandoselo poi con la manica della giacchetta.
-Bene!- Esordì lei, stringendo la mano che le porse. -Era ora, comincia a far freddino qui fuori, non trovate?-
Al portafoglio recuperato ci avrebbe pensato tornata a lavoro.

“Come mi sono ficcata in questa situazione?” Pensò Lin senza reale rammarico, guardando quel monello dagli occhi verdi scolarsi la minestra che aveva davanti direttamente dal piatto.
Sorrise, mentre il resto dei presenti in quel locale li guardavano stupiti, non che le importasse: nessuno in quella stanza aveva il diritto di giudicare lei o uno solo dei due bambini che aveva accanto.
-Scusa.- Disse quella piccola idrovora, dopo aver appoggiato la scodella sulla tavola, ricomponendosi e posando i pugnetti chiusi sulle ginocchia. -Non volevo farti male con il sasso.- Alzò la manina a indicarle la fronte. -Volevo solo che lasciassi Mako, lui è mio fratello.-
Lin se ne era quasi dimentica e la cosa non poté non scatenarle un sorriso, mentre portava una mano a sfiorare la piccola ferita.
-Non preoccuparti è un graffietto.- Gli disse, mentre soppesava intimamente le parole di quel bambino che riduceva quanto aveva compiuto al legame con l’altro moccioso. Anche lei e Suyin da piccole erano inseparabili, ma poi… poi erano cresciute.
-Sarà, ma le pietre in testa fanno male.- La riprese il ragazzino dal musetto dubbioso che si affrettava ad asciugare la sbavatura di minestra sul viso del fratellino. Non la guardava; sembrava davvero dura riuscire a farsi guardare dritta in faccia da quel piccoletto, sempre che questo non comprendesse minacciarla o cercare di mostrarsi più grosso di quel che fosse in realtà.
“Talmente piccoli e già abituati a comportarsi come chiesto dalla strada.” Rifletté, mentre con la mente ritornava a quando, per sfuggire al freddo e alla neve che scendeva sempre più fitta, erano entrati di corsa nella sartoria di Foe; la signora Foe stava per chiudere, ma lei aveva provato lo stesso a convincerla di tardare qualche minuto, il tempo necessario per comprare qualcosa a quei bambini e, complice lo sguardo supplichevole del più piccolo dei due, l’anziana commerciante l’aveva accontentata. “Infondo è Natale!” Aveva detto la donna e lei aveva così potuto comprare a quei fratellini gli abiti che adesso indossavano: nulla di speciale a dire il vero, ma erano caldi e puliti. Aveva preso anche un paio di cappottini e un cambio. Aveva speso più di quanto aveva preventivato per quella festa e, anche se inizialmente non era del tutto sicura di quel che stava facendo, dopo aver visto il piccolo dominatore del fuoco cambiarsi per vestire gli abiti nuovi, aveva perso ogni timore al riguardo: sembrava che qualcuno l’avesse picchiato pesantemente, o almeno questo le avevano suggerito quei lividi intravisti di sfuggita. Era stato sicuramente quello il motivo per cui trattenendolo le era sembrato sofferente: quella benedetta spalla era malandata, nulla di rotto a occhio e croce, ma doveva dolergli molto, eppure, se ne stava lì, seduto, senza mostrare il minimo segno di cedimento, con quel musetto imbronciato che Lin non capiva se le scatenasse tenerezza o malincuore.
-Sono un osso duro, ci vuole ben altro per stendermi.- Rispose lei.
-Vero.- Esordì il minore. -Ho visto come hai fermato i miei sassi.-
Lin dedicò un sorriso compiaciuto a quel faccino che, con la linguetta di fuori, fiondava le manine nel vassoio di carne che avevano appena portato.
Rapido il fratello maggiore lo riprese: -Bolin, comportati bene, ci stanno guardando tutti.-
Ora ne era certa, era tenerezza quella che provava difronte l’atteggiamento di quel bambino: era intimidito? Preoccupato?
Questo non lo capiva, ma si sentì di correre in soccorso del più piccolo dicendo: -Lascialo stare, non sta facendo nulla di male.-
Lo vide intimidirsi dalla testa ai piedi per l’essere stato ripreso, mentre l’altro rispondeva per lui: -No, no, Mako ha ragione. Sai, signora della polizia, dicono sempre che sono idiota e a Mako non piace. Dicono che siamo feccia e che è tanto se ci danno qualche spicciolo per fare le loro cose. Io non lo so cosa vuol dire feccia, ma Mako si arrabbia. Non dice nulla, ma lo so che si arrabbia: diventa tutto rosso e stringe i pugni così.- Disse mimando il gesto. -E, quando lo fa, so che è arrabbiato, ma si tiene, così nessuno ci picchia. Se facciamo i buoni e portiamo a casa quello che vogliono, ci fanno dormire al caldo e ci danno qualcosa da mangiare. Io cresco veloce e ho sempre bisogno di vestiti, dice Mako, specialmente se fa freddo, ma se lo dice troppo forte, e lo sentono, poi ci picchiano e lui si mette su di me. Mako è fortissimo, sai? Mi protegge sempre, loro non lo sanno, ma non gli fanno nulla. Me lo ha detto lui, ma questo è un segreto, loro non devono saperlo.- Le spiegava quel bambino, con un bel sorriso sul viso, vantandosi del fratello che, a quella rivelazione, sembrò preferire guardare nel piatto che aveva davanti, mentre lei sentiva un qualcosa lacerarle il petto.
-Bolin, parli troppo.- Lo rimproverò poi l'altro, più arreso che arrabbiato.
-Già!- Fu la risposta soddisfatta del piccolino, come se quello fosse un dato di fatto che avevano constatato ormai da tempo.
Lin protese una mano verso il bambino e accarezzandogli il visetto, disse con inspiegata dolcezza: -Non sei quello che gli altri dicono di te, sei quello che tu vuoi essere.-
Il piccolino abbassò lo sguardo portandosi un pugnetto alla bocca pensieroso. Lei stava per ritrarre la mano quando, rapido, lui la fermò con la propria.
-No.- Le disse tornando a guardarla con gli occhi grandi che hanno solo i bambini. -Non toglierla. Mi piace. Mia mamma lo faceva spesso.-
-Bolin, piantala! Sei fastidioso, vuoi capirlo?- Tentò nuovamente di riprenderlo il più grande guardando altrove, affondando il volto nella sciarpa rossa che non era riuscita a fargli togliere neanche al caldo di quel ristorante.
Una pernacchia fu quello che il bambino ricevette in cambio dal fratello minore che, una volta sceso dalla sedia si andiede ad accomodare sulle gambe di Lin, sempre tenendosi la mano di questa attaccata al guancia.
La giovane poliziotta rimase sorpresa a quel gesto e lo lasciò fare, stringendolo in una sorta d’abbraccio, onde evitare che il piccolo potesse cadere.
-Ma dimmi, dov’è adesso la vostra mamma? Non vorrei fosse in pensiero per voi.- Chiese, cercando di capire chi potesse avere il coraggio di lasciare dei bambini così piccoli a loro stessi.
-È nel Mondo degli Spiriti con papà. Mako dice che è un posto bellissimo e che prima o poi li raggiungeremo e staremo tutti insieme.-
Il più grande, muovendo solo le iridi verso di loro, mostrò uno sguardo triste, malinconico forse, e le parve sospirare sotto la lana che gli copriva le labbra.
-Questo lo mangi?- Chiese poi il piccino sulle sue gambe con una tranquillità disarmante, rovistando con la forchetta che prima era stata sua, nel piatto davanti a loro.
-Non penso, no.-
-Allora lo mangio io. È un peccato, è buonissimo!-
-Attento però, rischi di…- Disse Lin, stringendo di più quel piccoletto a sé, per evitare che, sporgendosi troppo in avanti, scivolasse sotto il tavolo, interrotta dal più grande. Inaspettatamente questi le porse un pezzetto di carta stropicciata che, nel mentre, aveva estratto dalla sua tracolla e stirato sul pantalone, dicendole: -Me lo scrivi.-
Lin rimase un secondo interdetta osservando quel foglio, probabilmente il rimasuglio del sacchetto di carta di un qualche forno.
-Me lo scrivi, per favore.- Insistette il bambino non senza imbarazzo.
-Sì, ma… a cosa ti riferisci?-
-Non sei quello che gli altri dicono.- Ripeté a quel punto parte della frase che proprio lei aveva pronunciato qualche minuto prima.
Sorrise prendendo quel foglio e, dopo aver estratto una penna dalla borsetta, scrisse a chiare lettere quanto i bambino desiderava. Quando lo riconsegnò, il piccolo guardò attento la scritta, come a valutarla in silenzio, prima di ripiegare il pezzetto di carta con riguardo e metterlo nella tasca del pantalone.
-Perché lo hai chiesto? Non sai leggere.- Gli chiese il fratellino.
L’altro, facendo spallucce aggiunse semplicemente: -Ora. Ma imparerò.-
-Ok.- Fu la risposta schietta del piccino prima di riaffondare la forchetta nello spezzatino al sugo.
-Grazie.- Le disse ancora il piccolo dominatore del fuoco e Lin vide, per la prima volta, un sorriso apparire su quel visetto grazioso.

Alla fine, con la scusa che si era fatto tardi e che non potevano certo mandarla a casa da sola, Lin aveva convinto quei due bambini a dormire nel suo appartamento.
Ancora li ricordava tra le coperte del suo letto, mentre il più piccolo le chiedeva perché lei dovesse andare a dormire sul divano invece di rimanere lì con loro.
-Perché adoro dormire sul divano e con voi qui ho la scusa per farlo.-
-E serve una scusa per dormire sul divano?-
-Sì, direi proprio di sì.-
A quel punto assottigliando gli occhioni verdi e mettendo su un broncio, dopo averla scrutata attento, le disse: -Sono piccolo, mica rimbambito.-
-Òh-ò, allora sono nei guai!- Esordì fingendosi presa in fallo.
-Già, già! L’ho capito sai? Il divano non è tuo. Ma tranquilla, non lo dirò a nessuno.-
Al dire del fratellino, il maggiore, mugugnando qualcosa d’incomprensibile, sprofondò tra le coperte coprendosi fin sotto agli occhi.
Lin non riuscì a tener per sé una risatina e, rimboccate le coperte, stava per andare quando si trovò una mano presa da quella del piccolo chiacchierone.
-Aspetta, devo dirti ancora una cosa.-
A quelle parole tornò a sedersi accanto a lui.
-Non sei un brutta. L’ho detto perché mi facevi paura. Ma… non sei brutta. Sei bella.-
-Grazie e, devo dire che, anche tu, non sei niente male, sai?-
E quel moccioso ghignando saputo: -Certo che lo so, le vecchine mi adorano! Non sai quanti spicci mi lasciano nel berrettino.-
-Wow! Sei talmente carino che sarai ricchissimo allora!- Lo prese in giro lei.
-Certo che sì. Solo non posso tenere per me la mia ricchezza, serve per la protezione. Sai quella roba lì, ma qualcosa me la tengo di nascosto per le caramelle, solo non diciamolo a Mako.- Le sussurrò con aria circospetta.
-Guarda che sono qui!- Arrivò ovattata la vocetta dell’altro monello dallo sguardo spento, un po’ da sonno, un po’ dalle chiacchiere dell’altro.
Il piccolo se la rise di gusto, lanciando di scatto le braccia al collo della donna.
-Questo è il Natale più magnifico di tutti!- Disse con una vocetta felice, mentre lei rimase impietrita per qualche secondo, prima di ricambiare quell’abbraccio.
-Sembri una brava persona, perché fai la poliziotta?- Disse a quel punto l’altro fratellino, mentre lei rimetteva sotto le coperte il più piccolo.
Il bambino aveva posto quella frase senza nascondere il pessimo giudizio che aveva nei riguardi delle forze dell’ordine e Lin si trovò a pensare che probabilmente, quella che lei riteneva una risposta scontata, non dovesse esserlo poi molto per lui.
-Per cambiare le cose.- Gli rispose, ottenendo in cambio uno sguardo indagatorio.
-In meglio?- Non si fidava di lei, era chiaro, ma da qualche ora aveva notato una piccola apertura nei suoi confronti, forse dovuta alla curiosità.
-In meglio, certo.- Rispose con voce sicura e, a quel suo dire, lui si voltò verso la parete, dandole le spalle, tirando la coperta fin sopra la testolina quasi a volerci scomparire al disotto.
Ancora Lin si trovò a sorridere, mentre il più piccolo le chiedeva il bacio della buona notte.

Al mattino quei due bambini erano spariti. Stupidamente Lin se ne era dispiaciuta: una parte di lei aveva sperato di “cambiare le cose”, almeno per loro, ma non era andata così.

***
 
La dominatrice del metallo si scoprì a sorridere come non faceva da tempo. Ricordava di aver cercato quei due mocciosi a lungo, ma non li aveva più visti. Aveva pensato che fosse successo loro qualcosa e dentro di sé aveva trovato conferma alla triste verità che una persona da sola non può cambiare il mondo.
"No, non da sola." Pensò mentre guardava quella famigliola allontanarsi tra le luci lampeggianti: i due genitori facevano ciondolare il più piccolo tra loro, come a fargli fare l’altalena, e il più grandino si stringeva alla mamma.
-C’è qualcosa di bello là fuori?- Le arrivò gentile, vedendola sorridere, la voce del padrone di casa.
Quel dominatore del fuoco le si sedette accanto, mentre, come richiamato da una forza invisibile, il testone di Naga le si adagiava sulle gambe, desideroso di una bella grattata o… dell’appetitoso panino al rosbif tra le mani dell’uomo.
-Nulla di ché, Mako.- Rispose divertita al giovane detective della polizia di Città della Repubblica.
-Nagaaa! Ti fa male, non è ancora ora di cena e già ti sei ingozzata come un… un… - Protestò la voce di Korra, impossibilitata, da dove si trovava, a recuperare l’enorme cagnolona polare che sembrava aver avuto la meglio, coccolata da una bella grattata dietro le orecchie e rinvigorita dal rosbif passatole sotto banco da Mako.
Lin si voltò a guardare la loro Avatar abbarbicata sulla scala e intenta a decorare il più grosso albero che avesse mai visto… in una casa, certo!
-Come un…- intervenne Asami in aiuto della ragazza, passandole l’ennesimo decoro colorato. -…Canepolare?-
Alla risatina della compagna, Korra sbuffò arresa lasciando cadere le spalle verso il pavimento.
-Temo allora che tu non ci possa fare nulla!- Arrivò austera la voce di Tenzin che, a braccia conserte, in piedi, al centro della sala, controllava che i preparativi venissero svolti al meglio.
-Uff… ti ci metti anche tu? Ma da che parte state tutti, si può sapere?- Protestò Korra.
-Dalla parte del canepolare, ovvio!- Rispose divertita la voce di Jinora dal lato opposto della stanza, mentre appendeva un ramoscello di vischio sotto l’arcata del salotto.
Non passò mezzo secondo, prima che…
-Non ci pensare nemmeno.- Giunse gelida la voce di Tenzin, assieme allo sguardo truce dedicato a Kai, il quale, un po’ troppo sorridente, si stava avvicinando alla figlia maggiore.
-Papà, lascia in pace il mio ragazzo!- Si lamentò Jinora, mentre il suo fidanzatino abbassava la testa rassegnato. Meelo se la rise sotto i baffi, seduto in terra accanto al fratellino e attentissimi entrambi nello scegliere i nastri più lucenti e le ghirlande più folte da mettere intorno all’albero.
-Che mi sono perso?- Domandò Bolin varcando l’arcata con tanto di guantoni da forno e una teglia di biscotti appena sfornati tra le mani.
-Questo.- Rispose dolcissima Opal indicando il vischio sulle loro teste e posandogli un bacio sulla guancia.
Bolin, con fare perplesso… -Kai voleva baciarmi? Strano, ma…- Disse e aggiunse poi, facendo spallucce: -…Sappi, amico, che anche io ti voglio bene!- Concluse strizzando un occhio, ammiccando verso il dominatore dell’aria più confuso che mai e indicandolo con il guanto da forno.
-Non proprio.- Rispose Opal con lo sguardo ridotto a due fessure, identiche a quelle dell’addetta al vischio.
E, mentre Bolin abbracciava la sua ragazza, tirandola a lui con la mano libera dalla teglia, per ricambiarne il bacio e riaccendendone così il sorriso, Ikki ne approfittò per rubacchiare qualche biscotto, imitata dal resto della truppa, Pema compresa.
-Ehi, lasciatemene almeno uno!- Protestò il dominatore della terra, riavendosi e sfarfallando gli occhi ritrovandosi a fissare esterrefatto la teglia vuota.
-Uhm, pare proprio di no.- Lo canzonò Opal mordendo un biscottino, trafugato durante il loro bacio, e allungandone il rimanete a Pabu che se ne stava acciambellato attorno alle spalle del ragazzo.
Allo sguardo sconcertato e tradito di Bolin, che seguì quel fare, Lin non riuscì a trattenere un sorriso, scoprendo Mako, al suo fianco, fare lo stesso.
-Non lamentarti, li avevi portati per noi, no?- Arrivò alla donna la voce divertita di sua nipote.
-Sì, ma Asami almeno ne ha preso qualcuno per Korra, tu hai pensato solo a Pabu!- Si lamentò Bolin.
-Vero, ma sbaglio o tu non hai fatto che assaggiare in cucina?- Lo bacchettò la ragazza puntandogli un ditino contro il petto, mentre il ragazzone sbuffava ormai vinto.
-Forse dovremo dare una mano, che ne dici?- Tornò la voce di Mako a distrarre Lin da quella scenetta.
-Naaa, a me sembra che se la cavino benissimo da soli.- Se la rise sotto i baffi facendo spallucce.
-È vero.- Sorrise il dominatore che aveva tanto insistito a volerli riuniti nella sua casa per festeggiare quel primo natale dalla fine del conflitto. -Abbiamo fatto un buon lavoro.- Sussurrò con aria compiaciuta, ma detto fatto…
-Sentite anche voi questo odore?- Disse Korra tra un biscotto e una pallina colorata, annusando l’aria. -Sembra che qualcosa stia bruciando.-
-L’arrosto!- Esordì Mako scattando in piedi e affrettandosi a riprendere il controllo della cucina.
Nella fretta di alzarsi, il portafoglio dell’uomo si era sfilato dalla tasca cadendo in terra, sparpagliando il suo contenuto sul pavimento.
Lin sorrise, abbandonando la tazza ormai vuota su un ripiano e piegandosi a raccogliere quanto il dominatore del fuoco aveva lasciato dietro di lui.
Le si bloccò il cuore, quando, tra le tante scartoffie inutili che rinfilò nel portafoglio alla benepeggio, le passo tra le dita un ritaglio di carta marroncina, simile a quella delle buste del pane.
Scosse appena la testa come a cercare di ridarsi un contegno, mentre, risedendosi, schiudeva quel foglietto consumato.
-Apposto! La cena è salva!- Esordì Mako rientrando nella sala e inchinandosi, applaudito ironicamente dalla truppa al completo, mentre…
“Non sei quello che gli altri dicono di te, sei quello che tu vuoi essere.” Le diceva quel vecchio ritaglio di carta.
Sentì i passi del dominatore avvicinarsi nuovamente a lei e senza guardarlo gli sussurrò con un filo di voce: -Lo hai ancora con te?-
Le si sedette accanto, allungando una mano a riprendere quanto gli apparteneva, mentre lei alzava il viso verso quegli occhi d’ambra. Lo vide annuirle con un sorriso sereno.
-A forza di leggerlo ho finito per crederci.- Le disse prendendo anche quel foglietto dalle sue mani e rimettendolo al suo posto.

-Zabaione!- Urlicchiò allegra Jinora, arrivando dalla cucina insieme a Kai e Opal con diverse tazze tra le mani, rifilandole a chi era a loro portata, compresa lei e Mako al suo fianco.
-Peccato che qualcuno si è già mangiato tutti i biscotti!- Brontolò il solito Bolin a braccia conserte.
-Boliiinnn!- Lo ripresero più di una voce in coro, prima di scoppiare a ridere e, mentre Ikki faceva girare nel grammofono una canzone delle feste, Tenzin tirava la sua signora a sé distraendola dall’apparecchiare la tavola, per trascinarla a ballare tra le cose da sistemare e gli addobbi di Natale ancora sul pavimento.
Rohan, appena il fratello si distrasse per guardare con espressione schifata la scena tra i suoi genitori, riuscì a scartare uno dei regali appoggiati accanto all’albero: un portapenne con scritto “You're strong, dad!”.
“Ma no, davvero? Li fanno ancora?” Pensò sorpresa la dominatrice del metallo.
Kai riuscì a rubare a Jinora il bacio sotto il vischio che desiderava, intanto che Naga, arrotolatasi tra i fili di lucine colorate, alzandosi e mettendosi seduta, si tramutava in un bianco e peloso albero di Natale scodinzolante.

Forse non era un Natale perfetto, con chi si ricordava all’ultimo degli addobbi da allestire e con i soliti regali banali sotto un povero albero trasandato; con chi scartava i pacchi prima del tempo e con chi si rimpinzava di dolci e stuzzichini prima della cena; con chi sbuffava e si lamentava per ogni cosa, con chi rubava un bacio, con chi ballava, con chi rideva e con la cena bruciacchiata per il gran finale. No, non era perfetto, ma era sicuramente un magico Natale o, come avrebbe detto qualcuno di sua conoscenza, “il Natale più magnifico di tutti!”, anzi no, il “secondo” Natale più magnifico di tutti, perché, si sa, esistono incontri che ti cambiano la vita!

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Grazie a tutti coloro che perdono ancora tempo a leggere quello che scrivo, grazie alle mie dolcissime amiche e sì, anche a Virkahell ^.^, grazie a voi tutti di cuore, questo è il mio modo per augurarvi di passare un Buon Natale,

Tanti auguri e buone feste! =D




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FAQ (ebbene sì, mi sono divertita a fare anche queste! X-D):

1) Perché Lin segue i bambini nel vicolo?
  • Perché si sarebbe sentita morire se all’indomani avesse letto in un articolo di giornale del ritrovamento di due corpicini in quella zona, sapendo di non aver fatto nulla per evitarlo.
2) Perché non c’è Pabu con Bolin e Mako nei ricordi di Lin?
  • Perché quella parte della storia si svolge precedentemente all’incontro dei ragazzi con il furetto di fuoco.
3) Perché Lin dice di non aver più rivisto quei due bambini (mocciosi), quando in realtà li conosce?
  • Perché quando li ha rivisti non erano più bambini ormai.
4) Di quale "fine conflitto" si accenna nella storia?
  • La fine del conflitto contro Kuvira.
5) A cosa si riferisce Mako quando dichiara che hanno fatto un buon lavoro?
  • A tutta la situazione, all’aver superato le mille difficoltà incontrate sconfiggendo i nemici e all’essere riusciti a riunirsi per il Natale.

NdL (“L” sta per Lance, ovvero me. X-D): Domandina, sono riuscita a far capire che, anche se il racconto è narrato dal punto di vista di Lin, tutti in quella casa han fatto incontri che hanno cambiato loro la vita?
Se non si capisce ditemeloooooo! T_T Sono in un continuo work in progress. Baci baci!
   
 
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