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Autore: sophie97    25/12/2017    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ho subìto un danno.
Le persone danneggiate sono pericolose.
Sanno di poter sopravvivere...
È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà.
Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.”
(Il danno, 1992)


PROLOGO:

Cento giorni.
Ben sospirò piano, appoggiato a quel muretto, fissando come in trance la villetta che sorgeva dall’altra parte della strada.
Cento giorni, gli sembrava impossibile. Per la prima volta, cento giorni prima, il collega gli aveva raccontato che cosa stesse succedendo tra lui e la moglie. E poi, solo due giorni dopo, come se tra le due situazioni ci fosse stato un filo diretto, ecco che il notiziario aveva annunciato la fuga di quell’uomo. E tutto, lentamente, era andato precipitando.
Cento giorni, più di tre mesi, e ancora l’aria non aveva smesso di essere spessa, pesante, irrespirabile.
Era il 12 febbraio, e a Colonia il freddo era ancora pungente.
Ben tirò su col naso e si strinse più nelle spalle, chiedendosi quando si sarebbe deciso a entrare.
Stava quasi per alzarsi, quando qualcuno da dietro lo sfiorò.
Ma l’ispettore era talmente immerso nei propri pensieri che nemmeno vi fece caso.
«Che cosa fa qui tutto solo, giovanotto?» esordì la voce alle sue spalle, in tono bonario.
«Vado a trovare un amico.» rispose Ben, in un sussurro, più rivolto a se stesso che al suo nuovo interlocutore, mentre sentiva che l’uomo che gli aveva parlato stava aggirando il muretto per avvicinarsi a lui. Non si curò di voltarsi, aspettò che il signore gli si sedesse accanto.
«Lei che cosa ci fa qua?» domandò poi, non appena scorse il profilo familiare a pochi centimetri da lui.
L’anziano signore alzò le spalle, iniziando meccanicamente ad accarezzarsi gli ordinati baffi bianchi e passandosi poi la mano destra sulla folta barba, anch’essa candida come la neve.
«Passavo, giovanotto. Il suo amico vive qui? È il suo collega, non è vero?».
Ben guardò quell’uomo negli occhi, sorridendo per un attimo al suo accento inglese.
«Lo era.» commentò poi, distogliendo lo sguardo.
Il vecchio poggiò una mano sulla sua spalla, rifilandogli qualche leggero colpetto di incoraggiamento.
«Fossi in lei sorriderei un po’ più spesso, giovanotto. Da quando l’ho conosciuta lo ha fatto sempre troppo poco. Solo alla mia età si comprende quanto sorridere sia importante... forza, ragazzo.».
«Non è facile sorridere sempre. Non quando davanti agli occhi hai la vita rovinata di una persona a cui vuoi bene.».
L’anziano signore annuì teatralmente. Poi, appoggiandosi al proprio bastone, si alzò, staccandosi dal muretto e rimanendo per qualche istante fermo, in piedi di fronte al poliziotto.
«Ti do un compito, giovanotto. Oggi sorridi. Va bene?».
Ben alzò lo sguardo su di lui.
L’uomo indossava un berretto di lana decorato a quadri rosso e verdone e un’ingombrante sciarpa dello stesso colore. Non un abbigliamento troppo comune, per quello che lui aveva definito un angelo custode.
Il sorriso, osservandolo, gli spuntò spontaneo sulle labbra.
«Bravissimo, così.» fece compiaciuto il vecchio.
Poi si voltò per andarsene, ma tornò a guardare Ben dopo aver fatto solo qualche passo.
«Dimenticavo, giovanotto.» aggiunse, sorridendo sotto ai baffi curati, prima di allontanarsi «Usi quella scatolina che ha in tasca. L’ho vista, sa? Vedrà, la renderà felice.».

 

N.d.A.
Buonasera miei cari lettori... ebbene sì, sono ancora viva! Tanto tempo che non metto piede su EFP, troppo, e già posso udire gli insulti di chi stava seguendo la mia serie e, da un momento all’altro, non ha più avuto mie notizie... scusate, scusate, scusate, non ho una valida giustificazione ma proverò a farmi perdonare. La serie che ho lasciato in sospeso, “Dieci ritagli di Cobra 11”, prima o poi avrà una conclusione, ma ci tengo a sottolineare che questa storia non fa parte della serie in questione e non ha assolutamente nulla a che fare con quest’ultima.
Qualche piccola premessa, rischiando di rendere queste N.d.A. più lunghe del prologo stesso:
1. non so come questa folle storia che vi accingete a leggere mi sia venuta in mente, ma sappiate che questa volta sono stata veramente molto crudele... e se questo fandom predilige da sempre l’accanimento verso Ben, sappiate che io invece mi diverto parecchio a torturare anche il nostro piccolo turco (non che non ce ne sia anche per Ben eh, non esultate);
2. ve lo ripeto: crudele, lunga, triste, pesante... siete avvertiti;
3. ho deciso di fare un esperimento e suddividere la storia in capitoli ricalcando la suddivisione delle giornate: ciò significa che troverete capitoli di diverse lunghezze e che per ogni giornata che compone la storia leggerete un nuovo capitolo (a parte qualche eccezione a fini narrativi);
4. ve l’ho già detto che si tratta di una storia triste e pesante?
Fine delle premesse, vi spiegherò ancora qualche cosetta nel corso della storia.
Vi auguro buon Natale con questa storia non propriamente permeata di spirito natalizio... Spero che i miei scarabocchi possano incuriosire qualcuno, spero che non siate troppo arrabbiati per la mia scomparsa improvvisa e... se vi fa piacere, ogni commento è sempre super gradito!
Grazie, buona lettura!
Sophie

  
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