For a few inches
I was too short to reach this book on the top shelf
and you came over and offered to help, but I got stubborn and insisted
I could
do it myself, and I did, but I brought the whole shelf of books
crashing down
on top of me, and now you’re all worried and asking me if
I’m okay, but I must
look like the biggest idiot on Earth.
Lo ripetevi sempre a Sophie: non
aggrapparti alla libreria, ché ti puoi far male.
Tutto il contrario di quello che
avevi deciso di fare ormai da quella mattina, quando ti eri svegliata
con in
testa ancora la confusione della notte prima, e la lista di commissioni
da
portare a termine prima del matrimonio. Come se non bastasse, ad
occupare i
suoi pensieri era anche l’immagine di quei tre a canticchiare
in mezzo ai
cespugli, qualche metro lontani dal palco.
L’avevi riposto su in alto, in mezzo
ad alcuni libri da colorare e di storie per bambini, prima appartenuti
a
Sophie, e che ogni tanto prestavi agli ospiti della Villa con figli
piccoli.
Era quadrato, grosso, colorato, ed
eri sicura fosse lì, perché l’avevi
riconosciuto saltellando davanti alla
libreria. Era l’album di foto di Sophie nei suoi primi anni
di vita, e avresti
voluto sfogliarlo, per rivederla ridere, o intenta a tenersi in
equilibrio nei
suoi primi passi, prima di correre incontro a te, unico suo punto di
riferimento, come lei era per te.
La punta delle scarpe da ginnastica
ti reggeva sul basamento della libreria, appena qualche centimetro da
terra. Il
braccio era teso a tastare l’ultimo scaffale, ma la mano era
ancora troppo
distante dalla fila di libri. Avresti dovuto salire sul primo scaffale
dal
basso: solo una spinta, uno slancio, niente di pericoloso, no? Appoggi
il piede
sul ripiano, caricando via via più peso per tastare quanto
il legno fosse
resistente.
“Donna?!”
Scivoli a terra, saltellando per
riprendere l’equilibrio, mentre il tuo
nome, pronunciato con la sua voce,
rimbomba per la reception e tra le tue orecchie. Ma sei
sufficientemente rapida
a poggiare entrambi i piedi a terra perché le sue mani,
già allungate a
sorreggerti, non ti sfiorassero nemmeno.
E per un attimo senti di essertene
dispiaciuta.
Fa un passo indietro. “Non volevo
spaventarti”. Sorride.
“L’hai fatto” ribatti
impassibile,
tornando a voltarti verso la libreria, non sai più se per
tornare al tuo
obiettivo o per non incontrare il suo sguardo.
“È un modo alternativo per far
ricadere l’attenzione su di te?”
Giri solo il viso, verso di lui, ma
non tanto da guardarlo in faccia. “Non ho ancora deciso se
rompermi un polso o
una gamba, mi aiuti a scegliere?” Cerchi di spostare la
conduzione del gioco
verso di te, ma non sai quanto possa durare.
“E poi soccorrerti, portarti al
molo, prendere il traghetto, accompagnarti in ospedale, perdermi il
matrimonio?”
“Che è l’unico
motivo per cui sei
tornato. Meglio di no, vero?”
Alza il dito indice e lo porta alle
labbra, come pensieroso. “Io pensavo ad una commozione
cerebrale, la perdita di
memoria certe volte aiuta.”
Ti giri e gli dai un colpo su una
spalla, spostandolo appena. Lui ridacchia, quindi fa un cenno alla
libreria.
“Se mi dici cosa cercavi, te lo prendo io.”
“No, grazie” torni a dargli le
spalle. La perdita di memoria a cui faceva riferimento ti sarebbe
servita sì,
ma retroattiva, fino a vent’anni prima, fino a quel giorno in
cui quell’uomo
aveva lasciato dentro di te qualcosa di inestirpabile.
“Donna, dico davvero, ti potresti
fare male.”
Lo ripetevi sempre a
Sophie.
“Non più di quanto abbia
già
provato” borbotti, incapace di trattenerti, il più
a bassa voce possibile.
Compi in sequenza gli esatti gesti
di prima, fingendo di non sentirlo ripetere il tuo nome e cognome, come
un
avvertimento. “Donna Sheridan”.
“Lo so come mi chiamo.”
Ti aggrappi allo scaffale
all’altezza dei tuoi occhi, e ti dai finalmente la spinta.
Una delle cose che ricordi con più
precisione di quel momento sono le sue mani.
Strette attorno ai tuoi fianchi, con
una forza tale da farti perfino male, ti avevano spinta poco
delicatamente di
lato, mentre i libri più leggeri scivolavano giù
dagli scaffali e lui si
gettava con tutto il suo peso contro la libreria, per contrastarne la
caduta
altrimenti inesorabile.
Con un tonfo il mobile colpisce il
muro, facendo cadere altri volumi.
Sicuramente qualcuno là fuori si
sarà accorto dei rumori.
Sicuramente avresti potuto farti
molto male.
Lo ripetevi sempre a
Sophie. A cosa
serviva dare degli insegnamenti se poi non li
si perseguiva, e il tutto per… per cosa? Per non dovere
chiedere un favore a
lui, per non doverlo ringraziare, per non dovere fingere che fosse
tutto
completamente normale, averlo lì dopo vent’anni e
far finta di niente.
Come adesso che, con il petto che
gli si sollevava in rapidi respiri, si accucciava di fronte a te,
seduta sul
pavimento dove eri caduta.
“Non farlo mai più, Sam
Carmichael”.
“Mi togli le parole di bocca,
Sheridan.”
Si alza in piedi e ti porge la mano
per aiutarti a fare lo stesso, ma la ritrae scrollando le spalle quando
capisce
che avresti fatto da sola.
“Non aspettare che ti ringrazi”
dichiari, lisciandoti i vestiti.
“Non avresti più potuto farlo,
ricordi? La perdita di memoria e tutto il resto. Dovresti sfruttare
ogni
occasione per-”
“Sam” ti avvicini a lui, e alzi
una
mano per sfiorare la stoffa della camicia sul suo petto, senza mai
davvero
toccarlo. Poi alzi lo sguardo. Nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso,
ma lui
l’aveva visto, e tu l’avevi provato, quel brivido
che ti aveva scosso nel
rivedere i suoi occhi azzurri. “Raccogli tutti i libri prima
di uscire di qui.”