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Autore: Mooneygiuls    27/12/2017    1 recensioni
Primo libro della trilogia dei Cavalieri
Meriel Turner vive una vita ordinaria ad Amburgo, in Germania, insieme ai suoi genitori e i suoi amici Ireen ed Herwin. Tra disegni, passeggiate in riva all'Elba, o in qualche locale a bere cioccolata calda insieme agli amici le sue giornate passano tranquille.
Ma ben presto la sua vita verrà stravolta quando, una volta tornata a casa da una giornata scolastica stressante, si accorge che i suoi genitori sono spariti senza lasciar traccia. Quando pensa di dover passare il resto della sua vita in una casa famiglia, i servizi sociali contattano uno zio di cui lei non aveva mai sentito parlare.
Sarà costretta a trasferirsi ad Hanau, nel castello dello zio, dove farà la conoscenza di alcuni ragazzi che sono affidati all'uomo, dall'apparenza normale ma con strane abitudini.
Ma c'è una sola regola: non oltrepassare la Porta Rossa. Meriel non ne capisce il motivo, per lei è una semplicissima porta, ma quando essa comincia a richiamarla non riesce a resistere dalla curiosità e la oltrepassa. Da quel momento inizierà la corsa contro il tempo per la sopravvivenza.
La guerra sta per iniziare. Chi sarà al sicuro?
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buttercup correva per il bosco come sospinta dal vento. Veloce come un ghepardo bianco si muoveva tra la neve con leggerezza, quasi come avesse veramente delle zampe al posto delle gambe. I capelli azzurri legati in treccine e fermate dietro le orecchie leggermente a punta da due fermagli a forma di piume argentee erano tenute dentro al cappuccio della pelliccia bianca che le avvolgeva il busto per proteggerla dal freddo.
Gli occhi neri cerchiati di bianco, come i segni che erano disegnati sotto di essi sulla pelle chiara, saettavano in ogni direzione, come a voler trovare qualcosa ad ogni costo.
Nella sua corsa non provava nessuna fatica, avrebbe potuto continuare per molti altri chilometri e non si sarebbe stancata. Erano le piante intorno a lei, gli animali che incontrava, ogni forma vivente sulla terra che calpestava a darle forza, energia. Anche la terra stessa le infondeva la forza necessaria ad andare avanti senza avere il bisogno di fermarsi. Perché era quello il suo potere: avere una simbiosi con la natura. Non era in grado solo di poter prendere l'energia e la forza da essa, ma anche di poterla controllare, manipolare a proprio piacere in modo da essere inarrestabile.
Un lungo bubbolio spettrale provenne dai rami degli alberi sopra di lei e un gufo dal piumaggio celeste chiaro volò sopra di lei. Grazie a quel colore nel volteggiare tra i rami sembrava un piccolo fantasma, cosa che gli era tornata molto utile per spaventare eventuali predatori.
Aydin.
Il gufo volò dritto da lei, che si era fermata, e si appollaiò sulle sue spalle. In quello stesso momento lei chiuse gli occhi ed entrò nella sua mente. Il tocco caldo del suo piccolo amico fu confortevole ma allo stesso tempo ostile. Nessuno ama essere posseduto, si disse.
Nella mente le comparve una scena: una ragazza dai capelli color rosso naturale che insieme ad altri ragazzi era caduta in una trappola dei Troll. Impugnavano delle spade indirizzate verso quegli enormi esseri orribili. Quando guardò gli occhi impauriti della ragazza tutto scomparve.
Meriel sbatté gli occhi e sobbalzò quando sentì la campanella che segnava la fine dell'orario scolastico. Sospirò guardando il disegno della ragazza dalle treccine blu sul suo blocco da disegno. Si sistemò una ciocca di capelli rosso naturale dietro l'orecchio, prestando attenzione su cosa stava dicendo il professore alla classe. «Per la prossima volta voglio vedere tutti i lavori finiti, devo mettere i voti e non manca molto alla fine di questo semestre, quindi datevi da fare».
Meriel stava per chiudere il suo album quando qualcuno si fermò alla sua destra poggiando le mani sul banco. «Come se non avessimo altre materie da studiare, certo». Herwin roteò gli occhi al cielo, poi guardò il disegno della ragazza. «Mein Gott, ma è bellissimo. Io è già tanto se riesco a disegnare una persona senza farla sembrare il Gobbo di Notre Dame». Sorrise alla sua stessa battuta insieme a Meriel, che intanto aveva chiuso il suo album e aveva rimesso tutto nel suo zaino, lasciando il banco vuoto.
Si alzò dalla sedia, accorgendosi che se ne erano andati quasi tutti, compreso il professore. «Herwin sai che non è vero». Ed era la verità: il ragazzo disegnava veramente bene, ma era troppo modesto per ammetterlo. O almeno era quello che gli altri ragazzi dicevano di lui, ma Meriel sapeva che era solo mancanza di autostima. Anche se non ne vedeva il motivo.
«Comunque avrei cambiato il colore degli occhi, li avrei fatti azzurri come i capelli».
«Oh, ma lei è proprio così». Disse Meriel uscendo dalla porta superando il ragazzo che si era fermato per farla passare per prima.
«Come, scusa?». Il ragazzo inarcò un sopracciglio scuro quanto gli indomabili capelli ricci. Gli occhi verdi che la guardarono in volto confusi.
«Volevo dire: è così che me la sono immaginata, non voglio cambiala. Mi piace così».
«Oh, ma il mio era solo un consiglio». Il ragazzo fece spallucce spostando lo sguardo davanti a lui, verso la porta d'uscita della scuola.
Meriel si morse un labbro e arrossì leggermente accorgendosi di cosa aveva detto. Molte volte i personaggi che disegnava non era semplici personaggi, non come li vedevano gli altri: nella sua mente si animavano, avevano avventure, nomi; era come se fossero realmente esistenti. Molti pensavano che i personaggi che creava fossero frutto della sua fantasia, ma in realtà non le ci voleva molto: le venivano nella mente come se fossero visioni che lei non capiva e li ridisegnava. Buttercup e Aydin non erano altro che personaggi da aggiungere alla sua collezione. Sembrava folle, ma era così e per questo non lo aveva detto a nessuno. Non voleva sembrare stramba o cose simili. Non voleva avere una delle tante etichette che ormai venivano affidate a chiunque nel mondo.
«Eccovi finalmente, pensavo ve ne foste andati senza di me». Appena uscirono dalle porte della scuola una ragazza bassa con i capelli marroni a caschetto con una frangetta perfetta che arrivava agli occhi color nocciola gli si posizionò davanti. Aveva le braccia strette al petto, la sciarpa rossa che le circondava il collo faceva sì che il suo alito arrivasse caldo agli occhiali, appannandoli ad ogni respiro che faceva.
Nel vederla così Meriel sorrise, scuotendo la testa. «Ireen, stavamo sentendo cosa aveva da dirci il professore...».
«Che è uscito più di venti minuti fa, cioè il tempo che io vi sto aspettando qui fuori al freddo...».
«... e ci siamo messi a chiacchierare» continuò Herwin. «Scusaci».
«Basta che non accada più, intesi? Andiamo che sto congelando con questo freddo del cavolo». Si strinse le braccia ancora di più al corpo come per scaldarsi e poi s'incamminò verso gli autobus fermi davanti a loro. «Uno è già partito, se non ci sbrighiamo perdiamo anche questi altri».
Ma in quel momento la mano di Meriel arrivò all'altezza del collo accorgendosi che sotto il giaccone la sua collana era sparita. «Oh, no». Gli altri due si fermarono e si girarono confusi verso di lei. «Ho perso la mia collana, deve essermi caduta in classe o quando l'abbiamo cambiata perché ricordo che l'ora prima ce l'avevo».
«Vuoi tornare dentro a cercarla? Veniamo con te». Si offrì Herwin.
«No, voi andate o perderete l'autobus per colpa mia. Vado da sola, ce la faccio».
«Sei sicura? Guarda che se rientri perderai l'autobus e dovrai tornare da sola a piedi. Puoi sempre controllare domani mattina». Ireen inarcò un sopracciglio.
«E' troppo importante per me, devo andare a riprenderla adesso. Non fa nulla, davvero. Non abito lontano da qui, andate tranquilli». Li salutò con un cenno della mano e si allontanò verso la porta d'entrata.
Quando entrò nella scuola rabbrividì: non che fosse una scuola così orribile, però un conto era entrarci con i corridoi pieni di altre persone, un conto era entrarci da sola. Il silenzio era così inquietante che camminò lentamente attenta a non fare troppo rumore con i propri passi. Arrivò all'ultima classe in cui erano entrati perché era la più vicina, con la speranza di trovarla lì in modo da poter riuscire senza dare sospetti.
Ma quando controllò da cima a fondo la stanza senza trovarne traccia una voce la fece trasalire. «Cosa ci fai ancora qui?». Apparteneva a un uomo con un camice da bidello, in piedi fuori dalla porta con il carrello delle pulizie accanto. Non riuscì a capire perché quell'uomo le mettesse tanta soggezione, se per il fatto che non l'aveva mai visto in giro per la scuola o perché fosse rientrata dopo il normale orario scolastico di soppiatto e che fosse stata scoperta. O semplicemente per il suo aspetto inquietante.
«Scusi, sto cercando la mia collana. L'ho persa». Si avvicinò all'uomo per uscire dalla stanza e la tensione aumentò notando l'occhio vitreo dell'uomo ma fece finta di nulla per non urtarlo, passandogli accanto e mettendosi più lontano possibile da lui.
«E non l'hai trovata?». Assottigliò gli occhi, scrutandola attentamente. Meriel fece cenno di no con il cuore in gola. «Se devi andare a cercare in un'altra classe farai meglio a sbrigarti, stanno lavando al piano superiore».
Meriel ringraziò l'uomo e scattò più veloce che poté verso le scale che portavano al piano superiore dove era la sua classe prima del cambio dell'ora. Sentì lo sguardo dell'uomo fino a che non sparì dalla sua visuale. Respirò finalmente cercando di calmarsi una volta lontana da lui. Non era strano il fatto che sapesse che dovesse cercare in un'altra classe: la scuola non era molto grande e visto che i ragazzi erano molti più delle classi quando cambiavano ora dovevano spostarsi dalle classi ai laboratori o viceversa per lasciare spazio a chi doveva seguire delle lezioni teoriche.
Raggiunse la classe in tempo prima che il bidello, che al contrario di quello del piano inferiore conosceva, entrasse nella classe con lo straccio bagnato. «Fermo!».
L'uomo si girò verso di lei, sobbalzando. «Meriel, cosa ci fai qui a quest'ora? Le lezioni sono finite quasi da mezz'ora».
«Ho perso la collana che porto sempre al collo, sono venuta a vedere se fosse caduta qui».
L'uomo annuì. «Ah, la pietra azzurra intendi? Controlla pure, hai fatto in tempo o avresti dovuto aspettare domattina».
Meriel annuì entrando nella stanza e cominciando a controllare sotto il suo banco. Nulla. «Mi ha avvertito il signore che si sta occupando del piano inferiore» disse mentre controllava anche le altre parti della stanza. «Dev'essere nuovo, non l'ho mai visto».
L'uomo, un signore di circa sessant'anni leggermente sovrappeso e con i capelli completamente bianchi, si girò nella sua direzione corrucciando le sopracciglia cespugliose. «Ma cosa stai farneticando, signorinella? Ho visto i tuoi disegni e so che hai molta fantasia, ma qui ci sono io e basta. Ci sono solo io di turno».
Meriel si alzò di scatto a quelle parole e guardò l'uomo. «Non sto scherzano, c'è un nuovo bidello nel piano inferiore».
L'uomo la guardò per alcuni secondi poi annuì uscendo dalla stanza. «Vado a dare un'occhiata, continua pure la tua ricerca».
Meriel lo seguì con lo sguardo poi si accorse di qualcosa che brillava a intermittenza sotto la cattedra e si avvicinò. Proprio quando cominciò ad avvicinarsi il bagliore si fermò e si accorse che la sua collana era a terra sotto la cattedra, nascosta dalla gamba di legno. Fece un sospiro di sollievo e la raccolse. Non brillava più. Molto probabilmente era la luce che proveniva dalla finestra. Non ne era proprio convinta, però fece spallucce e se la mise in tasca pronta ad uscire dalla scuola una volta per tutte.
Quando raggiunse il piano inferiore si fermò per scusarsi con i due ma si accorse dalle ombre sulla parete di fondo al corridoio che stavano chiacchierando. O almeno era quello che pensava stessero facendo: dalle ombre capiva che il vecchio era fermo ad ascoltare l'uomo che muoveva le mani lentamente. Forse gli stava spiegando che era nuovo e non avevano potuto avvisarlo prima.
Meriel uscì dalla scuola senza dire altro per non disturbarli, sperando che i suoi genitori non le rimproverassero il ritardo o che non si preoccupassero troppo. Ma felice che avesse ritrovato la sua collana.


Bella stava guardando il paesaggio innevato fuori dalla finestra della sua camera. Era presto, molto presto. Il sole non era ancora sorto, la foresta che circondava il giardino perfetto del castello era spettrale. Suo marito dormiva beatamente nel loro letto a baldacchino, ignaro di cosa lei stesse per fare. Spostò lo sguardo per la stanza assorta per la maggior parte dal buio ma rischiarata appena dalla poca luce che arrivava dallo spazio che occupava lei alla finestra, con la tenda di velluto scura leggermente aperta.
I suoi occhi arrivarono al quadro del giovane bello e misterioso che aveva scoperto con una delle sue esplorazioni al castello e che aveva sognato alcune notti prima di scovarlo in una delle molteplici stanze. Ricordava che quando lo aveva visto aveva pensato fosse imprigionato come lei ma la Bestia le aveva rivelato che erano soli al castello. La Bestia, da quanto tempo non pensava a suo marito così.
Non fidarti delle apparenze, questo le ripeteva ogni volta il ragazzo nei suoi sogni.
Alla fine aveva ceduto a quell'osservazione innamorandosi della bestia, scoprendo in lei la figura del ragazzo misterioso di cui si era invaghita e che non le faceva aprire gli occhi alla realtà del suo cuore. E con essa scoprì anche le sue origini.
Il suo sguardo si spostò sull'orologio e uscì dalla stanza attenta a non far rumore. L'ora era giunta.
Raggiunse il giardino. Bella vide apparire davanti a sé una donna con un mantello nero, che ricopriva un lungo vestito viola, e che impugnava un bastone ricurvo. Sui capelli neri come ali di corvo era adagiata una corona di spine. I suoi occhi rossi la scrutarono attentamente.
«Sei tu che mi hai fatto chiamare? Ti chiami Bella?». Socchiuse gli occhi, avanzando fino a lei. Poi le girò intorno, facendole passare una mano sulla guancia morbida. «Se la mia bella Talia fosse stata bella quanto lo sei tu, forse l'avrei risparmiata della sua prigionia, ma ormai è fatto quello che ho fatto». Le uscì dalle labbra una risata che assomigliava al suono di mille campanelle. «Sai, io non sono come mia sorella, Nevina l'avrei risparmiata, era una così bella e giovane ragazza, è un peccato che sia già andata. O almeno, è quello che ho sentito l'ultima volta che l'ho vista».
Bella rabbrividì. Non sapeva di cosa stesse farneticando, ma si fece coraggio. «Voi dovete essere la Maga Nimueh, quindi».
«La Dama del Lago, Vivianne, Ninianne, la Maga Cattiva, Nimueh... non fa differenza. Sono qui davanti a voi. E' per questo che mi avete convocata? Per assicurarvi che esistessi e non fossi solo una leggenda?». Nei suoi occhi saettò un lampo di divertimento.
«No, non vi ho convocata qui per questo». La guardò negli occhi, capendo solo dopo averlo fatto che poteva trattarsi di un errore mortale, ma per sua fortuna la donna si limitò soltanto a sorridere maliziosamente.
«Pensi che sia così stupida? Certo che so che non mi hai chiamata qui solo per fare quattro chiacchiere, o pensi che avrei fatto davvero tutto questo viaggio per una semplice chiacchierata?». Rise di nuovo, battendo il bastone a terra per appoggiarci le mani, una sopra l'altra.
«Allora sapete il motivo per cui vi ho chiamata». Bella sentì il coraggio e la fiducia che aveva sempre avuto assottigliarsi. «E vi prego di non parlarmi come se fossi una semplice paesana, sono pur sempre una regina e non sono poi molto diversa da voi».
La donna scoppiò in una breve risata. «Ah, il vostro sangue di fata ovviamente. Ho sentito delle voci su di te, sul fatto che quando nacqui tua madre, in quanto una fata peccatrice per aver sposato un umano, fu resa prigioniera dalle sue consorelle. E per non farti uccidere dalla fata furiosa che si era vista rifiutare come sposa da tuo padre, il caro Re dell'Isola Felice, la cara fata sorella di tua madre ti nascose al posto della figlia morta di un semplice mercante. Deve essere stato un sollievo per te sapere che non eri così povera come credevi». Sorrise maliziosa ma subito dopo assottigliò lo sguardo guardandola per alcuni secondi. Si avvicinò di nuovo a lei, afferrandole il mento con la mano libera. «Io non sono una maga qualunque, non sono neanche lontanamente simile alla sempliciotta di tua madre o alla stupida fata che ha trasformato il tuo caro Adam in quell'orribile Bestia che era. Io sono molto di più. E ti conviene smetterla di giocare con me, e andare subito al sodo».
Lasciò la presa, e Bella lottò contro il bisogno di indietreggiare per non sembrare spaventata. «Ci serve il vostro aiuto».
«Vi?». La donna socchiuse gli occhi di nuovo, aspettando una risposta, ma Bella decise di non rispondere. «Non richiedevano il mio aiuto da... quanto tempo? Il fatto che non me lo ricordi è già una risposta». Disse muovendo la mano nell'aria come a dire di lasciar perdere.
«Forse non hanno chiesto più il vostro aiuto perché vi siete isolata dal resto del regno o dopo tutto quello che avete fatto non si fida più nessuno di voi». Bella si morse le labbra appena quelle parole le uscirono di bocca.
La donna assottigliò lo sguardo fermandosi di nuovo davanti a lei, così vicina che riusciva a sentire il suo respiro sul volto. «Non provare mai più a dire cose del genere, potresti trovarti ridotta in cenere prima che te ne accorgessi». Fece una pausa, prendendo una ciocca di capelli di Bella che usciva dallo chignon che aveva in testa. «Sai, vivo da molto più tempo di te, moltissimo; so molto più di te. Ho passato cose che nessuno immaginerebbe mai. Ho visto cose che adesso sono credute leggende. Quindi non provare a dire cose sul mio conto senza conoscerle». Le puntò un dito all'altezza del cuore, poi si allontanò di alcuni passi, portando le mani sul bastone. «Adesso, volete o no il mio aiuto? Faresti meglio a non spazientirmi».
«Non era mia intenzione farvi spazientire, o offendervi in alcun modo, signora. Mi dispiace se...».
La donna fece un cenno con la mano per farla zittire. «Hai proprio del fegato, e questo mi piace. Ma hai ragione, mi sono ritirata nel mio territorio e non ho più contattato nessuno. Se sono qui è per un motivo, o non mi sarei scomodata per nulla al mondo. Non vi aiuterò se non avrò una cosa in cambio».
«E cosa vorreste?». Bella sentì il peso dell'ansia nel petto che si accentuava. E se avesse chiesto qualcosa che non poteva darle in cambio? Cosa avrebbero fatto poi?
«Sei proprio sicura di quello che stai chiedendo?». La donna socchiuse di nuovo gli occhi, questa volta con curiosità.
«Sappiamo che richiedere il tuo aiuto potrebbe essere pericoloso, ma i tuoi poteri sono i più grandi del regno». Bella rimase per alcuni secondi in silenzio, soppesando questa volta le parole da dire. «Il tuo aiuto potrebbe essere la chiave per eliminare Dantalian una volta per tutte, e riportare la pace ormai perduta nel regno».
«E quindi siete disposti a rischiare, a qualunque costo?».
«A qualunque costo possibile». Bella la guardò negli occhi, cercando di sembrare più spavalda.
L'altra donna cominciò a camminare avanti e indietro, come se stesse pensando. Ad ogni passo seguiva una nuova orma nera nella neve. «So cosa potrei avere in cambio. Qualcosa per far diventare l'accordo perfetto ci sarebbe: il Libro».
«Questo è impossibile! Il Libro è nel castello, al sicuro, e così deve rimanere». L'espressione di Bella divenne più severa.
«Non essere sciocca! Pensi che Dantalian non sappia chi ha il Libro? Che non tenterà di rubartelo?». Scoppiò in una risata incredula. «Io ti sto facendo soltanto un favore! Anzi, vi sto facendo un favore! E voi invece di ringraziarmi, mi dite che è impossibile? Se il Libro venisse nelle mie mani lui non lo saprebbe, sarebbe un punto in nostro favore».
«Qui non si tratta di fiducia, ma di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Dare il Libro a voi è sbagliato».
«E io che pensavo che invece alla base del nostro accordo ci fosse la fiducia.» La donna scosse la testa. «Dammi il Libro, e io vi darò tutto l'aiuto che vi serve».

Bella era indecisa sul da farsi. Avrebbe dato il Libro a Nimueh? Avrebbe rischiato la vita di tutte le persone a lei care, l'intero regno, per un po' di aiuto? «A una condizione».
La Dama del lago sbuffò. «Il Libro in cambio del mio aiuto».
«No, se accetto l'accordo, e vi do il Libro, dovete promettere che lo nasconderete, e che non lo userete per nessuna ragione al mondo».
Nimueh scoppiò a ridere. «Pensi che sia così stupida da usarlo, distruggendo tutto?». Si avvicinò di nuovo a lei. «Tengo al regno come ci tieni tu, soprattutto alla mia vita. Il Libro è un atto di fiducia per verificare l'accordo. Nel momento in cui, uno di voi fa qualcosa di sbagliato nei miei confronti, puf! Il regno non ci sarà più».
Bella inghiottì a vuoto, annuendo. «Allora abbiamo un accordo». Allungò la mano in avanti.
Nimueh la strinse, sigillando l'accordo con una lingua verde di fuoco. «Questo è solo l'inizio, mia cara».
La guerra stava per iniziare. Nessuno sarebbe stato più al sicuro.

 

   
 
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