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Autore: Kiron_River    28/12/2017    0 recensioni
Questa è una raccolta di racconti randomici di varia natura nata semplicemente dalla mia voglia di mettere su carta situazioni e personaggi assurdi senza un vero e proprio motivo se non il piacere di vederli mentre fanno cose. Il luogo in cui avvengono queste avventure sconclusionate è il mondo di Nonsense, praticamente identico al nostro: stessa geografia, stesse città, ma dove vige un'unica regola: "Le persone sono e le cose accadono, indipendentemente dal perché ... se ne esiste uno". Ogni racconto sarà un oneshot, ma ci saranno alcuni personaggi ricorrenti e se per caso alcune cose vi sembreranno forzate e altre strane e vi chiederete "Ma perché è successo/non è successo questo?", sappiate che la risposta sarà sempre "perché si" o "perché no" a seconda delle situazioni, ma anche su questo non prometto niente.
Genere: Azione, Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ciao gente! Spero abbiate passato un buon Natale. Vi faccio i miei più cari auguri e vi do il bentornato a queste latitudini con una nuova serie, stavolta dedicata a dei racconti oneshot di vario genere in cui, come ho spiegato nell'introduzione, Niente verrà mai spiegato. Situazioni, personaggi, storie e dettagli di tutto quello che succede nel mondo di Nonsense può avere come non avere un perché, nessuno gliene chiederà conto all'interno della storia, e chi lo farà si sentirà rispondere semplicemente "perché si" o "perché no", nei casi meno volgari. Spero che questi scleri senza un filo logico della mia fantasia fomentata da cartoni animati, fumetti, film e battute scadenti possa farvi strappare un sorriso e che possiate affezionarvi quanto l'ho fatto io a alcuni dei personaggi ricorrenti, a cominciare dal gruppo di teste calde protagonisti di questa storia.
PS: In greco "mettere in ordine" si dice Tesei Se Taxe

Wells si svegliò di soprassalto, sudando freddo. Aveva fatto di nuovo quel sogno.
“Wells. Stavolta hai vinto?” sbadigliò P.jackson.
“No, ma c’ero più vicino”
“Si… come la settimana scorsa” rispose ancora P.jackson ributtandosi a terra per continuare a dormire.
“Ti dico che ogni volta ci sono più vicino” ribatté convinto Wells rivolgendo al compagno lo sguardo più minaccioso che le sue sopracciglia, da tempo paralizzate, gli consentivano di fare.
“Piuttosto, alzati e sveglia Lubit, siamo quasi arrivati”
P.jackson si limitò a voltarsi rimanendo disteso a terra.
“Come lo sai? Siamo al buio”
“Perché sono più intelligente di te. Ora sveglia Lubit, tra poco vengono a prenderci”
P.jackson sbuffò. Al contrario del suo caposquadra lui nel sonno tende a dormire.
Comunque sia, gli ordini di Wells si discutono al massimo due volte, e appena svegliato P.jackson non ha nessuna voglia di discutere con nessuno, quindi caricò la gamba destra e sferrò un calcio.
Vuoto.
Di nuovo un calcio.
Vuoto anche stavolta.
Terzo calcio, e P.jackson colpì la parete di metallo dell’aereo facendosi un male cane al piede.
Dopo tre Padre Nostro e un Atto Di Speranza, P.jackson sferrò un altro calcio e stavolta riuscì a colpire il terzo e ultimo membro del loro sgangherato gruppo.
“Lubit, sveglia” lo intimò P.jackson “Wells dice che tra poco si scende”
Dal compagno non venne risposta.
“Lubit! Andiamo, svegliati!” incalzava P.jackson continuando a calciare contro l’amico.
Dopo una mezza dozzina di calci, P.jackson si accorse che qualcosa non andava; neanche Lubit poteva rimanere a dormire dopo aver preso tutte quelle botte e un inquietante sospetto cominciò a farsi spazio nella sua mente.
P.jackson si portò in avanti, almeno quanto le catene che lo bloccavano al lato nell’aereo glielo consentivano, quindi con un piede cercò di raggiungere Lubit. Trovato il corpo del compagno, cominciò a tentoni a esplorarne la fisionomia, passando dal braccio al petto, poi alla spalla, la coscia, il collo e infine la faccia.
Tastando con il piede la faccia dell’altro non ottenne nessuna reazione, ne un minimo movimento muscolare. Solo il gelo della sua pelle irrigidita.
P.jackson deglutì.
“Ehm… W - Wells”
“Che c’è?” gli rispose Wells, che stava cercando di ricordare i movimenti della sua partita di quella notte.
“C’è un problema…” dichiarò P.jackson.
“Che tipo di problema?” chiese ancora Wells infastidito.
“Mi sa che Lubit è morto…”
Wells si lasciò cadere le braccia a terra. Beh, si fa per dire, le sue braccia erano incatenate al di sopra della sua testa.
“Come morto? Come è successo?”
“E che ne so. Sarà stato il solito attacco cardiaco, gliene viene uno ogni mezz’ora”
“Appunto per questo dovevi stare attento che non accadesse. Non ti avevo detto di monitorare il battito cardiaco?”
“Facile a dirsi, provaci a usare un misuratore di battiti al buio”
“Tu ci riesci!”
“Certo che ci riesco, ma al contrario di te ogni tanto devo dormire, ho lasciato tutto a Lubit e mi sono addormentato”
“Ho a che fare con due idioti…” concluse Wells sbattendo la nuca contro la parete metallica.
“Il lavoro lo facciamo lo stesso?”
“Certo che lo facciamo. Ci inventeremo qualcosa”
“Beh, almeno stavolta non è tutta tutta colpa mia” ghignò P.jackson.
Solo qualche secondo dopo l’aereo atterrò e, tempo pochi minuti, le manovre erano terminate e il portellone si aprì.
La luce intensa che proveniva dall’esterno abbagliò P.jackson, che fu costretto a chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte mentre Wells non ne risentì affatto, e comunque sia non avrebbe potuto ne chiudere gli occhi per evidenti limiti fisici, ne voltarsi, visto che era mummificato fino al collo in una cassa di metallo.
Dal portellone entrarono sei soldati vestiti con l’uniforme azzurra e nera mentre altro dieci stavano fuori con i fucili puntati pronti a far fuoco.
I soldati che erano entrati nel vano dell’aereo usarono le chiavi dei lucchetti per staccare P.jackson e Wells dalla parte e metterli in piedi, quindi si avvicinarono al cadavere di Lubit e cominciarono a sbraitare tra loro nella loro lingua.
Anche Wells e P.jackson si voltarono verso il fu loro compagno e gli occhi di entrambi furono attirati dall’apparecchio che quello teneva in mano.
In quel momento P.jackson fu sollevato che Wells fosse impossibilitato a muoversi, altrimenti lo avrebbe ridotto a un colabrodo: aveva confuso l’apparecchio di misurazione del battito cardiaco con il teaser.
L’aereo che trasportava Wells, P.jackson e Lubit era atterrato in una base militare di mercenari ai margini di un deserto.
Il personale della base era composto esclusivamente da soldati al soldo del Colonnello Cole, che aveva ordinato la cattura dei tre soggetti per le continue interferenze alle operazioni del suo esercito.
Come avessero potuto tre squilibrati tener testa a un intero esercito era tutt’ora un mistero per il colonnello, che tuttavia non aveva voluto correre rischi e aveva dato l’ordine di catturarli per giustiziarli in pubblico.
Il trio si era arreso senza opporre resistenza e durante il trasferimento tutto era stato preparato per una bella esecuzione pubblica in pompa magna al centro della base. Tutto sarebbe stato ripreso dalle telecamere e visto in tutto il mondo. Non si doveva scherzare con il Colonnello Cole e i suoi uomini.
Il colonnello finì di farsi la barba e uscì dall’edificio adibito a tenda degli ufficiali che aveva occupato.
Nel verso opposto avanzavano alcuni dei suoi uomini trascinando i due prigionieri ancora incatenati. Il colonnello, un uomo massiccio, dalle spalle larghe e il fisico scultoreo, alto più di un metro e ottanta e con i capelli a spazzola. Insomma, era uno stereotipo su gambe.
“Te come la vedi?” chiese P.jackson.
“Nera” rispose Wells “Per te quanto meno”
P.jackson capì al volo che il capo non gliela avrebbe fatta passare liscia per lo scambio dell’aereo.
Il colonnello Cole li squadrò dall’alto in basso, quindi si rivolse ai suoi uomini.
“Cosa avevano con se?”
“Non molto, signore. Un teaser nascosto chissà dove che abbiamo rinvenuto nell’aereo e una valigetta chiusa che sembra impossibile da aprire”
Il colonnello ascoltò distrattamente le parole del suo sottoposto e passo la sua attenzione sui due prigionieri.
Il più giovane (P.jackson) doveva avere meno di 20 anni, aveva la faccia larga, gli occhi enormi e scuri, un accenno appena di pizzetto sul viso e un fisico asciutto e non particolarmente prestante. L’altro (Wells) era chiaramente più vecchio, anche se non avrebbe saputo indovinare di quanto dato che i tratti neutri del viso, una parte del corpo che emergeva dalla bara metallica in cui era stato chiuso, non permettevano di definirne un’età approssimativa. Aveva inoltre dei tratti abbastanza comuni, uno di quei volti che non ti capiterebbe di riconoscere se visto due volte, completamente sbarbato e con i capelli leggermente più scuri dell’altro portati piatti sulla testa a formare un sottile caschetto.
La prima impressione era quella di due spiantati.
“Quindi siete voi quei pazzoidi che continuano a mettersi in mezzo ai miei affari” tuonò il colonnello  avvicinandosi ai due dalla bassa scalinata che precedeva la tenda dell’ufficiale.
Il colonnello mise mano al suo palmare e scrollò su una lista di annotazioni che poi girò verso i suoi prigionieri.
“Avete cominciato con una rissa con i miei uomini in un bar, poi la cosa è degenerata: Interferenze con le operazioni armi in pugno, sabotaggio di mezzi di trasporto e furto degli stessi, senza contare lo stato di shock in cui sono tornati i soldati che ho mandato a prendervi la prima volta”
“Te l’avevo detto che l’elettroshock era un po’ esagerato” bisbigliò P.jackson all’indirizzo del proprio compagno.
“Ehi, non dare la colpa a me” replicò Wells “è Lubit che ha insistito per le informazioni”
“Ti approfitti di lui perché è muto …”
La conversazione sarebbe continuata se il colonnello, sentendosi ignorato, non avesse colpito Timjackson con un potente montante destro facendolo volare di un paio di un metro e mezzo all’indietro schiena a terra.
“Non credo abbiate capito che siete miei prigionieri” ruggì di nuovo il militare mentre i suoi uomini intorno sorridevano e annuivano “Ma in fondo non mi interessa. Tra due ore entrambi avrete fatto la fine del vostro amico sull’aereo, che ve ne rendiate conto o meno”
Detto questo il colonnello fece qualche passo indietro dando le spalle ai due mentre P.jackson veniva fatto rialzare.
“Portate entrambi al centro della base, l’esecuzione sarà anticipata” ordinò ai suoi uomini.
Quelli risposero in coro con un “Sissignore!” e portarono via i due prigionieri.
“Spero che almeno il magnete tu lo abbia messo nel posto giusto” fece Wells.
“Dico, mi hai preso per un idiota?” ribatté P.jackson mentre cercava di evitare di sanguinare dal labbro aperto dal pugno di Cole “Certo che l’ho messo al posto giusto, quando sarà il momento tutto andrà bene”
“Non chiedermi mai più di non prenderti per un idiota, soprattutto dopo aver ammazzato un tuo compagno scambiando un teaser per la macchina di monitoraggio dei battiti cardiaci”
“E che è colpa mia se mi hanno fatti identici? Mettitici te a cercare qualcosa in quella valigetta, poi ne riparliamo”
“Devo ricordarti che sei in questa squadra esclusivamente in virtù di quella valigetta?”
“Fottiti, Wells”

Solo pochi minuti dopo, Wells e P.jackson furono portati in un piazzale che qualcuno aveva adibito a teatro romano con delle impalcature di legno disposte tutte introno.
Wells fu liberato dalla bara che lo rinchiudeva da due soldati che poi se ne tornarono sugli spalti mentre molti altri delle truppe di Cole puntavano contro i due i propri fucili.
“Ancora sicuro che andrà tutto bene?” chiese P.jackson titubante.
“Hai mai visto un mio piano fallire?” chiese in risposta Wells.
“Neanche sono sicuro di poterli definire ‘piani’”
“Uomini! Questi prigionieri ci hanno messo i bastoni fra le ruote per settimane e adesso finalmente sono stati catturati!” Urlò il colonnello dall’alto del suo palco d’onore.
“Quando senti la parola ‘termometro’ attiva il magnete” sussurrò Wells.
P.jackson si voltò sbalordito verso il suo compagno.
“Perché diavolo qualcuno dovrebbe dire ‘termometro’ in questo momento?!” ribatté P.jackson.
“Tu fallo e basta” tagliò corto Wells e si tenne concentrato verso il colonnello che intanto continuava a blaterare.
“… Nessuno ci aveva mai importunato come questa squadra di sbandati, ma adesso le cose stanno per cambiare. Perché noi, uomini, che siamo stati forgiati da questo deserto, abbiamo tutto ciò che serve per dominare ed essere rispettati, e lo faremo con la forza delle nostre armi e dei nostri cuori …”
“Wells, seriamente, chi pronuncerebbe la parola ‘termometro’ in un discorso del genere?” chiese ancora P.jackson poco convinto.
“Zitto o ti perdi l’attimo. Dopo dobbiamo agire rapidamente” rispose laconico Wells senza distogliere gli occhi dal colonnello.
“… Quindi, senza ulteriore indugio; uomini! Attendete il mio segnale e sparate contro i condannati!” concluse il generale.
P.jackson già se la faceva sotto.
“Puntare!”
Perché vado ancora dietro a questo pazzoide? Si chiedeva P.jackson.
“Termometro … !”
Cosa?
“P.jackson, ora!” gridò Wells.
Dopo un mezzo attimo di smarrimento, P.jackson si batté la mano sul polso sinistro attivando il super-magnete che aveva impiantato nel palmo collegato alla sua valigetta.
Immediatamente, l’oggetto schizzò via dalle mani del soldato che la stava portando nell’archivio, fracassò il cranio a un altro paio di soldati durante il tragitto a mezz’aria e sfondò il muro portante dell’edificio che fungeva da archivio facendolo crollare, quindi si applicò alla mano di P.jackson, che ne estrasse velocemente un marchingegno appena prima che il colonnello ordinasse il “Freddo!”.
P.jackson attivò il congegno e lo protese davanti a lui sorridendo.
Improvvisamente ogni cosa intorno al ragazzo si congelò nella propria posizione. Gli scoppi dei fucili si interruppero a metà, i proiettili fischianti arrestarono la propria corsa a pochi centimetri dai corpi di P.jackson e Wells, e persino il colonnello smise di urlare all’istante.
P.jackson si guardò intorno confuso, poi si avvicinò il congegno alla faccia per esaminarlo meglio e si accorse con disappunto che aveva di nuovo confuso la barriera energetica con la macchina di blocco temporale.
Beh, mal di poco, tanto l’effetto più o meno era lo stesso.
Deviati i proiettili, e reindirizzati contro altri soldati, P.jackson estrasse dalla sua valigetta l’ingombrante palizzata al plasma con cui circondò se stesso e il compagno, poi, prima che si scaricasse, spense il congegno per il blocco del tempo.
Con il tempo che riprendeva a scorrere, i soldati si videro decimati dai loro stessi proiettili e anche il colonnello rimase intontito.
L’unico a non sembrare sorpreso della cosa era Wells, ma solo per il solito problema alle sopracciglia.
“Hai di nuovo … ?”
“Si, ho sbagliato macchina, non è il caso di farne una tragedia”
“Vabbé, ormai. Bazuka, prego” chiese Wells e subito P.jackson mise mano all’interno della sua valigetta rossa e estrasse l’enorme bazuka che il capo aveva richiesto.
Sotto gli occhi attoniti degli altri presenti, Wells caricò l’arma mentre i proiettili dei soldati si infrangevano inutilmente sulla barriera plasmatica, quindi il giovane si cominciò a sparare colpi tutto intorno facendo saltare un po’ alla volta l’intero piazzale e devastando i corpi dei soldati tra i fuochi delle esplosioni.
Il colonnello, infuriato, ordinò che si mettesse mano all’arma segreta, quindi sollevò una mano e per mezzo di qualche potere riuscì ad animare le armi dei suoi soldati deceduti facendole continuare a sparare.
“Questo scherzo era messo in conto?” chiese P.jackson rovistando nella valigetta.
“Ovviamente”
“Ottimo, perché sto pensando che questa volta moriamo tutti e due”
“Positività, P.jackson” detto questo Wells sparò l’ultimo colpo del suo bazuka contro un folto gruppo di quelle armi controllate mentalmente dal colonnello facendole a pezzi.
La situazione restava critica: le barriere di P.jackson non avrebbero retto in eterno e Wells non sembrava interessato al fatto che entrambi avrebbero di li a poco fatto una bruttissima fine.
Il colonnello Cole era ormai inviperito. Alzando entrambe le mani fece alzare in volo le armi da lui controllate e sparò da sopra le barriere. I proiettili vennero intercettati da Wells che usò il bazuka scarico come scudo, mentre P.jackson estraeva dalla valigetta una 44 Magnum e un moschetto francese originale del ‘700.
Armi in pugno, i due risposero al fuoco, ma con risultati modesti, giusto qualche ferito grave (avete presente i danni che fa una 44 Magnum?) e qualche morto circostanziale causato dai colpi fortunati del moschetto che solo in mano a uno come Wells poteva diventare un’arma utile in un contesto del genere.
“Wells, non ho più molto tempo per controllare la valigetta, come ce la caviamo?” chiese P.jackson.
“Ce la caviamo, stai tranquillo” rispose Wells freddando al contempo un sottufficiale con un colpo di moschetto partito circa 30° più a sinistra del bersaglio.
“Non hai idea di quanto sono sollevato” rispose sarcastico P.jackson.
“Resistiamo altri 27 secondi e ce la caviamo”
P.jackson tacque e continuò a sparare con la sua Magnum.
I successivi 21 secondi furono un inferno. Proiettili che fischiavano in ogni direzione, il colonnello che urlava ordini mentre i soldati di muovevano in maniera disordinata nel piazzale, un’oca che era passata in mezzo al campo di battaglia schivando miracolosamente tutti i colpi, Wells che continuava a colpire a morte gente con un’arma che neanche chi l’aveva inventata ci aveva mai messo a segno un colpo, e come ciliegina sulla torta P.jackson che si era visto per tre volte nel giro di quattro secondi un proiettile a cinque centimetri dalla testa … tutte e tre le volte nello stesso punto.
“Wells, che diavolo deve succedere tra 6 secondi? Non ci tengo a passare la serata del derby in ospedale”
Wells non rispose per tutti e sei i secondi, poi smise di sparare e spostò una parte della barriera in modo da chiudere un lato rimasto scoperto dopo che l’ennesimo proiettile vagante l’aveva fatta smettere di funzionare, quindi si accovacciò imponendo a P.jackson di fare lo stesso tirandolo per un braccio.
Una palla di cannone piovve sull’area circostante distruggendo completamente le impalcature di legno ancora in piedi e mietendo diverse vittime tra i soldati. Un secondo colpo centrò il palco del colonnello, che per salvarsi dovette annullare il suo controllo sulle armi in volo e saltare giù dal palco atterrando in piedi come un felino.
Un terzo colpo colpì e uccise l’ultimo folto gruppo di soldati e il colonnello si voltò verso la torretta settentrionale della base dove era piazzato il vecchio cannone di cui aveva riconosciuto i proiettili. Lassù vi intravide una figura nel fumo: una figura imponente, come se fosse un gigante su sulla cima della torre.
Quella figura fu avvolta dal fumo e scomparve, ma subito si sentì un rumore di mattoni che franano e come una meteora qualcosa piombò dal cielo schiacciando tue dei luogotenenti del colonnello direttamente alle sue spalle.
Il colonnello Cole si voltò cauto e si trovo davanti a un uomo gigantesco, alto più di due metri, dalle spalle anche più larghe delle sue e i muscoli possenti montante una testa forse un po’ troppo piccola con i capelli scuri tagliati cortissimi e il volto furioso. Unica nota che stonava con il tutto erano quelle ridicole orecchie a sventola.
Distratto per un secondo da quel dettaglio, il colonnello venne colpito a un poderoso pugno del gigante che lo sparò dritto per decine di metri contro il primo muro ancora in piedi che finì di fracassargli il cranio.
Gli ultimi soldati rimasti erano più che confusi da tutta quella confusione e vennero rapidamente sterminati da P.jackson che aveva finalmente trovato il suo smolecolarizzatore tascabile nella valigetta.
“Lubit, ben svegliato” esordì Wells “Sappi che sei arrivato in ritardo”
Il gigantesco superuomo cominciò pian piano a rimpicciolirsi, i suoi muscoli a sgonfiarsi fino a risultare un uomo normale, alto un metro e settantacinque e piuttosto esile, solo la testa non modificò la sua misura, ma risultando adesso proporzionata col resto del corpo, escluse le orecchie a sventola, ancora troppo grandi.
Lubit, fresco di resurrezione, mimò il proprio disappunto al capo che annuì.
“Vero, mi sono di nuovo dimenticato di contare i due secondi della trasformazione, colpa mia” rispose Wells.
Lubit si voltò poi verso P.jackson che gli sorrise avvicinandosi a braccia larghe per u abbraccio, ma rimediando solo un altro montante al mento che lo fece saltare di un metro e mezzo prima di riatterrare di sedere a terra.
“Ohi …” esclamò con disappunto il ragazzo dopo un attimo di riflessione.
“Questo era per la teaserata dell’aereo” tradusse Wells dai gesti di Lubit “e sappi che gli devi ancora una pizza per quello”
“E va bene, ho fatto una cazzata!” sbottò P.jackson rialzandosi “Appena torniamo a casa offro un giro di pizza e birra a Lubit e un succo di more a Wells. A proposito, hai trovato quel ‘come schifo hai detto che si chiama’?” chiese poi rivolto a Wells.
“Il Tesesitaxesatore? No, è andato distrutto nel macello” rispose Wells.
P.jackson non ci poteva credere.
“Quindi ci siamo quasi fatti ammazzare più volte per niente.
Lubit cominciò a gesticolare con le bracci attirando l’attenzione degli altri due e Wells annuì.
“Che ha detto?” chiese P.jackson.
“Che in magazzino c'è del gelato” rispose Wells.
“Io alle more!” esclamò il ragazzo.
   
 
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