The
Biggest Challenge
Perdono
parte
prima
Sakura
portò una mano agli occhi,
sfregandoseli. Era stanca, e non desiderava altro che un letto ed una
doccia
che nascondesse il fatto che non si dedicava ai propri capelli da una
settimana. L’aver effettuato la bellezza di sette interventi
negli ultimi
giorni l’aveva sfiancata, impedendole di occuparsi anche
delle faccende più
banali della sua vita, tipo rimuovere qualche pelo indesiderato
dell’interno
coscia.
Eppure,
per quanto si sentisse
sciatta e sfinita, non poteva fare a meno di essere felice di osservare
Hinata
attorniata dai suoi amici più cari, venuti a casa Uzumaki
per festeggiare il
suo ritorno a casa.
“Bella,
vero?” osservò Tenten al
suo fianco, sorseggiando un bicchiere di vino, gli occhi scuri che
fissavano la
figura della Hyuga. “Quanto tempo è passato dal
parto?”
“Un
mese circa.”
“Ed
ha già smaltito quasi tutti i
chili presi!” dichiarò con una punta
d’invidia la kunoichi. “Quando è nato
Metal, ci avrò messo minimo un anno a perdere tutto
ciò che avevo preso, per
non parlare di quelle maledette smagliature! E lei è
là, fresca come una rosa,
ad appena un mese dalla sua seconda gravidanza!”
l’allieva di Gai sorseggiò
nuovamente dal proprio bicchiere, bisbigliando un insulto
così colorito che
Sakura non poté fare a meno di ridere.
“E
questo dove l’hai imparato?!”
chiese, le lacrime agli occhi. “Non ti facevo così
sboccata, Ten!”
La
madre di Metal si toccò il
naso con l’indice, venendo contagiata dalla risata della
Sannin.
“Hai
ragione, sono stata
scortese.” ammise, sospirando nel vedere il marito in un
angolo che eseguiva i
consueti tremila piegamenti serali. “A parlare è
stato il vino… o almeno lo
spero! Non sopporterei di essere così orribile!”
“Tutti
hanno i propri lati
nascosti.” Sakura rivolse le iridi verdi verso la figura di
Naruto, impegnato a
discutere con Sai sul divano del salotto. “Anche i
più insospettabili.”
Tenten
le lanciò una strana
occhiata. Aveva la netta sensazione che l’Haruno stesse
cercando di nasconderle
qualcosa con quella frase criptica.
“Dunque
tu pensi che tutti noi,
che ci conosciamo da quando siamo ragazzini, ci teniamo nascosti
segreti
impronunciabili l’uno con l’altro?”
domandò sorseggiando nuovamente dal proprio
bicchiere, un leggero sorriso sulle labbra.
“Oh,
ci puoi giurare.” Sakura
contraccambiò il sorriso, lo sguardo smeraldino che
brillò di una luce strana.
“In fondo, abbiamo tutti i nostri difetti, per quanto non
amiamo esporli.”
“Stasera
ti piace giocare agli
enigmi.” ribatté l’amica.
“Cos’è, fare il medico non ti basta
più? Punti a
diventare un’investigatrice?”
La
Sannin scoppiò a ridere, ma le
sue iridi rimasero puntate sulla figura di Naruto.
“Neanche
per sogno!” e cambiò
argomento, chiedendole di suo figlio Metal Lee.
Eppure,
Tenten non fu per niente
convinta. Quei discorsi a riguardo di segreti non erano tipici di
Sakura, e
dopo qualche minuto tornò alla carica, decisa a capire cosa
le stesse
nascondendo l’amica.
“Mettiamola
così.” esordì
l’Haruno, alzando una mano per interrompere la domanda di
quest’ultima.
“Stasera sono stanca e la mia lingua lavora troppo
rapidamente per la mia testa
affaticata. Ho detto cose che sarebbe stato meglio che tenessi per
me.”
“Ciò
non mi tranquillizza
affatto.” osservò Tenten. “Ma deduco che
questa risposta sia un gentile invito
a non insistere con le spiegazioni, giusto?”
“Precisamente.”
“E
c’è un modo con cui io possa
estorcerti la verità?”
“Potresti
minacciarmi di farmi
baciare Naruto.” il tono era scherzoso, ma lo sguardo del
ninja-medico era fin
troppo serio.
La
kunoichi mora non insistette,
leggendoci, tra le righe, ciò a cui alludeva fin
dall’inizio della serata la
Sannin.
“Sai,
forse hai ragione.” riprese
a sorseggiare il vino, lanciando un’occhiata ad Hinata,
impegnata a conversare
con la sorella. “Forse non è una buona idea
parlare di certe cose.”
“Concordo
perfettamente.”
Non
toccarono più la questione,
ma più di una volta Tenten beccò
l’amica a squadrare Naruto con sguardo
fiammeggiante, comprendendo come quel segreto, dopotutto, non era
più tale già
da molto tempo.
Hinata
fece un sospiro,
asciugandosi la fronte madida di sudore. Nonostante fosse tornata a
casa da due
settimane, si stancava ancora con facilità e quella
festicciola organizzata dal
marito, per quanto fosse un pensiero dolce, rientrava sicuramente negli
sforzi
che la lasciavano senza energie. A complicare le cose, il pensiero
della sua
secondogenita la riempì di un senso di nervoso ed ansia
orribile. Sapere che
Himawari fosse al piano di sopra, profondamente addormentata, non
riusciva a
tranquillizzarla, facendole montare l’angoscia di cosa
sarebbe potuto accadere
mentre lei era al piano di sotto.
Non accadrà nulla… nulla. Fece
un profondo respiro, cercando di
scacciare via l’ansia che le divorava la mente. Non si era
mai sentita così
quando era nato Boruto e neanche ora che il primogenito era da suo
padre le
procurava sensazioni così intense come quelle che le
nascevano nel petto quando
stava lontana da Himawari.
Himawari… che nome strano ha scelto
Naruto-kun…
“Ohi.”
Hanabi la riscosse dai suoi pensieri, le
mandibole che lavoravano a pieno regime. “Sei sicura di stare
bene? Ti vedo
ancora un po’ pallida.”
“Non
sono una bambina, Hanabi.”
replicò la sorella, un sorriso sulle labbra.
“Credo di poter sopravvivere fino
al momento in cui andrò a dormire.”
“Se
lo dici tu…” la Jonin scosse
le spalle, impegnata ad addentare il quinto stuzzichino della serata.
“Dicevi
lo stesso quando eri incinta…”
“Hanabi!”
la voce della sorella
maggiore si tinse di nervosismo. “Non essere invadente, per
favore.”
La
kunoichi più piccola la
squadrò con un’occhiata strana, che mise a dura
prova i nervi stressati di
Hinata.
“Dov’è
la bambina?” chiese la
Jonin, cambiando improvvisamente argomento, con sommo sollievo di
quest’ultima.
“Sei riuscita a staccarti da lei per qualche ora? Mi
sorprendi.”
“Da
come parli sembra quasi che
io sia malata…” ribatté la Hyuga.
“Se
per te questo è comportarsi
normalmente…” Hinata trovava estremamente
irritante il continuo ruminare della
sorella, ma quest’ultima non parve accorgersi di questo.
“Quando nacque
Boruto-chan non ti comportasti così.”
“Himawari
è diversa.” il tono della
Hyuga iniziò ad incrinarsi, aggiungendo un goccio di
freddezza.
“Diversa…
già, è vero.” un
sorrisetto spuntò sulle labbra della minore, mentre buttava
giù il boccone con
un lungo sorso di birra. “Un nome così
strano… adatto alle bionde, non trovi?”
“Cosa…”
Hinata distinse
nitidamente la fiamma dell’alcool nelle iridi chiare della
sorella, ma la voce
continuava a risultare tremendamente chiara. “Di cosa stai
parlando?”
L’ennesima
occhiata di Hanabi le
donò l’impulso fortissimo di strozzarla.
“Non
te l’ha ancora detto?” il
sorriso divenne più marcato, mentre la voce
iniziò ad impastarsi a causa della
birra. “Che stronzo… ha la faccia tosta di
chiamare la figlia così e di non
spiegarti nulla?”
“Sei
ubriaca.” la kunoichi emise
un sospiro, cercando di radunare la poca pazienza rimastale in corpo.
“Dovresti
smetterla di dire sciocchezze, Imoto.”
La
Jonin emise un verso strano,
un misto tra un singhiozzo ed una risata.
“Io
sarò anche ubriaca, Neechan,
ma di sicuro tuo marito è un enorme Baka.”
proseguì nella sua risata, terminando
la propria birra con un lungo sorso, lasciando la mente della sorella
nel caos
completo.
“Solo
lui poteva decidere di
chiamare la propria figlia, sangue del suo sangue, con lo stesso nome
della
donna che diede vita alla guerra civile!”
Nulla.
La mente di Hinata non
percepì nulla di insolito dopo che quelle parole sguaiate
raggiunsero le sue
orecchie. Il cielo era ancora al suo posto, il suo cuore pulsava
regolarmente,
le chiacchiere e le risate dei suoi amici si spargevano
nell’aria come prima. I
suoi occhi fissarono con placido disappunto la sorella minore che
correva in
giardino per rigettare il contenuto del proprio stomaco. Perfino il suo
stesso
sangue proseguiva a scorrerle tranquillo nelle vene, invece di seccarsi
e farla
urlare disperatamente, mostrando al mondo il germe della follia che si
era
appena radicato dentro di sé.
Naruto-kun… rivolse lo
sguardo verso il marito, impegnato a ridere
assieme a Sai. Naruto-kun ha fatto
questo?
Doveva
essere un errore, una
sciocchezza dettata dall’alcool ingerito da Hanabi. Accettare
che quel fatto fosse
vero implicava una cosa orrenda, inaccettabile: che suo marito aveva
sviluppato
un qualche tipo di legame con quella donna. Un legame che aveva ben
pensato di
tenere nascosto a lei, sua moglie, per tre anni.
E se l’ha fatto significa solo una
cosa…
Scosse
la testa, rifiutando con
ogni fibra del suo essere quel pensiero. Era orrendo, meschino,
qualcosa che
lei non doveva in alcun modo pensare di suo marito, di cui aveva la
massima
fiducia.
Ma perché non me ne ha mai parlato?
Non
aveva una risposta, o almeno
nessuna che riuscisse a tranquillizzarla.
E’ solo una mia suggestione…
queste ultime settimane mi hanno scossa… volle
crederci disperatamente, aggrappandosi a quella speranza,
l’unica capace di
sorreggerla sopra il baratro che le parole di Hanabi avevano aperto
dentro di
lei.
Perché, Naruto-kun? Perché?
Il
seme iniziò a mettere radici
profonde.
Naruto
chiuse la porta di casa
con un sospiro di soddisfazione. Quella piccola festicciola, la cui
organizzazione gli aveva rubato parecchio del suo tempo nei giorni
scorsi,
l’aveva lasciato stanco ma felice. Specie per il fatto che
quella peste di
Boruto avrebbe passato la notte da Hiashi, lasciando a lui ed Hinata
una notte
tranquilla, sfuriate di Himawari permettendo.
Era
stanco, anche se non
fisicamente. Da molto tempo non riusciva più a dedicarsi ai
propri allenamenti,
occupato nel gestire una famiglia sempre più complessa ed un
lavoro che non
conosceva pause. Sentiva la mente galleggiare in un limbo, pronta a
sprofondare
nel sonno, mentre un velo di stanchezza gli appannava la vista.
“Chi
era Himawari?”
Non
rispose, non lo poteva fare.
Registrò quella domanda con esasperante lentezza, mentre la
consapevolezza di
ciò che stava dietro a quelle parole lo investì,
facendogli male, molto più
male di un pugno di Sasuke.
Volse
lo sguardo, fissando la
moglie. Rabbrividì nell’osservare quegli occhi,
quelle iridi chiare e fredde,
così simili allo sguardo del cugino defunto. Naruto lo
comprese, capì che
dietro a quella barriera di ghiaccio si celava rabbia e dubbio, pronti
a cedere
il posto ad un inarrestabile furore.
Merda.
“Cos’hai
detto?” mossa patetica,
ma aveva bisogno di tempo, incapace di capire come avesse fatto la
moglie a
scoprire quell’aspetto del suo passato.
Quest’ultima però non era della stessa
opinione.
“Ti
ho chiesto chi era Himawari.”
si avvicinò, il volto sfigurato da una collera glaciale.
“Voglio sapere chi
era, Naruto-kun… adesso.”
Dentro
di lui, Kurama ridacchiò,
irritandolo tremendamente. Per un istante fu tentato di urlargli di
stare
zitto, ma l’occhiata della moglie lo dissuase dal distrarsi,
facendogli
percepire un brivido di paura lungo la schiena.
Era
nei guai.
“Beh…”
deglutì la compatta
matassa di saliva che gli si era formata in gola, cercando le parole
giuste per
uscire da quella situazione. “Era…
un’avversaria, con cui ho combattuto tempo
fa.”
“Questo
lo sapevo.” fu la secca
replica della Hyuga. “Quello che voglio sapere è
per quale motivo hai scelto
proprio quel nome per nostra figlia. Qual era il tuo legame con questa
donna?”
Fece
un sospiro. Era stanco, e
quelle domande improvvise gli pesavano come sbarre di ferro nella
testa,
facendogli desiderare più che mai un letto.
“La
rispettavo.” evitò gli occhi
della moglie, quasi temesse che gli leggesse in faccia ciò
che desiderava
occultare. “Era una donna che amava molto la sua
patria… e mi è dispiaciuto
doverla combattere.”
Per
alcuni istanti ci fu
silenzio. Hinata non mutò la propria espressione, ma i suoi
lineamenti, se
possibile, si indurirono ulteriormente.
Lo
schiaffo risuonò con violenza
nel salotto della casa.
“Bugiardo.”
la voce della donna
era affilata come un kunai. “Tu non la rispettavi soltanto.
Non puoi spiegare
così il nome di nostra figlia.” lo costrinse a
fissarla dritta negli occhi,
occhi che lui amava, e che soffriva nel vederli così ricolmi
di rabbia.
“Tu…”
un esile sospiro, quasi una
disperata richiesta di negare tutto, di rassicurarla, di dirle che le
fondamenta costruite anni fa erano ancora là, solide, a
sorreggere tutto ciò
che avevano costruito assieme. “Tu avevi… una
relazione con questa donna, non è
vero?”
Abbassò
lo sguardo, sentendo le
labbra bruciare al ricordo di quell’unico bacio, ricolmo di
una passione troppo
ardente per poterla liquidare. Era esistita, potente ed inarrestabile
come solo
il desiderio per una persona può esserlo. Ora doveva pagare
lo scotto di aver
ceduto a quella passione.
“Lei
mi amava…” la voce gli uscì
rauca, quasi si rifiutasse di ammettere la propria colpa.
“Io… non sapevo più
chi ero…”
Gli
occhi di Hinata si
spalancarono, le labbra socchiuse in un lungo urlo silenzioso, incapace
di
trovare parole per il dolore che aveva iniziato piantarsi nel suo
petto,
penetrandole nel cuore come una lama incandescente.
“Tu
mi hai tradita…”
“Non
c’è stato nulla, Hinata…
devi credermi.” Naruto provò ad indietreggiare, ma
la corvina gli afferrò la
protesi con tanta forza da procurargli dolore.
“Io
mi dolevo per te… e tu mi hai
tradita con un’altra donna.” una lacrima percorse
l’ovale della kunoichi,
mentre il dolore si mescolava alla rabbia che montava furiosa,
lasciandola
preda di una furia incontenibile. “Io mi prendevo cura di
nostro figlio… e tu
ti portavi a letto un’altra donna.”
“No!
Non è vero!” il Jinchuuriki
si liberò della presa. “Non ti ho tradita, questo
mai!”
“E
allora cosa ci fu? Hai detto
che eri confuso, che lei ti amava, cosa ci fu tra di voi? Per quale
motivo hai
scelto di dare il nome di una donna che ti amava a nostra
figlia?!”
Nuovo
silenzio, un silenzio che
pesava come la più schiacciante delle prove. Un istante in
cui ogni bugia e
gioco di parole si dissolsero, mettendo a nudo la cruda
verità.
“Rispondimi!”
“Un
bacio…” l’Uzumaki si passò la
protesi tra i capelli, nel tentativo di nascondere la faccia alla
consorte. “Ci
fu un bacio prima che io… le togliessi la
vita…”
Hinata
inspirò bruscamente, quasi
un coltello le avesse lacerato la carne. Rimase immobile per
lunghissimi
secondi, la frangia a coprirle il volto di un pallore mortale.
“Hinata…”
“Vattene.”
la voce suonò debole,
le mani colte da un tremore incontrollabile.
“Hina-chan…”
“Vattene
da questa casa, Uzumaki
Naruto.” si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo, nel
tentativo
disperato di trattenere le lacrime. “Vattene e non tornare
mai più.”
Naruto
rimase immobile, le parole
fredde e ricolme di dolore della moglie l’avevano ferito
profondamente, più
internamente di qualsiasi colpo subito in passato. Provò a
sfiorarle la mano,
ma lei si ritrasse di scatto, quasi disgustata da quel tocco.
“Ti
ho detto di andartene.” alzò
lo sguardo, le guance bagnate da lacrime cariche di rancore ed odio.
“Vattene
da qui… ti prego.”
Avrebbe
potuto rimanere, far
valere le sue ragioni, insistere in quella discussione per convincere
Hinata
della propria innocenza. Tutto quello che fece fu obbedirle, incapace
di
spiccare una sola parola innanzi a tanto odio e disprezzo nei suoi
confronti,
provenienti da colei che amava con tutto se stesso.
Si
chiuse la porta di casa alle
spalle, le ultime parole della kunoichi ancora nelle orecchie.
Hina-chan…
Avanzò
nella strada ormai buia,
lo sguardo vitreo, vuoto, prosciugato di qualsiasi volontà.
Ogni passo gli
ricordava Himawari, ogni respiro gli portava alla mente la voce di
colei che un
tempo lo amava, di colei che aveva ucciso con le sue stesse mani.
E
subito dopo sopraggiungeva lo
sguardo pieno di livore ed odio di Hinata, capace di ferirlo come
nient’altro.
Sono un idiota.
Nel
frattempo, in un salotto ormai
invaso dall’oscurità, Hinata diede libero sfogo al
suo dolore, accasciandosi in
mezzo alle rovine della sua vita. Una vita perfetta ed ordinata che
crollò
miseramente su se stessa, come un castello di carte, sotto il peso di
una
menzogna.
Sakura
uscì dalla doccia con un
sospiro, sentendo la stanchezza scivolare via assieme
all’acqua calda. Si
guardò allo specchio, deprimendosi come sempre nel notare
come il suo seno non
fosse cresciuto neanche dopo l’allattamento di Sarada. Aveva
appena finito di indossare
l’intimo per la notte quando udì squillare il
campanello di casa.
Chi diavolo è che rompe a
quest’ora?! Sbuffò, decisa a non andare
ad aprire. Sarada era a letto, e per la prima volta in tutta la
settimana
poteva dedicarsi un po’ a se stessa. Gli scocciatori serali
avrebbe dovuto
tentare un’altra volta.
Peccato
che il campanello non
smise di squillare.
Una
vena iniziò a pulsare
sinistramente sulla fronte della Sannin. Se c’era qualcosa
che trovava più
fastidioso di Naruto era qualcuno che la scocciava nei momenti
sbagliati, e
quello era uno di quei momenti.
Ora commetto un omicidio.
Alla
quarta scampanellata, la
kunoichi decise di andare ad aprire, solo per il gusto di poter
spaccare la
faccia all’esecrabile individuo che aveva deciso di rovinarle
quel piccolo
momento di pace, una colpa imperdonabile ai suoi occhi.
“Si
può sapere cosa diavolo
vole…” la voce le si strozzò in gola
quando comprese chi le si parava di
fronte.
“Ciao…”
Naruto sorrise
stancamente, i capelli umidi a causa dell’acquazzone appena
scoppiato.
“Sakura-chan, posso entrare?”
L’Haruno
rimase immobile per un
lunghissimo istante, le iridi smeraldine imbambolate. Fu con un secondo
di
ritardo che si accorse di essere in intimo all’ingresso del
suo appartamento,
in compagnia del suo migliore amico ad un orario troppo indecente per
non
pensare male.
“Entra.”
borbottò, facendosi
rapidamente da parte. “Sciagura umana.”
Lo
shinobi non poté che essere
d’accordo.
“Grazie.”
Dieci
minuti dopo, Sakura porse
una tazza di infuso caldo all’amico, il quale la
accettò con riconoscenza,
rabbrividendo nei suoi vestiti bagnati. Con un sospiro, la Sannin
andò a
trafficare nell’armadio del corridoio, ritornando dopo alcuni
minuti con una
coperta di lana.
“Tieni.”
borbottò, lanciandola
all’amico e terminando di vestirsi in cucina. “Ti
terrà caldo.”
Naruto
accettò con un cenno del
capo l’indumento, avvolgendosi con gratitudine. Prese a
sorseggiare il suo
infuso, mentre la Sannin si sedette di fronte a lui sul tavolo di
cucina, le
iridi smeraldine fisse sul volto di quest’ultimo.
“Dunque
Hinata ti ha dato il
benservito, dico bene?” non ci aveva messo molto a capire il
motivo di quella
visita serale, specie osservando l’espressione mortificata
sul viso
dell’Uzumaki.
“Già.”
non era in vena di
chiacchiere, visto come aveva faticato per dare uno straccio di
spiegazione
all’amica.
Sakura
sospirò, appoggiando il mento
sulla mano sinistra.
“Solo
tu potevi far arrivare
all’esasperazione una donna paziente come Hinata.”
mormorò, toccandolo sulla
fronte con l’indice sinistro. “Baka!”
Naruto non reagì alle parole di lei,
proseguendo nel suo mutismo, lo sguardo perso nel vuoto. Non le era mai
parso
tanto fragile, potendo finalmente constatare quanto sottile fosse
l’aura di
invincibilità che lo circondava da anni.
“Ascolta,
Naruto.” gli sollevò il
viso con due dita, costringendolo a guardarla. “Puoi rimanere
qui con me e
Sarada anche dieci anni se lo desideri… lo sai che
sarò in debito con te per tutta
la vita.” indurì lo sguardo, preparando
accuratamente le parole, nel tentativo
di spronarlo. “Ma se vuoi davvero salvare ciò che
resta del tuo matrimonio, ti
consiglio di cominciare subito a pensare a qualche idea,
perché stavolta l’hai
combinata davvero grossa.”
“Non
preoccuparti.” borbottò il
Jinchuuriki. “Domani vado a recuperare le mie cose e
andrò da Iruka-Sensei.
Stasera era troppo tardi per disturbarlo.”
“Non
hai risposto alla mia
domanda.”
Rimase
in silenzio, lo sguardo
nuovamente basso. In verità, lo shinobi non aveva la
più pallida idea di cosa
fare con Hinata. Non sapeva come fosse venuta in possesso della
verità, ma era
un aspetto irrilevante in confronto a ciò che aveva visto.
Vedere il dolore e
la rabbia scolpirsi sul viso della moglie era stato orribile,
facendogli
comprendere fino in fondo il baratro in cui la consorte era caduta per
causa
sua.
Solo colpa mia…
Si
passò la protesi sul volto, la
mente che galleggiò verso ricordi più dolci del
presente. Rivide Hinata davanti
a sé il giorno del loro matrimonio, la mattina che aveva
rischiato la vita per
salvarlo da Pain, la notte in cui l’aveva sorretto quando
Neji era morto tra le
sue braccia. Ogni volta che aveva avuto bisogno di un appoggio, di un
aiuto,
Hinata era sempre stata pronta a darglielo, senza esitare, convinta che
lui
fosse una persona meravigliosa ed importante, una persona con la quale
si
potesse costruire un futuro.
Lei per me c’è sempre
stata… ma io?
Sentì
un sapore amaro sulla
lingua, quasi avesse ingoiato cenere nel rimembrare il suo fallimento
come
marito e compagno. L’aveva sempre lasciata sola, a crescere
Boruto, impegnato
in un lavoro soffocante. Le aveva nascosto per mesi la
verità su ciò che era
accaduto durante la Guerra Civile, tradendo la sua fiducia, ed alla
prima
occasione aveva ceduto al desiderio per un’altra donna, una
guerriera forte e
selvaggia, capace di toccare corde del suo cuore che Hinata, gentile e
volenterosa, non era mai riuscita a sfiorare.
Non mi merito un’altra occasione. Era
un pensiero orribile, ma
vero. Lui, che non si era mai arreso, che aveva sempre lottato per i
propri
sogni, aveva perso ogni voglia di combattere, di lottare per quel
legame ormai
sfilacciato, in procinto di spezzarsi del tutto.
Sentì
lo sguardo di Sakura su di
sé, in attesa di una sua risposta. Ebbe paura. Sakura non
l’aveva mai
abbandonato, neanche nei suoi momenti peggiori, ma ne temeva il
giudizio, di
osservare la delusione contorcere i lineamenti del suo viso, mentre
osservava
la sua aura di ninja invincibile che si spaccava in mille schegge.
“Io…
non so cosa farò.” mormorò,
lanciandole un’occhiata di sottecchi. “Dubito che
Hina-chan mi voglia
riprendere dopo… una simile cosa.”
La
Sannin corrugò le sopracciglia,
stringendo le labbra fino a formare una linea inespressiva. Il suo
primo
impulso fu quello di prendere a schiaffi l’amico, ma si
controllò, convinta che
in quel caso servissero di più le parole dei pugni.
“Immagino
che tu sappia il motivo
per il quale Hinata è arrabbiata con te.”
esordì, nel tentativo di far ragionare
il Jinchuuriki.
“Non
mi sembra difficile.”
replicò sarcastico quest’ultimo.
“Anch’io sarei furioso se mia moglie baciasse
un altro uomo.”
“Naruto,
se in questo istante io
ti baciassi, e tu domani spiegassi ad Hinata la faccenda, sono sicura
che lei
si arrabbierebbe, ma non ti caccerebbe di casa come invece ha
fatto.”
Un’espressione
beota fu l’unica
risposta che ottenne.
“E
perché dovremmo baciarci?”
“Il
mio era un esempio.” fece un
profondo respiro, cercando di radunare con esso anche qualche quintale
di santa
pazienza. Si era dimenticata quanto tardo potesse essere il cervello di
Naruto.
“Il punto è un altro: Hinata non è
arrabbiata con te perché hai baciato
un’altra donna. O meglio, non solo.”
picchiettò l’indice sinistro sulla fronte
dello shinobi. “Il motivo principale è che tu non
glielo hai detto,
facendoglielo scoprire nel peggiore dei modi, senza contare che hai
chiamato
tua figlia con lo stesso nome della donna con cui hai pomiciato a sua
insaputa.”
L’Uzumaki
si umettò le labbra, lo
sguardo basso. Le parole di Sakura gli caddero addosso con la violenza
di uno
tsunami. Era vero, tutto maledettamente vero.
“Ho
tradito la sua fiducia.”
sussurrò. “Ora lei… non sa
più se può fidarsi di me.”
La
Sannin chiuse gli occhi per un
istante, ringraziando mentalmente ogni divinità esistente
per aver permesso a
Naruto di comprendere il nocciolo della questione in tempi
straordinariamente
rapidi.
“Ora
che hai capito, puoi
comprendere quanto profondo e devastante sia il dolore di
Hinata.” dichiarò.
“Lei ti ha amato fin da quando era una ragazzina. Sei stato
per anni il suo
modello, il suo punto di riferimento… ed ora ha scoperto che
tutto quello che
credeva di sapere su di te era solo una menzogna.”
“Non
è vero!” la voce di Naruto
si tinse di orgoglio, deciso a rigettare quelle affermazioni infami.
“Non ho
mai ingannato Hinata, e tu lo sai! Ho solo avuto… un istante
di debolezza.”
“Io
lo so… ma lei? Chi le può
assicurare che tu non le abbia taciuto altro?”
Nella
cucina scese un silenzio
pesante. Il Jinchuuriki si sentiva la testa scoppiare: nel giro di un
paio
d’ore, il suo intero mondo era stato distrutto, e non poteva
fare altro che
raccoglierne i cocci, osservando la desolazione attorno a sé.
“E’
una questione di fiducia,
Naruto.” ora il tono della kunoichi divenne più
morbido. “Spetta a te decidere
se far ricredere Hinata, o gettare la spugna e perdere definitivamente
il
rispetto di tua moglie.”
Già,
fiducia. Quella cosa
misteriosa che per anni Hinata gli aveva chiesto, mentre lui si
trincerava dietro
un muro di bugie, alla disperata ricerca di seppellire quel momento di
debolezza, ripetendosi che non era mai accaduto quando invece ogni
singolo
dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente.
“Ti
preparo un letto sul divano.”
Sakura si alzò. Sull’uscio della cucina, pianto le
proprie iridi smeraldine
sulla schiena ingobbita del suo migliore amico. Fece per sfiorargli la
spalla,
ma poi ci ripensò, uscendo a passo rapido, lasciandolo solo
con i suoi
pensieri.
Wari… si toccò le
labbra, mentre il ricordo della sensazione della
lingua della Nukenin sulla sua gli riempì la bocca di un
sapore amaro, di
colpa.
Sono proprio un Baka.
La
mattina dopo Hinata non c’era,
così come Himawari. Naruto ipotizzò che la
consorte fosse andata a recuperare
Boruto dal padre e la cosa gli andava bene: non si sentiva pronto ad
affrontarla dopo gli avvenimenti della sera prima.
Ci
mise poco a farsi una borsa,
mettendoci dentro solo lo stretto indispensabile. Non era la
convinzione di
ritornare a farlo agire in questo modo, quanto il disperato bisogno di
uscire
da quella casa il prima possibile, troppo carica di ricordi per non
fargli
male.
Tuttavia,
quando fu sul punto di
uscire, l’occhio gli cadde su una foto, racchiusa in una
cornice rossa.
Raffigurava Hinata con in braccio un Boruto ancora formato
bebè. Il Jinchuuriki
l’afferrò, osservando il volto sorridente della
moglie, lo sguardo radioso di
gioia, i lineamenti rilassati. In quell’istante, Hinata Hyuga
rifulgeva vivida
come una stella.
Il primo compleanno di Boruto… Sentì
le viscere strizzarsi in una
morsa d’acciaio, mentre un dolore sordo iniziò a
farsi strada dentro di lui. Si
rese conto solo in quell’istante come i suoi errori non si
erano limitati a
ferire Hinata, ma anche i suoi figli avrebbero dovuto pagarne lo scotto.
Che razza di padre sono?
“Moccioso…” sentì
Kurama chiamarlo, ma non lo volle ascoltare: era
stanco di rimproveri.
Si
mise la foto in tasca, uscendo
di casa con una borsa in mano e tanti rimpianti sulle spalle. La sua
memoria
andò ai giorni prima del matrimonio, quando si chiedeva se
sarebbe stato capace
di diventare un buon padre e marito. Si accorse che, alla fine, la
risposta era
giunta da sola, in tutta la sua tremenda chiarezza.
Mirai
scrutò da dietro le fronde
di un albero la figura minuta della propria Sensei. Strinse il kunai
con
maggiore forza, mentre contraeva i muscoli delle gambe, pronta a
scattare in
qualsiasi momento.
Ci siamo! Le iridi scarlatte della Genin
scintillarono come quelle
di un felino quando notarono i piedi di Hanabi raggiungere la posizione
giusta.
Non riuscì a trattenere un sorriso: quella volta
l’avevano in pugno.
Stavolta la spuntiamo noi, Hanabi-Sensei!
Si
lanciarono all’attacco,
partendo ognuno dei tre da una direzione diversa. Shigeru
evocò subito i propri
insetti, i quali assunsero una posizione di cuneo, dirigendosi verso
Hanabi.
All’ultimo però, si divisero in due gruppi,
colpendo ai lati la Jonin, la quale
fu costretta a saltare verso l’alto.
“Prevedibile,
mio caro.” subito
dopo, alle spalle della Hyuga, comparve Aimi, kunai in mano, ma i
movimenti
della Sensei furono troppi rapidi per la Yogonuchi, la quale fu
immobilizzata a
mezz’aria con un braccio dietro la schiena dopo uno scambio
di soli due colpi.
“Quindi
ora manca solo la terza…”
Hanabi sorrise, facendo cadere al suolo la propria allieva, un piede
premuto
sulla sua nuca. “Fatti sotto, Mirai!”
La
Sarutobi non si fece
attendere. Con un urlo di guerra, Mirai si lanciò verso la
Hyuga, le mani
impegnate a formare i segni per un ninjutsu di vento. Le iridi chiare
della
Hyuga brillarono, mentre si preparava a respingere l’attacco
tramite il proprio
Juken.
Prevedibile…
In
quel preciso istante però, il
corpo di Aimi si contrasse, quasi fosse stato colpito. La Yogonuchi
svanì in
uno sbuffo di fumo, mentre dal sottosuolo emerse nello stesso punto una
seconda
Mirai, le mani impegnate a formare dei segni che Hanabi non conosceva.
Ma cosa…
Subito
dopo, robusti rami di
legno comparvero dal terreno sottostante, intrappolandola con forza
sempre più
crescente. Hanabi percepì la gola stringersi dolorosamente,
mentre il chackra
scorreva strano dentro di lei, intorpidendole la mente.
Un genjutsu…
Non
passarono più di cinque
secondi da quando Mirai aveva lanciato la propria tecnica, che Hanabi
reagì. Il
suo corpo svanì in una nuvola di polvere, lasciando la
Sarutobi sconvolta. Un
istante dopo, kunoichi la colpì con una violenta ginocchiata
sulla schiena,
facendola schiantare al suolo.
“Fine
dell’esercitazione.” la
Sensei sorrise, aiutando un’indolenzita Mirai a rialzarsi, la
quale non sembrò
particolarmente entusiasta del risultato appena ottenuto.
“Potrebbe
andarci più leggera,
Sensei…” borbottò la ragazzina,
massaggiandosi il fondoschiena. “Non passa
giorno che non mi regala un nuovo livido.”
“Ti
donano molto, Mirai… lo
faccio per il tuo aspetto.”
Quest’ultima
preferì non
controbattere.
Ore
dopo, Mirai si asciugò il
sudore dalla fronte, il respiro pesante. Anche quel giorno Hanabi era
stata di
parola, lasciandoli senza fiato. Quest’ultima
scrutò i propri allievi tenersi
sulle ginocchia con sguardo fintamente severo, facendo fatica a
trattenere un
sorriso davanti a tanta determinazione.
“Bene,
l’allenamento di oggi è
concluso.” appoggiò le mani sulle spalle di Aimi e
Shigeru, dando vita al
sorriso che covava da qualche minuto dentro di sé.
“Che ne dite di rendervi
presentabili e poi di andare a mangiare qualcosa assieme? Offro
io!”
Fu
una cena strana. Hanabi tentò
più volte di imbastire una conversazione, ma fu costretta ad
infrangersi
davanti al mutismo di Shigeru ed Aimi. Solo un’assonnata
Mirai tentò di
seguirla durante i racconti delle sue esperienze da Anbu.
Quest’ultima
tuttavia, per quanto non fosse sorpresa del silenzio
dell’Aburame, rimase
perplessa nell’osservare l’espressione cupa sul
volto della Yogonuchi,
impegnata a rimestare mestamente dentro il suo piatto.
“Ohi…”
Mirai le diede un
colpetto, tentando di ricevere segnali di vita, approfittando del fatto
che
Hanabi fosse andata a pagare. “Si può sapere
cos’hai? Stasera sei più scontrosa
del solito.”
“Vai
al diavolo, Sarutobi!”
borbottò l’altra, lanciandole
un’occhiata incenerente. “Non ho voglia di
vederti gonfiare il petto come un tacchino.”
“Ma
di cosa stai parlando?”
“Cosa
credi, che sia cieca? Ho
visto benissimo quanto ti è piaciuto ricevere complimenti da
Hanabi-Sensei
riguardo al tuo genjutsu. Immagino fosse fin da subito la tua idea:
usarlo per
fare colpo su di lei.”
“Stai
vaneggiando.” replicò
Mirai, sorpresa da quel tono velenoso, reminiscenza
dell’Accademia. “Figurati
se mi metto a fare lezioni extra con mia madre solo per fare colpo
sulla
Sensei!”
“Piantala
di fare la finta
modesta!” Aimi sembrava fuori di sé, il volto
contorto in un’espressione di
pura sofferenza riguardo a ciò che stava per dire.
“La verità è… che
tu… tu… tu
sei più brava di me!” strinse così
forte le bacchette da romperle, mentre Mirai
percepiva la parte più malvagia ed infida di sé
ballare la conga nell’udire la
sua rivale pronunciare simili parole. “Ogni giorno che
passa… tu diventi sempre
più abile. Kami, riesci addirittura a fare un genjutsu! Io
invece… non riesco a
fare nulla. Ho cervello… ma a quanto pare non è
sufficiente per essere un
ninja.”
“Non
lo trovo corretto.” fu
Shigeru ad intromettersi, con la sua voce bassa e modulata.
“Penso che tu abbia
un’ottima preparazione. L’intelligenza è
solo una delle tue qualità.”
La
Yogonuchi sbuffò.
“Per
favore, Shigeru! Tu hai
un’abilità innata fenomenale! Io non ho nulla.
All’Accademia ero brava perché
me la cavavo con lo studio, ma qui, nella vita reale, i libri non
servono a
nulla.” Abbassò lo sguardo turchese, un lampo di
malinconica rassegnazione sul
viso. “Forse aveva
ragione mio padre… non avrei mai
dovuto intraprendere questa strada.”
Mirai
non seppe cosa dire. Non
aveva mai visto la sua rivale così debole ed indifesa. Aveva
sempre trovato
ammirevole la determinazione e l’intelligenza che la
Yogonuchi metteva in tutto
quello che faceva. Sapere che quest’ultima la invidiasse e la
trovasse più in
gamba le procurava una sensazione nuova, diversa dalla gioia maligna
che il suo
io interiore aveva espresso pochi istanti prima.
Aimi… provò a dire
qualcosa ma si accorse che le parole non le
uscivano di bocca, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
Tutto
quello che fece fu di rimanere seduta, osservandola alzarsi di scatto.
“Bella
serata.” mormorò
quest’ultima con voce tremante. “Ringraziate la
Sensei da parte mia.”
“Aimi.”
Shigeru tentò di
fermarla, ma la ragazza fu più rapida, uscendo rapidamente
dal locale.
Nel
frattempo, ad un tavolo di
distanza, Hanabi, apparentemente impegnatissima a lodare la pettinatura
della
cameriera, si mordicchiò una guancia, sorpresa di
ciò che aveva appena udito e
visto.
Aimi, dunque è questa la tua
determinazione?
Iruka
era un uomo che
difficilmente si sorprendeva. Dopo una vita passata ad insegnare, era
convinto
di averle viste veramente tutte. Tuttavia, il neo preside
dell’Accademia, fu
costretto ad ammettere che convivere con un proprio ex allievo buttato
fuori di
casa dalla moglie, dopo decenni da scapolo felice e donnaiolo, gli
mancava
nella lista delle cose che ‘non conosco e che non dovrei mai
provare nella mia
vita’.
Nella
realtà, Naruto non era un
coinquilino tremendo. Stava poco in casa, ed il più delle
volte tornava solo
per lavarsi e dormire. Iruka sospettava che il suo ex allievo non
passasse
tutto il proprio tempo in ufficio, e più di una volta lo
sentì ritornare a
notte fonda con addosso un forte sentore di alcool, facendolo riempire
di
rabbia.
Naruto non è questo.
Non
era così che doveva andare.
Sapeva che Naruto non sarebbe mai stato un uomo perfetto, ma era fiero
di
vedere quanto impegno ci aveva sempre messo per combattere i propri
difetti,
per migliorare come ninja, ma principalmente come persona. Invece ora
il
Jinchuuriki pareva vinto, deciso a smettere di lottare per la propria
famiglia,
incapace di accettare i propri errori e tentare di provi rimedio.
Naruto si era
arreso. Ed una persona così rinunciataria e immersa
nell’autocommiserazione non
meritava il suo rispetto ed il suo affetto.
Doveva
intervenire, ancora una
volta, per evitare che il suo fratellino distruggesse tutto
ciò che aveva
costruito in quegli anni con tanta fatica.
Sciocco di un Baka…
Non
andò a letto quella sera,
attendendo il suo ritorno. Era passata da poco mezzanotte quando
udì il girare
di una chiave nella serratura, assieme ai passi strascicati
dell’Uzumaki.
“Bentornato.”
esordì, una volta
che quest’ultimo entrò in cucina. Lo shinobi
rimase sorpreso di trovare il suo
vecchio insegnante ancora sveglio, ma non si scompose eccessivamente.
“Non
dovreste rimanere alzato
così tanto, Iruka-Sensei.” borbottò,
versandosi dell’acqua. Iruka poteva
sentire distintamente anche a quella distanza il fetore di alcool
stantio.
“Domani dovrete alzarvi presto.”
“Ritengo
di essere
sufficientemente adulto per valutare questo aspetto della mia
vita.” il preside
gli lanciò un’occhiata penetrante, le labbra
strette a formare una linea
piatta. “Lo stesso non posso dire di te, Naruto.”
Nell’ambiente
scese un silenzio
teso, rotto solo dal rumore degli elettrodomestici. L’Uzumaki
fece un profondo
respiro, la faccia sfatta di uno che dormiva troppo poco.
“E’
un po’ tardi per farmi la
ramanzina.” mormorò, ingollando il proprio
bicchiere. “Vada a letto,
Iruka-Sensei.”
“Siediti.”
la voce di
quest’ultimo risuonò gelida, mentre spingeva la
sedia di fronte verso il
fratello minore. “Questo è un ordine non da
insegnante, ma da fratello
maggiore, Naruto.”
Per
un istante il Jinchuuriki
sembrò deciso ad ignorarlo. Tuttavia, dopo qualche secondo,
si sedette con uno
sbuffo, appoggiando i gomiti sulla superficie liscia, gli occhi cerulei
spenti.
“Veda
di fare in fretta.”
borbottò. “Domani devo lavorare.”
Per
un istante il Chuunin valutò
l’ipotesi di picchiarlo, ma si contenne, convinto che non
fosse quella la
strada giusta per aiutare il suo fratellino.
“Naruto…”
emise un sospiro, alla
ricerca delle parole giuste. “Si può sapere cosa
intendi fare? Intendi mollare
tutto, lasciare che gli sforzi di tutti questi anni vadano in
fumo?”
“Non
è una decisione che ho preso
io.”
“Sì,
invece.” Iruka lo guardò con
cipiglio gelido. “E’ stata una tua scelta quella di
tradire la fiducia di
Hinata, così come è una tua scelta quella di
lasciarti andare in questo modo
pietoso.”
Per
lunghi secondi, lo shinobi
più giovane non rispose, lo sguardo perso tra i ricordi.
“Non
può sapere cosa ho vissuto
in quel periodo, Iruka-Sensei.” mormorò infine.
“Non ha idea di quanto dolore
ho dovuto combattere a causa delle conseguenze delle mie
azioni.” un sorriso
amaro gli deturpò i lineamenti del viso, invecchiandolo.
“Ad un certo punto, ho
pensato pure di lasciare Hinata. Dopotutto… non mi ero
comportato in maniera
corretta nei suoi confronti.” alzò gli occhi,
dirigendoli verso il suo vecchio
insegnante. “Vuole sapere cosa mi ha permesso di non
sprofondare nella pazzia?”
Iruka
si limitò ad annuire
lentamente.
“La
consapevolezza che se mi
fossi lasciato andare, i morti che mi pesano sulle spalle sarebbero
tornati a
tormentarmi.”
“Naruto… sono felice che tu
sia qui… prima della fine.”
“E’
la pura verità.” non c’era
dolore nella voce del Jinchuuriki, quanto più una sordida
rassegnazione.
“Compresi che il mio ruolo era accanto ad Hinata, ma non per
lei, ma per a mio
figlio. Un figlio che non meritava di pagare, di assaporare la
solitudine per
le colpe di suo padre.”
“Eppure
è proprio quello che stai
facendo ora.”
“Non
capisce.” il sorriso non
sparì dalle labbra dello shinobi biondo. “Quando
Hinata mi ha rinfacciato ciò
che ho fatto, ho sentito dolore, un dolore tremendo… ma non
rimorso.” smise di
sorridere, umettandosi le labbra, alla ricerca delle parole giuste.
“Fu in quel
momento che capii: non posso chiedere il perdono di Hinata per qualcosa
di cui
non mi pento. Significherebbe ingannarla di nuovo, e sarebbe peggio di
ogni
cosa… anche della fine del nostro matrimonio.”
Iruka
scosse la testa.
“No,
non puoi cavartela in questo
modo.” replicò. “Posso capire che tu non
ti senti di ritornare con Hinata dopo
quello che è accaduto, ma questa volta non si tratta solo di
te, così come non
si tratta solo di Hinata.” si sporse in avanti, lo sguardo di
ghiaccio. “Questa
volta ci sono di mezzo due bambini; e se tu li farai soffrire, proprio
come
abbiamo sofferto noi, sappi che non ti perdonerò
mai.”
Non
rispose, incapace di trovare
la soluzione. Si sentiva come spaccato in due, diviso tra
ciò che desiderava e
ciò che credeva fosse giusto. Chiedere ad Hinata il perdono
per ciò che aveva
fatto, senza aver neanche provato del rimorso, lo riteneva abominevole,
ma non
poteva neppure abbandonare in quel modo i suoi figli, la cosa
più cara che
possedeva.
Cosa devo fare… avrebbe
desiderato avere una risposta, un segno che
lo indirizzasse verso una scelta. Invece si sentiva la testa scoppiare,
la
mente che ritornava perennemente a quell’istante di tre anni
prima, quando le
sue labbra si erano incollate a quelle di Himawari, creando una crepa
tra lui
ed Hinata, cresciuta fino a diventare una voragine.
“Avete
ragione.” mormorò. “Non
posso far soffrire i miei figli.” strinse le mani a pugno,
sentendosi
semplicemente impotente. “Ma non ho idea di come fare
per… risolvere tutto
questo.”
L’espressione
sul volto di Iruka
si ingentilì. Improvvisamente, ciò che vide fu
solamente un uomo separato dalla
sua famiglia, che non riusciva a trovare la serenità per
ricongiungersi con
essa.
“Purtroppo
in questo non posso
aiutarti.” esordì il preside. “Tuttavia,
sappi una cosa: non mi hai mai deluso
da quando ti conosco.” gli sorrise, cercando di infonderci
tutto il proprio
affetto in quel semplice gesto. “E sono convinto che neanche
stavolta lo
farai.”
Naruto
non rispose. Ripensò a
tutto ciò che aveva compiuto, a quanta strada era riuscito a
compiere dal
giorno in cui aveva conosciuto Iruka. Non era una strada perfetta, e
spesso era
caduto ed aveva fallito, ma era la sua strada, la sua vita. Una vita di
cui ora
facevano parte non solo Hinata e tutti i suoi amici, ma anche Boruto ed
Himawari.
E
il suo Nindo era di non
arrendersi mai.
Questo non sono io.
Forse
poteva tentare ancora una
volta. Provare di nuovo a cambiare le cose, impedire che i propri figli
soffrissero l’assenza di un padre. Non era sicuro di
riuscirci, ma doveva
tentare di conquistarsi il perdono di Hinata, indipendentemente che ne
fosse
degno o meno.
Iruka-Sensei ha ragione… non si tratta
di me, non più.
Sapeva
bene che per un genitore
nessun sacrificio era troppo grande nei confronti di un figlio, e
voleva anche
lui tenere fede a quella regola, la quale aveva portato i suoi a dare
la vita
per lui.
Ancora una volta.
Rispose
al sorriso di Iruka. Un
sorriso stanco, ma di nuovo vivo, capace di contenere tutta la
determinazione
del mondo.
Boruto… Himawari…
I
suoi figli erano meritevoli di
un simile sacrificio. Non aveva idea di come avrebbe fatto, ma era
sicuro che,
se non si fosse mai arreso, alla fine ce l’avrebbe fatta.
Lo faccio per voi.
Era
pronto per tornare a
combattere.
Shikadai
squadrò sua sorella con
occhio critico. Quest’ultima agitava davanti al viso del
bambino un giocattolo
colorato con scarso entusiasmo, le iridi scarlatte perse in un punto
fisso
davanti a sé.
“Seccatura…”
il piccolo Nara
tentò di arrampicarsi sul petto della sorella, ma il suo fu
un tentativo
misero, testimoniato dal leggero tonfo con cui ricadde sulle gambe di
quest’ultima. Il tutto sotto lo sguardo di Kurenai.
“Mirai,
se sei stanca puoi
lasciare Shikadai a me.” esordì la Jonin, uno
strofinaccio tra le mani. “Non
hai una bella cera.”
Mirai
sussultò, ritornando alla
realtà. Si sistemò meglio il fratellino sulle
ginocchia, accasciandosi
nell’angolino di divano da lei prediletto, rivolgendo un
sorriso stanco alla
genitrice.
“Vai
tranquilla, mamma.” esordì
con voce sicura. “Ci penso io a questo pigro!”
La
Yuhi non fu molto convinta, ma
quando abbassò lo sguardo non poté fare a meno di
sorridere: tenendo fede al
suo nome, Shikadai Nara si era appisolato profondamente, la testolina
appoggiata sul petto della sorella.
“Cerca
almeno di non disturbarlo
troppo.” mormorò a bassa voce Kurenai,
allontanandosi dal salotto. “Presto
Shikamaru e Temari dovrebbero tornare.”
Come
accadeva ogni anno,
Shikamaru aveva tentato di evitare la cosa che più lo
terrorizzava al mondo
dopo sua madre: il suo anniversario di matrimonio. Ovviamente anche
questa
volta aveva fallito miseramente nel suo intento e Temari
l’aveva costretto a
pigiarsi in un abito tanto elegante quanto scomodo, costringendolo a
portarla
in giro ed esibendola come moglie trofeo, il tutto accompagnato dai
suoi
tentativi di suicidio. Kurenai aveva accettato con piacere di occuparsi
di
Shikadai, convinta che qualche ora assieme al piccolo Nara avrebbe
tirato su di
morale la figlia, apparsale ultimamente molto stanca.
Mirai
appoggiò la testa allo
schienale imbottito, sospirando. Si sentiva dolorante a causa
dell’allenamento,
ma era un dolore dolce e pulsante, che gli regalava una vaga sensazione
di
benessere. Sistemò meglio il fratello, chiedendosi come
fosse possibile che un
esserino tanto piccolo fosse così pesante, mentre i pensieri
negativi di prima
tornarono alla carica, costringendola a deviare la propria attenzione
dal
bambino che teneva sulle ginocchia.
Aimi. Mirai era fortemente indecisa se
incazzarsi a morte con la
compagna per averla costretta a pensarla anche durante i suoi momenti
con il
fratello, oppure essere preoccupata per lei. Quel giorno, infatti, per
la prima
volta da quando la conosceva, Aimi non si era presentata
all’allenamento. Fin
dai tempi dell’Accademia, la Yogonuchi non aveva mai saltato
una singola
lezione, neanche quando era stata sul punto di infettare tutta la
classe con il
suo raffreddore infernale. Eppure quel giorno, per la prima volta, Aimi
aveva
rinunciato ad allenarsi.
Non è da lei fare una cosa simile. Onestamente,
la Sarutobi
dubitava che avrebbe vissuto così a lungo per vedere
qualcosa del genere. Era
ai limiti del sovrannaturale. Eppure, tale avvenimento non
l’aveva riempita di
una gioia perversa, quanto più di una forte preoccupazione:
soltanto qualcosa
di così grave da spingerla ad un passo dalla morte avrebbe
potuto portare Aimi
a quel gesto estremo.
Al diavolo! Adesso mi preoccupo anche di quella
smorfiosa! Scosse
la testa, sospirando. C’era una parte di lei, quella
più maligna, che
continuava a suggerirle di infischiarsene dei problemi della rivale, e
di
approfittarne per festeggiare delle sue disgrazie. Ma erano ormai
passate molte
settimane da quando avevano cominciato a lavorare fianco a fianco, e un
nuovo
sentimento si era fatto strada dentro di lei: il rispetto, misto
però a
qualcosa di molto più profondo, su cui aveva troppa paura
per riuscire ad
indagare.
Cosa è diventata Aimi per me?
Shikadai
si mosse nel sonno,
borbottando qualcosa di indefinito. Prese ad accarezzargli
distrattamente i
capelli, calmandolo, lo sguardo perso nel vuoto, incapace di trovare
una
risposta a quella domanda. Poteva tranquillamente ammettere di essersi
sbagliata sul conto della rivale, e di ritenerla un’abile
compagna. Tuttavia,
la sua coscienza si bloccava lì, sull’emergere
quella nuova sensazione.
Qualcosa di molto più profondo e complesso, con cui faticava
a convivere.
Possibile che io e lei… siamo
diventate… il solo pensare alla
parola successiva le costò uno sforzo non indifferente. Amiche?
Erano
amiche loro? Non lo sapeva.
Shigeru, pur con tutte le sue stranezze, aveva imparato a conoscerlo e
rispettarlo, arrivando a considerarlo un amico, qualcuno su cui avrebbe
sempre
potuto contare. Aimi no. Non riusciva a capire cosa provasse per lei,
quali
sensazioni e sentimenti si agitassero nel suo stomaco quando pensava al
suo
viso delicato e pallido, ai profondi occhi cerulei ed alla matassa
d’oro che le
scendeva lungo la schiena.
La
sua mente le inviò, a
tradimento, un’immagine di poche settimane prima:
un’Aimi piangente nel fango,
che scatenava in lei una furia sufficiente per scontrarsi con
Hanabi-Sensei.
Quella volta, io l’ho protetta. Percepì
una manina del fratellino
pizzicarle un seno, ma era troppo immersa nelle proprie elucubrazioni
per
allontanare quel contatto scomodo. Ho
messo il suo bene prima del mio…
Non
era una frase del tutto
onesta: anche lei aveva sofferto della situazione che si era venuta a
creare
con la Hyuga. Tuttavia, nessuno l’aveva costretta a
difenderla e proteggerla.
Eppure l’aveva fatto. Si era presa il dolore della Yogonuchi
sulle spalle,
facendolo suo e vendicandolo, come solo un’amica avrebbe
fatto.
E
un’amica non poteva restare
indifferente a ciò che aveva mostrato Aimi con la sua
assenza: un dolore forse più
profondo di quello dell’ultima volta.
Ieri sera sono stata una stupida. rifletté
amaramente, proseguendo
ad ignorare il pastrocchiare di Shikadai sulle sue zone erogene. Avrei dovuto fermarla, dirle qualcosa…
invece non ho fatto nulla.
Improvvisamente
tutto andò a suo
posto, come i pezzi di un puzzle dalla trama elaborata. Non era sicura
che ciò
che sentiva verso la compagna fosse amicizia, ma non poteva
più liquidarlo come
riluttante rispetto. Era diventato qualcosa di più.
Capì che doveva agire, il prima
possibile, o avrebbe rischiato di troncare di netto quel legame appena
formatosi.
E
di sicuro non era questo ciò
che voleva.
Dopo sennò con chi litigo? Un
fievole sorriso le illuminò il viso:
aveva trovato una risposta alle sue preoccupazioni.
Dovrò trovare un modo per farmi
perdonare.
“Allora
la vuoi smettere?!” tirò
un pugno in testa al fratello, il quale, immerso nel suo mondo onirico,
le
aveva stretto così forte il seno da farle male.
“Cosa sono diventata, il tuo
peluche?!”
Shikadai
si tirò su di scatto,
gli occhietti cisposi ed assonnati. Portò una mano alla
testa, massaggiandosi
la parte lesa, emettendo contemporaneamente un gigantesco sbadiglio.
“Perché
mi hai svegliato?”
borbottò, apparentemente indifferente al colpo appena
subito. “Stavo facendo un
bel sogno.”
Senza
volerlo, la Sarutobi
arrossì.
“Piantala
di fare sogni
indecenti, marmocchio!” esclamò, tirandogli un
secondo pugno. “Hai solo tre
anni, sogna cose da bambino!”
“Sei
una seccatura…”
“E
tu un fratellino
indisponente.” Mirai sogghignò, schioccandosi le
nocche delle mani. “E sai cosa
accade ai bambini che fanno arrabbiare le sorelle maggiori?”
“No!
Non voglio il solletico!”
“Oh,
sì!” il sorriso della Genin
divenne spietato, mentre si avventava sull’inerme Nara.
“Così impari a
stritolarmi le tette!”
“Basta,
smettila!” Shikadai tentò
di liberarsi, senza successo, mentre le dita della sorella adottiva si
intrufolavano dappertutto, facendolo sobbalzare in continuazione.
“Sei proprio
una seccatura.”
“Ti
sbagli.” improvvisamente,
Mirai interruppe la sua tortura, iniziando a riempire di baci il
bambino,
lasciandolo perplesso e leggermente schifato. “Io per te sono
Mirai-Oneesan.”
Era troppo di buon umore per prendersela con il suo fratellino. Aveva
finalmente capito cosa sentiva per Aimi e non vedeva l’ora di
farsi perdonare,
in modo da tornare ad essere un’unica squadra assieme a
quest’ultima e Shigeru.
Ho un’amica… il suo
sorriso si ingentilì, mentre regalava un enorme
bacio sulla fronte del Nara. Possiedo due
amici magnifici!
E
si sarebbe fatta perdonare, ne
era sicura.
Anche
se tutto quello interessava
relativamente al povero Shikadai.
“Le
femmine sono tutte
seccature.” borbottò, subendo l’ennesimo
bacio della sorella.
Sakura
si mise a sedere sul bordo
del letto della figlia con un sospiro, i piedi doloranti per le dieci
ore di
turno appena finite.
“Allora…”
esordì con un sorriso,
rimboccando le coperte a Sarada. “Che storia vuoi che ti
racconti questa sera?”
La
piccola Uchiha la scrutò con
il suo sguardo penetrante, tremendamente simile a quello del padre. Era
incredibile quanto si somigliassero, perfino nelle sfumature
più leggere. Due
pozzi color ossidiana capaci di riportare indietro nel tempo la Sannin,
quando
era solo una ragazzina che non comprendeva il dolore del ragazzo di cui
si era
innamorata. Gli occhi di Sarada erano ancora puri, privi del baratro di
odio e
follia che per anni aveva alimentato quelli di Sasuke, ma per il resto
erano
gli occhi di una vera Uchiha.
“Mi
piacerebbe sentire qualche
storia su papà.” mormorò la bambina, il
volto serio. Benché avesse ereditato la
sensibilità della madre, era raro vederla sorridere.
“Di
nuovo?” il sorriso di Sakura
si tinse di malinconia, un dettaglio che non sfuggì agli
occhi della piccola.
“Ti piacciono proprio tanto le storie su papà,
eh?”
“Sì!”
esclamò l’Uchiha, gli occhi
ricolmi di una fiamma piena di avida curiosità.
“Anche se mi piacerebbe sapere
cosa sta facendo in questo momento. Perché non torna mai per
cena?”
La
donna chiuse gli occhi per un
istante, sentendosi tremendamente stanca. Mentire alla figlia era
l’ultima cosa
che avrebbe desiderato fare, ma raccontarle la verità
significava metterla
innanzi a qualcosa più grande di lei.
“Papà
fa un lavoro super
segreto.” tornò a sorridere, accarezzandole i
capelli. “Purtroppo questo gli
impedisce di tornare a casa per cena, ma ti assicuro che siamo sempre
nei suoi
pensieri.” le diede un bacio sulla fronte, cercando di
infondere tutto l’amore
che provava per lei, la sua bambina. “E vedrai che un giorno
ci sarà anche lui
a cena.”
Gli
occhi di Sarada brillavano
come fuochi fatui.
“E’
una promessa?” mormorò.
Sakura
le diede un colpetto sulla
fronte con la mano destra.
“Sì.”
rispose con un sorriso
materno. “E’ una promessa.”
Mezzora
dopo, quando infine
Sarada si addormentò, la Haruno uscì dalla stanza
di quest’ultima con un
sospiro. Fece per andare a farsi una doccia quando, improvvisamente,
suonò il
campanello.
Ma allora è un vizio!
Andò
ad aprire a passo di marcia,
fermamente decisa a picchiare chiunque fosse. Stavolta Naruto avrebbe
dovuto
trovare qualcosa di più grave della rottura del suo
matrimonio per spingerla alla
compassione.
“Mi
vuoi spiegare perché devi
sempre venire ad un orario indece…” la sua voce si
spense, nuovamente, nello
stesso istante in cui aprì la porta
dell’appartamento, rivelandole la figura
dell’ultima persona al mondo che si aspettava in quel momento.
Davanti
a lei c’era Hanabi.
“Ciao.”
esordì la Hyuga,
un’espressione nervosa sul volto. “Devo parlarti,
posso entrare?”
Per
un lunghissimo istante la
Sannin fu tentata di sbattergli la porta in faccia.
“Basta
che fai in fretta.”
sbuffò, lasciandola passare.
Hanabi
tirò fuori il suo
sorrisetto beffardo, irritando ulteriormente l’Haruno.
“Grazie.”
Sakura
si sedette sul suo divano
preferito, un calice di vino rosso in mano. Hanabi optò
invece per una poltrona,
anche lei con un bicchiere pieno.
“Spero
per te che questa visita
serale abbia una motivazione valida, oltre a quella di scroccarmi una
bevuta.”
esordì la kunoichi più anziana, sorseggiando dal
proprio bicchiere.
“Ultimamente casa mia sta diventando lo studio di uno
psicologo.
“Il
Baka è stato qui?” chiese la
Hyuga, bevendo a grosse sorsate.
“Tre
sere fa.” fu la risposta
dell’Haruno. “A quanto pare, tua sorella e lui sono
ai ferri corti.”
“Lo
so.” Hanabi corrugò le
sopracciglia. “Se fossi stata meno pettegola, a
quest’ora questo casino non
sarebbe successo.”
“Prima
o poi Hinata l’avrebbe
scoperto comunque. Non è colpa tua se Naruto si è
comportato in quel modo.”
liquidò la questione l’altra, sdraiandosi per dare
riposo ai piedi stanchi. “Ma
immagino che tu non sia venuta da me per confessare le tue
colpe.”
La
Jonin fece un profondo
respiro, svuotando il proprio bicchiere. Ora che era arrivata fino a
quel punto
si sentiva un’emerita idiota. L’assenza di Aimi di
quella mattina però l’aveva
spinta a considerare anche quell’opzione, nonostante
all’inizio l’avesse
catalogata nella voce ‘cazzata gigantesca’.
Stupidi mocciosi.
“Effettivamente
hai ragione.”
prese tempo, versandosi altro vino. “Sono qui per farti una
richiesta.”
Sakura
attese pazientemente che
l’altra trovasse il coraggio per parlare.
“Vorresti
prenderti un’allieva?”
“Eh?!”
per la prima volta
dall’inizio della conversazione, la Sannin perse il
controllo. Spalancò la
bocca, gli occhi grandi come piattini da tè, convinta di non
aver sentito bene.
“Io dovrei fare… cosa?!”
“Prenderti
un’allieva.” ora che
si era sbloccata, parlare era semplice. “Sei una Sannin, non
dovrebbe essere
difficile per te addestrare una marmocchia nelle arti
mediche.”
Sakura
trincò il proprio calice
in un colpo solo, nel tentativo di mettere ordine nella sua mente.
“Non
so se te ne sei resa conto,
ma la mia vita è già abbastanza incasinata
così com’è.”
borbottò, servendosi
subito altro vino. “Non ho tempo per questo. Cercati un altro
ninja-medico. A
Konoha c’è ne sono di ottimi e posso passarti
qualche nome se lo desideri.”
“No.”
la Jonin scosse la testa.
“Solo tu possiedi le capacità per
aiutarla.”
“Mi
sopravvaluti. Guardati
attorno: vivo in un appartamento minuscolo, ho una figlia a carico, e
lavoro
come uno che spacca sassi, venendo pagata una miseria.”
“Sai
benissimo che sono solo
scuse. Quando tu diventasti allieva del Quinto, quest’ultima
era un’Hokage.”
Nel
salotto scese un silenzio di
tomba. Sakura si prese la testa tra le mani, massaggiandosi lentamente
le
tempie. Si chiese per quale fottuto motivo quelle situazioni
capitassero sempre
a lei.
“E
sentiamo: chi sarebbe questa
mocciosa?” borbottò, tentando di guadagnare tempo.
“Aimi
Yogonuchi.”
“Stai
parlando della celebre
famiglia Yogonuchi?” rimase sorpresa. “Non sapevo
che si abbassassero a fare i ninja.
Se le voci sono vere, hanno abbastanza soldi per comprarsi
l’intera nazione.”
Hanabi
chiuse gli occhi,
rimembrando la discussione del giorno prima.
“Forse aveva ragione mio
padre… non avrei mai dovuto intraprendere
questa strada.”
La
voce tremante, il volto
contratto per evitare di piangere. Ogni cosa le ricordava con vividezza
terribile la sua infanzia, quando era costretta a sopportare anche il
dolore
della sorella.
“Da
quello che so, la sua scelta
non è stata appoggiata dalla famiglia.” rispose
con voce monocorde, ben decisa
a non mescolare il suo passato con quella faccenda.
“E
tu vorresti che me la
prendessi come allieva.” la Haruno fece un sospiro,
proseguendo a massaggiarsi
le tempie, le quali stavano inviando un dolore sordo e costante al suo
cervello. “Fa parte della tua squadra, giusto?”
Hanabi
si irrigidì
impercettibilmente.
“Sì.”
“E
si può sapere perché desideri
così tanto che la avvii alle arti mediche? Studiare medicina
non è uno scherzo,
tantomeno una cosa da nulla.”
“Sono
ormai sette settimane che
la vedo ogni giorno.” fu la risposta della Hyuga.
“E’ una ragazza intelligente,
con spirito di sacrificio e dotata di ottimo cervello.”
“Doti
ammirevoli, ma non bastano
per convincermi.”
La
Jonin si appoggiò meglio
contro lo schienale, riprendendo a bere.
“Sa
controllare il chackra a
livello di un Chuunin.” aggiunse con noncuranza, quasi fosse
un dettaglio di
poco conto. “L’ho vista con i miei occhi manipolare
gli elementi dell’Acqua e
della Terra senza problema alcuno.”
Sakura
corrugò le sopracciglia,
la mente che lavorava a pieno regime. Le parole che le aveva appena
detto
Hanabi erano qualcosa a cui era difficile credere.
“Da
quanto tempo è una Genin?”
domandò, pur sapendo benissimo la risposta.
La
Hyuga sogghignò.
“Sette
settimane.”
“E
tu vorresti farmi credere che
una novellina, fresca di diploma, è capace di utilizzare gli
elementi del
chackra con la maestria di un Chuunin?”
“Precisamente.”
Hanabi gli lanciò
un’occhiata penetrante. “Ora capisci
perché mi sto rivolgendo a te?”
Sì,
Sakura lo comprendeva. Una
simile abilità, per quanto grezza, era più unica
che rara. Lei stessa aveva
dovuto esercitarsi sotto la guida brusca di Tsunade per due anni prima
di
raggiungere una simile maestria con il chackra. Si trattava solo di
indirizzarla
verso il giusto percorso. Se Hanabi non mentiva, e non aveva motivo di
crederlo, era di fronte a qualcuno di veramente in gamba.
“Immagino
che possa chiedere una
mano a Tsunade-hime.” capitolò con un sospiro.
“Ora che è in pensione, non
credo le dispiacerà aiutarmi nell’allenare la tua
ragazza.”
“Quindi
accetti?”
“Ad
una condizione.” la Sannin
sorrise. “Dovrai convincerla tu a chiedermelo.”
Hanabi
rimase perplessa innanzi
ad una simile richiesta.
“E
perché? Dubito che rifiuterà
se glielo proporrai tu. Dopotutto, sei uno dei tre ninja
leggendari.”
“Studiare
medicina non è uno
scherzo.” replicò seccamente Sakura. “Se
andassi a proporglielo di persona, lei
si sentirebbe in dovere di accettare. Io invece voglio che senta sua
questa
scelta, in modo che quando dovrà affrontare delle
difficoltà, possa trovare la
forza per superarle.” sorrise, sorseggiando dal calice.
“E’ una tua allieva,
quindi tocca a te prenderti questa responsabilità.”
Già,
era una sua allieva. Forse
l’aveva sempre saputo che sarebbe finita così.
Eppure, Hanabi non poté fare a
meno di sentirsi irritata all’idea. Provare a convincere una
ragazzina depressa
a studiare le arti mediche non era un compito dei più
semplici.
“Deduco
di non avere scelta.”
appoggiò il proprio calice, alzandosi. “Lo
farò, ma sappi che non ho intenzione
di implorarla o chissà che altro.”
“Non
te l’ho mai chiesto.” il
sorriso non scomparve dalle labbra della Sannin. “Come ti ho
già detto: deve
essere convinta di intraprendere questo percorso.”
“Ti
farò avere notizie il prima
possibile.” si girò per andarsene, ma quando stava
per aprire la porta
dell’appartamento, la voce di Sakura la bloccò sul
posto.
“Le
vuoi bene, non è vero?” anche
quest’ultima si era alzata, le iridi smeraldine fisse sulla
schiena della
Hyuga.
“Cosa
te lo fa pensare?” replicò
seccamente la Jonin, ma non riuscì a dare un tono
sufficientemente duro al suo
timbro di voce.
“Ti
conosco, Hanabi. So che non
sei tipo da aiutare facilmente il prossimo.” Sakura smise di
sorridere, in
attesa di una risposta che tardò ad arrivare, gli occhi
fissi sul tremito che
colpì la mano della kunoichi bruna appoggiata al pomello
della porta.
Aimi.
Ripensò
a tutti gli insulti che
le aveva rivolto nelle prime settimane, all’odio ed al livore
che aveva
riversato addosso ai suoi studenti, infischiandosene dei loro
sentimenti. Le
parole della sera prima l’avevano colpita profondamente: Aimi
poteva essere una
Yogonuchi, ma quella frase mormorata tra singhiozzi aveva rivelato come
quel
cognome le pesasse tanto, forse troppo per una ragazzina di dodici anni.
Proprio come Neechan…
Digrignò
i denti, nel tentativo
di controllare il rimorso che aveva preso a bruciarle
all’altezza dello
stomaco. Un rimorso nato dalla sua stupidità e dal suo
essere stata cieca nei
confronti dei suoi allievi.
Sono stata crudele con te, Aimi…
“Ti
sarei grata se la piantassi
di dire stronzate.” dichiarò infine con voce
monocorde, uscendo rapidamente
dall’appartamento.
Sakura
sospirò, scuotendo la
testa, le labbra nuovamente stirate in un dolce sorriso di comprensione.
“L’orgoglio
è una brutta bestia…”
sussurrò, mettendo via i bicchieri usati. “Ma sono
felice che tu stia crescendo
così, Hanabi.”
Nel
frattempo, in strada, una
donna camminava a passo svelto. Teneva il volto basso, ma era
facilmente individuabile
un sorriso spuntare nell’oscurità della notte,
così gioioso da illuminarle il
viso, rendendola più bella che mai.
E’ tempo che mi faccia perdonare.
CONTINUA
Oh
oh oh! Buon Natale (in
ritardo) e felice Anno Nuovo!
Già…
di solito in questo periodo
si parla di amore, famiglia e carità… io invece
parlo di tradimento. XD
Sì,
lo so. Ultimamente sto
dividendo troppe storie in più parti. Il fatto è
che in questo capitolo iniziò
ad affrontare una tematica difficile: il perdono. Quante volte
chiediamo scusa
ad una persona senza pensarci troppo? A volte però invece
chiedere scusa, e
soprattutto accettare le scuse, non è semplice. E questa
volta voglio proprio
parlare di questo.
Come
avete potuto notare, in
questa prima parte mi sono soffermato maggiormente su Naruto, e su cosa
provasse. Nella seconda invece mi concentrerò di
più su Hinata, che rappresenta
colei che dovrà decidere se concedere il proprio perdono o
meno.
Riguardo
alla faccenda di Aimi,
Mirai ed Hanabi vi dico solo questo: Aimi non sarà
l’erede di Sakura. Il resto
nei prossimi capitoli xD
Bene,
direi che è tutto. Questo è
l’ultimo capitolo del 2017. Un anno dove, purtroppo, ho
ridotto molto la
frequenza di pubblicazione, ma sono soddisfatto dei progressi compiuti,
nonostante tutto. Colgo l’occasione per ringraziare tutti
coloro che hanno
letto, recensito, seguito questa raccolta durante tutto
l’anno. Grazie davvero
di cuore!
Un
saluto! E ancora tanti auguri!
Giambo