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Autore: giambo    28/12/2017    2 recensioni
Crescere è una sfida difficile. Lo sa Naruto, lo sa Hinata così come lo sanno tutti i loro compagni ed amici di Konoha. Eppure, in un mondo che sta vivendo una pace con ancora troppi lati oscuri, essi dovranno imparare a diventare adulti, ad affrontare i propri demoni, le proprie paure, ed anche i propri fallimenti. Con la consapevolezza che una coppia non si costruisce in una notte di passione sfrenata, ma giorno dopo giorno, affrontando le sfide della vita, consci delle proprie forze e delle proprie debolezze.
Raccolta di One-Shot incentrata sulla coppia Naruto/Hinata, ma con ampi spazi dedicati alle altre coppie canoniche del manga, con in più qualche sorpresa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Kurama, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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The Biggest Challenge

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Perdono

parte prima

 

 

 

Sakura portò una mano agli occhi, sfregandoseli. Era stanca, e non desiderava altro che un letto ed una doccia che nascondesse il fatto che non si dedicava ai propri capelli da una settimana. L’aver effettuato la bellezza di sette interventi negli ultimi giorni l’aveva sfiancata, impedendole di occuparsi anche delle faccende più banali della sua vita, tipo rimuovere qualche pelo indesiderato dell’interno coscia.

Eppure, per quanto si sentisse sciatta e sfinita, non poteva fare a meno di essere felice di osservare Hinata attorniata dai suoi amici più cari, venuti a casa Uzumaki per festeggiare il suo ritorno a casa.

“Bella, vero?” osservò Tenten al suo fianco, sorseggiando un bicchiere di vino, gli occhi scuri che fissavano la figura della Hyuga. “Quanto tempo è passato dal parto?”

“Un mese circa.”

“Ed ha già smaltito quasi tutti i chili presi!” dichiarò con una punta d’invidia la kunoichi. “Quando è nato Metal, ci avrò messo minimo un anno a perdere tutto ciò che avevo preso, per non parlare di quelle maledette smagliature! E lei è là, fresca come una rosa, ad appena un mese dalla sua seconda gravidanza!” l’allieva di Gai sorseggiò nuovamente dal proprio bicchiere, bisbigliando un insulto così colorito che Sakura non poté fare a meno di ridere.

“E questo dove l’hai imparato?!” chiese, le lacrime agli occhi. “Non ti facevo così sboccata, Ten!”

La madre di Metal si toccò il naso con l’indice, venendo contagiata dalla risata della Sannin.

“Hai ragione, sono stata scortese.” ammise, sospirando nel vedere il marito in un angolo che eseguiva i consueti tremila piegamenti serali. “A parlare è stato il vino… o almeno lo spero! Non sopporterei di essere così orribile!”

“Tutti hanno i propri lati nascosti.” Sakura rivolse le iridi verdi verso la figura di Naruto, impegnato a discutere con Sai sul divano del salotto. “Anche i più insospettabili.”

Tenten le lanciò una strana occhiata. Aveva la netta sensazione che l’Haruno stesse cercando di nasconderle qualcosa con quella frase criptica.

“Dunque tu pensi che tutti noi, che ci conosciamo da quando siamo ragazzini, ci teniamo nascosti segreti impronunciabili l’uno con l’altro?” domandò sorseggiando nuovamente dal proprio bicchiere, un leggero sorriso sulle labbra.

“Oh, ci puoi giurare.” Sakura contraccambiò il sorriso, lo sguardo smeraldino che brillò di una luce strana. “In fondo, abbiamo tutti i nostri difetti, per quanto non amiamo esporli.”

“Stasera ti piace giocare agli enigmi.” ribatté l’amica. “Cos’è, fare il medico non ti basta più? Punti a diventare un’investigatrice?”

La Sannin scoppiò a ridere, ma le sue iridi rimasero puntate sulla figura di Naruto.

“Neanche per sogno!” e cambiò argomento, chiedendole di suo figlio Metal Lee.

Eppure, Tenten non fu per niente convinta. Quei discorsi a riguardo di segreti non erano tipici di Sakura, e dopo qualche minuto tornò alla carica, decisa a capire cosa le stesse nascondendo l’amica.

“Mettiamola così.” esordì l’Haruno, alzando una mano per interrompere la domanda di quest’ultima. “Stasera sono stanca e la mia lingua lavora troppo rapidamente per la mia testa affaticata. Ho detto cose che sarebbe stato meglio che tenessi per me.”

“Ciò non mi tranquillizza affatto.” osservò Tenten. “Ma deduco che questa risposta sia un gentile invito a non insistere con le spiegazioni, giusto?”

“Precisamente.”

“E c’è un modo con cui io possa estorcerti la verità?”

“Potresti minacciarmi di farmi baciare Naruto.” il tono era scherzoso, ma lo sguardo del ninja-medico era fin troppo serio.

La kunoichi mora non insistette, leggendoci, tra le righe, ciò a cui alludeva fin dall’inizio della serata la Sannin.

“Sai, forse hai ragione.” riprese a sorseggiare il vino, lanciando un’occhiata ad Hinata, impegnata a conversare con la sorella. “Forse non è una buona idea parlare di certe cose.”

“Concordo perfettamente.”

Non toccarono più la questione, ma più di una volta Tenten beccò l’amica a squadrare Naruto con sguardo fiammeggiante, comprendendo come quel segreto, dopotutto, non era più tale già da molto tempo.

 

 

Hinata fece un sospiro, asciugandosi la fronte madida di sudore. Nonostante fosse tornata a casa da due settimane, si stancava ancora con facilità e quella festicciola organizzata dal marito, per quanto fosse un pensiero dolce, rientrava sicuramente negli sforzi che la lasciavano senza energie. A complicare le cose, il pensiero della sua secondogenita la riempì di un senso di nervoso ed ansia orribile. Sapere che Himawari fosse al piano di sopra, profondamente addormentata, non riusciva a tranquillizzarla, facendole montare l’angoscia di cosa sarebbe potuto accadere mentre lei era al piano di sotto.

Non accadrà nulla… nulla. Fece un profondo respiro, cercando di scacciare via l’ansia che le divorava la mente. Non si era mai sentita così quando era nato Boruto e neanche ora che il primogenito era da suo padre le procurava sensazioni così intense come quelle che le nascevano nel petto quando stava lontana da Himawari.

Himawari… che nome strano ha scelto Naruto-kun…

 “Ohi.” Hanabi la riscosse dai suoi pensieri, le mandibole che lavoravano a pieno regime. “Sei sicura di stare bene? Ti vedo ancora un po’ pallida.”

“Non sono una bambina, Hanabi.” replicò la sorella, un sorriso sulle labbra. “Credo di poter sopravvivere fino al momento in cui andrò a dormire.”

“Se lo dici tu…” la Jonin scosse le spalle, impegnata ad addentare il quinto stuzzichino della serata. “Dicevi lo stesso quando eri incinta…”

“Hanabi!” la voce della sorella maggiore si tinse di nervosismo. “Non essere invadente, per favore.”

La kunoichi più piccola la squadrò con un’occhiata strana, che mise a dura prova i nervi stressati di Hinata.

“Dov’è la bambina?” chiese la Jonin, cambiando improvvisamente argomento, con sommo sollievo di quest’ultima. “Sei riuscita a staccarti da lei per qualche ora? Mi sorprendi.”

“Da come parli sembra quasi che io sia malata…” ribatté la Hyuga.

“Se per te questo è comportarsi normalmente…” Hinata trovava estremamente irritante il continuo ruminare della sorella, ma quest’ultima non parve accorgersi di questo. “Quando nacque Boruto-chan non ti comportasti così.”

“Himawari è diversa.” il tono della Hyuga iniziò ad incrinarsi, aggiungendo un goccio di freddezza.

“Diversa… già, è vero.” un sorrisetto spuntò sulle labbra della minore, mentre buttava giù il boccone con un lungo sorso di birra. “Un nome così strano… adatto alle bionde, non trovi?”

“Cosa…” Hinata distinse nitidamente la fiamma dell’alcool nelle iridi chiare della sorella, ma la voce continuava a risultare tremendamente chiara. “Di cosa stai parlando?”

L’ennesima occhiata di Hanabi le donò l’impulso fortissimo di strozzarla.

“Non te l’ha ancora detto?” il sorriso divenne più marcato, mentre la voce iniziò ad impastarsi a causa della birra. “Che stronzo… ha la faccia tosta di chiamare la figlia così e di non spiegarti nulla?”

“Sei ubriaca.” la kunoichi emise un sospiro, cercando di radunare la poca pazienza rimastale in corpo. “Dovresti smetterla di dire sciocchezze, Imoto.”

La Jonin emise un verso strano, un misto tra un singhiozzo ed una risata.

“Io sarò anche ubriaca, Neechan, ma di sicuro tuo marito è un enorme Baka.” proseguì nella sua risata, terminando la propria birra con un lungo sorso, lasciando la mente della sorella nel caos completo.

“Solo lui poteva decidere di chiamare la propria figlia, sangue del suo sangue, con lo stesso nome della donna che diede vita alla guerra civile!”

Nulla. La mente di Hinata non percepì nulla di insolito dopo che quelle parole sguaiate raggiunsero le sue orecchie. Il cielo era ancora al suo posto, il suo cuore pulsava regolarmente, le chiacchiere e le risate dei suoi amici si spargevano nell’aria come prima. I suoi occhi fissarono con placido disappunto la sorella minore che correva in giardino per rigettare il contenuto del proprio stomaco. Perfino il suo stesso sangue proseguiva a scorrerle tranquillo nelle vene, invece di seccarsi e farla urlare disperatamente, mostrando al mondo il germe della follia che si era appena radicato dentro di sé.

Naruto-kun… rivolse lo sguardo verso il marito, impegnato a ridere assieme a Sai. Naruto-kun ha fatto questo?

Doveva essere un errore, una sciocchezza dettata dall’alcool ingerito da Hanabi. Accettare che quel fatto fosse vero implicava una cosa orrenda, inaccettabile: che suo marito aveva sviluppato un qualche tipo di legame con quella donna. Un legame che aveva ben pensato di tenere nascosto a lei, sua moglie, per tre anni.

E se l’ha fatto significa solo una cosa…

Scosse la testa, rifiutando con ogni fibra del suo essere quel pensiero. Era orrendo, meschino, qualcosa che lei non doveva in alcun modo pensare di suo marito, di cui aveva la massima fiducia.

Ma perché non me ne ha mai parlato?

Non aveva una risposta, o almeno nessuna che riuscisse a tranquillizzarla.

E’ solo una mia suggestione… queste ultime settimane mi hanno scossa… volle crederci disperatamente, aggrappandosi a quella speranza, l’unica capace di sorreggerla sopra il baratro che le parole di Hanabi avevano aperto dentro di lei.

Perché, Naruto-kun? Perché?

Il seme iniziò a mettere radici profonde.

 

 

Naruto chiuse la porta di casa con un sospiro di soddisfazione. Quella piccola festicciola, la cui organizzazione gli aveva rubato parecchio del suo tempo nei giorni scorsi, l’aveva lasciato stanco ma felice. Specie per il fatto che quella peste di Boruto avrebbe passato la notte da Hiashi, lasciando a lui ed Hinata una notte tranquilla, sfuriate di Himawari permettendo.

Era stanco, anche se non fisicamente. Da molto tempo non riusciva più a dedicarsi ai propri allenamenti, occupato nel gestire una famiglia sempre più complessa ed un lavoro che non conosceva pause. Sentiva la mente galleggiare in un limbo, pronta a sprofondare nel sonno, mentre un velo di stanchezza gli appannava la vista.

“Chi era Himawari?”

Non rispose, non lo poteva fare. Registrò quella domanda con esasperante lentezza, mentre la consapevolezza di ciò che stava dietro a quelle parole lo investì, facendogli male, molto più male di un pugno di Sasuke.

Volse lo sguardo, fissando la moglie. Rabbrividì nell’osservare quegli occhi, quelle iridi chiare e fredde, così simili allo sguardo del cugino defunto. Naruto lo comprese, capì che dietro a quella barriera di ghiaccio si celava rabbia e dubbio, pronti a cedere il posto ad un inarrestabile furore.

Merda.

“Cos’hai detto?” mossa patetica, ma aveva bisogno di tempo, incapace di capire come avesse fatto la moglie a scoprire quell’aspetto del suo passato. Quest’ultima però non era della stessa opinione.

“Ti ho chiesto chi era Himawari.” si avvicinò, il volto sfigurato da una collera glaciale. “Voglio sapere chi era, Naruto-kun… adesso.”

Dentro di lui, Kurama ridacchiò, irritandolo tremendamente. Per un istante fu tentato di urlargli di stare zitto, ma l’occhiata della moglie lo dissuase dal distrarsi, facendogli percepire un brivido di paura lungo la schiena.

Era nei guai.

“Beh…” deglutì la compatta matassa di saliva che gli si era formata in gola, cercando le parole giuste per uscire da quella situazione. “Era… un’avversaria, con cui ho combattuto tempo fa.”

“Questo lo sapevo.” fu la secca replica della Hyuga. “Quello che voglio sapere è per quale motivo hai scelto proprio quel nome per nostra figlia. Qual era il tuo legame con questa donna?”

Fece un sospiro. Era stanco, e quelle domande improvvise gli pesavano come sbarre di ferro nella testa, facendogli desiderare più che mai un letto.

“La rispettavo.” evitò gli occhi della moglie, quasi temesse che gli leggesse in faccia ciò che desiderava occultare. “Era una donna che amava molto la sua patria… e mi è dispiaciuto doverla combattere.”

Per alcuni istanti ci fu silenzio. Hinata non mutò la propria espressione, ma i suoi lineamenti, se possibile, si indurirono ulteriormente.

Lo schiaffo risuonò con violenza nel salotto della casa.

“Bugiardo.” la voce della donna era affilata come un kunai. “Tu non la rispettavi soltanto. Non puoi spiegare così il nome di nostra figlia.” lo costrinse a fissarla dritta negli occhi, occhi che lui amava, e che soffriva nel vederli così ricolmi di rabbia.

“Tu…” un esile sospiro, quasi una disperata richiesta di negare tutto, di rassicurarla, di dirle che le fondamenta costruite anni fa erano ancora là, solide, a sorreggere tutto ciò che avevano costruito assieme. “Tu avevi… una relazione con questa donna, non è vero?”

Abbassò lo sguardo, sentendo le labbra bruciare al ricordo di quell’unico bacio, ricolmo di una passione troppo ardente per poterla liquidare. Era esistita, potente ed inarrestabile come solo il desiderio per una persona può esserlo. Ora doveva pagare lo scotto di aver ceduto a quella passione.

“Lei mi amava…” la voce gli uscì rauca, quasi si rifiutasse di ammettere la propria colpa. “Io… non sapevo più chi ero…”

Gli occhi di Hinata si spalancarono, le labbra socchiuse in un lungo urlo silenzioso, incapace di trovare parole per il dolore che aveva iniziato piantarsi nel suo petto, penetrandole nel cuore come una lama incandescente.

“Tu mi hai tradita…”

“Non c’è stato nulla, Hinata… devi credermi.” Naruto provò ad indietreggiare, ma la corvina gli afferrò la protesi con tanta forza da procurargli dolore.

“Io mi dolevo per te… e tu mi hai tradita con un’altra donna.” una lacrima percorse l’ovale della kunoichi, mentre il dolore si mescolava alla rabbia che montava furiosa, lasciandola preda di una furia incontenibile. “Io mi prendevo cura di nostro figlio… e tu ti portavi a letto un’altra donna.”

“No! Non è vero!” il Jinchuuriki si liberò della presa. “Non ti ho tradita, questo mai!”

“E allora cosa ci fu? Hai detto che eri confuso, che lei ti amava, cosa ci fu tra di voi? Per quale motivo hai scelto di dare il nome di una donna che ti amava a nostra figlia?!”

Nuovo silenzio, un silenzio che pesava come la più schiacciante delle prove. Un istante in cui ogni bugia e gioco di parole si dissolsero, mettendo a nudo la cruda verità.

“Rispondimi!”

“Un bacio…” l’Uzumaki si passò la protesi tra i capelli, nel tentativo di nascondere la faccia alla consorte. “Ci fu un bacio prima che io… le togliessi la vita…”

Hinata inspirò bruscamente, quasi un coltello le avesse lacerato la carne. Rimase immobile per lunghissimi secondi, la frangia a coprirle il volto di un pallore mortale.

“Hinata…”

“Vattene.” la voce suonò debole, le mani colte da un tremore incontrollabile.

“Hina-chan…”

“Vattene da questa casa, Uzumaki Naruto.” si morse il labbro inferiore fino a spaccarselo, nel tentativo disperato di trattenere le lacrime. “Vattene e non tornare mai più.”

Naruto rimase immobile, le parole fredde e ricolme di dolore della moglie l’avevano ferito profondamente, più internamente di qualsiasi colpo subito in passato. Provò a sfiorarle la mano, ma lei si ritrasse di scatto, quasi disgustata da quel tocco.

“Ti ho detto di andartene.” alzò lo sguardo, le guance bagnate da lacrime cariche di rancore ed odio. “Vattene da qui… ti prego.”

Avrebbe potuto rimanere, far valere le sue ragioni, insistere in quella discussione per convincere Hinata della propria innocenza. Tutto quello che fece fu obbedirle, incapace di spiccare una sola parola innanzi a tanto odio e disprezzo nei suoi confronti, provenienti da colei che amava con tutto se stesso.

Si chiuse la porta di casa alle spalle, le ultime parole della kunoichi ancora nelle orecchie.

Hina-chan…

Avanzò nella strada ormai buia, lo sguardo vitreo, vuoto, prosciugato di qualsiasi volontà. Ogni passo gli ricordava Himawari, ogni respiro gli portava alla mente la voce di colei che un tempo lo amava, di colei che aveva ucciso con le sue stesse mani.

E subito dopo sopraggiungeva lo sguardo pieno di livore ed odio di Hinata, capace di ferirlo come nient’altro.

Sono un idiota.

Nel frattempo, in un salotto ormai invaso dall’oscurità, Hinata diede libero sfogo al suo dolore, accasciandosi in mezzo alle rovine della sua vita. Una vita perfetta ed ordinata che crollò miseramente su se stessa, come un castello di carte, sotto il peso di una menzogna.

 

 

Sakura uscì dalla doccia con un sospiro, sentendo la stanchezza scivolare via assieme all’acqua calda. Si guardò allo specchio, deprimendosi come sempre nel notare come il suo seno non fosse cresciuto neanche dopo l’allattamento di Sarada. Aveva appena finito di indossare l’intimo per la notte quando udì squillare il campanello di casa.

Chi diavolo è che rompe a quest’ora?! Sbuffò, decisa a non andare ad aprire. Sarada era a letto, e per la prima volta in tutta la settimana poteva dedicarsi un po’ a se stessa. Gli scocciatori serali avrebbe dovuto tentare un’altra volta.

Peccato che il campanello non smise di squillare.

Una vena iniziò a pulsare sinistramente sulla fronte della Sannin. Se c’era qualcosa che trovava più fastidioso di Naruto era qualcuno che la scocciava nei momenti sbagliati, e quello era uno di quei momenti.

Ora commetto un omicidio.

Alla quarta scampanellata, la kunoichi decise di andare ad aprire, solo per il gusto di poter spaccare la faccia all’esecrabile individuo che aveva deciso di rovinarle quel piccolo momento di pace, una colpa imperdonabile ai suoi occhi.

“Si può sapere cosa diavolo vole…” la voce le si strozzò in gola quando comprese chi le si parava di fronte.

“Ciao…” Naruto sorrise stancamente, i capelli umidi a causa dell’acquazzone appena scoppiato. “Sakura-chan, posso entrare?”

L’Haruno rimase immobile per un lunghissimo istante, le iridi smeraldine imbambolate. Fu con un secondo di ritardo che si accorse di essere in intimo all’ingresso del suo appartamento, in compagnia del suo migliore amico ad un orario troppo indecente per non pensare male.

“Entra.” borbottò, facendosi rapidamente da parte. “Sciagura umana.”

Lo shinobi non poté che essere d’accordo.

“Grazie.”

 

 

Dieci minuti dopo, Sakura porse una tazza di infuso caldo all’amico, il quale la accettò con riconoscenza, rabbrividendo nei suoi vestiti bagnati. Con un sospiro, la Sannin andò a trafficare nell’armadio del corridoio, ritornando dopo alcuni minuti con una coperta di lana.

“Tieni.” borbottò, lanciandola all’amico e terminando di vestirsi in cucina. “Ti terrà caldo.”

Naruto accettò con un cenno del capo l’indumento, avvolgendosi con gratitudine. Prese a sorseggiare il suo infuso, mentre la Sannin si sedette di fronte a lui sul tavolo di cucina, le iridi smeraldine fisse sul volto di quest’ultimo.

“Dunque Hinata ti ha dato il benservito, dico bene?” non ci aveva messo molto a capire il motivo di quella visita serale, specie osservando l’espressione mortificata sul viso dell’Uzumaki.

“Già.” non era in vena di chiacchiere, visto come aveva faticato per dare uno straccio di spiegazione all’amica.

Sakura sospirò, appoggiando il mento sulla mano sinistra.

“Solo tu potevi far arrivare all’esasperazione una donna paziente come Hinata.” mormorò, toccandolo sulla fronte con l’indice sinistro. “Baka!” Naruto non reagì alle parole di lei, proseguendo nel suo mutismo, lo sguardo perso nel vuoto. Non le era mai parso tanto fragile, potendo finalmente constatare quanto sottile fosse l’aura di invincibilità che lo circondava da anni.

“Ascolta, Naruto.” gli sollevò il viso con due dita, costringendolo a guardarla. “Puoi rimanere qui con me e Sarada anche dieci anni se lo desideri… lo sai che sarò in debito con te per tutta la vita.” indurì lo sguardo, preparando accuratamente le parole, nel tentativo di spronarlo. “Ma se vuoi davvero salvare ciò che resta del tuo matrimonio, ti consiglio di cominciare subito a pensare a qualche idea, perché stavolta l’hai combinata davvero grossa.”

“Non preoccuparti.” borbottò il Jinchuuriki. “Domani vado a recuperare le mie cose e andrò da Iruka-Sensei. Stasera era troppo tardi per disturbarlo.”

“Non hai risposto alla mia domanda.”

Rimase in silenzio, lo sguardo nuovamente basso. In verità, lo shinobi non aveva la più pallida idea di cosa fare con Hinata. Non sapeva come fosse venuta in possesso della verità, ma era un aspetto irrilevante in confronto a ciò che aveva visto. Vedere il dolore e la rabbia scolpirsi sul viso della moglie era stato orribile, facendogli comprendere fino in fondo il baratro in cui la consorte era caduta per causa sua.

Solo colpa mia…

Si passò la protesi sul volto, la mente che galleggiò verso ricordi più dolci del presente. Rivide Hinata davanti a sé il giorno del loro matrimonio, la mattina che aveva rischiato la vita per salvarlo da Pain, la notte in cui l’aveva sorretto quando Neji era morto tra le sue braccia. Ogni volta che aveva avuto bisogno di un appoggio, di un aiuto, Hinata era sempre stata pronta a darglielo, senza esitare, convinta che lui fosse una persona meravigliosa ed importante, una persona con la quale si potesse costruire un futuro.

Lei per me c’è sempre stata… ma io?

Sentì un sapore amaro sulla lingua, quasi avesse ingoiato cenere nel rimembrare il suo fallimento come marito e compagno. L’aveva sempre lasciata sola, a crescere Boruto, impegnato in un lavoro soffocante. Le aveva nascosto per mesi la verità su ciò che era accaduto durante la Guerra Civile, tradendo la sua fiducia, ed alla prima occasione aveva ceduto al desiderio per un’altra donna, una guerriera forte e selvaggia, capace di toccare corde del suo cuore che Hinata, gentile e volenterosa, non era mai riuscita a sfiorare.

Non mi merito un’altra occasione. Era un pensiero orribile, ma vero. Lui, che non si era mai arreso, che aveva sempre lottato per i propri sogni, aveva perso ogni voglia di combattere, di lottare per quel legame ormai sfilacciato, in procinto di spezzarsi del tutto.

Sentì lo sguardo di Sakura su di sé, in attesa di una sua risposta. Ebbe paura. Sakura non l’aveva mai abbandonato, neanche nei suoi momenti peggiori, ma ne temeva il giudizio, di osservare la delusione contorcere i lineamenti del suo viso, mentre osservava la sua aura di ninja invincibile che si spaccava in mille schegge.

“Io… non so cosa farò.” mormorò, lanciandole un’occhiata di sottecchi. “Dubito che Hina-chan mi voglia riprendere dopo… una simile cosa.”

La Sannin corrugò le sopracciglia, stringendo le labbra fino a formare una linea inespressiva. Il suo primo impulso fu quello di prendere a schiaffi l’amico, ma si controllò, convinta che in quel caso servissero di più le parole dei pugni.

“Immagino che tu sappia il motivo per il quale Hinata è arrabbiata con te.” esordì, nel tentativo di far ragionare il Jinchuuriki.

“Non mi sembra difficile.” replicò sarcastico quest’ultimo. “Anch’io sarei furioso se mia moglie baciasse un altro uomo.”

“Naruto, se in questo istante io ti baciassi, e tu domani spiegassi ad Hinata la faccenda, sono sicura che lei si arrabbierebbe, ma non ti caccerebbe di casa come invece ha fatto.”

Un’espressione beota fu l’unica risposta che ottenne.

“E perché dovremmo baciarci?”

“Il mio era un esempio.” fece un profondo respiro, cercando di radunare con esso anche qualche quintale di santa pazienza. Si era dimenticata quanto tardo potesse essere il cervello di Naruto. “Il punto è un altro: Hinata non è arrabbiata con te perché hai baciato un’altra donna. O meglio, non solo.” picchiettò l’indice sinistro sulla fronte dello shinobi. “Il motivo principale è che tu non glielo hai detto, facendoglielo scoprire nel peggiore dei modi, senza contare che hai chiamato tua figlia con lo stesso nome della donna con cui hai pomiciato a sua insaputa.”

L’Uzumaki si umettò le labbra, lo sguardo basso. Le parole di Sakura gli caddero addosso con la violenza di uno tsunami. Era vero, tutto maledettamente vero.

“Ho tradito la sua fiducia.” sussurrò. “Ora lei… non sa più se può fidarsi di me.”

La Sannin chiuse gli occhi per un istante, ringraziando mentalmente ogni divinità esistente per aver permesso a Naruto di comprendere il nocciolo della questione in tempi straordinariamente rapidi.

“Ora che hai capito, puoi comprendere quanto profondo e devastante sia il dolore di Hinata.” dichiarò. “Lei ti ha amato fin da quando era una ragazzina. Sei stato per anni il suo modello, il suo punto di riferimento… ed ora ha scoperto che tutto quello che credeva di sapere su di te era solo una menzogna.”

“Non è vero!” la voce di Naruto si tinse di orgoglio, deciso a rigettare quelle affermazioni infami. “Non ho mai ingannato Hinata, e tu lo sai! Ho solo avuto… un istante di debolezza.”

“Io lo so… ma lei? Chi le può assicurare che tu non le abbia taciuto altro?”

Nella cucina scese un silenzio pesante. Il Jinchuuriki si sentiva la testa scoppiare: nel giro di un paio d’ore, il suo intero mondo era stato distrutto, e non poteva fare altro che raccoglierne i cocci, osservando la desolazione attorno a sé.

“E’ una questione di fiducia, Naruto.” ora il tono della kunoichi divenne più morbido. “Spetta a te decidere se far ricredere Hinata, o gettare la spugna e perdere definitivamente il rispetto di tua moglie.”

Già, fiducia. Quella cosa misteriosa che per anni Hinata gli aveva chiesto, mentre lui si trincerava dietro un muro di bugie, alla disperata ricerca di seppellire quel momento di debolezza, ripetendosi che non era mai accaduto quando invece ogni singolo dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente.

“Ti preparo un letto sul divano.” Sakura si alzò. Sull’uscio della cucina, pianto le proprie iridi smeraldine sulla schiena ingobbita del suo migliore amico. Fece per sfiorargli la spalla, ma poi ci ripensò, uscendo a passo rapido, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

Wari… si toccò le labbra, mentre il ricordo della sensazione della lingua della Nukenin sulla sua gli riempì la bocca di un sapore amaro, di colpa.

Sono proprio un Baka.

 

 

La mattina dopo Hinata non c’era, così come Himawari. Naruto ipotizzò che la consorte fosse andata a recuperare Boruto dal padre e la cosa gli andava bene: non si sentiva pronto ad affrontarla dopo gli avvenimenti della sera prima.

Ci mise poco a farsi una borsa, mettendoci dentro solo lo stretto indispensabile. Non era la convinzione di ritornare a farlo agire in questo modo, quanto il disperato bisogno di uscire da quella casa il prima possibile, troppo carica di ricordi per non fargli male.

Tuttavia, quando fu sul punto di uscire, l’occhio gli cadde su una foto, racchiusa in una cornice rossa. Raffigurava Hinata con in braccio un Boruto ancora formato bebè. Il Jinchuuriki l’afferrò, osservando il volto sorridente della moglie, lo sguardo radioso di gioia, i lineamenti rilassati. In quell’istante, Hinata Hyuga rifulgeva vivida come una stella.

Il primo compleanno di Boruto… Sentì le viscere strizzarsi in una morsa d’acciaio, mentre un dolore sordo iniziò a farsi strada dentro di lui. Si rese conto solo in quell’istante come i suoi errori non si erano limitati a ferire Hinata, ma anche i suoi figli avrebbero dovuto pagarne lo scotto.

Che razza di padre sono?

“Moccioso…” sentì Kurama chiamarlo, ma non lo volle ascoltare: era stanco di rimproveri.

Si mise la foto in tasca, uscendo di casa con una borsa in mano e tanti rimpianti sulle spalle. La sua memoria andò ai giorni prima del matrimonio, quando si chiedeva se sarebbe stato capace di diventare un buon padre e marito. Si accorse che, alla fine, la risposta era giunta da sola, in tutta la sua tremenda chiarezza.

 

 

Mirai scrutò da dietro le fronde di un albero la figura minuta della propria Sensei. Strinse il kunai con maggiore forza, mentre contraeva i muscoli delle gambe, pronta a scattare in qualsiasi momento.

Ci siamo! Le iridi scarlatte della Genin scintillarono come quelle di un felino quando notarono i piedi di Hanabi raggiungere la posizione giusta. Non riuscì a trattenere un sorriso: quella volta l’avevano in pugno.

Stavolta la spuntiamo noi, Hanabi-Sensei!

Si lanciarono all’attacco, partendo ognuno dei tre da una direzione diversa. Shigeru evocò subito i propri insetti, i quali assunsero una posizione di cuneo, dirigendosi verso Hanabi. All’ultimo però, si divisero in due gruppi, colpendo ai lati la Jonin, la quale fu costretta a saltare verso l’alto.

“Prevedibile, mio caro.” subito dopo, alle spalle della Hyuga, comparve Aimi, kunai in mano, ma i movimenti della Sensei furono troppi rapidi per la Yogonuchi, la quale fu immobilizzata a mezz’aria con un braccio dietro la schiena dopo uno scambio di soli due colpi.

“Quindi ora manca solo la terza…” Hanabi sorrise, facendo cadere al suolo la propria allieva, un piede premuto sulla sua nuca. “Fatti sotto, Mirai!”

La Sarutobi non si fece attendere. Con un urlo di guerra, Mirai si lanciò verso la Hyuga, le mani impegnate a formare i segni per un ninjutsu di vento. Le iridi chiare della Hyuga brillarono, mentre si preparava a respingere l’attacco tramite il proprio Juken.

Prevedibile…

In quel preciso istante però, il corpo di Aimi si contrasse, quasi fosse stato colpito. La Yogonuchi svanì in uno sbuffo di fumo, mentre dal sottosuolo emerse nello stesso punto una seconda Mirai, le mani impegnate a formare dei segni che Hanabi non conosceva.

Ma cosa…

Subito dopo, robusti rami di legno comparvero dal terreno sottostante, intrappolandola con forza sempre più crescente. Hanabi percepì la gola stringersi dolorosamente, mentre il chackra scorreva strano dentro di lei, intorpidendole la mente.

Un genjutsu…

Non passarono più di cinque secondi da quando Mirai aveva lanciato la propria tecnica, che Hanabi reagì. Il suo corpo svanì in una nuvola di polvere, lasciando la Sarutobi sconvolta. Un istante dopo, kunoichi la colpì con una violenta ginocchiata sulla schiena, facendola schiantare al suolo.

“Fine dell’esercitazione.” la Sensei sorrise, aiutando un’indolenzita Mirai a rialzarsi, la quale non sembrò particolarmente entusiasta del risultato appena ottenuto.

“Potrebbe andarci più leggera, Sensei…” borbottò la ragazzina, massaggiandosi il fondoschiena. “Non passa giorno che non mi regala un nuovo livido.”

“Ti donano molto, Mirai… lo faccio per il tuo aspetto.”

Quest’ultima preferì non controbattere.

 

 

Ore dopo, Mirai si asciugò il sudore dalla fronte, il respiro pesante. Anche quel giorno Hanabi era stata di parola, lasciandoli senza fiato. Quest’ultima scrutò i propri allievi tenersi sulle ginocchia con sguardo fintamente severo, facendo fatica a trattenere un sorriso davanti a tanta determinazione.

“Bene, l’allenamento di oggi è concluso.” appoggiò le mani sulle spalle di Aimi e Shigeru, dando vita al sorriso che covava da qualche minuto dentro di sé. “Che ne dite di rendervi presentabili e poi di andare a mangiare qualcosa assieme? Offro io!”

Fu una cena strana. Hanabi tentò più volte di imbastire una conversazione, ma fu costretta ad infrangersi davanti al mutismo di Shigeru ed Aimi. Solo un’assonnata Mirai tentò di seguirla durante i racconti delle sue esperienze da Anbu. Quest’ultima tuttavia, per quanto non fosse sorpresa del silenzio dell’Aburame, rimase perplessa nell’osservare l’espressione cupa sul volto della Yogonuchi, impegnata a rimestare mestamente dentro il suo piatto.

“Ohi…” Mirai le diede un colpetto, tentando di ricevere segnali di vita, approfittando del fatto che Hanabi fosse andata a pagare. “Si può sapere cos’hai? Stasera sei più scontrosa del solito.”

“Vai al diavolo, Sarutobi!” borbottò l’altra, lanciandole un’occhiata incenerente. “Non ho voglia di vederti gonfiare il petto come un tacchino.”

“Ma di cosa stai parlando?”

“Cosa credi, che sia cieca? Ho visto benissimo quanto ti è piaciuto ricevere complimenti da Hanabi-Sensei riguardo al tuo genjutsu. Immagino fosse fin da subito la tua idea: usarlo per fare colpo su di lei.”

“Stai vaneggiando.” replicò Mirai, sorpresa da quel tono velenoso, reminiscenza dell’Accademia. “Figurati se mi metto a fare lezioni extra con mia madre solo per fare colpo sulla Sensei!”

“Piantala di fare la finta modesta!” Aimi sembrava fuori di sé, il volto contorto in un’espressione di pura sofferenza riguardo a ciò che stava per dire. “La verità è… che tu… tu… tu sei più brava di me!” strinse così forte le bacchette da romperle, mentre Mirai percepiva la parte più malvagia ed infida di sé ballare la conga nell’udire la sua rivale pronunciare simili parole. “Ogni giorno che passa… tu diventi sempre più abile. Kami, riesci addirittura a fare un genjutsu! Io invece… non riesco a fare nulla. Ho cervello… ma a quanto pare non è sufficiente per essere un ninja.”

“Non lo trovo corretto.” fu Shigeru ad intromettersi, con la sua voce bassa e modulata. “Penso che tu abbia un’ottima preparazione. L’intelligenza è solo una delle tue qualità.”

La Yogonuchi sbuffò.

“Per favore, Shigeru! Tu hai un’abilità innata fenomenale! Io non ho nulla. All’Accademia ero brava perché me la cavavo con lo studio, ma qui, nella vita reale, i libri non servono a nulla.” Abbassò lo sguardo turchese, un lampo di malinconica rassegnazione sul viso. “Forse aveva ragione mio padre… non avrei mai dovuto intraprendere questa strada.”

Mirai non seppe cosa dire. Non aveva mai visto la sua rivale così debole ed indifesa. Aveva sempre trovato ammirevole la determinazione e l’intelligenza che la Yogonuchi metteva in tutto quello che faceva. Sapere che quest’ultima la invidiasse e la trovasse più in gamba le procurava una sensazione nuova, diversa dalla gioia maligna che il suo io interiore aveva espresso pochi istanti prima.

Aimi… provò a dire qualcosa ma si accorse che le parole non le uscivano di bocca, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Tutto quello che fece fu di rimanere seduta, osservandola alzarsi di scatto.

“Bella serata.” mormorò quest’ultima con voce tremante. “Ringraziate la Sensei da parte mia.”

“Aimi.” Shigeru tentò di fermarla, ma la ragazza fu più rapida, uscendo rapidamente dal locale.

Nel frattempo, ad un tavolo di distanza, Hanabi, apparentemente impegnatissima a lodare la pettinatura della cameriera, si mordicchiò una guancia, sorpresa di ciò che aveva appena udito e visto.

Aimi, dunque è questa la tua determinazione?

 

 

Iruka era un uomo che difficilmente si sorprendeva. Dopo una vita passata ad insegnare, era convinto di averle viste veramente tutte. Tuttavia, il neo preside dell’Accademia, fu costretto ad ammettere che convivere con un proprio ex allievo buttato fuori di casa dalla moglie, dopo decenni da scapolo felice e donnaiolo, gli mancava nella lista delle cose che ‘non conosco e che non dovrei mai provare nella mia vita’.

Nella realtà, Naruto non era un coinquilino tremendo. Stava poco in casa, ed il più delle volte tornava solo per lavarsi e dormire. Iruka sospettava che il suo ex allievo non passasse tutto il proprio tempo in ufficio, e più di una volta lo sentì ritornare a notte fonda con addosso un forte sentore di alcool, facendolo riempire di rabbia.

Naruto non è questo.

Non era così che doveva andare. Sapeva che Naruto non sarebbe mai stato un uomo perfetto, ma era fiero di vedere quanto impegno ci aveva sempre messo per combattere i propri difetti, per migliorare come ninja, ma principalmente come persona. Invece ora il Jinchuuriki pareva vinto, deciso a smettere di lottare per la propria famiglia, incapace di accettare i propri errori e tentare di provi rimedio. Naruto si era arreso. Ed una persona così rinunciataria e immersa nell’autocommiserazione non meritava il suo rispetto ed il suo affetto.

Doveva intervenire, ancora una volta, per evitare che il suo fratellino distruggesse tutto ciò che aveva costruito in quegli anni con tanta fatica.

Sciocco di un Baka…

Non andò a letto quella sera, attendendo il suo ritorno. Era passata da poco mezzanotte quando udì il girare di una chiave nella serratura, assieme ai passi strascicati dell’Uzumaki.

“Bentornato.” esordì, una volta che quest’ultimo entrò in cucina. Lo shinobi rimase sorpreso di trovare il suo vecchio insegnante ancora sveglio, ma non si scompose eccessivamente.

“Non dovreste rimanere alzato così tanto, Iruka-Sensei.” borbottò, versandosi dell’acqua. Iruka poteva sentire distintamente anche a quella distanza il fetore di alcool stantio. “Domani dovrete alzarvi presto.”

“Ritengo di essere sufficientemente adulto per valutare questo aspetto della mia vita.” il preside gli lanciò un’occhiata penetrante, le labbra strette a formare una linea piatta. “Lo stesso non posso dire di te, Naruto.”

Nell’ambiente scese un silenzio teso, rotto solo dal rumore degli elettrodomestici. L’Uzumaki fece un profondo respiro, la faccia sfatta di uno che dormiva troppo poco.

“E’ un po’ tardi per farmi la ramanzina.” mormorò, ingollando il proprio bicchiere. “Vada a letto, Iruka-Sensei.”

“Siediti.” la voce di quest’ultimo risuonò gelida, mentre spingeva la sedia di fronte verso il fratello minore. “Questo è un ordine non da insegnante, ma da fratello maggiore, Naruto.”

Per un istante il Jinchuuriki sembrò deciso ad ignorarlo. Tuttavia, dopo qualche secondo, si sedette con uno sbuffo, appoggiando i gomiti sulla superficie liscia, gli occhi cerulei spenti.

“Veda di fare in fretta.” borbottò. “Domani devo lavorare.”

Per un istante il Chuunin valutò l’ipotesi di picchiarlo, ma si contenne, convinto che non fosse quella la strada giusta per aiutare il suo fratellino.

“Naruto…” emise un sospiro, alla ricerca delle parole giuste. “Si può sapere cosa intendi fare? Intendi mollare tutto, lasciare che gli sforzi di tutti questi anni vadano in fumo?”

“Non è una decisione che ho preso io.”

“Sì, invece.” Iruka lo guardò con cipiglio gelido. “E’ stata una tua scelta quella di tradire la fiducia di Hinata, così come è una tua scelta quella di lasciarti andare in questo modo pietoso.”

Per lunghi secondi, lo shinobi più giovane non rispose, lo sguardo perso tra i ricordi.

“Non può sapere cosa ho vissuto in quel periodo, Iruka-Sensei.” mormorò infine. “Non ha idea di quanto dolore ho dovuto combattere a causa delle conseguenze delle mie azioni.” un sorriso amaro gli deturpò i lineamenti del viso, invecchiandolo. “Ad un certo punto, ho pensato pure di lasciare Hinata. Dopotutto… non mi ero comportato in maniera corretta nei suoi confronti.” alzò gli occhi, dirigendoli verso il suo vecchio insegnante. “Vuole sapere cosa mi ha permesso di non sprofondare nella pazzia?”

Iruka si limitò ad annuire lentamente.

“La consapevolezza che se mi fossi lasciato andare, i morti che mi pesano sulle spalle sarebbero tornati a tormentarmi.”

 

“Naruto… sono felice che tu sia qui… prima della fine.”

 

“E’ la pura verità.” non c’era dolore nella voce del Jinchuuriki, quanto più una sordida rassegnazione. “Compresi che il mio ruolo era accanto ad Hinata, ma non per lei, ma per a mio figlio. Un figlio che non meritava di pagare, di assaporare la solitudine per le colpe di suo padre.”

“Eppure è proprio quello che stai facendo ora.”

“Non capisce.” il sorriso non sparì dalle labbra dello shinobi biondo. “Quando Hinata mi ha rinfacciato ciò che ho fatto, ho sentito dolore, un dolore tremendo… ma non rimorso.” smise di sorridere, umettandosi le labbra, alla ricerca delle parole giuste. “Fu in quel momento che capii: non posso chiedere il perdono di Hinata per qualcosa di cui non mi pento. Significherebbe ingannarla di nuovo, e sarebbe peggio di ogni cosa… anche della fine del nostro matrimonio.”

Iruka scosse la testa.

“No, non puoi cavartela in questo modo.” replicò. “Posso capire che tu non ti senti di ritornare con Hinata dopo quello che è accaduto, ma questa volta non si tratta solo di te, così come non si tratta solo di Hinata.” si sporse in avanti, lo sguardo di ghiaccio. “Questa volta ci sono di mezzo due bambini; e se tu li farai soffrire, proprio come abbiamo sofferto noi, sappi che non ti perdonerò mai.”

Non rispose, incapace di trovare la soluzione. Si sentiva come spaccato in due, diviso tra ciò che desiderava e ciò che credeva fosse giusto. Chiedere ad Hinata il perdono per ciò che aveva fatto, senza aver neanche provato del rimorso, lo riteneva abominevole, ma non poteva neppure abbandonare in quel modo i suoi figli, la cosa più cara che possedeva.

Cosa devo fare… avrebbe desiderato avere una risposta, un segno che lo indirizzasse verso una scelta. Invece si sentiva la testa scoppiare, la mente che ritornava perennemente a quell’istante di tre anni prima, quando le sue labbra si erano incollate a quelle di Himawari, creando una crepa tra lui ed Hinata, cresciuta fino a diventare una voragine.

“Avete ragione.” mormorò. “Non posso far soffrire i miei figli.” strinse le mani a pugno, sentendosi semplicemente impotente. “Ma non ho idea di come fare per… risolvere tutto questo.”

L’espressione sul volto di Iruka si ingentilì. Improvvisamente, ciò che vide fu solamente un uomo separato dalla sua famiglia, che non riusciva a trovare la serenità per ricongiungersi con essa.

“Purtroppo in questo non posso aiutarti.” esordì il preside. “Tuttavia, sappi una cosa: non mi hai mai deluso da quando ti conosco.” gli sorrise, cercando di infonderci tutto il proprio affetto in quel semplice gesto. “E sono convinto che neanche stavolta lo farai.”

Naruto non rispose. Ripensò a tutto ciò che aveva compiuto, a quanta strada era riuscito a compiere dal giorno in cui aveva conosciuto Iruka. Non era una strada perfetta, e spesso era caduto ed aveva fallito, ma era la sua strada, la sua vita. Una vita di cui ora facevano parte non solo Hinata e tutti i suoi amici, ma anche Boruto ed Himawari.

E il suo Nindo era di non arrendersi mai.

Questo non sono io.

Forse poteva tentare ancora una volta. Provare di nuovo a cambiare le cose, impedire che i propri figli soffrissero l’assenza di un padre. Non era sicuro di riuscirci, ma doveva tentare di conquistarsi il perdono di Hinata, indipendentemente che ne fosse degno o meno.

Iruka-Sensei ha ragione… non si tratta di me, non più.

Sapeva bene che per un genitore nessun sacrificio era troppo grande nei confronti di un figlio, e voleva anche lui tenere fede a quella regola, la quale aveva portato i suoi a dare la vita per lui.

Ancora una volta.

Rispose al sorriso di Iruka. Un sorriso stanco, ma di nuovo vivo, capace di contenere tutta la determinazione del mondo.

Boruto… Himawari…

I suoi figli erano meritevoli di un simile sacrificio. Non aveva idea di come avrebbe fatto, ma era sicuro che, se non si fosse mai arreso, alla fine ce l’avrebbe fatta.

Lo faccio per voi.

Era pronto per tornare a combattere.

 

 

Shikadai squadrò sua sorella con occhio critico. Quest’ultima agitava davanti al viso del bambino un giocattolo colorato con scarso entusiasmo, le iridi scarlatte perse in un punto fisso davanti a sé.

“Seccatura…” il piccolo Nara tentò di arrampicarsi sul petto della sorella, ma il suo fu un tentativo misero, testimoniato dal leggero tonfo con cui ricadde sulle gambe di quest’ultima. Il tutto sotto lo sguardo di Kurenai.

“Mirai, se sei stanca puoi lasciare Shikadai a me.” esordì la Jonin, uno strofinaccio tra le mani. “Non hai una bella cera.”

Mirai sussultò, ritornando alla realtà. Si sistemò meglio il fratellino sulle ginocchia, accasciandosi nell’angolino di divano da lei prediletto, rivolgendo un sorriso stanco alla genitrice.

“Vai tranquilla, mamma.” esordì con voce sicura. “Ci penso io a questo pigro!”

La Yuhi non fu molto convinta, ma quando abbassò lo sguardo non poté fare a meno di sorridere: tenendo fede al suo nome, Shikadai Nara si era appisolato profondamente, la testolina appoggiata sul petto della sorella.

“Cerca almeno di non disturbarlo troppo.” mormorò a bassa voce Kurenai, allontanandosi dal salotto. “Presto Shikamaru e Temari dovrebbero tornare.”

Come accadeva ogni anno, Shikamaru aveva tentato di evitare la cosa che più lo terrorizzava al mondo dopo sua madre: il suo anniversario di matrimonio. Ovviamente anche questa volta aveva fallito miseramente nel suo intento e Temari l’aveva costretto a pigiarsi in un abito tanto elegante quanto scomodo, costringendolo a portarla in giro ed esibendola come moglie trofeo, il tutto accompagnato dai suoi tentativi di suicidio. Kurenai aveva accettato con piacere di occuparsi di Shikadai, convinta che qualche ora assieme al piccolo Nara avrebbe tirato su di morale la figlia, apparsale ultimamente molto stanca.

Mirai appoggiò la testa allo schienale imbottito, sospirando. Si sentiva dolorante a causa dell’allenamento, ma era un dolore dolce e pulsante, che gli regalava una vaga sensazione di benessere. Sistemò meglio il fratello, chiedendosi come fosse possibile che un esserino tanto piccolo fosse così pesante, mentre i pensieri negativi di prima tornarono alla carica, costringendola a deviare la propria attenzione dal bambino che teneva sulle ginocchia.

Aimi. Mirai era fortemente indecisa se incazzarsi a morte con la compagna per averla costretta a pensarla anche durante i suoi momenti con il fratello, oppure essere preoccupata per lei. Quel giorno, infatti, per la prima volta da quando la conosceva, Aimi non si era presentata all’allenamento. Fin dai tempi dell’Accademia, la Yogonuchi non aveva mai saltato una singola lezione, neanche quando era stata sul punto di infettare tutta la classe con il suo raffreddore infernale. Eppure quel giorno, per la prima volta, Aimi aveva rinunciato ad allenarsi.

Non è da lei fare una cosa simile. Onestamente, la Sarutobi dubitava che avrebbe vissuto così a lungo per vedere qualcosa del genere. Era ai limiti del sovrannaturale. Eppure, tale avvenimento non l’aveva riempita di una gioia perversa, quanto più di una forte preoccupazione: soltanto qualcosa di così grave da spingerla ad un passo dalla morte avrebbe potuto portare Aimi a quel gesto estremo.

Al diavolo! Adesso mi preoccupo anche di quella smorfiosa! Scosse la testa, sospirando. C’era una parte di lei, quella più maligna, che continuava a suggerirle di infischiarsene dei problemi della rivale, e di approfittarne per festeggiare delle sue disgrazie. Ma erano ormai passate molte settimane da quando avevano cominciato a lavorare fianco a fianco, e un nuovo sentimento si era fatto strada dentro di lei: il rispetto, misto però a qualcosa di molto più profondo, su cui aveva troppa paura per riuscire ad indagare.

Cosa è diventata Aimi per me?

Shikadai si mosse nel sonno, borbottando qualcosa di indefinito. Prese ad accarezzargli distrattamente i capelli, calmandolo, lo sguardo perso nel vuoto, incapace di trovare una risposta a quella domanda. Poteva tranquillamente ammettere di essersi sbagliata sul conto della rivale, e di ritenerla un’abile compagna. Tuttavia, la sua coscienza si bloccava lì, sull’emergere quella nuova sensazione. Qualcosa di molto più profondo e complesso, con cui faticava a convivere.

Possibile che io e lei… siamo diventate… il solo pensare alla parola successiva le costò uno sforzo non indifferente. Amiche?

Erano amiche loro? Non lo sapeva. Shigeru, pur con tutte le sue stranezze, aveva imparato a conoscerlo e rispettarlo, arrivando a considerarlo un amico, qualcuno su cui avrebbe sempre potuto contare. Aimi no. Non riusciva a capire cosa provasse per lei, quali sensazioni e sentimenti si agitassero nel suo stomaco quando pensava al suo viso delicato e pallido, ai profondi occhi cerulei ed alla matassa d’oro che le scendeva lungo la schiena.

La sua mente le inviò, a tradimento, un’immagine di poche settimane prima: un’Aimi piangente nel fango, che scatenava in lei una furia sufficiente per scontrarsi con Hanabi-Sensei.

Quella volta, io l’ho protetta. Percepì una manina del fratellino pizzicarle un seno, ma era troppo immersa nelle proprie elucubrazioni per allontanare quel contatto scomodo. Ho messo il suo bene prima del mio…

Non era una frase del tutto onesta: anche lei aveva sofferto della situazione che si era venuta a creare con la Hyuga. Tuttavia, nessuno l’aveva costretta a difenderla e proteggerla. Eppure l’aveva fatto. Si era presa il dolore della Yogonuchi sulle spalle, facendolo suo e vendicandolo, come solo un’amica avrebbe fatto.

E un’amica non poteva restare indifferente a ciò che aveva mostrato Aimi con la sua assenza: un dolore forse più profondo di quello dell’ultima volta.

Ieri sera sono stata una stupida. rifletté amaramente, proseguendo ad ignorare il pastrocchiare di Shikadai sulle sue zone erogene. Avrei dovuto fermarla, dirle qualcosa… invece non ho fatto nulla.

Improvvisamente tutto andò a suo posto, come i pezzi di un puzzle dalla trama elaborata. Non era sicura che ciò che sentiva verso la compagna fosse amicizia, ma non poteva più liquidarlo come riluttante rispetto. Era diventato qualcosa di più. Capì che doveva agire, il prima possibile, o avrebbe rischiato di troncare di netto quel legame appena formatosi.

E di sicuro non era questo ciò che voleva.

Dopo sennò con chi litigo? Un fievole sorriso le illuminò il viso: aveva trovato una risposta alle sue preoccupazioni.

Dovrò trovare un modo per farmi perdonare.

“Allora la vuoi smettere?!” tirò un pugno in testa al fratello, il quale, immerso nel suo mondo onirico, le aveva stretto così forte il seno da farle male. “Cosa sono diventata, il tuo peluche?!”

Shikadai si tirò su di scatto, gli occhietti cisposi ed assonnati. Portò una mano alla testa, massaggiandosi la parte lesa, emettendo contemporaneamente un gigantesco sbadiglio.

“Perché mi hai svegliato?” borbottò, apparentemente indifferente al colpo appena subito. “Stavo facendo un bel sogno.”

Senza volerlo, la Sarutobi arrossì.

“Piantala di fare sogni indecenti, marmocchio!” esclamò, tirandogli un secondo pugno. “Hai solo tre anni, sogna cose da bambino!”

“Sei una seccatura…”

“E tu un fratellino indisponente.” Mirai sogghignò, schioccandosi le nocche delle mani. “E sai cosa accade ai bambini che fanno arrabbiare le sorelle maggiori?”

“No! Non voglio il solletico!”

“Oh, sì!” il sorriso della Genin divenne spietato, mentre si avventava sull’inerme Nara. “Così impari a stritolarmi le tette!”

“Basta, smettila!” Shikadai tentò di liberarsi, senza successo, mentre le dita della sorella adottiva si intrufolavano dappertutto, facendolo sobbalzare in continuazione. “Sei proprio una seccatura.”

“Ti sbagli.” improvvisamente, Mirai interruppe la sua tortura, iniziando a riempire di baci il bambino, lasciandolo perplesso e leggermente schifato. “Io per te sono Mirai-Oneesan.” Era troppo di buon umore per prendersela con il suo fratellino. Aveva finalmente capito cosa sentiva per Aimi e non vedeva l’ora di farsi perdonare, in modo da tornare ad essere un’unica squadra assieme a quest’ultima e Shigeru.

Ho un’amica… il suo sorriso si ingentilì, mentre regalava un enorme bacio sulla fronte del Nara. Possiedo due amici magnifici!

E si sarebbe fatta perdonare, ne era sicura.

Anche se tutto quello interessava relativamente al povero Shikadai.

“Le femmine sono tutte seccature.” borbottò, subendo l’ennesimo bacio della sorella.

 

 

Sakura si mise a sedere sul bordo del letto della figlia con un sospiro, i piedi doloranti per le dieci ore di turno appena finite.

“Allora…” esordì con un sorriso, rimboccando le coperte a Sarada. “Che storia vuoi che ti racconti questa sera?”

La piccola Uchiha la scrutò con il suo sguardo penetrante, tremendamente simile a quello del padre. Era incredibile quanto si somigliassero, perfino nelle sfumature più leggere. Due pozzi color ossidiana capaci di riportare indietro nel tempo la Sannin, quando era solo una ragazzina che non comprendeva il dolore del ragazzo di cui si era innamorata. Gli occhi di Sarada erano ancora puri, privi del baratro di odio e follia che per anni aveva alimentato quelli di Sasuke, ma per il resto erano gli occhi di una vera Uchiha.

“Mi piacerebbe sentire qualche storia su papà.” mormorò la bambina, il volto serio. Benché avesse ereditato la sensibilità della madre, era raro vederla sorridere.

“Di nuovo?” il sorriso di Sakura si tinse di malinconia, un dettaglio che non sfuggì agli occhi della piccola. “Ti piacciono proprio tanto le storie su papà, eh?”

“Sì!” esclamò l’Uchiha, gli occhi ricolmi di una fiamma piena di avida curiosità. “Anche se mi piacerebbe sapere cosa sta facendo in questo momento. Perché non torna mai per cena?”

La donna chiuse gli occhi per un istante, sentendosi tremendamente stanca. Mentire alla figlia era l’ultima cosa che avrebbe desiderato fare, ma raccontarle la verità significava metterla innanzi a qualcosa più grande di lei.

“Papà fa un lavoro super segreto.” tornò a sorridere, accarezzandole i capelli. “Purtroppo questo gli impedisce di tornare a casa per cena, ma ti assicuro che siamo sempre nei suoi pensieri.” le diede un bacio sulla fronte, cercando di infondere tutto l’amore che provava per lei, la sua bambina. “E vedrai che un giorno ci sarà anche lui a cena.”

Gli occhi di Sarada brillavano come fuochi fatui.

“E’ una promessa?” mormorò.

Sakura le diede un colpetto sulla fronte con la mano destra.

“Sì.” rispose con un sorriso materno. “E’ una promessa.”

Mezzora dopo, quando infine Sarada si addormentò, la Haruno uscì dalla stanza di quest’ultima con un sospiro. Fece per andare a farsi una doccia quando, improvvisamente, suonò il campanello.

Ma allora è un vizio!

Andò ad aprire a passo di marcia, fermamente decisa a picchiare chiunque fosse. Stavolta Naruto avrebbe dovuto trovare qualcosa di più grave della rottura del suo matrimonio per spingerla alla compassione.

“Mi vuoi spiegare perché devi sempre venire ad un orario indece…” la sua voce si spense, nuovamente, nello stesso istante in cui aprì la porta dell’appartamento, rivelandole la figura dell’ultima persona al mondo che si aspettava in quel momento.

Davanti a lei c’era Hanabi.

“Ciao.” esordì la Hyuga, un’espressione nervosa sul volto. “Devo parlarti, posso entrare?”

Per un lunghissimo istante la Sannin fu tentata di sbattergli la porta in faccia.

“Basta che fai in fretta.” sbuffò, lasciandola passare.

Hanabi tirò fuori il suo sorrisetto beffardo, irritando ulteriormente l’Haruno.

“Grazie.”

 

 

Sakura si sedette sul suo divano preferito, un calice di vino rosso in mano. Hanabi optò invece per una poltrona, anche lei con un bicchiere pieno.

“Spero per te che questa visita serale abbia una motivazione valida, oltre a quella di scroccarmi una bevuta.” esordì la kunoichi più anziana, sorseggiando dal proprio bicchiere. “Ultimamente casa mia sta diventando lo studio di uno psicologo.

“Il Baka è stato qui?” chiese la Hyuga, bevendo a grosse sorsate.

“Tre sere fa.” fu la risposta dell’Haruno. “A quanto pare, tua sorella e lui sono ai ferri corti.”

“Lo so.” Hanabi corrugò le sopracciglia. “Se fossi stata meno pettegola, a quest’ora questo casino non sarebbe successo.”

“Prima o poi Hinata l’avrebbe scoperto comunque. Non è colpa tua se Naruto si è comportato in quel modo.” liquidò la questione l’altra, sdraiandosi per dare riposo ai piedi stanchi. “Ma immagino che tu non sia venuta da me per confessare le tue colpe.”

La Jonin fece un profondo respiro, svuotando il proprio bicchiere. Ora che era arrivata fino a quel punto si sentiva un’emerita idiota. L’assenza di Aimi di quella mattina però l’aveva spinta a considerare anche quell’opzione, nonostante all’inizio l’avesse catalogata nella voce ‘cazzata gigantesca’.

Stupidi mocciosi.

“Effettivamente hai ragione.” prese tempo, versandosi altro vino. “Sono qui per farti una richiesta.”

Sakura attese pazientemente che l’altra trovasse il coraggio per parlare.

“Vorresti prenderti un’allieva?”

“Eh?!” per la prima volta dall’inizio della conversazione, la Sannin perse il controllo. Spalancò la bocca, gli occhi grandi come piattini da tè, convinta di non aver sentito bene. “Io dovrei fare… cosa?!”

“Prenderti un’allieva.” ora che si era sbloccata, parlare era semplice. “Sei una Sannin, non dovrebbe essere difficile per te addestrare una marmocchia nelle arti mediche.”

Sakura trincò il proprio calice in un colpo solo, nel tentativo di mettere ordine nella sua mente.

“Non so se te ne sei resa conto, ma la mia vita è già abbastanza incasinata così com’è.” borbottò, servendosi subito altro vino. “Non ho tempo per questo. Cercati un altro ninja-medico. A Konoha c’è ne sono di ottimi e posso passarti qualche nome se lo desideri.”

“No.” la Jonin scosse la testa. “Solo tu possiedi le capacità per aiutarla.”

“Mi sopravvaluti. Guardati attorno: vivo in un appartamento minuscolo, ho una figlia a carico, e lavoro come uno che spacca sassi, venendo pagata una miseria.”

“Sai benissimo che sono solo scuse. Quando tu diventasti allieva del Quinto, quest’ultima era un’Hokage.”

Nel salotto scese un silenzio di tomba. Sakura si prese la testa tra le mani, massaggiandosi lentamente le tempie. Si chiese per quale fottuto motivo quelle situazioni capitassero sempre a lei.

“E sentiamo: chi sarebbe questa mocciosa?” borbottò, tentando di guadagnare tempo.

“Aimi Yogonuchi.”

“Stai parlando della celebre famiglia Yogonuchi?” rimase sorpresa. “Non sapevo che si abbassassero a fare i ninja. Se le voci sono vere, hanno abbastanza soldi per comprarsi l’intera nazione.”

Hanabi chiuse gli occhi, rimembrando la discussione del giorno prima.

 

“Forse aveva ragione mio padre… non avrei mai dovuto intraprendere questa strada.”

 

La voce tremante, il volto contratto per evitare di piangere. Ogni cosa le ricordava con vividezza terribile la sua infanzia, quando era costretta a sopportare anche il dolore della sorella.

“Da quello che so, la sua scelta non è stata appoggiata dalla famiglia.” rispose con voce monocorde, ben decisa a non mescolare il suo passato con quella faccenda.

“E tu vorresti che me la prendessi come allieva.” la Haruno fece un sospiro, proseguendo a massaggiarsi le tempie, le quali stavano inviando un dolore sordo e costante al suo cervello. “Fa parte della tua squadra, giusto?”

Hanabi si irrigidì impercettibilmente.

“Sì.”

“E si può sapere perché desideri così tanto che la avvii alle arti mediche? Studiare medicina non è uno scherzo, tantomeno una cosa da nulla.”

“Sono ormai sette settimane che la vedo ogni giorno.” fu la risposta della Hyuga. “E’ una ragazza intelligente, con spirito di sacrificio e dotata di ottimo cervello.”

“Doti ammirevoli, ma non bastano per convincermi.”

La Jonin si appoggiò meglio contro lo schienale, riprendendo a bere.

“Sa controllare il chackra a livello di un Chuunin.” aggiunse con noncuranza, quasi fosse un dettaglio di poco conto. “L’ho vista con i miei occhi manipolare gli elementi dell’Acqua e della Terra senza problema alcuno.”

Sakura corrugò le sopracciglia, la mente che lavorava a pieno regime. Le parole che le aveva appena detto Hanabi erano qualcosa a cui era difficile credere.

“Da quanto tempo è una Genin?” domandò, pur sapendo benissimo la risposta.

La Hyuga sogghignò.

“Sette settimane.”

“E tu vorresti farmi credere che una novellina, fresca di diploma, è capace di utilizzare gli elementi del chackra con la maestria di un Chuunin?”

“Precisamente.” Hanabi gli lanciò un’occhiata penetrante. “Ora capisci perché mi sto rivolgendo a te?”

Sì, Sakura lo comprendeva. Una simile abilità, per quanto grezza, era più unica che rara. Lei stessa aveva dovuto esercitarsi sotto la guida brusca di Tsunade per due anni prima di raggiungere una simile maestria con il chackra. Si trattava solo di indirizzarla verso il giusto percorso. Se Hanabi non mentiva, e non aveva motivo di crederlo, era di fronte a qualcuno di veramente in gamba.

“Immagino che possa chiedere una mano a Tsunade-hime.” capitolò con un sospiro. “Ora che è in pensione, non credo le dispiacerà aiutarmi nell’allenare la tua ragazza.”

“Quindi accetti?”

“Ad una condizione.” la Sannin sorrise. “Dovrai convincerla tu a chiedermelo.”

Hanabi rimase perplessa innanzi ad una simile richiesta.

“E perché? Dubito che rifiuterà se glielo proporrai tu. Dopotutto, sei uno dei tre ninja leggendari.”

“Studiare medicina non è uno scherzo.” replicò seccamente Sakura. “Se andassi a proporglielo di persona, lei si sentirebbe in dovere di accettare. Io invece voglio che senta sua questa scelta, in modo che quando dovrà affrontare delle difficoltà, possa trovare la forza per superarle.” sorrise, sorseggiando dal calice. “E’ una tua allieva, quindi tocca a te prenderti questa responsabilità.”

Già, era una sua allieva. Forse l’aveva sempre saputo che sarebbe finita così. Eppure, Hanabi non poté fare a meno di sentirsi irritata all’idea. Provare a convincere una ragazzina depressa a studiare le arti mediche non era un compito dei più semplici.

“Deduco di non avere scelta.” appoggiò il proprio calice, alzandosi. “Lo farò, ma sappi che non ho intenzione di implorarla o chissà che altro.”

“Non te l’ho mai chiesto.” il sorriso non scomparve dalle labbra della Sannin. “Come ti ho già detto: deve essere convinta di intraprendere questo percorso.”

“Ti farò avere notizie il prima possibile.” si girò per andarsene, ma quando stava per aprire la porta dell’appartamento, la voce di Sakura la bloccò sul posto.

“Le vuoi bene, non è vero?” anche quest’ultima si era alzata, le iridi smeraldine fisse sulla schiena della Hyuga.

“Cosa te lo fa pensare?” replicò seccamente la Jonin, ma non riuscì a dare un tono sufficientemente duro al suo timbro di voce.

“Ti conosco, Hanabi. So che non sei tipo da aiutare facilmente il prossimo.” Sakura smise di sorridere, in attesa di una risposta che tardò ad arrivare, gli occhi fissi sul tremito che colpì la mano della kunoichi bruna appoggiata al pomello della porta.

Aimi.

Ripensò a tutti gli insulti che le aveva rivolto nelle prime settimane, all’odio ed al livore che aveva riversato addosso ai suoi studenti, infischiandosene dei loro sentimenti. Le parole della sera prima l’avevano colpita profondamente: Aimi poteva essere una Yogonuchi, ma quella frase mormorata tra singhiozzi aveva rivelato come quel cognome le pesasse tanto, forse troppo per una ragazzina di dodici anni.

Proprio come Neechan…

Digrignò i denti, nel tentativo di controllare il rimorso che aveva preso a bruciarle all’altezza dello stomaco. Un rimorso nato dalla sua stupidità e dal suo essere stata cieca nei confronti dei suoi allievi.

Sono stata crudele con te, Aimi…

“Ti sarei grata se la piantassi di dire stronzate.” dichiarò infine con voce monocorde, uscendo rapidamente dall’appartamento.

Sakura sospirò, scuotendo la testa, le labbra nuovamente stirate in un dolce sorriso di comprensione.

“L’orgoglio è una brutta bestia…” sussurrò, mettendo via i bicchieri usati. “Ma sono felice che tu stia crescendo così, Hanabi.”

Nel frattempo, in strada, una donna camminava a passo svelto. Teneva il volto basso, ma era facilmente individuabile un sorriso spuntare nell’oscurità della notte, così gioioso da illuminarle il viso, rendendola più bella che mai.

E’ tempo che mi faccia perdonare.

 

 

CONTINUA

 

 

Oh oh oh! Buon Natale (in ritardo) e felice Anno Nuovo!

Già… di solito in questo periodo si parla di amore, famiglia e carità… io invece parlo di tradimento. XD

Sì, lo so. Ultimamente sto dividendo troppe storie in più parti. Il fatto è che in questo capitolo iniziò ad affrontare una tematica difficile: il perdono. Quante volte chiediamo scusa ad una persona senza pensarci troppo? A volte però invece chiedere scusa, e soprattutto accettare le scuse, non è semplice. E questa volta voglio proprio parlare di questo.

Come avete potuto notare, in questa prima parte mi sono soffermato maggiormente su Naruto, e su cosa provasse. Nella seconda invece mi concentrerò di più su Hinata, che rappresenta colei che dovrà decidere se concedere il proprio perdono o meno.

Riguardo alla faccenda di Aimi, Mirai ed Hanabi vi dico solo questo: Aimi non sarà l’erede di Sakura. Il resto nei prossimi capitoli xD

Bene, direi che è tutto. Questo è l’ultimo capitolo del 2017. Un anno dove, purtroppo, ho ridotto molto la frequenza di pubblicazione, ma sono soddisfatto dei progressi compiuti, nonostante tutto. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito, seguito questa raccolta durante tutto l’anno. Grazie davvero di cuore!

Un saluto! E ancora tanti auguri!

 

Giambo

  
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