僕は孤独さ – No Signal
⌘
Parte sesta: Il caso Arakawa.
«Che
bella serata per scendere nelle fogne, con la merda fino alle ginocchia.
Divertitevi là sotto.»
Marude
aveva battuto una mano sullo spallaccio della tuta di Suzuya, con un leggero
sorrisetto di soddisfazione ad incorniciargli l’espressione seria. C’erano voci
di corridoio che sostenevano che il classe speciale non avesse ancora del tutto
perdonato il prodigio della ccg per l’avergli distrutto una motocicletta, tre anni
e mezzo prima, durante l’attacco a una base Aogiri nella undicesima
circoscrizione. Lo stesso attacco in cui lo stesso prodigio aveva riportato il
corpo martoriato del leader delle Giacche Bianche, Yamori, il cui kakouh ora
era stato imprigionato nell’anima della falce che Suzuya utilizzava come
quinque.
Maligno
o meno che fosse il commento del coordinatore dell’operazione, non sortì nessun
effetto sull’umore di Juuzou. Come prima di ogni sortita, era stabilmente
euforico. Non faceva altro che guardarsi attorno con i grandi occhi amaranto,
sbattendo i pesanti stivali contro il manto stradale, mentre canticchiava un
motivetto allegro, ma con intonazione funerea.
Hanbee
ci aveva messo due ore a convincerlo che scendere nelle fogne in ciabatte non
sarebbe stato saggio, ma alla fine lo aveva comprato con due stecche di
liquerizia.
«La
formazione che adotteremo oggi sarà quella frontale standard», stava nel frattempo
spiegando Nakarai ai membri della squadra. Il biondo si stava sistemando i
guanti neri, tenendo a terra, ai suoi
fianchi, le sue due valigette. «Appoggeremo le iniziative del caposquadra e, in
caso di attacco dato da molteplici nemici, io e Masa copriremo il lato sinistro
del caposquadra, mentre Tamaki e Mikage il destro. Abara…. Abara tu tieniti
sempre vicino a me.» Lo stangone moro arrossì lievemente, mentre Aiko
ridacchiava piano, accarezzandogli piano il braccio a mo’ di consolazione.
Nakarai non sapeva proprio farci con le persone.
«Possiamo
rompere i ranghi? Quell’albero laggiù merita la mia ultima pisciatina prima della discesa negli inferi.»
«Sei
un essere ripugnante.» Nakarai aveva storto il naso, rassegnandosi a Tamaki e
alle sue solite uscite colorite. «Rompete pure quello che volte, ma rimanete in
zona. Abara, vieni con me. Studiamo di nuovo la mappa del condotto fognario. Mi
serve la tua memoria.»
Aiko
aveva guardato Mizorou e Mika allontanarsi per liberare le rispettive vesciche,
ma aveva concordato con se stessa che non era esattamente il tipo di scena a
cui si sarebbe voluta sottoporre prima di una missione così rischiosa. Non
sapeva chi si sarebbe trovata di fronte, fra le Facce di Cuoio e Aogiri.
Sperava di non avere nessun contatto diretto con Enoki, in ogni caso. Non aveva
indossato un casco dopo tanto tempo a caso. Era pronta a ucciderlo nel minor
tempo possibile, conscia che se avesse anche solo detto una parola, allora
l’avrebbe certamente condannata. Per questo non riusciva a placare un leggero
tremore alle mani. Aveva paura e sentiva ancora lo spettro si Nakarai appoggiato
sulle spalle, nonostante il biondo avesse allentato la presa. O le avesse fatto
così credere.
Non
aveva contattato Tatara per domandare chi avrebbe dovuto incontrare il Ripper
quella sera. La paura di venire scoperta dal partner biondo, dopo che questi
aveva messo sotto controllo anche le reti telefoniche, la ossessionava. Non
sapeva niente di quel che sarebbe avvenuto fra i ghoul, ma di una cosa era
certa: non sarebbe stata una conversazione pacifica. Né una qualche sorta di
contrattazione amichevole.
Nessuno
lascia Aogiri.
Punto.
«Ei,
Mucchan. Non pensavo ci foste anche voi.»
Il
fantasma di quello che un tempo era il sorriso di Mutsuki Tooru le si mostrò di
fronte quando il giovane si fermò, facendo cenno a Yogi che li avrebbe
raggiungi subito. Masa salutò la ragazza bionda, adocchiando anche Hachikawa,
che di lato al furgone delle operazioni tattiche, stava parlando con Marude e
Yoshitoki Washuu. «Nemmeno noi sapevamo di esserci. Siamo appena stati chiamati
all’ordine, copriamo la squadra S3 per qualche ora.»
Aiko
corrugò la fronte. «Arima non arriverà subito? Perché? Avevano dato
disponibilità immediata.»
Il
ragazzo dai capelli verdi scrollò piano il capo, «Non ne ho idea. Come stai,
piuttosto? Sei con Suzuya, ora.»
Non
avevano parlato dal suo trasferimento e Aiko si rese improvvisamente conto del
fatto che per i Quinx, Tooru stava pian piano diventando un estraneo. Sì, per i
Quinx. Perché lei si sentiva ancora parte di quel team, al contrario del
ragazzo di fronte a lei. «Mi trovo bene», gli rispose senza mentire. Anche
Nakarai aveva aspetti positivi, dopotutto. Le stava insegnando molto sugli
appostamenti e la allenava a dovere. Il resto del team era meraviglioso e lo
spirito di unione era tangibile in ogni singola attività che svolgevano in
casa. «Sono più puliti dei Quinx. Ma anche più chiassosi. Non lo avrei mai
detto.»
Tooru
sorrise di nuovo. «Suzuya-senpai, da solo, sa essere molto rumoroso.»
«Sto
andando a salutare i ragazzi e Urie, vuoi unirti?», gli chiese, facendo cenno
col capo dietro di sé, dove la QS aveva occupato una panchina e un pezzo di
marciapiede.
Mutsuki
alzò gli occhi verso di loro, ma poi li riabbassò subito. Ad Aiko non sfuggì il
modo in cui strinse il pugno. «Scusami, Macchan. Devo assolutamente raggiungere
il prima classe Hachikawa. Dobbiamo parlare della nostra strategia.»
Masa
comprese che non era il caso di insistere. «Capisco. Allora ci vediamo
dall’altra parte della fognatura.» Si
sporse, dando al ragazzo un veloce abbraccio che venne ricambiato. Poi si staccarono e presero due strade
opposte.
Aiko
raggiunse i Quinx o almeno ci provò. Higemaru le fu addosso in due secondi,
iniziando già a lamentarsi del fatto che in quelle due settimane nella squadra
Suzuya non si era fatta più vedere allo chateau.
«Sto lavorando parecchio», si scusò lei, venendo investita due secondi dopo da
Saiko, con la stessa identica lamentela e la fisicità più sostenuta di quella
del ragazzino.
«Sei
terribile! Come Mucchan! Siete due mostri!»
Aiko
roteò gli occhi verso il cielo, con un sorrisetto divertito, mentre appoggiava
la mano fra i codini del vice caposquadra in carica della QS. «Il mio asilo
personale», sussurrò a mezza bocca, beccandosi non una, ma ben due occhiate
indignate. Fece un cenno di saluto anche ad Aura e Hsiao, che ricambiarono.
Lesse qualcosa negli occhi della taiwanita di poco tangibile, ma quando poi le
sorrise chiedendole come stava, lasciò perdere quell’ennesima paranoia. «Non mi
lamento. Sto in avanguardia.»
«Anche
noi», disse Urie, seduto sulla panchina accanto a Shinsampei. Aiko gli schioccò
un’occhiata poco gentile visto che non si era nemmeno alzato per salutarla. «Scenderemo
insieme e avanzeremo fintanto che potremo.»
«Se
avrai fortuna incontrerai di nuovo Labbra Cucite e potrai prenderti la tua rivincita»,
lo stuzzicò la mora, lasciandosi cadere accanto a lui sul legno. Buttò indietro
il capo, sentendo l’elmetto scivolare di pochissimo e tirarle contro il mento.
Tenne gli occhi sulle stelle mentre passava il braccio oltre le spalle di Kuki,
che cercò di ritrarsi inutilmente. Aura lo bloccava lì dove stava. «Oh, ti ho
offeso? Pazienza, sei solo più carino quando fai quella faccia. Mi ricordi un gattino.»
«Labbra
Cucite deve sperare di non incontrarmi mai più», brontolò Urie, impossibilitato
a ritrarsi, mentre Masa gli prendeva il naso tra pollice e indice. Non poteva
nemmeno ficcarle le dita fra le costole a causa della divisa da battaglia. «E
tu non sfidare la mia pazienza. Sto cercando di trovare la concentrazione
giusta per il momento.»
«Va
bene che dobbiamo scendere nelle fogne, ma se dici così sembra quasi che tu
debba usare il bagno.»
«Aiko…»
«Sì,
amore?»
Aura
si alzò in fretta. Masa pensò a quanto le mancasse tutto ciò.
«Aiko.»
«Saremo
sotto terra, incanalati in un reticolo fognario paragonabile solo ad un
labirinto di escrementi e acqua di scarico, nel quale sarà difficile usare il
kagune per loro come per noi. È una missione molto rischiosa, Cookie, e la
percentuale di perdere metà dei nostri uomini, dato che non sappiamo il numero
dei nemici, è del quaranta per cento. Lasciami divertire finché posso.»
Kuki
la guardò negli occhi dorati, notando una leggera venatura di inquietudine
trapassarle le iridi. Non aveva mai visto la paura sul volto della giovane
prima di una missione, ma sempre molto ferma nella sua posizione. «…Sembri
preoccupata. Cosa ti spaventa?»
«La
mancanza di informazioni», ammise lei, levandosi un guanto per passarsi la mano
fresca dietro al collo. «Mi sembra di essere tornata alla mia prima grossa
missione, quella di sgombero di una sede di Aogiri nella undicesima. Sembrava
una operazione come tante altre, ma alla fine ci siamo ritrovati di fronte
Aogiri al completo e il Gufo col Sekigan, perdendo il cinquanta percento degli
effettivi e riuscendo solo a uccidere un solo capo, Yamori delle Giacche
Bianche. Questa situazione…. Mi ricorda quella notte. Non sappiamo chi c’è lì
sotto. Non sappiamo se ci sono tutte le Facce di Cuoio, circa una ottantina di
ghoul incazzati. Poi parliamo di nuovo di Aogiri. Se è Labbra Cucite ad aver
chiesto un incontro con un suo ex collaboratore che ora vuole fare a pezzi, di
quanti uomini dispone? O magari è solo lei?»
Higemaru,
che stava palesemente origliando la conversazione, si voltò verso l’ex partner.
«Solo lei? Contro tanti nemici? Non potrebbe mai vincere.»
Aiko
scrollò le spalle. «Possiamo dirlo con certezza? Non abbiamo mai visto il suo
kagune. Potrebbe essere anche un livello SSS, come il Gufo.»
«Potrebbe
essere lei stessa il Gufo», sostenette Urie stesso, stringendo la mano sulla
katana così forte da far stridere l’impugnatura. «Il liquido secreto dal kagune
è una prova, per non parlare del fatto che tu una volta dicesti a Mei che per
te era una donna. Io mi sto convincendo di questa teoria.»
«Tutto
è possibile. Ormai non riesco più a star dietro a questi sviluppi. Sto
diventando troppo vecchia per tutto. O forse non dovevo accasarmi, è una fonte
continua di distrazione questo bel faccino che ti ritrovi, Cookie.»
«Aiko,
piantala.»
Per
sdrammatizzare e deviare il focus di un discorso che infondo aveva tirato fuori
lei stessa, Aiko sospirò apertamente, ritraendo il braccio da dietro le spalle
dell’altro. «Io ero venuta qui sperando
in una sveltina pre-battaglia.» Saiko esplose a ridere con Higemaru, di fronte
a quella spiazzante sincerità, mentre Aura fingeva di guardare qualcosa sul
telefono e Hsiao scuoteva piano il capo, guardandola divertita e rassegnata, in
un misto di emozioni. Urie trasalì, orripilato. Aiko rise di fronte a
quell’espressione. Sembrava Anacleto della Spada nella Roccia. «Non ti ho
chiesto di mangiare un bambino.»
«Hai
la minima idea di quanto tempo occorra per sfilare e infilare questa divisa? La
stessa che hai addosso anche tu?»
«….
Ah sì, dimenticavo che essendo tu quello dotato di vagina, avresti dovuto
spogliarti. Io invece posso così facilmente estrarre il mio pene.»
Contando
che Higemaru aveva quasi rischiato il soffocamento da saliva, Aiko decide di
chiudere lì la serata. Si alzò, stirando le braccia verso l’alto, prima di
guardare di nuovo Urie.
«Non
ti chiedo nemmeno un bacio di addio, allora.»
«Addio?
Non mi libererò mai di te.»
«Probabile.
Allora ci vediamo di sotto.»
Gli
concesse un mezzo sorriso, un cenno e poi tornò verso la sua squadra.
Lasciandolo
alle sue spalle con una brutta sensazione ad annodargli le viscere.
⌘
«Che
schifo di posto. Dovevo dar retta a mio padre e diventare un dottore!»
Tamaki
sollevò di poco la valigetta, controllando che l’acqua ristagnante del condotto
fognario nel quale stavano camminando non l’avesse sporcata. Di fianco a lui,
Mikage sorrise leggero. Non fece comunque in tempo a rispondere con qualcosa di
divertente sulla sorte che gli astri decretano per ogni uomo, perché Nakarai li
zittì con lo sguardo, prima di rivolgersi a Suzuya. «Cosa facciamo ora?»
Avevano
perso la cognizione del tempo per il tanto camminare, finendo poi per
ritrovarsi ad un bivio non previsto. «Siamo andati troppo verso sud», informò
tutti Hsiao, controllando il dispositivo che teneva sul polso e settando la
localizzazione gprs sul luogo in cui erano capitati.
«Non
è uno svantaggio», si inserì nel discorso Abara, serio e rispettoso, «Possiamo
provare ad aggirarli. Se mi ricordo bene, prendendo entrambe le direzioni
possiamo incontrare delle diramazioni che ci porteranno a circondare i due
gruppi di ghoul. Sempre che le informazioni che abbiamo siano ancora
attendibili e i ghoul non abbiano avuto un cambio di piani improvviso.»
«Speriamo
che nessuno sia arrivato in ritardo alla festa, allora.» Aiko si grattò sotto
al mento, sistemando il laccio del casco, prima di schioccare la lingua.
«Quindi una squadra a destra e una a sinistra?»
«Quanto
è saggio separarsi?», chiese Urie a quel punto, con entrambe le mani appoggiate
agli spallacci della tuta antisommossa, mentre spiava entrambe le direzioni che
conducevano verso un’incerta oscurità. «Non possiamo sfruttare il nostro
olfatto qui sotto. Non possiamo essere certi che una delle due squadre si
ritroverà da sola contro gli ostili.»
«Avete
un kagune, giusto? Se avremo bisogno di supporto, fate un buco nel manto
stradale e raggiungeteci. Noi faremo lo stesso. » Nakarai lanciò uno sguardo di
intesa a Masa, la quale alzò il pollice in risposta.
«Da
sopra è più semplice raggiungere un punto di ritrovo», calcolò Tamaki, mentre
teneva d’occhio Suzuya, tutto preso dal canale di sinistra. «Qui sotto
rischiamo solo di continuare a girare attorno come una comitiva di turisti
cinesi. Separarci è la soluzione migliore anche per lei, caposquadra?»
Juuzou
parve addirittura pensarci su, con l’indice puntato verso il mento e gli occhi
rovesciati verso l’alto. Poi annuì, «Sì», confermò, dando quindi un ordine
diretto in quanto agente di classe superiore fra tutti i presenti. «Restiamo in
contatto radio con Urie in ogni caso.»
«Non
fate gli eroi e se succede qualsiasi cosa attaccatevi alla frequenza due», Aiko
allungò la mano per stringere quella di Hige, che le aveva camminato accanto
per tutto quel tempo. «Ci rivediamo dall’altra parte.»
«Siate
prudenti anche voi», si assicurò di dire Kuki, guardando verso Aiko.
Lei
però si era già voltata, seguendo il suo capo nell’oscurità illuminata
solamente dai sottili fasci di luce delle torce. Non perse tempo e imboccò il
canale di destra.
«Orecchie
aperte, Quinx.»
Vediamo di non
fare la fine del topo.
⌘
Quando
l’ultimo membro delle Facce di Cuoio rimasto indietro venne trafitto dal suo kagune,
Urie poté concedersi il lusso di abbassare di poco la guardia.
Il
Ripper gli era scappato da sotto al naso insieme a una manciata di fedeli,
lasciando il resto dei suoi uomini al macello. I Quinx aveva risolto il
problema da soli, trovandosi di fronte solo ghoul di bassa lega, nemici
facilmente affrontabili per loro. Senza contare che a quanto poteva sentire
dalla trasmittente, ogni qualvolta veniva aperto il canale, la squadra Suzuya
era impegnata con Aogiri.
Avevano
preso i due gruppi prima dell’incontro e anche se ancora era sconosciuto il
boss della cellula terroristica che si era scomodato per arrivare fin là sotto,
loro avevano trovato Seto quasi subito. Il Ripper però aveva ben pensato di
provare a guadagnare terreno.
«Tiene
parecchio alla sua vita», aveva sottolineato con sottile sarcasmo Saiko, mentre
piegata sulle ginocchia ricaricava le energie, pronta a lanciarsi nuovamente in
azione.
«Come
tutti noi, del resto», aveva risposto Urie a denti stretti, insoddisfatto per
quella sua mancanza, ma determinato a porvi rimedio. «I condotti qui si
stringono. Hanno scelto una strada più insidiosa e i kagune non saranno poi
così utili. Hsiao, io e te continueremo ad attaccare utilizzando i nostri
kokakou mentre Saiko prepara il colpo definitivo per mandare all’altro mondo
quell’essere.»
Higemaru
scambiò uno sguardo con Aura, prima di sporgersi in avanti e parlare. «Noi cosa
facciamo, invece?»
«Ripiegate»,
fu la sola risposta del caposquadra. «Il tuo bikakou non ci è utile qui e
Shinsapei ti farà da scorta fino al primo tombino. Uscite fuori e se serve date
supporto alle squadre di superficie. Non vogliamo farne scappare nemmeno uno.»
«Ci
mandi indietro, caposquadra?»
Urie
osservò molto attentamente la delusione sul volto dei suoi uomini, riconoscendo
su di essa la stessa che aveva provato lui mesi prima, quando Sasaki lo aveva
incaricato della salvaguardia di Mutsuki durante l’operazione alla casa d’aste.
Allora non aveva capito l’importanza di quel ruolo e aveva rischiato grosso.
Anche i suoi uomini non lo avevano capito, così si avvicinò di un passo,
decidendo però di fare in fretta per evitare di dar troppo vantaggio al
fuggitivo. «Vi sembrerà un’ingiustizia, ma non c’è vergogna nell’eseguire gli
ordini. E il vostro è ripiegare. Ora andate e non fate sciocchezze.»
«Usate
questo», Hsiao passò loro il trasmettitore gprs, allacciandolo al polso di
Higemaru. «Farete prima.»
Non
ci furono altre parole di affrancamento. I due giovani rimasero soli e
sconsolati. Solo il rumore dell’acqua stagnante poteva vagamente coprire la
loro delusione.
«Torniamo,
allora», sussurrò sconfitto Higemaru, con addosso la sensazione di totale
inutilità.
Aura
però non si mosse. Gli prese il polso e controllò la posizione degli altri. I
localizzatori erano in tutto otto e mentre uno era rimasto a Urie, due li
avevano Nakarai e Suzuya. «Se prendiamo questo condotto possiamo almeno provare
a dare supporto agli altri.»
«Ma
il caposquadra ha detto-»
«Ha
detto di ripiegare. Non ha detto di tornare indietro.»
«…Non
sono sinonimi?»
Aura
spiò l’amico da sotto la frangia nera. «No se, ripiegando, possiamo aiutare
contro Aogiri. Nemmeno tu vuoi uscire fuori, no? Dimostriamo il nostro valore
così. Non è come se stessimo disubbidendo agli ordini.»
Il
giovane dai capelli pervinca parve indeciso. Poi però la voglia di dimostrare
il suo valore vinse la ragione.
«Andiamo.»
⌘
«Sulla
destra!»
Tamaki
si abbassò appena in tempo, schivando un kokakuo che aveva rischiato di mozzargli
di netto il capo dal tronco. Girò la spada con un movimento circolare, roteando
il polso e andando ad appoggiare il palmo della mancina sull’elsa per affondare
al meglio il fendente, ma un altro kagune, di un brillante viola e blu, sbucò
dal centro del petto del ghoul che lo
fronteggiava.
Quando
venne ritratto, Masa lo guardava da almeno dieci metri di distanza.
«Prego!»,
fu tutto quello che gli disse, prima di usare la valigetta intera, ancora
chiusa, per colpire il cranio di un ghoul. Lo fece cadere a terra, guardando la
ferita che buttava fuori sangue e la maschera mortuaria rotta, prima di
ficcargli la punta di uno degli otto tentacoli che aveva estratto direttamente
al centro del volto, creando una grottesca voragine.
«Quanti
sono?», domandò scocciato Nakarai, incrociando Destra e Sinistra per bloccare
un colpo. Masa lo guardò strisciare indietro di un paio di metri, prima di
lanciarsi contro l’avversario, non dandogli nessuna chance. Nel combattimento,
Nakarai era secondo solo al classe speciale Suzuya. Non sembrava nemmeno si
stesse impegnando, né i suoi capelli si erano spettinati.
«Ne
arrivano in continuazione», confermò Abara che, al contrario, si era dovuto
appoggiare alla parete del condotto fognario, ansante. Mikage gli fece da
copertura, mentre recuperava le energie. «Stiamo avanzando troppo lentamente e
abbiamo perso il classe speciale.»
Aiko
infilzò tre crani contemporaneamente, gettando di lato i loro corpi con non
curanza, mentre allungava gli occhi, uno umano e l’altro orribilmente
modificato dalla mutazione, lungo il canale di scolo. «Non lo sento più.»
Juuzou era sparito da un pezzo, troppo veloce per loro, in cerca del capo di
Aogiri che lì sotto non avrebbe avuto possibilità contro di lui.
«Non
possiamo fare niente, se non rincorrerlo.» Nakarai, che aveva dato il colpo di
grazia all’ultimo dei ghoul che non avevano avuto la premura di disperdersi,
pulì le lame in una delle loro mantelle violacee. «Aiko, non senti nemmeno il
suo odore?»
«Negativo.
Profumarlo con quella boccetta di dopobarba non è servito a niente. Le acque
fognarie coprono qualsiasi cosa.»
«E
anche stavolta la merda ha vinto»,
sospirò rammaricato Tamaki, appoggiandosi alle ginocchia. Bistecca era stata
infilzata in un tronco senza più capo e arti che era passato troppo vicino al
kagune di Masa. «Un secondo solo per respirare, vice leader.»
«Niente
da fare, primo livello. Dobbiamo raggiungere il nostro capo.»
«Ma
Keijin, non ci vedi? Ci serve un secondo.»
Mikage
si era inserito nel discorso senza cattiveria. L’aveva guardato negli occhi,
ricordando al giovane vice leader che non erano invincibili. Che necessitavano
anche loro di riprendersi dopo uno scontro frontale ravvicinato.
Il
biondo aveva amaramente accettato, controllando la posizione di Suzuya e
mostrandola anche ad Aiko, che aveva presto rinunciato al casco e si era
accostata a lui con i capelli spettinati. «Non lo recupereremo mai.»
«Nemmeno
nei nostri sogni. È a un chilometro e mezzo da qui. Forse si starà già
scontrando con il boss di Aogiri.»
La
mora sospirò, sconfitta. Poi passò gli occhi su Mikage che stava porgendo ad
Abara un rotolo di bende, che questi utilizzò subito per fermare una piccola
ferita che aveva sul suo fianco e prevenire così potenziale infezioni
batteriche. Era stato colpito e non se ne erano nemmeno accorti. Qualcosa di
lieve, grazie al cielo. La squadra Suzuya era forse la migliore del
dipartimento. Magari seconda solo alla S3 di Arima. Però erano comunque esseri
umani e Aiko non si spiegava come facesse Nakarai ad essere ancora così in
forma. Forse era solo una recita, la sua. Si sarebbe volentieri seduto da
qualche parte, ma non avrebbe aiutato l’umore generale.
Lei
stava ancora bene, nonostante tutto. Il vantaggio di essere un Quinx stava
anche sulla durata, soprattutto i rinkakou potevano essere molto resistenti se
non avevano mosse particolarmente potenti come quelli di Saiko. Un pensiero le
attraversò la mente. La mora fece l’errore di pensare agli altri .
Poi
l’auricolare nel suo orecchio destro gracchiò e non portò buone notizie.
-Qui
Higemaru Touma. Io e il primo livello Aura chiediamo rinforzi immediati!-
-Cosa
succede, Higemaru?-, rispose nell’immediato Urie. Masa portò una mano alla
trasmittente, per sentire meglio.
-Stiamo
ingaggiando un combattimento con il livello SS Tatara. Necessitiamo di supporto
ora!-
-Cosa
hai detto?!-
«Cazzo!»,
Aiko alzò una mano, stringendosi le ciocche corte sulla nuca con la mano coperta
dal guanto. Tatara. Di tutti i galoppini di Aogiri che potevano trovarsi di
fronte, proprio lui? E perché Higemaru?
Strinse
gli occhi, cercando di pensare velocemente a una soluzione.
-Siamo
a circa due chilometri e mezzo da voi! Stiamo ritornando indietro. Cercate di
scappare!-
-Non
possiamo! Siamo con le spalle al muro e-
-Hige!-
«Higemaru!»,
Aiko coprì con la sua voce quella di Urie, attaccandosi a sua volta alla
trasmittente. «Dannazione», si voltò verso Nakarai, che la guardava con
l’incertezza nello sguardo scuro. Fu però questione di due secondi. «Devo andare»,
buttò fuori senza pensare la mora, recuperando la valigetta e muovendo un paio
di passi verso di lui.
Il
superiore annuì senza remore, guardando il gprs, studiandolo accuratamente,
prima di fissarlo al polso di Aiko. «Salvali.»
Masa
non attese altro. Osservò l’oggetto e fece due calcoli mentali, alzando quindi il capo verso l’alto. Bucò ogni
tubo, ogni oli condotto, ogni strato di terra e ogni strato di centimetro o
asfalto, aiutandosi con più di un tentacolo, fino a creare una voragine nella
quale si sollevò.
Quando
sbucò sulla Tokyo addormentata, si trovava proprio al centro di un incrocio, a
quattrocento ventidue metri dal suo Laoshi
e i suoi sottoposti.
⌘
La
prima volta che aveva parlato con Eto riuscendo a guardarla negli occhi era
stato molto tempo dopo l’inizio della sua formazione come kohai di Tatara.
Non
si era nemmeno resa conto di come fosse accaduto, ma la Bambina con le Bende era passata dall’essere la sua aguzzina alla
sua salvatrice; prendeva le sue parti quando Tatara esagerava nell’arguirla, le
curava i lividi e le ferite quando terminavano gli addestramenti e il corpo di
Masa non era ancora predisposto ad autorigenerarsi e le permetteva di fare
insieme il bagno. Fu proprio mentre erano entrambe immerse nella vasca che Aiko
lo notò lontano, su uno scaffale di legno, poco distante dal mobiletto che
custodiva gli asciugamani puliti. Era un libro piccolo e dall’aria malconcia.
La copertina flessibile di un grigio opaco era usurata dalle molte volte che
era stato letto e riletto.
«Tutt’oggi
non sono ancora riuscita a scrivere qualcosa di così personale come quel libro»,
aveva ammesso il Gufo con tono basso, mostrando ad Aiko qualcosa di nuovo:
incertezza. «Leggilo, ti prego. Fallo per me e usalo in futuro per aiutare te
stessa. Buttare fuori quelle parole che mi bruciavano le vene come veleno ha
aiutato me.»
Eto…
Fu
tutto ciò a cui Aiko riuscì a pensare quando spaccò nuovamente l’asfalto e il
sottosuolo fino alla camera stagnante in cui Higemaru cercava di tenere
indietro Tatara, trascinando con sé il corpo mutilato di Shinsanpei.
Eto…
Fu
tutto ciò a cui Tatara riuscì a pensare quando alzò gli occhi e vide un kagune
fatto di tentacoli dei toni del verde e del blu vibranti e pieni di venature
viola che pulsavano vive piovere dal cielo. Non aveva bisogno di sapere a chi
appartenessero, aveva già riconosciuto l’odore della sua discepola, la quale in
quel momento lì, di fronte a lui, e li aveva chiusi insieme in una gabbia di
cellule rc in movimento da lei stessa creata.
Si
guardarono ed entrambi capirono.
Aiko
lanciò uno sguardo a Higemaru, scontrando gli occhi con i suoi macchiati di
lacrime. Non lo sentiva, ma la stava chiamando. Non fece niente se non
sorridergli, prima di tornare a voltarsi verso il suo Laoshi. Appoggiò a terra
la valigetta, sganciandola ed estraendo Inazami, che puntò contro il ghoul
bianco.
L’uomo
che le aveva iniziato come maneggiare le armi e difendersi ora avrebbe visto da
sé i frutti del duro lavoro di quegli ultimi tre anni.
Eppure,
per quanto dolore le avesse causato, la feriva l’affrontarlo così.
Si
sentiva una ingrata, per certi versi.
«Affrontami,
Tatara.»
L’albino
chiuse gli occhi un istante. Poi li
spalancò accettando il suo volere.
Una
fiammata spezzò il buio di cunicoli, irrorandoli di luce viva e spezzando i
legami delle cellule rc che li tenevano isolati dai due agenti più giovani. Con
le braccia, Aiko si schermò il viso, sentendo l’aria farsi incandescente.
Poi
spostò il peso sul piede che teneva indietro rispetto all’asse del bacino e si
diede lo slancio, verso il centro di quel calore, con la lancia stretta nelle
mani.
“Quanto
non può essere cambiato può solo essere distrutto. Per me è così. Io che ho
lasciato tutto il necessario dentro il grembo.”*
Dì addio ad Eto
da parte di una miserabile che non può cambiare, Laoshi.
⌘
Urie
sentiva il sangue battergli contro i timpani per quando stava correndo. Ogni
strada che prendevano si rivelava alla fine un vicolo cieco. Dovevano quindi
tornare indietro, riprendere un altro cunicolo e tentare la sorte, dal momento
in cui il gprs non funzionava più come prima e perdevano costantemente i
contatti.
«Komoto!»,
ringhiò il capo della QS nella trasmittente, che diede anch’essa cenno di
cedimento quando una interferenza gli fece quasi perdere l’udito nell’orecchio
destro.
“Sto
cercando di sistemare il bug!”, fu la difesa del tecnico che, a giudicare dal
tono affannato, stava cercando davvero di garantire la funzionalità del
satellite agli agenti.
-Cerca
di fare in fretta-, lo riprese anche Marude, con tono rude come suo solito.
Persino
Yoshitoki sembrava avere premura, dal momento che stava perdendo la sua
proverbiale pazienza. –Primo livello Urie, la situazione attuale?-
«Stiamo
cercano di raggiungere i miei uomini, signore!»
-Higemaru
e Aura, ci ricevete?-, domandò il direttore del dipartimento, non ricevendo
risposta se non un fastidioso brusio di interferenza in sottofondo.
–Komoto!-, Fu l’ennesimo urlo spazientito di
Marude. –Devo tornare in sede e farlo da solo?!- chiese a denti stretti,
furioso e ben consapevole che non avrebbe cavato un ragno dal buco se non ci
stava riuscendo nemmeno il tecnico.
“Ci
sono troppi sistemi all’attivo e io sono uno solo! Posso sistemare prima le
trasmittenti o prima il satellite, signore!”
-Occupati
delle comunicazioni, poi del satellite.-
Urie
sentì un brivido freddo scendergli lungo la schiena, come se qualcuno gli
avesse appena buttato dell’acqua gelida dentro al colletto della divisa
antisommossa. «Come facciamo a trovare gli altri, signore?!»
Yoshitoki
si mise in contatto diretto con lui, -Cercherò di indicarvi io la strada. I
miei sistemi sono tutti operativi. Procedete per altri duecento metri verso
nord e poi girare a destra e-
-Qui
Higemaru!-
Qualcosa
di vagamente simile al sollievo si dipinse sul volto dei tre Quinx. Saiko
precedette il leader. «Hige, dove siete?», chiese affannosa, cercando di tenere
il passo agile di Urie e Hsiao.
-Non
lo so, ma Aiko si sta scontrando con il livello SS Tatara e dovete venire qui
subito!-
Urie
arrestò la corsa di scatto, facendosi urtare sia da Ginny che da Saiko. «Cosa
hai detto, Hige?»
-Vi
prego! La ucciderà!-
«Urie
dobbiamo correre!»
-Primo
livello procedi verso nord ancora per centosettantatrè metri. Vai a dare
sostegno al primo livello Masa.-
«Caposquadra!
Non possiamo fermarci ora!»
‘Dovremmo farlo
davvero, sai? Partire per Parigi, andarcene. Abbandonare tutto. Se non lo
facciamo ora, finiremo come Orihara, come Osaki e come tuo padre. Come Shirazu.
Io non voglio morire su un campo di battaglia prima di capire chi davvero
voglio posso diventare’
Le
voci attorno a lui e nel suo orecchio finirono con il coprirsi e fondersi in un
unico ronzio indefinito nel momento in cui di fronte a Urie tornò a riproporsi
quella scena. La pelle bianca delle spalle e della schiena di Aiko, il lenzuolo
a coprirle i fianchi, gli occhi gialli prima fissi nei suoi e poi sempre più
lontani, verso un luogo e un tempo che lui sentiva di non poter raggiungere…
Uno
schiaffo in pieno viso lo fece ritornare in sé all’improvviso. Lo fece anche
sbilanciare di lato e si stupì di come Saiko avesse fatto, con la sua statura,
a colpirlo con così tanta determinazione.
«Dobbiamo
andare!», gli urlò in pieno viso. «Aura è ferito, Higemaru è spaventato e
Macchan sta combattendo da sola contro quel mostro! Non è questo il momento per
farsi prendere dal panico.»
Un
tremolio leggero agli arti fece capire a Urie che sì, si era lasciato prendere
dall’ansia. Non gli era mai capitato. Non a quel modo.
Sarebbe
arrivato e avrebbe salvato tutti.
Non
avrebbero più perso nessuno.
Scrollò
il capo, come per ridestarsi da un torpore e poi si portò la mano all’orecchio.
«La
direzione precisa, direttore. Mi dia indicazioni che non posso fraintendere.»
-Va
bene primo livello. Avanza diritto fino a che non sarò io a dirti di prendere
un altro canale sulla destra.-
Sarebbero
arrivati in tempo.
Dovevano.
⌘
"Per
quanto si possa tappare un buco aperto, non cambia il fatto che un buco c'è."*
Quella
era stata la frase della nuova versione riscritta da Eto del sommario di ‘Dear
Kafka’ che aveva maggiormente colpito Aiko.
Eto
era ciò che si era plasmato per non essere distrutto, mentre lei era alla
costante ricerca di qualcosa che potesse arginare la voragione dentro al suo
petto.
Aogiri,
il ccg, i Quinx, la sua famiglia, Kuramoto, il dovere, la diciannovesima, le
Facce di Cuoio e Kenta.
Tatara
Urie.
Eto.
Erano
tutti piccoli tappi di sughero che si erano impregnati di sangue, giorno dopo
giorno, dilatandosi e riempiendo finalmente e a fatica il vuoto che la invadeva
e divorava dall’interno. In loro
riusciva a vedere una famiglia, delle certezze, l’amore, l’affetto e la
riconoscenza che le erano state negate dai suo parenti di sangue.
Il
castello su cui però aveva costruito il suo rifugio sicuro era però fatto di
carte da poker impilate ed era bastato un vento contrario a farle crollare
tutte a terra, miseramente.
Tatara
la teneva per i capelli, chino su di lei. Il corpo di Aiko era abbandonato a se
stesso, come una bambola di pezza tenuta insieme da corde sottili e fragili.
L’osso
del radio fuoriusciva grottescamente dal suo avambraccio, bianco in modo sorprendente.
Le gambe, anch’esse fratturate in più
punti, non la sostenevano più. Il solo braccio ancora intatto non aveva la
forza per afferrare il polso dell’albino e cercare di liberarsi. Per di più,
l’ustione che le sfigurava il volto e la spalla sinistra aveva reso la pelle
lucida, facendole perdere l’elasticità. Tutto quello che Aiko vedeva era la
chiazza del suo stesso sangue che imbrattava il ginocchio che il Laoshi teneva appoggiato al pavimento.
Non riusciva nemmeno a compiere lo sforzo necessario per guardarlo con occhi
pieni di compatimento.
Se
fosse riuscita a sconfiggerlo almeno gli avrebbe dimostrato di essere forte.
Che l’aveva allenata bene. Invece lui non si era nemmeno dovuto impegnare per
renderla al pari di un grumo sanguinolento di nervi scoperti che ormai non
facevano nemmeno più male. Il suo cervello doveva aver staccato ogni
collegamento per evitarle uno shock mortale.
Non
aveva le forze nemmeno per rigenerarsi.
Era
praticamente morta quando l’albino la lasciò cadere sul fianco per bloccare un
attacco di Higemaru, l’ennesimo, mirato a salvarla.
Non farlo, Hige.
Non serve a niente. Non contro di lui.
Doveva
sembrare patetica, miserabile.
Era
finita KO in così poco tempo da arrivare a chiedersi perché ci avesse anche
solo provato. Lui era il suo maestro e lei ne conosceva la forza, eppure aveva
scelto di difendere Hige e Aura.
Avrebbe
potuto lasciarli a lui, nessuno lo avrebbe mai saputo. Eppure qualcosa era
scattato dentro di lei. La sensazione di dover difendere la sua famiglia. Ciò
che i Quinx erano stati per quei mesi e perché no, persino quei nuovi arrivati.
Higemaru
era il suo kohai. Il primo.
Avevano
lavorato gomito a gomito ogni giorno per mesi.
Gli
aveva insegnato quello che sapeva prima di lasciarlo per inseguire qualcosa di
stupido e puerile. Cosa sperava di ottenere, andandosene dalla QS? Pensava
davvero che avrebbe mai potuto sposarsi, avere una famiglia e vivere bene?
Pensava
davvero di poterlo fare senza dover prima uccidere Labbra Cucite?
Appoggiò
il palmo della mano ancora utilizzabile a terra e fece perno per sollevarsi. L’occhio
che era stato risparmiato dalla violenza delle fiamme osservò Hige cadere a
terra, esausto.
Sentì
il cuore spaccarsi e si chiese se anche Tatara provasse qualcosa, in quel
momento.
Se
anche lui avesse voluto salvarla. Se forse stesse cercando di uccidere in
fretta quei due testimoni scomodi per poi portarla via.
No.
Non poteva nemmeno accettare l’idea di quella possibilità.
E
poi non importava.
Non
importava più perché di secondo in secondo la vista si annebbiava. Presto non
avrebbe più visto nulla se non il buio eterno.
Poteva
solo dare tutto ciò che le era rimasto.
Così
concentrò le sue forze vitali sul kakuo, riuscendo ad estrarre il kagune che
andò a ficcarsi al centro del petto di Tatara, impedendogli così di ferire
ulteriormente Hige.
Era
la mossa finale, però.
Il
sipario che cala su una tragedia senza applausi di accompagnamento, ma solo un
eterno silenzio.
Il
kagune rosso vivo calò su di lei, ficcandosi nella sua schiena.
Non
riuscì nemmeno a gemere e solo l’urlo straziato di Touma accompagnò quell’atto.
Sentì
qualcosa di lei spezzarsi in modo definitivo, non recuperabile.
La
sua colonna vertebrale divenne come farina sotto una macina.
Ma
essa non fu la sola cosa a rompersi.
Tossendo
con forza, Aiko vomitò sangue, scivolando di nuovo a terra, totalmente supina.
I
piedi di Tatara si stavano nuovamente avvicinando a lei, ma li vedeva a mala
pena. La terra pareva tremarle sotto mentre la luce diminuiva.
Alla
fine, gli occhi le si chiusero e con un ultima espirazione svuotò la gabbia
toracica.
⌘
«Aiko!»
Higemaru
gridò così forte da sentire la gola in fiamme.
Stava
vivendo quella scena come uno spettatore esterno, lontano dal suo corpo, magari
di fronte a un film drammatico dai risvolti troppo inaspettati. Il solo
concepire la morte di Masa Aiko gli pareva così impossibile da mandargli il
cervello in confusione.
«No,
non è possibile…», bisbigliò a se stesso, mentre la figura bianca del ghoul
albino si fermava a pochi passi dall’agente sfigurato, esanime sul pavimento
sporco di quel condotto fognario.
«Touma,
dobbiamo trovare un modo per attaccarlo ora che è distratto», lo chiamò
Shinsapei alle sue spalle, cercando di raggiungerlo come poteva senza dare
troppo nell’occhio. Tatara gli aveva tagliato di netto le gambe sotto al
ginocchio e non poteva far nulla, se non strisciare.
«No,
non è vero, non sta succedendo», con le poche forze che gli rimanevano, Higemaru
si alzò in piedi. Tenne con una mano la spalla rotta, facendo appello a tutte
le sue forze per guarire in fretta. «Non sta succedendo! No!»
«Hige,
aiutami, dobbiamo attaccare ora», sibilò di nuovo il moro, inarrestabile,
attaccandosi con la mano ai pantaloni scuri dell’altro per tirarlo e farlo
voltare verso di sì. Non servì a niente però. Higemaru non lo sentiva.
«NO!»,
la kagune di un giallo dorato uscì dalla parte lombale della schiena del
ragazzo pervinca, sibilando come la coda di un serpente a sonagli.
Tatara
smise di guardare la donna esamine da sopra la maschera rossa, tornando a
concentrarsi su di loro. Un fuoco brillante irrorava le sue iridi sottili, indecifrabile.
Higemaru non poteva sapere il perché, ma di una cosa era certo: non sarebbe
riuscito a farlo fuori magari, ma avrebbe portato con sé un pezzo di quel
mostro.
«TI
UCCIDO!», caricò, pronto all’attacco.
Non
mosse un solo passò, però.
Nessuno
lo fece, quando Aiko si sollevò sulle braccia con un movimento meccanico. Radio
e ulna tornano a ricomporsi nel braccio da sole e la ferita si rimarginò in
fretta, mentre le unghie, cresciute,
grattavamo il cemento armato della pavimentazione.
I
capelli, che ora scendevano neri come la pece sulle spalle, improvvisamente
lunghi, a coprire il viso si scansarono lentamente, seguendo il movimento del
capo.
Loro
la videro, ma lei non pareva vedere nulla se non Tatara.
Si
portò in ginocchio e stringendosi con le braccia al petto e il suo kagune
esplose in un dedadalo di innumerevoli tentacoli, piccoli e veloci che andavano
formandone altri più spessi per poi scomporsi di nuovo e ripetere la scena.
«Perché
lo hai fatto?», chiese con tono basso e una vena persa nella voce.
Si
grattò le braccia fino a strappare il tessuto della tuta, iniziando a far
correre il sangue nella zona poco sotto alla spalla. La pelle bruciata del viso
cadde come petali di ciliegio, lasciando spazio a quella rigenerata e lucida.
Con
isteria, parlò di nuovo, rivolta verso l’albino.
«Perché,
papà?!»
E
le sue iridi erano entrambe di rubino, mentre fendevano l’aria come stilette
amaranto in un mare nero come una notte senza stelle.
Continua…
⌘Nda⌘
*Frase
tratta dal romanzo di Takatsuki Sen, Dear Kafka.
Scusate
per questo ritardo sconsiderato, ma con l’inizio della magistrale e i primi
esami, la mia vena creativa si è estinta. Non ho comunque intenzione di
abbandonare questa storia. Ben che meno a questo punto della narrazione.
Ringrazio
chi pazientemente ha deciso di continuare a seguirmi e auguro a tutti un buon
natale in ritardo e un buon anno.
Un
abbraccio.
CL