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Autore: Dea Elisa    29/12/2017    0 recensioni
[MAMMA MIA!]
[SamxDonna]
E di scompagnato, nel quadro che avevo di fronte a me, non c’erano solo sedie, piatti e tovaglioli.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Habits



You’re wearing mismatched socks and it’s really annoying me, so I’m staring at your ankles like a weirdo, and in a minute you’re going to turn round and see, so I’m going to have to explain.

[prompt from Fanfiction Memes (http://ficmemes.tumblr.com/)]








Camminava avanti e indietro, in mezzo ai tavoli, a riporre su ciascuno un barattolo di vetro con una candela, gli stessi che i ragazzi mi avevano fatto appendere ai rami degli alberi sopra di noi.

Le sedie erano tutte scompagnate, e i tovaglioli di ogni colore. Mi chiedevo dove avesse deciso che mi sarei seduto, sicuramente lontano di lei, e dalla sua possibilità di intercettarmi in linea d’aria. Meno occhiate equivaleva a dire meno imbarazzo, e così forse non mi avrebbe rivisto neanche prima della partenza, fissata all’indomani mattina alle 5, con il primo traghetto per la terra ferma. Non riuscivo a dare un nome a quel senso di vertigine che mi prese, e non era dispiacere. Era una sorta di timore, quello di non rivederla mai più, di aver perso vent’anni e di non cogliere questa occasione di chiarirci che Sophie ci aveva donato inconsapevolmente. Uomini e donne sono troppo complicati, e ancora di più lo sono in due: se solo non esistessero le bugie, i detti-non-detti, se solo ciascuno fosse prima di tutto sincero con se stesso, e non dovesse recitare per celare chissà quali vergogne…

Anche i piatti erano diversi.

“Non importa, è bello così, vero?” disse alle altre donne che la stavano aiutando ad apparecchiare. “Anche perché non abbiamo altra soluzione” ridacchiò nervosamente. Avrebbe voluto che tutto fosse perfetto, per il matrimonio di Sophie, ma c’erano cose su cui non aveva controllo.

Come l’esuberanza delle Dynamo.

E come l’arrivo di noi tre.

La gonna dell’abito blu ondeggiava tra gli angoli delle tovaglie che scendevano dai tavoli, mentre li costeggiava per rifinire la posizione di piatti e bicchieri.

Ad un certo punto, sconfitta dal fatto che meglio di così non si poteva fare, agitò in aria le mani come a dire di darci un taglio. Le altre ragazze annuirono e ad un suo cenno d’intesa si diedero alla fuga, sicuramente già piene di altri compiti assegnati loro da Donna.

Lei si allontanò di qualche passo per avere una visione d’insieme dei tavoli apparecchiati, con la cornice suggestiva dell’incontro tra cielo e mare che da lì si poteva ammirare.

Fu allora che ebbi tempo per guardarla, per studiare ogni centimetro del suo corpo, coperto e non. Scesi con lo sguardo lungo il collo, la curvatura dei seni, la sua mano a rigirarsi il pendente che ricadeva nella scollatura, immaginando che fosse la mia mano a farlo. Percorsi i suoi fianchi, e le gambe che comparivano sotto l’orlo della gonna. Fu allora che me ne accorsi, delle sue scarpe da ginnastica consunte, che un tempo sarebbero dovute essere bianche. I lacci ricadevano lateralmente quasi toccando terra, e la suola era deformata dall’uso.

E di scompagnato, nel quadro che avevo di fronte a me, non c’erano solo sedie, piatti e tovaglioli.

C’erano anche i suoi calzini, che spuntavano di qualche millimetro appena dal collo della scarpa.

Uno era rosa, l’altro giallo, ma non riuscivo a dire quale dei due mi piacesse di più addosso a lei. Forse mi piacevano proprio perché erano diversi, e non c’era nessun bisogno di scegliere.

Donna rimase lì, in contemplazione del loro lavoro, così come feci io, ma di lei, e delle sue caviglie, e poi delle sue gambe, e ancora delle sue caviglie, che scomparivano sottili dentro a quelle scarpe da ginnastica che stavo iniziando ad odiare.

“I cucchiaini!” gridò, spaventando anche me, o, meglio, spaventando l’unica persona che si trovava nel raggio di sei metri da lei e che non aveva il permesso di stare dove stava.

Cercai di dileguarmi, di nascondermi dietro a uno dei tanti muretti che dividevano lo spazio di quella terrazza, ma la verità era che non riuscivo a prestare attenzione a nient’altro se non a lei, e al suo sobbalzare quando mi vide, sorpresa, o impaurita, o entrambe le cose, di trovarmi lì e di aver quindi assistito al suo alacre lavoro.

Non guardarle i calzini.

I miei occhi non volevano ubbidire a quella facile commissione, tant’è che vagarono sulla sua figura, mentre mi avvicinavo a lei, e terminarono il loro viaggio lì dove non avrei dovuto guardare.

“C-che stai facendo?” chiese entrando in panico, i respiri più corti e le dita a rigirare quella povera collana quasi a volerla frantumare. “Allontanati.”

Fece un passo indietro, ma nello stesso tempo io ne feci due, e poi un terzo, e lei si fermò, e quindi la raggiunsi. Abbassò il capo seguendo la direzione del mio sguardo. “Lo so, sono vecchie, ma ci sono affezionata, e so anche che non si intonano con il colore del vestito, tantomeno con il vestito stesso” agitò per aria una mano, “ma sono comode e nessuno qui è abituato a giudicarmi per quello che indosso. Tantomeno lo farai tu, a prescindere da quali siano le abitudini di voi newyorkesi.”

“Quali sono le abitudini di noi newyorkesi?”

“Fissare le donne, studiarle, confrontarle, indovinare la taglia di reggiseno; cose così, no?”

Scossi la testa, buttando fuori l’aria in una risata trattenuta. “Anche voi su quest’isola avete qualcosa che a noi sfugge.”

Portò le mani ai fianchi sbilanciandosi in avanti, in attesa che proseguissi, già pronta a contrattaccare. L’avevo vista più volte nel corso di quelle due giornate assumere quella posizione, e mille altre vent’anni prima, e mi sfuggì una risata, perché semplicemente l’adoravo. Lei non capiva il motivo della mia ilarità, e io l’adoravo ancora di più.

“Allora?” insistette.

Mi avvicinai di più, percependo la sua tensione, e le passai di fianco, girandomi poi per osservare il profilo del suo volto. Non si mosse. E il suo respiro si bloccò quando il mio le solleticò l’orecchio.

“Ottima scelta d’abbinamento, i tuoi calzini.”

Donna si girò di scatto e aprì la bocca per dirmi qualcosa di sicuramente poco piacevole, ma finì per guardarsi i piedi, e poi per guardarmi mentre mi allontanavo all’indietro, con un sorriso divertito, e le braccia aperte come a dire non ci posso fare niente, mica è colpa mia.

Avanzò di mezzo passo ma cambiò subito idea, perché forse non ne valeva la pena, inseguirmi e tirarmi qualcosa addosso – comprese molte insolenze – e casomai ricordarsi quanto fosse bello litigare solo per poi far pace.

Tanto lo sapevamo già entrambi.




   
 
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