Habits
You’re
wearing
mismatched socks and it’s really
annoying me, so I’m staring at your ankles like a weirdo, and
in a minute
you’re going to turn round and see, so I’m going to
have to explain.
Camminava avanti e indietro, in
mezzo ai tavoli, a riporre su ciascuno un barattolo di vetro con una
candela,
gli stessi che i ragazzi mi avevano fatto appendere ai rami degli
alberi sopra
di noi.
Le sedie erano tutte scompagnate, e
i tovaglioli di ogni colore. Mi chiedevo dove avesse deciso che mi
sarei
seduto, sicuramente lontano di lei, e dalla sua possibilità
di intercettarmi in
linea d’aria. Meno occhiate equivaleva a dire meno imbarazzo,
e così forse non
mi avrebbe rivisto neanche prima della partenza, fissata
all’indomani mattina
alle 5, con il primo traghetto per la terra ferma. Non riuscivo a dare
un nome
a quel senso di vertigine che mi prese, e non era dispiacere. Era una
sorta di
timore, quello di non rivederla mai più, di aver perso
vent’anni e di non
cogliere questa occasione di chiarirci che Sophie ci aveva donato
inconsapevolmente. Uomini e donne sono troppo complicati, e ancora di
più lo
sono in due: se solo non esistessero le bugie, i detti-non-detti, se
solo
ciascuno fosse prima di tutto sincero con se stesso, e non dovesse
recitare per
celare chissà quali vergogne…
Anche i piatti erano diversi.
“Non importa, è bello
così, vero?”
disse alle altre donne che la stavano aiutando ad apparecchiare.
“Anche perché
non abbiamo altra soluzione” ridacchiò
nervosamente. Avrebbe voluto che tutto
fosse perfetto, per il matrimonio di Sophie, ma c’erano cose
su cui non aveva
controllo.
Come l’esuberanza delle Dynamo.
E come l’arrivo di noi tre.
La gonna dell’abito blu ondeggiava
tra gli angoli delle tovaglie che scendevano dai tavoli, mentre li
costeggiava
per rifinire la posizione di piatti e bicchieri.
Ad un certo punto, sconfitta dal
fatto che meglio di così non si poteva fare,
agitò in aria le mani come a dire
di darci un taglio. Le altre ragazze annuirono e ad un suo cenno
d’intesa si diedero
alla fuga, sicuramente già piene di altri compiti assegnati
loro da Donna.
Lei si allontanò di qualche passo
per avere una visione d’insieme dei tavoli apparecchiati, con
la cornice
suggestiva dell’incontro tra cielo e mare che da
lì si poteva ammirare.
Fu allora che ebbi tempo per
guardarla, per studiare ogni centimetro del suo corpo, coperto e non.
Scesi con
lo sguardo lungo il collo, la curvatura dei seni, la sua mano a
rigirarsi il
pendente che ricadeva nella scollatura, immaginando che fosse la mia
mano a
farlo. Percorsi i suoi fianchi, e le gambe che comparivano sotto
l’orlo della
gonna. Fu allora che me ne accorsi, delle sue scarpe da ginnastica
consunte,
che un tempo sarebbero dovute essere bianche. I lacci ricadevano
lateralmente
quasi toccando terra, e la suola era deformata dall’uso.
E di scompagnato, nel quadro che
avevo di fronte a me, non c’erano solo sedie, piatti e
tovaglioli.
C’erano anche i suoi calzini, che
spuntavano di qualche millimetro appena dal collo della scarpa.
Uno era rosa, l’altro giallo, ma non
riuscivo a dire quale dei due mi piacesse di più addosso a
lei. Forse mi
piacevano proprio perché erano diversi, e non
c’era nessun bisogno di
scegliere.
Donna rimase lì, in contemplazione
del loro lavoro, così come feci io, ma di lei, e delle sue
caviglie, e poi
delle sue gambe, e ancora delle sue caviglie, che scomparivano sottili
dentro a
quelle scarpe da ginnastica che stavo iniziando ad odiare.
“I cucchiaini!”
gridò, spaventando
anche me, o, meglio, spaventando l’unica persona che si
trovava nel raggio di
sei metri da lei e che non aveva il permesso di stare dove stava.
Cercai di dileguarmi, di nascondermi
dietro a uno dei tanti muretti che dividevano lo spazio di quella
terrazza, ma
la verità era che non riuscivo a prestare attenzione a
nient’altro se non a
lei, e al suo sobbalzare quando mi vide, sorpresa, o impaurita, o
entrambe le
cose, di trovarmi lì e di aver quindi assistito al suo
alacre lavoro.
Non guardarle i calzini.
I miei occhi non volevano ubbidire a
quella facile commissione, tant’è che vagarono
sulla sua figura, mentre mi
avvicinavo a lei, e terminarono il loro viaggio lì dove non
avrei dovuto
guardare.
“C-che stai facendo?” chiese
entrando in panico, i respiri più corti e le dita a rigirare
quella povera
collana quasi a volerla frantumare. “Allontanati.”
Fece un passo indietro, ma nello
stesso tempo io ne feci due, e poi un terzo, e lei si fermò,
e quindi la
raggiunsi. Abbassò il capo seguendo la direzione del mio
sguardo. “Lo so, sono
vecchie, ma ci sono affezionata, e so anche che non si intonano con il
colore
del vestito, tantomeno con il vestito stesso”
agitò per aria una mano, “ma sono
comode e nessuno qui è abituato a giudicarmi per quello che
indosso. Tantomeno
lo farai tu, a prescindere da quali siano le abitudini di voi
newyorkesi.”
“Quali sono le abitudini di noi
newyorkesi?”
“Fissare le donne, studiarle,
confrontarle, indovinare la taglia di reggiseno; cose così,
no?”
Scossi la testa, buttando fuori
l’aria in una risata trattenuta. “Anche voi su
quest’isola avete qualcosa che a
noi sfugge.”
Portò le mani ai fianchi
sbilanciandosi in avanti, in attesa che proseguissi, già
pronta a
contrattaccare. L’avevo vista più volte nel corso
di quelle due giornate
assumere quella posizione, e mille altre vent’anni prima, e
mi sfuggì una
risata, perché semplicemente l’adoravo. Lei non
capiva il motivo della mia
ilarità, e io l’adoravo ancora di più.
“Allora?” insistette.
Mi avvicinai di più, percependo la
sua tensione, e le passai di fianco, girandomi poi per osservare il
profilo del
suo volto. Non si mosse. E il suo respiro si bloccò quando
il mio le solleticò
l’orecchio.
“Ottima scelta d’abbinamento, i
tuoi
calzini.”
Donna si girò di scatto e
aprì la
bocca per dirmi qualcosa di sicuramente poco piacevole, ma
finì per guardarsi i
piedi, e poi per guardarmi mentre mi allontanavo
all’indietro, con un sorriso
divertito, e le braccia aperte come a dire non
ci posso fare niente, mica è colpa mia.
Avanzò di mezzo passo ma
cambiò
subito idea, perché forse non ne valeva la pena, inseguirmi
e tirarmi qualcosa
addosso – comprese molte insolenze – e casomai
ricordarsi quanto fosse bello
litigare solo per poi far pace.
Tanto lo sapevamo già entrambi.