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Autore: Alessia9923    29/12/2017    0 recensioni
Grace Parker ha diciotto anni e vive con la madre Abbie ed il fratello maggiore Henry. I suoi genitori sono separati da quando lei aveva poco più di dieci anni e da quel momento il suo rapporto con il fratello è diventato così bello da sembrare migliori amici. Sono molto legati anche grazie alla sua migliore amica Caelie, fidanzata da quasi tre anni con Henry.
Grace vive così, tra il sogno di aprire una casa editrice con la sua migliore amica ed i tanti libri che legge.
Ma non tutto va secondo i piani e non sempre il destino è dalla nostra parte.
Qualcosa irromperà nella vita della ragazza e la stravolgerà in tutto e per tutto, facendole desiderare solo la morte. Tutto quello che aveva sognato per il suo futuro diventerà solo un lontano ricordo di una vita felice.
Nulla sarà più come prima, fino a quando, nel bel mezzo della tempesta, spunta un raggio di sole, pronto a scaldare anche l'inverno più freddo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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Un anno dopo

Qualcosa in me è cambiato per sempre.

Perdere l'unica persona che potessi amare davvero, l'unica persona che mi avesse davvero salvata, l'unica persona che mi avesse davvero resa felice in questa vita mi ha fatto venire voglia di annullarmi per sempre.

Quando mia mamma mi aveva chiamata in lacrime per annunciarmi che Henry aveva avuto un grave incidente mi era crollato il mondo addosso. Continuavo a chiederle se fosse uno scherzo, ma lei continuava a piangere e a urlare di raggiungerla in quel maledetto ospedale a cinquanta chilometri da casa nostra. Presi la macchina e mi immersi nel gelido traffico della città inconsapevole di quello che mi aspettava.

Entrai all'ospedale e la vidi piangere seduta su una sedia in sala d'attesa. In quel momento capii che le cose non stavano andando affatto bene.

Mi avvicinai a lei e l'abbracciai, cercando di consolarla. Appoggiai la testa sulla sua spalla e lei mi accarezzò i capelli. Piangeva, non riusciva a smettere. Aveva lasciato l'aeroporto poco prima che l'aereo decollasse e non aveva ancora avvisato nessuno. Non riusciva a pensare ad altro che a come stava suo figlio, a quello che sarebbe potuto succedere e a correre in ospedale per avere sue notizie. I medici non le avevano detto molto per telefono, solamente che sul luogo dell'incidente avevano trovato il telefonino di Henry e che il suo era il primo numero che avevano trovato. Le avevano detto che aveva avuto un grave incidente e di recarsi in ospedale il prima possibile.

Mi raccontò come l'aveva saputo. Era bianca in viso e priva di forze.

<> disse singhiozzando.

<> chiesi, preoccupata. Cercavo di mantenere la calma, ma in quella situazione era quasi impossibile.

<> rispose.

Mi sedetti accanto a mia mamma ed aspettai con lei in quell'agonia infinita. Mi guardavo intorno e vedevo gente entrare e uscire dalla porta principale, camminare avanti e indietro per i corridoi in attesa di qualcosa o di qualcuno. Alcuni avevano lo sguardo triste; altri avevano uno sguardo felice, speranzoso; altri ancora pareva non lo avessero proprio uno sguardo.

Le mura di quell'ospedale mi sembravano più bianche del solito e i medici mi sembravano sempre meno. Le persone continuavano a girovagare in cerca di qualcuno a cui chiedere notizie di un loro parente o amico, oppure della propria moglie che stava per partorire. Poi vi erano quelli che entravano e uscivano subito perché in realtà non c'era nulla di grave che le avesse portate in quel luogo.

Nella sala c'era odore di disinfettante. Ci sono odori che quando li senti ti portano in giro per il passato e ti fanno stare ancora più male di quello che non stai già. In quel caso, quell'odore mi fece ricordare di quando Henry mi insegnò ad andare in bicicletta.

Pensai a quando Henry mi consolava dopo le cadute in bici e mi venne voglia di spaccare tutto e andare via, uscire e trovarlo lì ad aspettarmi. Continuavo a cercarlo nello sguardo della gente che andava e veniva, ma non lo trovavo. Mi aspettavo potesse uscire dalla sala operatoria in cui lo stavano operando e mi potesse dire che lui in realtà stava bene e si era solo sbucciato un ginocchio.

Il pensiero di lui che mi diceva quella frase con il sorriso da furbo mi fece sorridere leggermente.

Più ci pensavo, più non volevo crederci; fino a qualche ora prima eravamo tutti insieme a fare colazione ed ora due persone stavano rischiando la vita; mi sembrava tutto così irreale. Mi sarei voluta svegliare da lì a poco e andare in camera di Henry per poterlo svegliare, ma non accadde; non mi svegliai.

Non si svegliò nemmeno lui.

Ora, quando penso al giorno in cui ho scoperto che non avrei più potuto abbracciare Henry e alzarmi sulle punte per dargli i baci sulla guancia, capisco di aver perso tutto. Non avevo niente, ma lui era tutto quello che mi serviva per essere felice.

Quando i medici ci hanno comunicato che non ce l'aveva fatta, mamma si è sentita male ed io sono rimasta impassibile. Non riuscivo a piangere. Non riuscivo a muovermi. Continuavo a guardare il vuoto davanti a me e ne sentii subito uno immenso dentro me. Non capivo dov'ero, chi ero, perché ero lì, perché non ero io al suo posto. Un mondo di speranze che si era piano piano sgretolato tra quelle mura di ospedale in quel pomeriggio d'inverno. Avevo il cuore a pezzi ed avevo come l'impressione che la mia anima fosse volata via con lui.

I dottori hanno trasportato mia mamma su un lettino e le hanno somministrato farmaci, mentre io mi sono rifiutata di andare da qualsiasi parte. Volevo solo vedere Henry.

<> dissi guardando negli occhi uno dei dottori.

<> mi risposero. Non capivano che la mia non era una domanda ma una necessità. Dovevo vederlo per chiedergli scusa e dirgli che gli avrei voluto bene per sempre.

<> ripetei. Loro mi guardarono con dispiacere immenso, poi si voltarono e tornarono nella stanza da cui erano usciti. Probabilmente sapevano che nessuna loro parola sarebbe servita a farmi ragionare. Non potevo vederlo in quel momento, sarei stata peggio. Eppure l'unico bisogno che avevo era quello di guardare quell'angelo ed augurargli buon viaggio.

Io rimasi lì e non mi mossi. Riuscii solo a raggiungere una sedia e sedermi, per chiedermi cosa ne avrei fatto della mia vita adesso che l'unica parte buona non c'era più.

Caelie era stabile.

Qualche ora dopo mi diedero il permesso di vederla per pochi minuti, giusto il tempo di salutarla. Ovviamente, lei dormiva, e l'unica cosa che feci io fu quella di avvicinarmi e sussurrarle all'orecchio che le volevo bene e che nessuna delle due si meritava di perdere così tanto. Uscii dalla stanza e chiesi al primo dottore che vidi quando avrei potuto vedere Henry, il quale mi rispose che sarebbe stato possibile il giorno successivo.

Uscii da quell'ospedale con un vuoto nel cuore e nel corpo. Mi diressi alla macchina e mi misi alla guida senza sapere dove andare. Non volevo tornare a casa, ma non volevo nemmeno stare fuori. Volevo entrare nel limbo e rimanere ferma tra due mondi, nascosta dalla realtà.

Pensai infine che continuare a girovagare per la città durante la notte non fosse la cosa più giusta, quindi tornai a casa. Mamma non era tornata, probabilmente era rimasta in ospedale quella notte. Io ero emotivamente a pezzi, mi sembrava di camminare senza sapere dov'ero diretta. Non mi sentivo viva, mi sentivo morta dentro.

Entrai in casa e vidi le valigie che Henry aveva preparato proprio davanti la porta della sua camera. Non capivo che avesse potuto riportare a casa le valigie, dato che mamma era cosa in ospedale ed io ero stata avvisata per ultima.

<> sentii. Qualcuno in casa mia mi stava chiamando.

Io avanzai in salotto lentamente, rendendomi conto successivamente che c'era mio papà seduto in cucina. Stava piangendo ed aveva le mani appoggiate alla testa.

<> chiesi, inconscia di quello che stavo chiedendo. Non potevo immaginare che sarebbe venuto a casa mia quel giorno. Nessuno mi aveva detto niente.

<> Non riusciva a parlare. Singhiozzava.

Mi avvicinai a lui e lo abbracciai.

Ci perdemmo in quell'abbraccio lungo ore ed ore.

<> dissi, accarezzando le spalle a mio padre. Assomigliava così tanto ad Henry che quasi mi sembrava impossibile essere lì con lui.

<> affermò, cercando di calmarsi e smettere di piangere.

<> dissi io, piangendo.

Scoppiai in un pianto disperato e mi aggrappai a mio papà quasi come fosse un'ancora. Non volevo staccarmi, volevo sparire, volevo morire con mio fratello.

Quella notte non dormii, sentivo Henry ovunque: lo sentivo ridere, piangere, urlare. Mi svegliavo ogni volta che mi sembrava di sentirlo con la speranza che fosse davvero lì, ma lui non c'era e non ci sarebbe più realmente stato.

Mi ritrovo qui, seduta sul letto di questa camera avvolta dal ricordo di Henry a pensare a quante cose siano cambiate. Caelie si è fisicamente ripresa, emotivamente probabilmente no. Stavano insieme da tanto e non voglio neanche immaginare quanto sia stato grande il suo dolore nel sapere di essere lì con lui per l'ultima volta.

Ripenso al giorno del funerale.

Presenziammo tutti noi e quasi tutti i suoi amici. Piangevamo, nessuno di noi ha parlato. Solo io presi il coraggio e lessi davanti alla tomba di Henry una poesia che gli avevo scritto poco prima che morisse; l'intenzione era quella di dargliela al suo compleanno, ma il tempo non me l'ha permesso. Ho letto la poesia poi ho abbassato la testa e ho augurato buon viaggio alla sua anima, che forse era lì con noi o forse era in qualche luogo isolato a piangere la sua morte in solitudine.

Chissà dove vanno le anime quando moriamo, chissà dove vanno i ricordi di una persona quando ci dimentichiamo che è esistita. Io non mi dimenticherò mai nulla di Henry, nemmeno il suo profumo. Molte volte andavo in camera con lui e gli leggevo le cose che scrivevo durante la notte, aspettando una sua critica o un suo consiglio. Altre volte veniva lui da me, si sedeva sul mio letto ed iniziava a raccontarmi le sue avventure più assurde per farmi addormentare. Ricordo di una volta in cui mi raccontò di essere venuto a casa ubriaco e di come era riuscito a nascondere tutto a nostra madre. Un'altra volta mi raccontò della sua prima volta con la mia migliore amica, e lì, in quel momento, capii che lui si fidava così tanto di me da raccontarmi cose che, forse, non ha raccontato nemmeno al suo più caro amico.

Quando lessi la poesia vicino alla tomba, ho buttato un'occhiata a Caelie e ho visto che piangeva e non smetteva. Io non mi sono avvicinata a lei, o a mia madre. Sono rimasta lì, da sola, a piangere la morte di mio fratello con me stessa. Per me nessuno esisteva più: né Caelie, né mia madre, né mio padre.
Per me non esistevo più nemmeno io.

Con Caelie i rapporti si sono distrutti irrimediabilmente dopo la morte di Henry perché nessuna delle due ha avuto il coraggio di esprimere le proprie emozioni al riguardo.

Io, infondo al mio cuore, ho sempre pensato che lei fosse stata la causa della sua morte; magari l'aveva distratto, oppure aveva preteso la musica in macchina e lui era così concentrato a cantare che non si è accorto di star rischiando la vita.

Non so esattamente cosa mi ha fatto decidere di chiudere con Caelie, ma l'ho fatto e questo mi basta per stare meglio.

Non ho più voluto vedere nessuno, da un anno sono chiusa in questa camera e l'unica cosa che mi fa compagnia sono i libri, le penne e qualche foglio per scrivere e sfogarmi. Non parlo con i miei genitori da tanti mesi; loro ne soffrono, ma posso garantire a tutti che nessuno soffre come sto soffrendo io.

Mi sento come se fossi vuota, come se continuassi a vivere solo perché il cuore continua a battere, ma tutto il resto fosse spento.

Alla notte, quando non riesco a dormire, mi alzo e vado in camera di Henry, mi sdraio nel suo letto e mi addormento immaginandolo lì con me. Alla mattina, quando mi sveglio, tutto è uguale e allora capisco che forse non potrà più esserci lì con me a raccontarmi le storie buffe, a ridere di qualcuno che non gli sta simpatico, ad accarezzarmi il viso ed abbracciarmi fino a quando non mi addormento.

La camera di Henry mi trasmette un relativo senso di pace, un senso di completezza interiore. So che senza di lui non sarò mai più davvero completa, ma almeno le sue cose mi ricordano che lui c'è stato.

Ho sempre voluto rimanesse chiusa, non ho mai voluto che nessuno entrasse a prendere o spostare qualcosa. Le cose dovevano rimanere così fino a quando non lo decidessi io. Mamma più volte mi ha proposto di togliere alcune delle sue vecchie cose per fare spazio a me, ma io non volevo spazio, a me non serviva posto; volevo mantenere vivo il ricordo di Henry.

   
 
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