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Autore: Pachiderma Anarchico    29/12/2017    2 recensioni
Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto.
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve.
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente.
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto.
Ma non lui.
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta.
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo.
. . .
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato.
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti.
-…Non starete dicendo sul serio.-
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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This is my kingdome come.

 




 

1. 

I morti non parlano.



 

 

-Sai cosa dice la leggenda, Vorkov?-

L'uomo di nome Vorkov osservò il ragazzo, in attesa. Non era famoso per la sua pazienza, ma aspettò comunque che il giovane prendesse posto dinnanzi a lui, concedendogli quei momenti di teatralità che gli piacevano tanto.
Doveva saperlo. 
Se le antiche voci fossero state vere, lui, sedici anni fa, aveva commesso l'errore più grande della sua vita.
Non che avesse potuto prevederlo, era chiaro. Doveva mostrarsi indulgente verso se stesso e l'aver sottovalutato i lupi che lui in persona aveva affamato e nutrito con l'odio e la forza. 
-Brooklyn, dimmi cosa sai.-
Il ragazzo sorrise appena di quella scintilla criptica e misteriosa che non abbandonava mai. Non sembrava triste, né felice o preoccupato. 
Afferrò tranquillamente una ciocca di capelli del colore del tramonto rigirandosela tra pollice e indice -una piccola forma maniacale di ossessione a cui non aveva mai rinunciato- e guardò l'uomo dritto negli occhi neri come il nulla.

So che il vento è più inclemente quando il ghiaccio è più spesso.
So che il fuoco vestito di bianco e il ghiaccio baciato dal fuoco s'incontreranno nella notte che precede il fulmine.
E l'Erede chiamerà a sé ali risorte dal Passato e la neve si tingerà non della porpora dei re, ma del sangue dei soldati;
allora i lupi ululeranno alla bufera, e la bufera risponderà. 
Zanne e artigli danzeranno nelle tempeste d'Inverno, richiamati da antiche voci d'azzurro. 

Vorkov ascoltò in silenzio, inchiodando al muro la preoccupazione come ali di una farfalla morta.
Il ticchettio continuo e rassicurante della pioggia banchettava sul mondo dormiente, e pareva dirgli di usare i mezzi che aveva, senza incertezza, senza remore.  
-Credi che siano loro?-
-Sai cosa credo.- rispose il ragazzo dagli occhi d'acqua. -Credo che nessuno potrà recarti danno, tu che hai le tre, sole armi degne di essere possedute: il potere, il controllo e la paura. Cosa potrà mai fare il bagliore di un fuoco nell'infinità delle tenebre? O una lieve brezza al cospetto della tempesta? O ancora… un fiocco di neve contro la luce del sole?- Brooklyn scosse la testa, sorridendo, questa volta apertamente. -Però… credo anche che sia molto meglio prevenire che curare. L'erbaccia va estirpata subito, prima che contagi le piante sane. Il cavallo indomito va eliminato prima che irrequieti i cavalli mansueti.-
L'uomo si sollevò, e la sua ombra oscurò una vistosa porzione del pavimento in pietra. Annuì, come a volersi liberare in fretta di una macchia sul muro, di una piccola discordanza di colore fra il bianco e l'avorio. 
-Manda qualcuno. Che li uccidano. Che li uccidano tutti.-

. . . 

 

La sensazione di essere seguito lo assalì di colpo, assestandogli un calcio in pieno petto. 
La luce dei lampioni di Toronto brillava nostalgica sulla stradina d'asfalto, illuminando il respiro teso del ragazzo.
Nessuno era fra quelle strade a quell'ora della notte, nessuno lo avrebbe colpito alle spalle, a nessuno interessava avere rogne senza motivo. 
Lui lo sapeva.
Ma sapeva anche che la pelle dei muscoli si era improvvisamente tirata e i sensi in allerta captavano i sussurri del vento.
Continuò a camminare, testardo, razionale.
Nessuno ti segue… nessuno ti segue…
La busta della spesa gli sbatacchiava contro la coscia mentre la luna dominava con la sua cenere d'argento le onde del mare.
Il ragazzo non la guardò nemmeno.
S'inoltrò in un vicolo, testa bassa e passo veloce, sognando ad occhi aperti il cuscino sul quale avrebbe adagiato la testa dolorante
della musica del locale in cui lavorava. 
Fu allora che accadde. 
Una presa sul viso, un urlo: "occhi di ghiaccio", e il ragazzo scattò, come se non avesse aspettato altro. 
L'uomo si ritrovò a terra in pochi secondi.
Lo stomaco del giovane si contrasse, ma caricò il secondo e il terzo pugno verso gli altri due con una spontaneità inquietante.
Erano passati sei anni dall'ultima volta che quel tipo di adrenalina gli aveva incendiato le vene, ma quella notte, in una stradina sperduta nel cuore di una delle più popolose metropoli del mondo, sembrò non essere passato neanche un giorno. 
Erano sei anni, ma sarebbero potuti essere stati dieci, venti, mille, il suo corpo evitava i colpi come se li prevedesse e i riflessi erano squali affamati in un mare di sangue.
Una ciocca di lisci capelli neri gli ricadde sul viso mentre i tre uomini cercavano di rialzarsi. 
Uno, due, tre sputarono nel buio, provarono a varcare le sue difese. 
Impossibile. 
Quel ragazzo aveva lo sguardo stranito dell'animale braccato e la luce perversa del predatore.
Quella notte, sulle nocche di Yuriy Ivanov, il sangue ebbe l'odore del passato.

 

. . .

 

Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto. 
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve. 
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente. 
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto. 
Ma non lui. 
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta. 
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo. 
Sospirò e passò le mani tra i capelli corvini, dimenticandosi che in altri tempi e in altri luoghi erano stati di un altro colore, dimenticando che sei anni prima non sarebbe bastata un'emicrania a farlo impazzire.
Presenza. 
La presenza di qualcun altro in casa. Alle sue spalle. 
Afferrò il primo coltello che gli capitò a tiro con la consapevolezza istantanea che la lama non era abbastanza affilata, che avrebbe dovuto spingere nella carne, che avrebbe sporcato tutto il pavimento, che l'intruso deviò il suo colpo con una prontezza inaspettata, ma non per Yuriy, che con un salto gli si gettò contro facendolo sbattere allo spigolo del tavolo. Gli puntò il coltello alla gola e…
-Merda Yuriy! Non ti sei dimenticato vedo.-
Yuriy quasi non barcollò al suono di quella voce, e le parole gli uscirono di bocca prima che la mente se ne rendesse conto.
-Serjei, fottuto bestione che non sei altro!!- 
Buttò il coltello nel lavello e lo fulminò con lo sguardo. 
-Che cazzo ci fai qui.-
-Questa domanda dovrei farla io visto come ci siamo lasciati l'ultima volta.-
Serjei si raddrizzò, massaggiandosi il fondoschiena dove era stato infilzato con il tavolo. 
-Mi sembrava di essere stato chiaro,- disse Yuriy con voce ferma, -io sono morto.-
-I morti non puntano coltelli da cucina alla gola delle persone.- ribatte il biondo, con la sua perenne sagoma di gelida compostezza. 
Yuriy sembrò vederci doppio dal nervosismo. -Sai benissimo cosa intendo.-
-Sì, e ricordo benissimo che ci incazzammo così tanto da non volerti rivedere mai più, ma eccomi qui Yuriy.- Serjey fece un passo avanti, il
tono improvvisamente serio. -Come ai vecchi tempi.-
-Le cose sono cambiate.- sibilò Yuriy.
-Certe cose non cambiano mai.- decretò Serjei. 
Si guardò intorno, cercando Yuriy fra gli angoli puliti di quell'appartamento, perlustrandolo con gli occhi alla ricerca di un dettaglio, un segno, una crepatura che suggerisse che lì ci viveva il suo ex capitano. Il lupo della steppa. 
Nulla. Non c'era nulla.
-Così è qui che vivi.-
-Serjei cosa vuoi.- ripeté Yuriy.
-Boris avrebbe detto che dovrebbero averti dato cinquanta gatti compresi nel pacchetto…-
-Serjei.-
Fu un suono basso, gutturale, cavernoso come un antro oscuro. 
Serjey si zittì all'istante, irrigidendosi, e la piccola ruga d'espressione che gli increspò un angolo delle labbra poteva essere un sorriso, e aveva il sapore della vittoria. 
-Lo sapevo. Lo sapevo che sei ancora tu. Pensi che basti tingere i capelli di nero, cambiare nazione e nome per cancellare chi sei? Ricordi come dicevamo un tempo?
"Proshloye nikogda ne prokhodit. Vy budete poseshchat', gde by vy ni nakhodilis'. On budet presledovat' vas, kak volk, on budet padat' na vas, kak yastreb, on utonet vas volnami kita, u nego budet ukus gadyuki."-
Yuriy sbattè le palpebre, le lunghe ciglia parevano voler sottolineare il suo disappunto perché quelle erano parole di quel bastardo, le sillabe sdrucciolevoli e melodiose che pronunciava quando voleva aizzarli, spingerli oltre i limiti, rompere ogni osso del corpo fino a decomporsi, per poi rinascere e ricostruirsi, pezzo per pezzo, pelle per pelle, occhio per occhio.
"Il passato non passa mai. Ti verrà a trovare, ovunque tu sia. Ti inseguirà come un lupo, piomberà su di te come un falco, ti affogherà con le onde della balena, avrà il morso della vipera."
-Non osare Serjei.- Yuriy lo guardò negli occhi. -Sai perché l'ho fatto.-
-Sì, lo so.- rispose l'altro, tradendo la malinconia tra i denti che sgusciò fuori come una traditrice. -E sono qui per questo. Vogliamo riprenderci Mosca. Vogliamo tornare a casa.-

Il "voi siete pazzi" di Yuriy giunse alle orecchie di Serjei come uno schiaffo. 
Tra tutti, quello che credeva non avrebbe avuto bisogno di persuasione era proprio Yuiriy, eppure stava incontrando una resistenza ferrea. Come un muro di ghiaccio.
-Come puoi lasciar perdere tutto?- Esordì il biondo, con la sensazione che ogni certezza gli si stesse sbriciolando tra le dita. -Come puoi arrenderti così? Proprio tu che porti le cicatrici più profonde, tu che sei stato sempre il primo su ogni campo di battaglia, vuoi far finta che non sia mai successo?-
-E' davvero così sbagliato Serjei?- Yuriy alzò la voce solo per sovrastare l'incredulità nella voce del suo ex compagno. -Voler fingere di essere un'altra persona? Qualcuno che non è mai stato ferito, che non ha mai sanguinato, qualcuno che non è costretto a fuggire dai ricordi?-
Serjei non era Boris, testardo e travolgente come un fiume in piena, concentrato su se stesso; lui capiva quanto doveva essergli costato quell'inizio, ricominciare, fuggire dalla sua terra come un ladro, nel cuore della notte, perché Vladimir Vorkov era tornato al comando, e lasciare che lo cacciassero dalla sua stessa città e nascondersi in una nuova realtà, senza adrenalina, pugni, armi e brividi. 
Normale e deliziosamente banale. 
Sì, Serjei capiva. -E ci riesci, Yuriy?- 
Ma questo non gli avrebbe impedito di infilare la lama e girarla nella ferita mai davvero guarita. Erano fatti così. 
-A dormire quattro ore consecutive senza che gli incubi ti facciano urlare nel cuscino? Riesci a guardarti allo specchio senza contare ogni cicatrice sotto ai vestiti? Riesci ad avvicinarti alle persone senza diffidenza e sospetto, ad interessarti ai loro stupidi discorsi su quanto sia ingiusta la vita, quando l'unico ostacolo che abbiano mai affrontato è stato essersi alzati dal letto con una sbronza?-
-Basta.-
-Riesci a vedere un'arma senza smontarla e rimontarla nella mente?-
-Ho detto: basta.-
Ma Serjei non si zittì, suo malgrado, perché non aveva detto abbastanza, perché per la prima volta non avrebbe ascoltato il suo capitano, non avrebbe ascoltato gli ordini, ma solo se stesso. 
-Riesci a fingere di non essere Yuriy Ivanov?-
-Yuriy Ivanov non esiste più.-
La voce con cui lo disse fu pacata, semplice, leggera. Tintinnante come un fiocco di neve troppo pesante per gli alberi da reggere. 
Serjei rimase lì a fissarlo, sgomento. 
-Boris aveva ragione… non so più chi sei.-
-No, infatti, non lo sapete. Non più. State cercando la persona sbagliata, non c'è più nessuno che possa interessarvi qui.-
Serjei era sul punto di esplodere. Ma Yuriy sapeva che non l'avrebbe mai fatto. In fin dei conti lo rispettava, e avrebbe rispettato
anche le sue scelte.
Gettò un pezzo di carta sul tavolo dinnanzi a lui, proprio sotto agli occhi del più giovane. 
-Prendi questo aereo domattina alle 9.00, se dovessi cambiare idea. Qualcuno che conosci vorrebbe parlarti, c'è qualcosa di molto più grande in ballo stavolta.-

. . .

 

"Non andrò. Non andrò… se lo possono scordare. Perché dovrei? Chi è Serjey per venire qui, da un giorno all'altro, e dirmi cosa devo o non devo fare? Il passato non si può cancellare… stronzate. Il passato è passato e nessuno lo riporterà indietro. Io non lo permetterò."
Yuriy se l'era ripetuto per tutta la notte, brancolando nel letto, calciando le lenzuola, dimenticandosi del sonno. Ne era fermamente, assolutamente, incontrovertibilmente convinto: non sarebbe andato, non avrebbe preso quell'aereo per chi sa dove soltanto perché le ceneri di un vecchio fuoco si erano ripresentate alla porta della sua nuova vita, bruciandone i cardini. Avrebbe cambiato nome un'altra volta, altre cento volte se necessario, sino a dimenticarsi quello con cui era nato. 
Stai mentendo. Bugiardo.
Ma se c'era una parte di lui che bramava l'oblio e la fuga, l'altra parte, la parte indomita, vendicativa, selvaggiamente orgogliosa, ululava come un lupo siberiano alla luna di ghiaccio, in attesa che il freddo vento del Nord tornasse a soffiare.
E poi, alle prime luci dell'alba, prese un borsone e, con gesti secchi e meccanici lo scaraventò sul letto e lo riempì dei vestiti e dello stretto indispensabile. 
Aveva intenzione di tornare presto, aveva intenzione di mandarli tutti al diavolo. 

 

. . .

 

Una lucida auto nera lo venne a prendere all'aeroporto. 
Non appena aveva messo piede a terra e aveva scorto il consueto trambusto addossarglisi sulla pelle, l'affettata lingua autoctona intrecciata a quelle esotiche di milioni di turisti e l'infinito labirinto di moderni grattacieli specchiati al di là delle immense vetrate, non aveva fatto altro che imprecare sottovoce, accompagnando all'insulto un nome: Kai. fottuto. Hiwatari.
Perché Tokyo e il volo di lusso, e la costosa macchina nera, e l'autista silenzioso e austero che, vestito da pinguino, si rifiutava di rivelargli dove fossero diretti, tutto quello trasudava "Hiwatari" da ogni poro.
"Eppure sono qui." pensòosservandosi le mani posate sulle cosce. "Nonostante gli anni, nonostante la promessa di sparire per sempre." 
Le sue mani non erano mai state così bianche. 
"Una volta ero più bravo a mantenere le promesse. Ma una volta mantenere le promesse significava restare in vita."
Lo sguardo limpido come il ghiaccio delle sorgenti rifletteva il bagliore del cielo.
Riconoscibili come poche cose, si poteva davvero svanire nel nulla con due occhi così?
-Signore, siamo arrivati.-
Il russo rifiutò categoricamente l'offerta dell'uomo di portargli il bagaglio, e con un atono "Ci penso io, grazie" liquidò lui e la sua aria pomposa, come qualsiasi cosa circondasse quelli lì.
Farlo volare in fretta e furia dall'altra parte del globo per ritrovarsi incastrato nella casa del vecchio, bastardo Hito. 
"Lo ammazzo, questa volta lo ammazzo. Prima il nipote e poi il nonno."
Si guardò attorno, restando immobile nell'atrio deserto. 
Un'enorme scalinata in legno pregiato conduceva ai piani superiori, abbelliti da balconcini a palloncino bordati d'oro e intagli nelle colonne; vetrate ad arco conducevano direttamente nell'immenso parco che circondava la villa, e sontuosi lampadari in oro e ottone gettavano l'ambiente in un freddo bagliore dorato.
Yuriy osservò attentamente il tappeto color porpora di foggia orientale sul quale aveva poggiato i piedi, poi il pavimento. 
Fece qualche passo avanti, quel tanto che bastò perché il borsone, gettato malamente a terra, finisse con un tonfo sul prezioso parquet. 
"Bene, non vieni? Vengo a stanarti io."
Spalancò porte, aprì finestre, fece scattare serrature e imprecò ogni cinque minuti d'orologio con la precisione di un pendolo, ma del padrone di casa neanche l'ombra. 
-Fanculo Kai, me ne vado.- mormorò, quando una strana musica si propagò nel corridoio con forza. 
Latina. 
Gli ci vollero poco meno di due secondi per realizzare che non avrebbe trovato il Signor Hiwatari fra le mura di quella stanza, ma tanto valeva accertarsi che ci fosse una qualsivoglia forma di vita in quella villa. 
Abbassò la maniglia e la melodia si fece più intensa, travolgendo l'aria. 
Spinse la porta. 
Sembrò che un fiume fosse stato fatto prigioniero e ballando cercasse di liberarsi. 
Yuriy non seppe mai se furono prima le flessuose gambe color della sabbia a catturare la sua attenzione, i piedi nudi che si muovevano veloci seguendo il ritmo come farfalle di bronzo, le piroette morbide che sollevavano il vestito sottile, o la testa abbandonata alle cadenze della musica, gettata all'indietro, come a perdersi nel suono della canción.
I lunghi capelli di miele le sfioravano il fondoschiena in onde disordinate, che lei contribuiva a scompigliare passandoci le mani attraverso. 
Yuriy, fermo come una statua di sale, impassibile come solo lui poteva, lasciò che le pupille si stringessero sulla libertà spontanea che bagnava il collo della ragazza in minuscole gocce di sudore, come cosparso di brillantini. 
Come il deserto bagnato dal sole. 
Nessuno lo avrebbe notato, ma Yuriy aveva stretto impercettibilmente le dita attorno la maniglia, quando la ragazza, fermando la sua danza impetuosa, si accorse di lui e si voltò, rivelando due occhi verdi come le foglie d'Estate. 
Una vivace luce di bambina le si posò sulle labbra sorridenti.
Il cantante diceva cose che il russo non capiva, ma ebbe l'impressione che parlasse di caldo, e mare, e spiagge assolate a ridosso dell'azzurro, perché tutto quello che si avvertiva di quella ragazza trasmetteva luce, calore e sudore che si attaccava alla pelle. 
E Yuriy iniziò ad irritarsi dinnanzi al suono incomprensibile quella lingua piena di "s" e fonemi che scivolavano sulla lingua di lei mentre ne ripeteva le parole, continuando a muoversi, e a guardarlo per quelli che parvero giorni, forse anni. 

Una vez más no por favor que estoy cansada y no puedo con el corazón. 
Una vez más no mi amor por favor, 
no grites que los niños duermen. 

Voy a volverme como el fuego 
voy a quemar tu puño de acero 
y del morao de mis mejillas saldrá el valor 
para cobrarme las heridas. 
Malo, malo, malo eres 
no se daña quien se quiere, no 
tonto, tonto, tonto eres 
no te pienses mejor que las mujeres 
Malo, malo, malo eres 
no se daña quien se quiere, no 
tonto, tonto, tonto eres 
no te pienses mejor que las mujeres.. *

 

La canzone finì e la ragazza si portò le mani tra i capelli un'altra volta, senza distogliere gli occhi dal volto del russo.
-Hola.- disse, continuando a sorridere.
-Priviet.-
-Yo soy Julia Fernandez.-
-Menya zovut Yuriy Ivanov.-
-Hahaha!- la spagnola si alzò i capelli in una coda scomposta, sollevandoli dal collo. -Non capisco.-
-Beh, neanche io.-
-Ma mi hai risposto.-
-Solitamente quando due persone si incontrano si presentano, o nel mondo del sol funziona diversamente?-
-Beh- iniziò lei, imitando il tono asciutto della voce con cui Yuriy aveva parlato poco prima, -io non vedo nessun Yuriy in questa stanza.-
Yuriy assottigliò lo sguardo, ma non con quella scintilla aggressiva che avrebbe sfoggiato un tempo in risposta a tutto e tutti e che sapeva d'Inferno; era piuttosto al confine tra il perplesso e il disinteressato.
-Quindi anche tu mi hai capito.-
-Ho sentito che hai detto "Yuriy", ma non lo vedo qui intorno. Yuriy Ivanov ha i capelli rossi. Anzi- Yulia gli passò accanto, ammiccando, -rosso fuoco.-
La madrilena si sforzò di assecondare quel suo cipiglio freddo e distante, ma era difficile farlo quando la sua indole espansiva ed esuberante avrebbe voluto soltanto far ripartire la musica e sentirsi quei suoi occhi da predatore addosso. 
Le piaceva attirare l'attenzione ed era maledettamente brava nel farlo, non si sarebbe certo lasciata intimorire da due occhi azzurri qualunque. 
-Yuriy ha cambiato colore di capelli.- disse lui, ferreo.
-Strano, Yuriy non mi sembrava tipo da tinte ai capelli.-
-Le cose cambiano.- 
Le diede le spalle, mostrando apertamente che la conversazione era finita. Si incamminò nel lungo corridoio, seccato da Kai e dalle sue celebri sparizioni. Non avrebbe ammesso repliche. 
Ma Julia era una variante nel sistema, un'incognita nel codice, e replicò. 
La voce limpida della spagnola gli sbatte alle spalle, dispettosa e perfetta
-Certe cose non cambiano mai, querido.-
Il russo non fece cenno di aver sentito, nonostante le sue parole gli scavarono dentro come macigni, trascinandolo sul fondo di un abisso del quale non voleva vedere il fondo. Ma prima che potesse anche solo immergersi in quel lago oscuro al di sotto del suo cuore, la madrilena l'aveva preso per mano e lo trascinava su per le scale e attraverso il lusso degli Hiwatari, leggera sui piedi nudi quanto lui era pesante con gli anfibi.
Quando si fermò, piantandosi improvvisamente a terra, Yuriy ritrasse bruscamente la mano dalla sua. La spagnola se ne accorse dal modo in cui si le linee dei bicipiti divennero più visibili attraverso la felpa, e di come le clavicole si delinearono dal collo della maglietta.
-Ti stai prendendo un po' troppe confidenze, querida.-
Non vi era traccia d'ironia nella sua voce, neanche in quel "tesoro" con cui la stava beffeggiando. 
La spagnola allora fece un passo indietro, scosse la lunga chioma di capelli e aprì una grande porta a due battenti. Yuriy fece per entrare, ma lei gli scivolò accanto con un movimento veloce del bacino e gli passò davanti, precedendolo dispettosamente nella sala da pranzo.
-Il lupo della steppa è qui.- annunciò con leggerezza mentre si dirigeva verso il posto libero di fronte ad una bottiglia di vino rosso. 
Una presa ferrea la afferrò dal braccio, trattenendola. 
Le dita di Yuriy le si strinsero tra polso e gomito prima che anche lui potesse volerlo. 
-Come mi hai chiamato?- sussurrò. 
Julia avvertiva la pressione salda della mano del russo. 
Notò che sarebbe stato impossibile liberarsene, ma che non le faceva male. E notò anche, con un brivido, che il calore della pelle di Yuriy a contatto con la sua era troppo intensa attraverso la stoffa sottile della manica, troppo leggera per qualcuno che ha il ghiaccio nelle ossa. 
Lo guardò, e come se niente fosse rispose: "Sei chiamato in tanti modi Yuriy Ivanov. Io ho solo scelto quello che mi piace di più."
Mentre si sedeva lo osservò di sottecchi. Era incuriosita dal suo modo di fare, da come dissimulò la sorpresa per quell'appellativo risorto dal passato in un tempo che per chiunque altro sarebbe stato impossibile, ma non per lui, che tornò alla sua facciata impassibile come si torna da una vecchia amante.
Nel frattempo il russo aveva adocchiato Kai. I suoi occhi si erano accesi di un bagliore sinistro non appena aveva posato lo sguardo sul più piccolo della discendenza Hiwatari, e sull'ultimo degli eredi di una delle più facoltose società al mondo. 
Julia non era stupida e, soprattutto, non era cieca. Aveva notato, da come Yuriy si era avvicinato all'altro e lo aveva messo alle strette con domande minacciose che somigliavano più ai sibili di una vipera inferocita piuttosto che alla voce di un essere umano un tantinoalterato, che neanche il superbo, distaccato, arrogante Kai Hiwatari sarebbe uscito indenne dal terzo grado di quell'inquietante sovietico. 
La spagnola accavallò le belle gambe e si fece schioccare le dita delle mani, godendosi la scena sulla sua poltrona preferita del salotto della villa. 
Non conosceva Yuriy e non poteva certo dire di conoscere Kai, ma aveva combattuto contro il russo durante i campionati del mondo di Beyblade di sei anni prima, e suo fratello aveva fatto lo stesso con il nippo-russo, ed entrambi avevano concordato sulle medesime considerazioni: quei due parevano essere nati dalla stessa pianta, sembravano treni in corsa che correvano sullo stesso binario, due gocce di pioggia della stessa nuvola, ma la realtà era un'altra. In comune non avevano altro che la freddezza, l'autocontrollo, la determinazione e la certezza di possedere i denti più appuntini, niente più. 
Simili come possono esserlo ghiaccio e fuoco. 
Eppure qualcos altro in comune dovevano averla… qualcosa che condividevano insieme e che custodivano gelosamente nei recessi di quegli sguardi affilati e nei modi distanti. 
L'aveva capito allora e lo vedeva anche adesso, seduta lì, a sorridere impercettibilmente mentre quei due si sfilettavano in russo chi sa quali belle parole, che nell'occhio del ciclone si sarebbero sempre cercati a vicenda.
E sorrideva perché, por Dios!, era chiaro come il sole che stessero parlando di lei.
-Teper' vy ob"yasnite mne, chto ona zdes' delayet.-
-Ona vas bespokoit?-
-Yesli vy tak bespokoite menya. Vy so svoim vozdukhom, chtoby uznat' obo mne obo mne, chto ya khotel by uznat' sam, yesli vy ne..-
-Discùlpeme…- s'intromise la ragazza, alzando una mano. -Ma vorrei capire ciò che dite quando parlate di me, se non vi dispiace.- 
Kai accennò un sorriso alzando una mano verso il russo.
-Yuriy vuole sapere che cosa ci fai qui, e cosa sta succedendo.-
-Ah, quel fiume di parole funeste era solo questo?- ridacchiò la madrilena. -Caliente, riesce sempre a far sembrare tutto una dichiarazione di guerra?-
-Il più delle volte.-
Julia allora si alzò e, ignorando bellamente la seconda questione, disse, senza smettere di adocchiare Yuriy: -Perchè vuole sapere cosa ci faccio qui? E' geloso forse?- 
Yuriy, se possibile, si irritò ancor di più. Lo avevano fatto arrivare in fretta e furia per assistere al pietoso spettacolino di Kai e della sua… beh, qualsiasi cosa fosse la Fernandez per lui. 
Cosa era saltato in mente a Serjei? Erano diventati tutti pazzi o stavano giocando con la sua già labile sanità mentale?
-Senza offesa Fernandez, ma non me ne frega un accidenti di quello che tu e Hiwatari fate sotto le lenzuola, io voglio sapere cosa ci faccio qui e perché ancora non vi abbia mandato a quel paese e, soprattutto, voglio saperlo ora, prima che decida di averne abbastanza e inizi a prenderla sul personale.-
Julia alzò le mani con un cipiglio ironico stampato in volto, indietreggiando. -Hai una capacità di linguaggio notevole. Ma, se proprio lo vuoi sapere, io sono qui porque, evidentemente, devo esserci, e non porque mi faccio Kai ce-l'ho-di-platino Hiwatari.- Kai spalancò gli occhi e cercò di trovare un varco per inserirsi nella parlata determinata della spagnola, ma ella continuò come un pezzo di piombo in caduta libera. -Pensavo che lui fosse il re degli stronzi strafottenti ma tu gli fai una degna concorrenza per la corona, Ivanov. E poi- si scostò la lunga chioma di capelli dalle spalle, avviandosi verso l'uscita come se qualcuno l'avesse appena chiamata per incoronare lei regina dell'universo, -ci sono anche Ralph Jürgens e Andrew McGregor in giro, mi hanno detto che sono tuoi grandi amici, querido.-
Seppe di aver fatto centro ancor prima di essersi chiusa la porta alle spalle. Yuriy aveva spalancato gli occhi e si era avvicinato a Kai come se avesse voluto strangolarlo. 
Probabilmente ci sarebbe riuscito.

 

. . .

 

Un'ora dopo e tre bottiglie di Vodka alla pesca in meno, Kai Hiwatari era riuscito a spiegare ad uno spazientito, nervoso e stanco Yuriy Ivanov la situazione senza che questi cercasse di buttarlo nel camino… una seconda volta.
Sprofondati nei cuscini delle poltrone che il giovane Hiwatari faceva sprimacciare ogni settimana e bagnati dalla luce rovente delle fiamme, non avevano altro che il crepitio del fuoco ad origliare quella che sembrava l'alba di una nuova era.
-Tu mi stai dicendo… che potremmo riuscire a controllare il ghiaccio e il fuoco? E che Takao potrebbe ritrovarsi un drago a scorrazzare per casa e tu un'aquila o una Fenice o quel che è in giardino?-
-In linea di massima… sì.-
Il russo si passò le mani sul viso, sospirando e soffocando il respiro in una mano. Scosse la testa.
-Ripeto: voi siete pazzi.-
-Hilary e Kappa sono stati pedinati da due tizi con un cappuccio tre giorni fa, probabilmente per ricavare informazioni su Takao. Rei è in Cina ed è ossessionato dall'idea che possano far del male a Mao a causa sua, perché nel villaggio stanno accadendo strane cose e tu, in Canada, vieni assalito da tre energumeni, e tutto accade quasi nello stesso momento. Non credi che stiano tentando di ucciderci?-
Yuriy sbuffò, al limite del sarcasmo non offensivo. -Ma davvero?-
-E tu sai anche chi.-
Il russo chiuse gli occhi e lentamente si morse il labbro inferiore. 
E il passato gli si ripresentò davanti in tutto il suo mortale pallore, danzando sulle note di un destino già scritto. Si costrinse a mantenersi saldo, a razionalizzare le parole dell'ex-compagno di squadra, parole che rimbombavano assordanti negli spazi vuoti della sua anima.
-Perchè?-
Kai si sta sbagliando.
-Perchè ci considera una minaccia alla sua ritrovata supremazia su Mosca.-
Yuriy si portò la bottiglia alle labbra come se ne fosse dipesa la sua vita. Si sentiva opprimere, schiacciare dalle ombre che, dagli angoli più polverosi, stavano marciando inesorabili al centro della stanza. 
-Sono scappato, siamo scappati, gli ho lasciato carta bianca, ho cambiato paese, città e nome, ho chiuso Wolborg in un cassetto e non ho più parlato russo per sei anni..-
-Non è abbastanza.- lo interruppe Kai, sedendosi meglio sulla poltrona e continuando ad osservarlo, con quella pelle bianca come la neve e i lisci capelli corvini gettati indietro. 
Erano passati anni dall'ultima volta che l'aveva visto, ma ricordava perfettamente il leader della Borg prima e della Neoborg dopo come se ce l'avesse avuto accanto per tutto quel tempo. Ci aveva combattuto contro, ci aveva combattuto assieme e conosceva bene la sua innaturale resistenza e l'incredibile tenacia fiera. Eppure mai avrebbe pensato che, a distanza di anni, se lo sarebbe ritrovato di fronte esattamente come prima, a rispolverare il passato e ad aprire cassetti chiusi da tempo. Poteva avvertire le serrature arrugginite dei ricordi di Yuriy scricchiolare, restii ad aprirsi. 
"Ma è davvero come prima?"
Quanto erano cambiati in quei sei anni? Kai conosceva realmente il ragazzo seduto nel suo lussuoso soggiorno a ingurgitare Vodka come fosse stata acqua fresca? 
Sembrava lui, Yuriy, nonostante il tempo avesse reso il suo corpo più adulto e i tratti del viso più maturi, nonostante i celebri capelli color del fuoco non facessero più parte di quel quadro che avevano caratterizzato per così tanto tempo, scalzati da ciocche d'ebano che non gli carezzavano più gli zigomi alti. 
Adesso, i capelli gli lasciavano completamente scoperta la fronte, donando al suo viso un'aria più giovane e più anonima.
"Per quanto possa sembrare anonimo uno con l'Inverno incastonato fra le palpebre e la pelle di neve," pensò Kai, ma era come se mancasse qualcosa. 
Come un dipinto incompleto, quella particolare sfumatura degli occhi era più vivida, ma meno tagliente. 
Erano come ghiaccio baciato dal sole, e Kai si trovò a pensare che il sole, in quel dipinto, non c'entrava proprio niente.
-E' stato mio nonno a parlarmi della leggenda, e questa è probabilmente l'unica cosa decente che abbia mai fatto nella sua vita. Oltre a mio padre, che ha contribuito a fare me, ovvio. Diciamo che questa è la seconda cosa decente che abbia mai fatto.-
-Dranzer ti ha preso in testa ultimamente?- sbottò, scettico. -Io, io Kai, dovrei fidarmi delle parole di Hito Hiwatari?!-
-No Yuriy, dannazione, devi fidarti di me.-
Nella stanza calò il silenzio. 
Come una coltre gelida si posò sui mobili, sul calore, sui loro visi, avvolgendo ogni cosa. La penombra si tinse dei colori del fuoco. 
Kai sapeva che Yuriy non lo avrebbe fatto, ma quando lo vide scuotere la testa, Dio! non l'avrebbe mai ammesso, fece male lo stesso.
-Ascoltami. Mio nonno è egoista, arrivista ed è un vecchio bastardo megalomane, ma questa volta è diverso. E' rimasto in silenzio per tutto questo tempo perché non era sicuro riguardasse noi, ma alla luce dei fatti deve aver capito che, in effetti, Vorkov potrebbe aver ragione.- Kai si versò una considerevole dose di Vodka, facendola girare nel bicchiere con un movimento pigro del polso. 
-Sono riuscito ad ottenere ulteriori informazioni grazie a Ralph ed Andrew. Le loro famiglie sono molto antiche, hanno a che fare con i Bit Power da molto tempo e si sono messi in contatto con alcuni… conoscitori di questi vecchi miti. Questi conoscitori vengono chiamati "Memori", perché a loro viene tramandato il sapere degli antichi sulle creature dei bey e sempre loro possiedono la facoltà di vedere cose che gli altri non vedono. Ma questa è una storia che Ralph riesce a rendere molto più interessante di me con quel suo tono da "so-tutto-io". Quello che voglio farti capire è che..-
-Tu credi che siamo noi, non è così?- Yuriy guardava dritto Kai in faccia, senza se e senza ma. Senza ironia o sarcasmo. Impassibile come una maschera senza volto.
Preludio di tempesta.
-Sì, lo credo.- Kai sostenne il suo sguardo, ancora e ancora. 
-Perchè sei un egocentrico del cazzo, ecco perché!- sbottò Yuriy, sbattendo la bottiglia sul tavolino. -Sono stronzate in cui tu vuoi credere perché ti piacerebbe tanto avere quel potere!-
-Vorkov ha cercato di ucciderti per queste stronzate!- Kai raddrizzò la schiena.
-Vorkov si sbaglia.- Il lupo ringhiò, e fu un ringhio basso e rauco, un suono ruvido a metà fra la calma e l'apocalisse. 
-E se invece avesse ragione?- mormorò Kai, specchiandosi nell'azzurro dei suoi occhi. -Pensaci Yuriy, pensaci. Ti ho visto prevedere una bufera di neve una volta.-
-Una bufera di neve in Russia, sai che grande scoperta.-
-Ci è capitato in passato di riuscire a fare cose diverse, cose che gli altri blader neanche si sarebbero sognati di fare. Io, tu, Takao, Rei e chi sa chi altro. Sai cosa mi ha detto Hitoshi?- disse, continuando a guardarlo. Yuriy notò che il porpora nei suoi occhi era denso come liquore. -Mi ha detto che lui ci guarda e vede occhi di fuoco e di ghiaccio, capelli rossi e d'argento… io non ho mai tinto i miei capelli, Yuriy. Il blu è tinta, ma non l'argento, e non lo sa nessuno. E ha detto che persino la nostra personalità ricorda l'Elemento e l'Animale Sacro che custodiamo. E quel pezzo di merda di Vladimir Vorkov la pensa come noi, altrimenti non si sarebbe scomodato a toglierci di mezzo. Voleva spazzarci via prima che venissimo a conoscenza di tutto questo. L'abbiamo battuto per un soffio.-
-Non lo batterete mai.- un sussurro.
-Come?-
-Ho detto- e questa volta Yuriy alzò la voce, -che non lo batterete mai. Non lo capite? Ci troverà, sempre e ovunque, ogni suo capriccio significa lotta, fuga, sparizione. Ci perseguiterà fino alla fine dei nostri giorni.-
-E' per questo che dobbiamo combattere.- Kai poggiò il palmo delle mani sul legno del tavolo, sporgendosi in avanti. -Perchè ha trovato Takao, ha trovato me, ha trovato Rei in Cina e ha trovato te in Canada, con un'identità diversa e sei anni di fottuto silenzio. Anche se tu non ci credi, lui invece la pensa diversamente e farà tutto ciò che è in suo potere per distruggerci.- Kai fece una pausa, soppesando le parole che avrebbe detto per la prima volta nella sua vita. 
No, decisamente non erano gli stessi ragazzi di un tempo, e nonostante l'incessante ambizione che gli faceva prudere le mani e il desiderio di spingersi di più, sempre di più oltre ogni limite, non era per il potere di controllare il fuoco, o per la Fenice, o per qualsiasi altro motivo che avrebbe spinto il Kai Hiwatari di una vita fa ad accettare la sfida e incoccare la freccia. 
-Inoltre...- sospirò. -Io non ho alcuna intenzione di vivere nascosto per il resto della mia vita, sperando che Vorkov smetta di tormentarmi per un qualcosa che ho avuto troppa paura di controllare. Se è fuoco che dovrò essere, fuoco sarò.-
La porta si aprì e un'ombra gigante oscurò la luce proveniente dal camino. 
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato. 
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti. 
-…Non starete dicendo sul serio.-
-In realtà è già in atto.- Serjei lanciò un'occhiata al giovane Hiwatari, poi continuò. -Sai com'è Ivan..- 
-Non riesce a farsi i cazzi suoi?- suggerì Kai, ridacchiando poi della sua stessa strabiliante sagacia. 
-Esattamente, e grazie a degli informatori è venuto a conoscenza di questa rivoluzione che cova sotto la cenere. E' pronta ad esplodere Yuriy, Vorkov è al potere da troppo tempo, ha messo le mani dovunque, tra i vicoli, nelle strade… non si può più parlare, ci sono pericoli ovunque, e non detiene più soltanto il monopolio del beyblade in Russia, ma controlla i blader più promettenti in ogni angolo del globo grazie alle sue spie. Chiunque mostri un briciolo di talento in più, chiunque possieda un Animale Sacro più forte, o chiunque possa diventare un buon soldato finisce al Monastero, svanendo nel nulla e ricomparendo anni dopo più potente, più spietato e al servizio di quel bastardo. Siamo in pericolo e lo siamo tutti, ma anche nel suo sistema apparentemente inespugnabile iniziano ad aprirsi delle crepe… noi vogliamo entrare da lì.-
Yuriy aveva ascoltato tutto quel bel discorso ridondante con una mano spalmata sulla fronte e l'avambraccio sinistro accartocciato sul bracciolo, annuendo di tanto in tanto giusto per far intendere all'altro che lo stava sentendo. 
Da quando Serjei parlava di sommosse e insurrezioni? Da quando non era più lui a guidare i passi della disobbedienza? Chi erano diventati senza di lui, e chi era diventato lui senza di loro?
-Perchè dovremmo riuscire a far crollare un sistema che va avanti da anni?- chiese, arrendendosi all'evidenza che quei due non si sarebbero fermati.
Fu a quel punto che Kai e Serjei si guardarono davvero, senza colpi d'occhio furtivi o sguardi sfuggenti, ma apertamente, preoccupati e frementi allo stesso tempo. Yury poté scorgere le mani di Kai artigliare i braccioli della poltrona per spingersi più avanti e sedersi proprio sulla punta del cuscino. Serjei dal canto suo, stette a guardare, e sperò che il tuono avrebbe ceduto il posto ad un velo di leggera pioggia. 
-Perchè ti seguirebbero, Yuriy. Se mostrerai la tua forza, loro si fideranno di te. L'hai sfidato una volta, sono certi che tu possa farlo di nuovo. Sono disposti a morire, ma solo se sarà il Figlio della Neve a guidarli. Tu, Yuriy.-
Serjei ricordò proprio in quell'attimo -fra lo spegnersi della voce di Kai e l'inizio di quella di Yuriy- il perché non osava mai essere ottimista quando si trattava del suo ex capitano. 
Perché Yuriy non era pioggia leggera e non lo sarebbe mai stato. 
Yuriy era sangue e cicatrici, pesante come una valanga di neve e rancore, corrosivo come acido sulla pelle e la pioggia, lieve, rinfrescante, innocua non sarebbe mai stata abbastanza per chi aveva il sangue nelle vene che correva al ritmo dei venti del Nord.
Si alzò con uno scatto furibondo, spingendo indietro la poltrona di qualche metro, e si diresse a passo di marcia verso la porta. Non appena Kai emise un flebile respiro, segno che stava per parlare di nuovo, si voltò, fulminandolo con due occhi di pura ferocia e inchiodandolo lì dov'era. 
Serjei non aveva mai visto Kai Hiwatari rinunciare a dire ciò che pensava, rinunciare a rigirare coltelli nelle ferite già sanguinanti. 
Ma quella volta, a notte fonda, nel soggiorno della sua immensa dimora, Kai capì che se solo un'altra sillaba avesse lasciato la sua bocca liberandosi nell'aria aperta, si sarebbe trovato con la schiena a terra e Yuriy addosso, e non era certo che Serjei sarebbe riuscito a trattenerlo. 
Aveva visto personalmente di cosa era capace quando le emozioni, che rinchiudeva fra gabbie di ossa e muscoli dentro di lui, riuscivano a liberarsi, offuscandogli la ragione. Avrebbe fatto qualsiasi cosa. 
Yuriy Ivanov non perdeva mai il controllo, ma quando, per un ridicolo secondo esso abbassava il freno, il lupo mostrava i denti e il sangue schizzava dappertutto. 

. . . 

 

 

-Oddio! Che hai fatto?? Quasi non ti riconoscevo!-
Takao si mise una mano all'altezza del cuore, scimmiottando Olivier seduto poco più distante.
-Ho fatto all'uncinetto. Che significa "cosa hai fatto"? Ho cambiato colore di capelli. Ho fatto la muta come i serpenti.- rispose Yuriy versando il caffè in una tazza.
-Ah mai io l'ho riconosciuto benissimo.- sottolineò Ralph, diventato immobile come un gargoyle da quando il russo aveva varcato la soglia della stanza da pranzo. -Ha sempre quell'arroganza presuntuosa e il cinismo ferino di basso livello stampato in faccia.-
Yuriy per tutta risposta prese anche la caraffa con l'acqua calda. -Kai hai della camomilla?-
Daichi soffocò il sorriso nei cereali, cacciandosene un cucchiaio stracolmo in bocca. 
-L'ho finita tutta in questi giorni. Ultimamente ne sto facendo un uso spropositato, chi sa perché…- commentò Kai, con l'aria di uno che avrebbe preferito sotterrarsi per l'eternità. -E' per questo che ti ho fatto venire, sapevo che anche tu avresti apprezzato gli effetti benefici della camomilla..- e lanciò un'occhiata eloquente agli europei, per poi concentrarsi sul sedicenne dai capelli di rame seduto proprio alla sua destra. -Tu che ci fai ancora qui? Ti avevo detto "due notti, poi sloggia da Takao" ed è la quarta mattina che ti trovo seduto al mio tavolo ad ingozzarti di cereali.-
-Ehi! Se ospiti il francese ospiti anche me.- ribattè Daichi, svuotando il resto dei cereali nel latte. 
-Ha ragione sai.- disse Yuriy portandosi la tazza di caffè alle labbra e guardando Kai come se fosse tutta colpa sua.
Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo. 
Il russo guardò Serjei, che fino a quell'istante era rimasto in silenzio e in disparte a spalmare la marmellata di fichi su una fetta di pane tostato. 
Ma ignorare la pesantezza dello sguardo di Yuriy era sempre stato difficile, il biondo lo sapeva bene. Ti si attaccava addosso come uno spillo, stringeva la presa fino a soffocarti. 
Poi quando ci aggiungeva anche quel piccolo movimento, inclinando la testa di lato come in quel momento, c'era veramente poco da fare. 
-Sì, Ivan ha contattato Boris e gli ha comunicato il tuo messaggio e…-
Yuriy inarcò le sopracciglia. 
-E…?-
-E… Boris ha risposto affermando che non riconosce più alcuna autorità da parte tua, e che non farà quanto hai ordinato.- Serjei posò la fetta di pane, passandosi le dita fra i capelli. 
Julia, che che se n'era stata zitta e per conto suo almeno quanto Serjei, avvertì il cambiamento nell'aria ancor prima di vederlo, come se un vento da ponente avesse spazzato via l'intorpidimento mattutino per lasciare il posto all'allarme di una sirena. 
Serjei e Kai si scambiarono uno sguardo che la spagnola avrebbe definito grave, consapevoli di quel qualcosa che a lei sfuggiva; Gianni, l'italiano, e il francese Olivier tenevano il naso abbassato nel piatto e Andrew fece finta di trovare il suo tea estremamente interessante. 
Cosa diamine stava succedendo?
Perché la Primavera era stata spodestata così improvvisamente dal suo trono al suono di quella notizia?
E poi, finalmente, Julia capì. 
La Primavera, che lei tanto amava come una bimba ama la mattina di Natale, non avrebbe mai potuto vincere contro quegli strani russi e l'Inverno che si portavano dietro ovunque andassero, con le loro regole e quel passato che non avrebbe mai capito davvero. 
Non vi era Primavera in Yuriy quando Serjei smise di parlare, e non vi fu neanche quando posò lentamente la tazza sul tavolo e si passò il pollice sulle labbra, guardando davanti a sè.
-Serjei- chiese con calma, -dov'è Boris adesso?- 
Una calma estenuante.
-A Mosca.- 
-A Mosca?! Dove è più probabile che lo scoprano? Vuole morire?? Ma è impazzito! - esclamò Andrew, incapace di trattenersi oltre.
-Prenota il primo volo per Mosca.- riprese Ivanov, come se nessuno avesse parlato. -Quel figlio di puttana me lo dirà in faccia.-








* dal testo della canzone Malo (in spagnolo "Cattivo") della cantante spagnola Bebe 


NdASalve a tutti belli e brutti! (di certo non si riferisce a me NdKai)
Manco in questo fandom da molto tempo, ma è sempre nel mio cuoricino, e da qualche settimana sono ricomparsa e ho letto tutte le storie nuove e/o aggiornate, anche se non ne ho recensito nemmeno una perchè sono la regina indiscussa del procrastinaggio potente.
Noto con piacere che stiamo tornando, io (purtroppo per voi) sicuramente con questa perla di illuminazione che mi è balzata in mente alcuni giorni fa. 
Perdonate eventuali errori, di qualsiasi svista vi accorgiate potete avvisarmi tranquillamente (visto e considerato che scrivi in modo contorto che neanche l'inglese di Max NdKai).
Spero che questo primo capitolo non vi abbia terrorizzati (se non l'hanno fatto i capelli neri, NERI di Yuriy nostro non so cosa possa riuscirci NdBoris) e se così fosse, non aprite proprio il secondo capitolo, perchè tendo a divertirmi troppo con i nostri uomini (Daichi è compreso? NdTakao) (da quanto in qua Daichi è un uomo? NdHilary)

Grazie a tutti, e qualunque recensione, commento, insulto saranno ben accetti!

PS: all'inizio del prossimo capitolo vi farò vedere come mi immagino alcuni dei personaggi (se ricorda come inserire le immagini NdTakao) (casomai posso sempre chiedere al professor Kappa Ndme) 
(e tanti auguri di buone feste e felice anno nuovo! NdMax) (in alto i calici! NdBoris) (non aspettavi altro, vero? NdRei) 
 

Pachiderma Anarchico
  
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