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Autore: Shine_    30/12/2017    2 recensioni
Una storia di Natale sulla famiglia. La famiglia in cui cresciamo, quella che non meritiamo o è lei a non meritare noi. La famiglia che desideriamo, quella che costruiamo e per cui lottiamo sempre. La famiglia che può non essere di sangue ma di cui fanno parte le persone più importanti per noi.
[Zayn/Liam]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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High dive into frozen waves where the past comes back to life
Fight fear for the selfish pain, it was worth it every time
Hold still right before we crash 'cause we both know how this ends
A clock ticks 'til it breaks your glass and I drown in you again

'Cause you are the piece of me I wish I didn't need
Chasing relentlessly, still fight and I don't know why

If our love is tragedy, why are you my remedy?
If our love's insanity, why are you my clarity?

 

 

Era sempre la stessa sensazione che lo prendeva quando rivolgeva uno sguardo al panorama che si estendeva sotto di loro, alla città che sembrava ugualmente così piccola appena prima dell’atterraggio. Aveva camminato sotto quei grattacieli da quando ne aveva memoria, gli sembrava quasi di essere nato tra quegli edifici immensi e cupi, e si era sentito spesso sommerso dalla loro altezza. Si sentiva così piccolo mentre percorreva le vie oscurate dagli edifici che in parte portavano il nome della famiglia nelle loro fondamenta. Lui era un piccolo puntino messo a confronto con quelle strutture che pareva toccassero il cielo. Poi tutta quell’immensità che aveva temuto fin dal principio svaniva in un breve istante mentre il jet senza alcuna fatica prendeva quota e si staccava da terra per attraversare il cielo e le miglia. L’altezza di quei grattacieli, quelli che da terra sembravano costruzioni immense, diventava effimera una volta le ruote del jet si staccavano dalla pista e lui non riusciva a scacciare la sensazione di nausea che gli s’insediava nelle viscere.

Avrebbe dovuto abituarsi a quello dopo tutti i viaggi d’affari cui era stato obbligato a partecipare per essere pronto eventualmente a seguire le orme del padre. Eppure… eppure era sempre la stessa sensazione che seguiva al vuoto allo stomaco provocato dal decollo; la terrificante evidenza di quanto fosse piccolo, messo a confronto a quei grattacieli immensi che svanivano in pochi secondi dal decollo.

- Liam, siamo arrivati. Tua madre ci sta aspettando.-

Si slacciò la cintura con un gesto meccanico, così preso dai pensieri da non essersi reso conto dell’atterraggio, si sistemò gli occhiali dalla montatura spessa con un sospiro e seguì la figura del padre che si muoveva lungo il corridoio e verso la scala d’uscita anteriore. Rivolse solo un cenno alla hostess dal sorriso smagliante e prese un respiro profondo una volta l’aria fresca di Toronto lo colpì in viso, scendendo poi velocemente dalla scala per raggiungere il padre che parlava con l’autista fermo di fronte alla limousine nera che li aspettava come dopo ogni viaggio per riportarli a casa.

- Questa mattina l’ho accompagnato in aeroporto.-

Increspò le labbra in una smorfia quando la conclusione del discorso gli fece intuire per quale motivo il padre avesse voluto ritardare di un giorno il rientro, puntò lo sguardo verso la struttura fatta di vetrate dell’aeroporto e restò impassibile mentre la risposta del genitore riecheggiava sadicamente nella mente – “Suo figlio è una persona intelligente. Sono sicuro questa sia la soluzione migliore per tutti”.

Quelle due settimane che aveva passato in prossimità del padre erano servite a contenere qualsiasi reazione del corpo; il “Sì, signor Payne” che un tempo avrebbe commentato con uno sbuffo o un movimento annoiato degli occhi lo lasciò totalmente indifferente mentre si teneva impegnato con il ricordo dell’ultima conversazione avuta sotto il cielo stellato. Imitò il padre che prendeva posto all’interno della vettura e riportò alla memoria tutti i nomi che aveva sentito elencare dal ragazzo che con un braccio sollevato aveva indicato con cura meticolosa i puntini luminosi in cielo.

Passeranno in fretta questi anni, Liam. Cerca di non metterti nei guai mentre sono via

Se finisco nei guai è solo per colpa tua, Zayn

Tuo padre non pensa la stessa cosa. No. No. No, non fare quella faccia, Liam. Non m’importa, capito? Ora mi costringe ad andare via e nessuno di noi due può opporsi, ma quando tornerò…”

Quando tornerai?

Nessuno potrà impedirci di essere felici

O di combinare un disastro

Anche quello, sì. Non è male combinare disastri con te

Non riuscì a fermare il sospiro quando si ricordò di non aver salutato decentemente il suo amico d’infanzia, il suo compagno di avventure, il coetaneo che toglieva la sfumatura di prigionia alla villa che avrebbe dovuto considerare casa. Intravide il padre rivolgergli un’occhiata irritata, come se l’avesse deluso ancora una volta con quel mostrare un’emozione, e preferì spostare lo sguardo verso il finestrino, ripetendo nella mente tutti i nomi delle costellazioni come se potesse in quel modo averlo più vicino.

 

///

 

Era una giornata di ottobre quando davanti ai cancelli di villa Payne comparve per la prima volta quel bambino, tanti ricci a incorniciare il suo viso e un paio di occhioni marrone che si guardavano attorno con curiosità. Non si era mai vista, da quel che ricordavano i domestici, una visita stramba quanto quella della donna con un cappotto elegante, una cartella sotto il braccio che avanzava lungo il viale tutta presa nella conversazione che stava avendo tramite cellulare collegato con una cuffia all’orecchio. Aveva terminato la chiamata con uno sbuffo, l’indice a premere contro il tasto dell’auricolare, quando aveva raggiunto con il bambino al seguito il portone d’ingresso, aspettando non troppo pazientemente che qualcuno le aprisse mentre muoveva ritmicamente il piede quasi a mostrare la fretta di avere l’incontro richiesto. Aveva piegato il braccio con un verso seccato, controllando l’orologio stretto al polso, si era guardata attorno con attenzione e aveva fatto un cenno al bambino, rivolgendosi a lui in una lingua straniera, per invitarlo a seguirla mentre lei si avvicinava alla zona da cui provenivano rumori.

- Il signor Payne?- chiese con un tono di voce alto per sovrastare il baccano degli attrezzi una volta raggiunto lo spiazzo in cui stava una macchina di un vecchio modello che quello sdraiato a terra sembrava stesse riparando. - Lei è il signor Payne?- domandò ancora una volta, spinse appena il piede contro la gamba che sbucava da sotto la carrozzeria per ottenere la sua attenzione e curvò un sopracciglio verso l’alto quando da sotto la vettura si mostrò finalmente un viso, anche se sporco di grasso e olio come tutto il resto di lui e del suo abbigliamento. Aspettò si pulisse le mani in uno strofinaccio, sporco quasi quanto la canottiera che indossava, e cercò di non spazientirsi quando si rivolse a lei con curiosità per sapere il motivo della visita.

- La questione è delicata e privata.- rispose con un tono fermo, indicò con la cartelletta che teneva ora stretta in una mano verso il portone dell’abitazione da cui veniva e ripeté: - Non ha risposto nessuno. Lei è il signor Payne?-

Rilasciò uno sbuffo l’attimo in cui vide il suo capo muoversi in una negazione, strofinò due dita contro la tempia per calmare l’emicrania provocata da quella giornata frenetica e con un tono deciso tornò sul motivo che l’aveva portata a quella villa, dicendo: - Quando posso trovare il signor Payne?-

Non sembrava aver mostrato a sufficienza la fretta che aveva perché quel giovanotto che non doveva arrivare ancora ai trent’anni si era stretto nelle spalle, aveva aggrovigliato lo strofinaccio sporco e l’aveva lanciato contro il tavolo poco distante, pieno di qualsiasi tipo di attrezzo meccanico.

- Dovrebbero tornare tra un’oretta, traffico permettendo.- si decise a usare le parole quello che strofinava un palmo contro la guancia, andando a peggiorare ulteriormente la situazione, abbassò lo sguardo sul bambino che teneva le manine strette sui lacci dello zainetto e riportò gli occhi sulla donna, increspando la fronte mentre mormorava: - Può tornare più tardi. O lasciare un biglietto. Se mi dice come si chiama riferirò io e la farò contattare appena rientrano. Mio padre è andato a prenderli, ma non credo suo figlio voglia attendere per un’ora intera o più.-

- Aspetteremo, la ringrazio.- ribatté con un tono fermo la donna che recuperò il telefono dalla borsa e digitò frettolosamente sulla schermata prima di riporlo ancora una volta con uno sbuffo spazientito. - Non c’è nessun altro in questa casa? Una signora Payne?- domandò ancora dopo pochi secondi di silenzio teso, passati con il giovane che studiava attentamente il bambino intento a nascondersi dietro il cappotto della donna.

- La signora Payne l’ho accompagnata questa mattina in aeroporto.- rispose prontamente quello che sembrava trovare ora più interessante la figura del bambino che la macchina in attesa delle riparazioni, e prima che potesse aggiungere altro, solo un’altra domanda curiosa per capire, furono raggiunti da una delle domestiche che tra scuse ripetute e inviti ad accettare qualcosa da bere aveva convinto la donna a seguirla e con lei il bambino che non sembrava volesse mettere troppa distanza tra loro per come stringeva con una mano un lembo della giacca.

Il giovane aveva seguito con attenzione lo strambo duo che camminava alle spalle di Sasha, la domestica, poi quando si era deciso ad accantonare la curiosità e rimettersi al lavoro, aveva dovuto imitarli per rientrare nell’abitazione al suono del “Lascia tutti quegli attrezzi e vai a darti una ripulita, tua madre ha bisogno di aiuto”.

Sollevò la canottiera per usare le parti meno sporche per pulirsi il viso, sfregò i palmi contro i pantaloni e con una camminata veloce raggiunse il trio mentre entravano nella zona dell’abitazione dedicata al personale, rivolgendo un cenno a Maurice, l’anziano maggiordomo che aveva dovuto sopportarlo fin da bambino, e rispondendo agli inviti della madre a darsi una ripulita con le braccia sollevate in segno di resa.

- Non stavi perdendo tempo con quella moto, vero? Tuo padre ha detto che non c’è nulla da fare e devi portarla in discarica. Perché sprechi tante energie in quell’arnese senza più speranze?- si fece sentire la voce della donna che seduta al tavolo accanto al maggiordomo stava ripulendo le verdure, diede un’occhiata al figlio e dopo un sospiro sconsolato mosse il capo per indicargli la direzione da prendere immediatamente verso la camera e il bagno per sistemarsi.

- Non c’è niente senza speranza. Può essere riparata. Ha solo bisogno di qualcuno che creda in lei.- s’impuntò quello che ignorò le lamentele della madre, recuperò una mela dal cesto e diede un morso mentre con gli occhi tornava sul bambino che accettava un bicchiere di succo d’arancia e lo beveva con piccoli sorsi.

Aveva una strana sensazione, forse dovuta al portamento così educato del bambino o al profilo del suo naso. O la somiglianza esisteva davvero, anche se con la tonalità diversa di pelle, o la situazione stava diventando insostenibile con quei ricordi d’infanzia che tornavano ancora una volta a dominare la mente.

- Io ho bisogno di te, Zayn.-

Scosse il capo con uno sbuffo divertito, quasi a sbeffeggiarsi da solo per certe fantasie, e rispose alle richieste della madre con un pollice sollevato, lasciando la mela sul bancone per andare in fretta a farsi una doccia e togliere tutta la sporcizia dovuta al lavoro faticoso per sistemare il modello preferito di automobile di uno dei signori Payne. Non lo stava facendo per compiacerlo, anche se forse il sorriso che poi gli avrebbe rivolto valeva tutta la fatica, ma le riparazioni per la moto avevano raggiunto un punto morto e lui voleva tenere le mani impegnate.

 

///

 

- È lei questo?-

Sistemò gli occhiali sul naso con il medio e fissò la fotografia che la donna dal tailleur elegante gli aveva mostrato; era vecchia di qualche anno, probabilmente scattata durante una festa della confraternita, ma si riconosceva perfettamente nella persona all’interno del gruppo che indicava l’unghia laccata di rosso. Sollevò gli occhi sulla donna che aveva lasciato la fotografia poggiata sul tavolino e mosse il capo in un cenno per rispondere con quel gesto alla domanda, confuso dal motivo che aveva portato quella persona misteriosa sul divano della villa Payne a chiedere di lui e del suo passato da studente alla Wharton.

- Questa allora è sua.-

Spostò di nuovo gli occhi sul tavolino, sulla lettera chiusa che copriva la fotografia, e seguì per un momento il suo alzarsi dal divano per raggiungere il bambino che l’aveva chiamata “signorina Spencer?”, ricordandogli l’infanzia in cui aveva il timore di rivolgersi alla madre con epiteti affettuosi. Gli faceva pena per come stavano entrambi rigidi nella loro posizione, nemmeno un abbraccio o un’espressione dolce in viso, e quando dopo un discorso fitto e in una lingua straniera con la madre si era trovato ad affrontare i suoi occhi grandi marroni aveva distolto in fretta lo sguardo; rifletteva troppa serietà e timore sul suo viso da bambino e a Liam sembrava improvvisamente di essersi intromesso in un discorso privato. Recuperò la lettera dal tavolino per trovare una distrazione e se la rigirò tra le dita, riflettendo se fosse sgarbato aprirla subito per conoscerne il contenuto o se dovesse accompagnare la donna e il figlio alla porta come un vero padrone di casa.

- Ora devo proprio andare, signor Payne.-

Si alzò dal divano, lasciando la busta sul tavolo con la fotografia, e le fece cenno di seguirlo, camminando nell’atrio per raggiungere il portone d’ingresso mentre si scusava dell’averla fatta attendere tanto e introduceva un discorso sul traffico dell’ora di punta cui lei aveva risposto con una risata civettuola, una mano sul braccio e un commento sull’utilità dei mezzi pubblici. La fissò confuso quando uscì dal portone senza il figlio, spostò lo sguardo lì attorno per cercarlo e lo trovò fermo a qualche metro di distanza da lui con una smorfia preoccupata in viso, come se fosse in procinto di piangere ma si stesse facendo forza per sembrare forte e grande. Odiava quell’espressione, l’aveva avuta lui stesso in troppe occasioni durante tutta la sua infanzia e crescita.

- Sta dimenticando suo figlio!- gridò nella direzione della donna che ormai aveva già percorso quasi cinque metri nel giardino, indicò alle proprie spalle con un movimento del braccio e inarcò un sopracciglio alla scossa del suo capo, al negare qualsiasi parentela con il bambino che gli aveva lasciato in salotto e accenni alle informazioni contenute nella lettera e tutti i recapiti segnati sul biglietto per contattarla in caso di bisogno.

Spostò più volte lo sguardo dalla schiena della donna che si allontanava al bambino che sembrava essere ad un passo dal rannicchiarsi in un angolo per trovare riparo, quasi temesse la reazione dell’unico adulto rimasto e volesse allo stesso tempo dargli una buona impressione con tutta quella dose di coraggio. Marciò verso il salotto con uno strano presentimento addosso, era stata la maglietta di Batman a far partire gli ingranaggi della testa oltre che la fisionomia del suo viso, afferrò la busta e quasi la strappò dalla fretta che stava mettendo nell’aprirla.

Trattenne il fiato e poi distese il foglio scritto con una grafia ordinata, preparandosi a leggere quel che era certo avrebbe sconvolto la sua vita.

 

« Caro Liam, probabilmente non ti ricorderai di me. Saltare fuori dal tuo passato con una lettera era l’ultima delle mie intenzioni, un poco me ne vergogno mentre ti scrivo. Ci siamo conosciuti alla Wharton, a una delle tante feste delle confraternite. In allegato c’è una fotografia che ci ritrae assieme, se sei ancora lo stesso cocciuto in cerca di prove per tutto. Ti ho cercato qualche giorno dopo il diploma per spiegarti la situazione e prendere una decisione con te. Mi ha trovato prima tuo padre. Forse avrei dovuto trovare più coraggio, cercare di mettermi in contatto con te in un altro modo. Le cose sarebbero state molto diverse. Mi ha offerto dei soldi per sparire, si è persino reso disponibile a portarmi in clinica. Nessuno sa nulla di tutto questo, ho tenuto il segreto per questi quattro anni. L’ho cresciuto da sola con la paura di essere scoperta da tuo padre. Deve essersi persino dimenticato di come mi ha trattato, di come mi ha fatto sentire… di come voleva sbarazzarsi di  un elemento che avrebbe scombinato il suo mondo perfetto. Continuerei a crescerlo nel silenzio, non ho problemi di denaro e non li verrei certo a chiedere alla tua famiglia. Purtroppo non mi è rimasto più molto tempo da passare con lui. Ho cercato famiglie disposte ad adottarlo ma poi ho capito che non era giusto tenerti ancora questo segreto, voglio liberarmi di questo peso sulla coscienza che mi sta lentamente corrodendo. Sei suo padre e hai tutto il diritto di conoscerlo. Se per qualsiasi motivo non dovessi volerlo, ti prego di contattare la signorina Spencer. Le ho lasciato tutti i nomi delle possibili famiglie cui affidarlo. Spero un giorno troverai la forza di perdonarmi. So che ti prenderai cura del mio angelo. Con affetto, Leah. »

 

Arrivò al saluto conclusivo con un vuoto nella testa, fin troppe informazioni e rivelazioni in quelle poche righe l’avevano sconvolto. Era assurdo che suo padre potesse nascondergli qualcosa di tanto importante, che potesse costringere una ragazza al silenzio per non rovinare il nome della famiglia. Eppure quanto stava scritto nella lettera dal loro incontro a una festa di cui aveva vaghi ricordi, partecipazione confermata nella fotografia allegata, al carattere burbero del padre davano una veridicità a una situazione che aveva un che di assurdo. C’era poi l’incredibile somiglianza di quel bambino a vecchie fotografie dell’unico figlio della coppia Payne; il nasino a patata, due occhioni marroni e la forma delle labbra. Gli unici particolari che li distinguevano erano la chioma di ricci fini e la tonalità più scura di pelle, ereditati sicuramente dalla parte materna della coppia.

- Cosa voleva quella donna da te?-

Liam sollevò lo sguardo dalla lettera su cui era ancora concentrato, come se la grafia curata potesse nascondere altri segreti, verso il padre che varcava la soglia del salotto con un bicchiere di whisky in una mano e un sigaro spento tra le dita. Portò nuovamente gli occhi sulla lettera, sul padre che lo fissava con un’espressione scocciata e sul bambino che non si era spostato di un centimetro da dove l’aveva lasciato la signorina Spencer, sicuramente terrorizzato in una casa estranea che avrebbe dovuto contenere una famiglia. Notò subito gli occhi del capostipite focalizzarsi sul piccolo e si schiarì la voce per liberarlo dalla sua occhiata truce, indicandolo con la lettera stretta nella mano e pronunciando la frase che fece lasciare al padre la presa sul bicchiere che si spaccò al contatto con il pavimento ‒ “Lui è mio figlio”.

Il rumore dell’impatto attirò subito il personale che dopo un momento di smarrimento si organizzò per raccogliere i pezzi di vetro e pulire il pavimento dall’alcool; occhiate preoccupate che continuavano a passare dai due padroni di casa al bambino che sembrava desiderare correre alla porta e fuggire.

- Ancora non hai capito che c’è gente disposta a inventarsi qualsiasi cosa pur di avere soldi?- riprese a parlare il più anziano tra i due, un verso sprezzante per il personale che l’aveva costretto a spostarsi per permetter loro di pulire, indicò il bambino con un gesto della mano e borbottò: - Sta mentendo, è ovvio. Quanti soldi vuole per lasciarci in pace?-

- Non sta mentendo.- s’impuntò Liam con un tono fermo, si alzò dal divano per avere la differenza d’altezza a suo vantaggio in quell’imporsi sull’altro e passò la lettera al padre con una smorfia, dicendo: - C’è scritto che tu sapevi tutto.-

Cercò subito con gli occhi il bambino quando sentì una delle domestiche rivolgersi a lui per accertarsi stesse bene, increspò la fronte con nervosismo all’incrociare il suo sguardo triste e tornando a rivolgersi al padre domandò: - Come hai potuto nascondermi qualcosa di così importante tutti questi anni?-

Si sorprese quando il padre si rivolse a lui con un tono rabbioso, anche se ormai doveva esserne abituato, e tentò di mantenere un’espressione impassibile mentre riversava su di lui ancora tutte le colpe ‒ “Come ho potuto? Tu come hai potuto! Cerchi sempre di sabotare il successo della nostra famiglia con scandali! Prima il figlio del nostro autista e poi una puttana che chiede soldi! Devo sempre riparare ai tuoi errori! Ti ho cacciato fino in Pennsylvania per allontanarti da uno scandalo e sei tornato con uno ancora più grande! Riesci a compiere solo disastri!

Liam passò una mano sul volto per scacciare il senso di colpa dall’emergere ancora una volta, evitò di soffermarsi sulla presenza del personale e del bambino che non avrebbe dovuto assistere a una scena simile e allargò poi le braccia con un sospiro; inutile tentare di difendersi da quelli che a lui non sembravano scandali. Suo padre non avrebbe mai capito.

- Non riesco a ragionare in questo momento.- farfugliò dopo aver sfregato la mano contro le palpebre, puntò gli occhi sul quadro di famiglia che li ritraeva in una posa rigida. Era la perfetta rappresentazione di tutto quel che stava tra quelle mura, solo bugie mascherate dietro un sorriso. Riprese parola per dire: - Mi sembra assurdo che tu abbia potuto costringere una ragazza a fare qualcosa del genere per soldi e per il nome della famiglia.-

Passò qualche secondo di silenzio mentre il capostipite stava a capo chino a consultare con minuziosa attenzione la lettera, forse inventare una qualche scusante per il comportamento avuto anni prima, poi quando sollevò gli occhi su Liam aveva ancora la stessa espressione scocciata e pronunciò solo: - Immagino ora contatterai la signorina Spencer per chiarire quest’errore.-

Avrebbe dovuto aspettarsi una frase di quella portata, con tutte le implicazioni possibili, da parte del padre che ancora una volta si teneva alto sul piedistallo che si era costruito dove la ragione stava solo dalla sua parte, collocando tutto il restante pubblico nella menzogna. Riuscì a tenere una postura fiera, forse merito di come quel bambino l’aveva studiato per un attimo impaurito da quel che sarebbe potuto accadere a lasciar vincere il capostipite di quella strana famiglia.

- No.- rispose secco all’ordine presente nell’affermazione del padre, deglutì il nervosismo all’occhiata delusa che gli rivolse e specificò: - Non ho alcuna intenzione di contattare la signorina Spencer o qualsiasi altro assistente mandato da te per farlo portare via. Lui è mio figlio e starà in questa casa. Che tu lo voglia o no, lo riconosco come mio figlio.-

Strinse forte i pugni quando nel silenzio suonò la risata del padre, raddrizzò la schiena per affrontarlo con la postura del corpo ai suoi passi in avanti e socchiuse gli occhi quando lo trattò come un bambino. Un palmo contro la guancia e la sua voce che mormorava: - Non c’è bisogno che lo riconosci per fare un torto a me. Risolveremo tutto. Posso mettere una pietra sopra questo tuo comportamento.-

- Non risolveremo proprio nulla.- ribatté con voce inflessibile, solo il tremolio dei pugni davano un’idea dell’emozione contenuta nel corpo, puntò gli occhi in quelli del padre e ripeté: - Io lo riconosco come mio figlio perché è mio figlio.-

Seguì con la coda dell’occhio il gesto del padre di lanciare il foglio di carta sul tavolino ma per il resto continuò a mantenersi nella postura che il padre gli aveva insegnato, arricciando solo un attimo le labbra in una smorfia alla velata minaccia contenuta nel sibilo “Questa storia non finisce qui, Liam”. Abbassò le spalle con un sospiro quando la sua aurea scura sparì dal salotto, probabilmente per chiudersi nello studio personale a meditare sul modo migliore per risolvere lo scandalo, e deviò l’attenzione sul bambino che tra le braccia di una domestica si stava facendo consolare nel pianto.

Si avvicinò loro con pochi passi e cercò con lo sguardo quella gli aveva passato il bambino e gli sorrideva incoraggiante, si mosse con il corpo in modo impacciato per confortarlo e increspò la fronte confuso quando dopo un momento di incertezza percepì le sue braccia sottili avvolgersi attorno al collo per sorreggersi a lui. Mimò un ringraziamento per la domestica e premette un bacio tra i ricci folti sul capo del bambino, sussurrando: - Non ti succederà nulla. Te lo prometto.-

 

///

 

- Non avrei mai pensato che la sua Bessy potesse essere così stracolma di problemi.- si lamentò da sotto la vettura, il braccio proteso mentre indicava alla compagnia persistente quello di cui aveva bisogno, strinse i denti in una morsa tutto concentrato ad avvitare meglio i bulloni e tornando sul discorso precedente continuò: - Solo lui può dare un nome a una macchina. Bessy ricorda tanto una vecchietta e questa macchina, caro mio, è un rottame.-

Sbucò da sotto la vettura con le mani contro l’asfalto, le rotelle del carrello che scorrevano con qualche difficoltà e richiedevano un trattamento di olio, sollevò l’indice verso il bambino silenzioso e mormorò: - Ricorda di non raccontare nulla al tuo papà.-

Ridacchiò tra sé e sé dopo essersi alzato in piedi, sfregò l’avambraccio contro la fronte e con un sorriso pronunciò: - Sono sicuro non me lo perdonerebbe, se dovesse scoprire che ho insultato la sua automobile preferita.-

Poggiò un palmo contro il cofano con un sorriso e diede delle pacche leggere contro i fanali sporgenti e tondeggianti; parevano davvero grandi occhi ma era esagerato il legame affettivo che correva tra quella vecchia vettura e il proprietario.

- Cosa non dovrebbe raccontarmi?-

Si voltò di scatto nella direzione da cui era suonata la voce, notando il bambino fare lo stesso con un sorriso luminoso che aveva presto nascosto, allargò le braccia con un ghigno e strizzò un occhio per quello che si manteneva impassibile con la manina stretta attorno al dado a farfalla che gli aveva concesso di prendere da tutti gli attrezzi.

- È un segreto tra noi due, vero campione?- si rivolse con un sorriso incoraggiante al piccolo che stava tenendo gli occhi fissi sull’oggetto dorato, passò una mano tra i capelli tinti biondi con un sospiro e cercò lo sguardo di quello che era concentrato quanto lui su quella scena con una smorfia insoddisfatta sulle labbra.

Lo seguirono entrambi con attenzione quando si allontanò da loro per seguire il consiglio del padre di lavarsi le mani e prepararsi per la cena, poi sospirarono allo stesso modo compiendo un passo indietro per poggiarsi contro il cofano della vettura.

- Ha detto qualcosa?- Scosse il capo con una stretta nelle spalle e tenne gli occhi fermi sullo strofinaccio con cui si stava pulendo le mani dal grasso, ignorando quello che stava accanto a lui con abiti eleganti in mezzo a tutta la sporcizia. - Almeno il suo nome?- Negò ancora una volta e tentò di non prenderla come sconfitta personale il suo sospiro e “Speravo avrebbe funzionato, riesci sempre a fare parlare tutti”.

Spinse un gomito contro il suo fianco in un momento di coraggio e borbottò: - Solo perché ho fatto parlare te, non vuol dire che riesco a far parlare tutti. Sei stato una spina nel fianco i primi anni, sai?-

Trattenne il labbro inferiore con i denti per vietarsi di aggiungere altre parole, mantenere quell’aria scherzosa tra loro che era proibita, e strinse lo strofinaccio nel pugno quando il coetaneo si mosse fino a premersi con un lato del corpo contro il suo.

- Se sei riuscito a far parlare un riccone viziato con la puzza sotto il naso…-

Fissò di fronte a sé con l’angolo delle labbra che tendeva già in un ghigno, ricordandosi le parole esatte dello sfogo avuto a cinque anni con l’unico bambino presente nella villa che non voleva giocare con lui, e abbassò poi lo sguardo sulle unghie sporche di grasso e olio. Se c’era un momento che poteva mostrargli chiaramente quanto fossero incompatibili era proprio quello; lui con una camicia sporca dello scarico del motore e Liam con l’impeccabile completo ancora profumato.

- Dovresti arrenderti su certi progetti ambiziosi.- Puntò gli occhi su di lui solo dopo averlo sentito pronunciare con cautela quell’affermazione, sporgendosi per un istante verso il suo viso e bloccandosi subito dopo con un’espressione colpevole. Abbassò le palpebre con un sospiro quando il suo pollice sfregò contro la guancia e le sollevò l’attimo dopo quando lo sentì dire con fermezza: - Certe cose dovresti lasciarle come sono. Non puoi aggiustare tutto.-

- Stiamo parlando della macchina ora?- riuscì a pronunciare a fatica dopo essersi specchiato nei suoi occhi marroni, curvò le labbra in un sorriso e percepì il cuore stringersi in una morsa quando ricambiò con uno fin troppo dolce prima di ripetergli: - Stiamo parlando della macchina, Zayn?-

Spinse il pugno contro la sua spalla con una risata, riuscendo a distrarsi a sufficienza dalla voglia di fare qualche sciocchezza e annullare la distanza tra le loro labbra, e con una caricata smorfia offesa borbottò: - Sono stato il primo a farti la domanda!-

Per buona misura, distrarsi ancora dalla voglia di tenerlo tra le braccia quando sghignazzò divertito, fece cozzare di nuovo il pugno contro la sua spalla e lo colpì una terza volta quando gli ordinò di tenere le mani per sé, ribattendo: - Tu smettila di cambiare discorso.-

Con la risata che lasciarono risuonare insieme avevano tentato di spezzare quel momento carico di tensione. Era inutile, non sarebbero mai riusciti a tornare all’equilibrio. Il rapporto che li legava prima della partenza, rispettivamente per il Pakistan e il Pennsylvania, non esisteva più. Restava di esso solo un’apparenza e più tentavano di recuperarlo, più sfuggiva dalle loro mani. Gli anni di separazione avevano fatto imboccare loro due strade che non avrebbero più dovuto incrociarsi. Zayn lo sapeva, eppure dopo quattro anni di studio con il sogno a portata di mano aveva impiegato meno di due secondi a prenotare il biglietto per tornare a Toronto. Tornare da lui. L’aveva fatto per il padre ormai avanti con l’età, per la sua famiglia che aveva bisogno di aiuto. A condizionare per ultimo quella scelta era stata l’illusione di un ricongiungimento con il suo amico d’infanzia. Non c’era bisogno che si mentisse ancora.

- Liam?- Tenne gli occhi puntati di fronte a sé, il sedere contro i fanali e le braccia incrociate attorno all’addome. Lo sguardo rivolto all’immenso giardino, all’erba curata che da bambini avevano pestato, ai fiori che stavano al sicuro così chiusi in aiuole geometriche e alla quercia che si estendeva con i suoi rami carichi di foglie rosse per più di venti metri, prendendosi il suo spazio ed ergendosi maestosa al centro del prato. Stava ferma, il vento aveva creato con le sue foglie un tappeto tutto attorno, opposta alla villa dalle forme rigide, decise, bianche. Pareva quasi una madre con quei rami che sfioravano la terra; invitavano a essere raggiunti, offrivano un riparo dagli sguardi, celando ad occhi malvagi quel che avveniva tra le sue fronde.

Perché era impossibile riavvolgere il tempo? Perché non potevano tornare bambini? Arrampicarsi sulla quercia e sfidarsi a chi avesse più coraggio di raggiungerne la cima. Era più semplice essere bambini in quella villa e ignorare le distinzioni tra loro.

- Il tuo personale è pettegolo.- pronunciò dopo aver fissato a lungo l’albero ed essersi perso tra i ricordi dell’infanzia condivisa, spinse un gomito contro il suo fianco per bloccare la sua risata e mandò al diavolo lo status quo dicendo: - Sai che quando entro in cucina cambiano completamente discorsi? È stata una fatica mettere assieme tutti i pezzi. Sono riuscito a captare qualche accenno alla discussione con tuo padre.-

Bastò l’introduzione di quell’ultima persona per portare tutto all’ordine. Liam aveva smesso di ridere, le rughe gli scavavano la fronte e i suoi grandi occhi erano privi di qualsiasi emozione.

- Non voglio parlarne, per favore.-

La voce soffocata, quasi stesse annaspando tra discorsi trattenuti, i pugni stretti che premeva contro il cofano dell’antica vettura e le sopracciglia aggrottate che rendevano le sue rughe ancora più profonde.

Decise di ascoltare la sua supplica con un cenno del capo e un sospiro.

- Puoi parlarmi di tutto, lo sai?-

Inclinò appena il viso per osservare di sfuggita l’uomo che stava seduto sul cofano, gli occhi bassi e le spalle ricurve mentre annuiva piano ma non parlava. Aveva bisogno di tempo? O forse certe informazioni era meglio lasciarle non dette? Fingere che non esistesse la scintilla che li aveva costretti a prendere due direzioni opposte, a essere intrappolati in due continenti opposti. Liam non era mai stato bravo a fingere, lo sapevano entrambi, ma si sforzava più del dovuto per calzare al meglio i doveri di famiglia. Si rovinava pur di ottenere la loro approvazione e Zayn lo odiava, odiava quel Liam che s’impegnava a fingere, a nascondersi. Si preoccupava per lui e lo odiava. Il loro rapporto vacillava al rafforzarsi del presentimento che era ad un passo dal perderlo. Diventava sempre più bravo a mentire, a negarsi ai sentimenti. Il suo sguardo si oscurava appena quando succedeva e i momenti in cui Zayn riusciva a superare quella corazza pensierosa si facevano sempre più radi. Zayn odiava assistere all’allontanamento del suo migliore amico ma non sapeva come trattenerlo senza fare del male a entrambi.

Agì d’istinto, lasciandosi guidare da quella cruda paura, sollevò un braccio e posò con delicatezza il palmo sulla sua guancia. S’immerse nei suoi occhi grandi, nelle sue incertezze, poi ruppe il contatto con un pugno contro la sua spalla alla sua accusa scherzosa di stargli sporcando il viso di grasso. Era stato solo un attimo ma il suo migliore amico era lì. Non poteva arrendersi, non poteva lasciare che il piano di renderlo un insensibile uomo d’affari venisse portato a termine. Doveva convincerlo a lottare contro il padre e le sue paure ma era difficile chiedergli di essere forte quando lo vedeva stendersi lungo il cofano con un sospiro stanco.

- Avresti bisogno di rilassarti.- Incrociò il suo sguardo confuso e si sdraiò accanto a lui. Le dita pizzicavano dalla voglia di accarezzare il dorso della sua mano, stava lì ferma a pochi millimetri da lui e non poteva.  - Dovremmo fuggire in uno degli alberghi di tuo padre.- continuò a parlare perché era molto più semplice trasformare i pensieri in parole che mantenere il silenzio e far crescere il desiderio di rischiare. Fissò le nuvole grigie, ignorò la pesantezza dei suoi occhi addosso e poggiò i palmi sullo stomaco per non essere tentato, mormorando: - Prenotare una delle suite esclusive e spaccare tutto quanto.-

Curvò gli angoli delle labbra verso l’alto quando la sua risata seguì alla proposta fatta con la malizia che aveva deciso di non nascondere. Non aveva ancora fallito con lui, una speranza persisteva.

- Prenderò in considerazione la sua offerta, signor Malik. Se volessi intraprendere la via della criminalità, lei sarà il primo che cercherò.-

- Lusingato, signor Payne.-

Il cofano freddo della vettura contro la guancia servì a scacciare il rossore, le interiora invece si sciolsero in una pozza al sorriso che riempiva le labbra di Liam, al colore dei suoi occhi che nella luce autunnale trasmetteva calore, dolcezza, affetto. O forse non era merito della stagione, forse quei momenti erano destinati solo a lui.

Seguì i suoi movimenti quel mettersi seduto, saltare giù dalla vettura e agitò un braccio quando spiegò: - Sarà meglio che io rientri. Non voglio lasciarlo solo e rischiare che abbia uno spaventoso incontro con il buon paparino.-

Erano stati pochi e brevi momenti in cui si era permesso di lasciar andare qualche emozione. Sarebbe capitato presto? O il Liam freddo e triste avrebbe fatto di nuovo la sua comparsa con tutti gli obblighi e gli impegni? Quanto ancora poteva resistere quell’atmosfera tra loro? Era già scomparsa?

- Liam!-

Vieni via con me.

Sostenne il suo sguardo quando si voltò per rispondere al richiamo, si arrese dopo poco e sfogò il nervosismo con le unghie che grattavano la verniciatura. Un altro lavoro da fare a Bessy era sicuramente quello, richiedeva un’immediata rinfrescata prima di sfrecciare per le vie di Toronto.

Possiamo lasciarci tutto questo alle spalle.

- Sono sicuro sia in cucina.- pronunciò con l’accento più marcato sull’ultima parola, passò le dita sporche di grasso tra i ciuffi biondi e dopo un’alzata di spalle continuò: - Trisha gli ha promesso un paio di biscotti prima della cena.-

Il suo corpo non avrebbe dovuto rispondere al sorriso di Liam e neppure alla sua risata. Eppure, traditore, aveva riconosciuto subito la familiarità di quel suono.

- Maledetta Patricia che corrompe ancora una generazione con i suoi magici biscotti.-

Ricambiò il sorriso, mosse una mano in un cenno e aspettò la chiusura del portone d’ingresso prima di voltarsi verso la vettura e dare un calcio al parafanghi che cigolò minaccioso.

- Scusami, Bessy. Riuscirò a rimetterti in tiro, te lo prometto.-

Picchiettò un palmo contro il fanale e si sdraiò di nuovo sul carrello, scorrendo sotto la vettura mentre sfiorava con i polpastrelli i suoi tubi e ingranaggi.

 

///

 

La luce lampeggiante si stabilizzò, le porte meccaniche si aprirono e dall’interno del cubicolo ne uscì un giovane uomo. Il braccio piegato per controllare l’orologio dorato al polso, le labbra curvate in una smorfia nel notare il ritardo e le sopracciglia corrugate per i pensieri che erano seguiti a quella novità. Cercò con lo sguardo lo specchio all’interno dell’ascensore e riuscì a mantenere il contatto visivo per non più di qualche secondo. Le porte si chiusero di fronte a lui, negandogli di proseguire oltre con l’ispezione a quella persona che non riconosceva. Un solo istante gli era bastato per cogliere i soliti particolari: il colorito un poco più scuro sotto gli occhi, sintomo di mancanza di un buon riposo, la ruga ormai impressa al centro della fronte, scavata nella pelle con la maledizione del nome della famiglia, e le guance libere dalla barba non lo ringiovanivano bensì caricavano l’espressione del suo viso di un malanno intangibile.

Spinse con l’indice gli occhiali sul naso e diede le spalle all’ascensore e allo sconosciuto di cui vestiva i panni. Come ripeteva suo padre, non aveva tempo per filosofeggiare. Tutto quel che non concerneva le azioni in borsa, gli investimenti e nuovi affiliati per la loro impresa non erano una necessità, solo un peso. Prima veniva la famiglia, i doveri, il lavoro.

- Signor Payne?-

Nel riflesso della porta di vetro dell’ufficio riconobbe la figura della neo-segretaria. Era giovane, la più giovane nella lista che Dorothy aveva compilato prima di lasciarlo per accettare la pensione. Il tailleur elegante non riusciva nell’intento di aggiungerle qualche anno e accreditarle esperienze lavorative in più nel curriculum. La collana di perle serviva solo ad appesantirle il collo e forse insisteva a portarla solo perché era il regalo che la vecchia segretaria le aveva fatto come portafortuna per il primo giorno in ufficio.

- Signor Payne, il signor Payne vuole vederla nel suo ufficio.-

Diede le spalle alla porta di vetro in tempo per vedere le sue labbra rosse curvarsi in un sintomo di nervosismo. Inarcò un sopracciglio, tenendo per sé il divertimento creato dal gioco di parole, e aspettò ordinasse i pensieri che rielaborò in un semplice “Suo padre vuole vederla in ufficio”.

- Ha detto di che si tratta?-

La risposta fu una scossa del capo, l’increspatura delle labbra e “Sembrava essere una questione urgente”.

- Sarà meglio non farlo attendere oltre.- borbottò tra sé e sé, superò la segretaria che aveva approfittato di quel momento per elencare i successivi impegni della giornata e non si preoccupò di essere stato scorbutico mentre percorreva il corridoio con lunghi passi per raggiungere prima l’ufficio e ridurre così il tempo all’interno.

Svoltò a destra, seguì il corridoio spazioso e sollevò un braccio, preparandosi a bussare alla porta di legno scuro che lo separava dal padre e dalla pessima giornata che sarebbe seguita a quell’incontro. Si spostò su un lato per permettere alla donna di uscire dall’ufficio e come d’abitudine vi entrò con un lungo passo, chiudendosi la porta alle spalle. Si fermò al centro della stanza, i piedi si erano mossi meccanicamente sulla moquette blu, e concentrò lo sguardo sulle iniziali “SP” impresse su uno scudo in rilievo al centro del portapenne cilindrico nero. La lettera S in quello stemma l’aveva sempre collegata a un serpente che con le sue spire soffocava la P del loro cognome. Era una fantasia che aveva da bambino e l’aveva disegnata un giorno nei dettagli per spiegarla al suo amico. Zayn ne aveva riso fino alle lacrime e aveva poi tracciato con cura una L per creare un leone rampante che con artiglio strappava la lingua biforcuta e velenosa.

Venne naturale a Liam sorridere per quel ricordo. Si accorse tardi di quell’errore quando sollevò il viso e trovò gli occhi grigi del padre. Unì i palmi dietro la schiena, prese un respiro e sfregò il pollice sul laccio freddo dell’orologio che gli stringeva il polso.

- Volevi parlarmi?-

La calma nella stanza durò poco. Ignorò il movimento della mano del padre che lo invitava a sedersi su di una poltrona di pelle nera e increspò le sopracciglia all’unica frase che pronunciò – “Quel bambino”.

- Mio figlio.-

Erano solo due parole: nome e aggettivo. Le pronunciò con fermezza, non voleva lasciare alcuna ombra su quel concetto. Sembrarono agire sull’uomo di potere dietro la scrivania come una bomba. Lo stava fissando con gli occhi assottigliati, le rughe scavate sulla fronte e ai lati della bocca, un guizzo della palpebra che aveva tentato di nascondergli con i polpastrelli premuti un istante contro gli occhi. Non gli era sfuggito, non poteva mai sfuggirgli nulla delle sue reazioni. Era sempre focalizzato sul suo corpo perché una parte di lui non avrebbe mai smesso di temerlo.

- Tuo figlio…- lo pronunciò con del sarcasmo nella voce che Liam tentò di ignorare mentre nella testa ripeteva l’elenco delle lune attorno a Giove. -… dobbiamo decidere come presentarlo a…-

CaldeneCarpoCalice… câlisse.

- Non esiste alcun modo corretto per presentarlo ai tuoi investitori.- riuscì a rispondere con un controllo nella voce che era estraneo al tremolio delle mani serrate dietro la schiena. - Lui è mio figlio e basta. Non voglio che lo usi per…-

- Che io lo usi?!-

Era così preso a ricordare un nome di un satellite, quello su cui si bloccava sempre, da aver accolto impassibile lo scatto di rabbia del padre. I suoi pugni che sbattevano contro la scrivania, la pila di carte che scivolava in obliquo e la penna stilografica che rotolava e si fermava contro le nocche del padre.

- Lui sta usando noi, Liam! Chi ti ha insegnato a essere tanto ingenuo? Non ti ho cresciuto per essere debole! La tua amicizia con quel…-

Callisto. No, era una delle prime dell’elenco. Europa. Europa conservata nel ghiaccio. Europa che si proteggeva con uno scudo di ghiaccio.

Prese un respiro, strinse le dita attorno al polso sopra il laccio dell’orologio e domandò: - Volevi parlarmi di questo?-

Era troppo stanco e non riusciva a ricordare il nome successivo nella lista che aveva chiesto a Zayn d’insegnargli. Arpa… Arpa

Seguì il cenno del padre ad accomodarsi e si abbandonò contro la pelle nera della poltrona, ascoltando l’invito fatto a parlarne perché si trovava senza forze per ribattere ancora. Posizionò i gomiti sui braccioli in plastica e sfregò il pollice contro il vetrino del Rolex. Doveva solo resistere cinque minuti, lasciarlo parlare, annuire di tanto in tanto e poi negare tutto, alzarsi e uscire.

-… la signorina Spencer ha detto che è solo una procedura burocratica -, la cadenza della sua voce andava in sincronia con il picchiettare delle dita sul bordo della scrivania, - noiosa ma necessaria. Devi solo mettere la tua firma su alcuni fogli e l’affidamento sarà totale.-

- Cosa c’entra tutto questo con il tuo discorso sul presentarlo in società e…-

Focalizzò l’attenzione sul biglietto rettangolare che il padre aveva fatto scivolare sulla scrivania con il presentimento insediato nelle viscere. Il nome completo Anne Meredith Spencer, il numero di un cellulare, la mail in corsivo e l’indirizzo dell’ufficio dell’assistente sociale che spiccavano sul bianco del foglio.

- Devi solo chiamare e rimandare l’appuntamento.-

Il foglietto lo teneva ora tra il pollice e l’indice, le parole del padre che sentiva ma non comprendeva. Gli sfuggiva il significato ultimo di tutto quello.

- Solo in quel modo avremo più tempo per riflettere e agire. Siamo davvero sicuri la madre del bambino sia morta? Potrebbe essere ancora viva e ricattarci con questo segreto. Dobbiamo essere cauti, figliolo. Lo capisci che sono costretto a star bene attento a chi potrebbe ereditare il nostro regno?-

- No -, prese un respiro con gli occhi fissi sulle informazioni segnate sul foglietto, li sollevò per affrontare lo sguardo del padre e non restò seduto sulla poltrona nera un secondo di più. Aveva promesso a quel bambino di proteggerlo e Leah, ricordava così poco di lei, si fidava di lui. - ho detto che non userai mio figlio e non cambierò idea. È un Payne e come tale gli spetta la sua parte. Tu però non hai alcun diritto su di lui.-

Infilò il foglietto nella tasca della giacca del completo e diede le spalle alla scrivania, al padre e alla sua espressione delusa. Arpa… Arpalice, ricordò d’un tratto con la nausea che faceva tendere la carnagione del viso al verdognolo.

- Non essere ingenuo! Dobbiamo essere preparati a tutto! Ci sono persone che vogliono il nostro…-

La porta di legno se la chiuse alle spalle con un rumore che attirò l’occhiata della donna dietro il computer. Non aveva intenzione di ascoltare oltre il parlare del padre, il suo sibilo da serpente. Tenne lo sguardo fermo di fronte a sé, i piedi lo facevano muovere sulla moquette blu e allontanare da quella stanza e dalla scollatura della segretaria. Quante volte aveva desiderato da bambino che sparisse dalla loro vita. Non era lei il problema, non era solo lei. Era un padre freddo di sentimenti e le sue relazioni extraconiugali. Era una madre assente e le sue relazioni con giovani uomini, alcool e pastiglie per combattere un mostro con cui lui conviveva da bambino.

- Andato bene il suo incontro?-

Sollevò il capo nella direzione della scrivania da cui era provenuta la domanda, strinse la mano nella tasca attorno al foglietto rettangolare e ribatté: - Niente di buono viene da lì.-

La risposta della giovane fu una risata contenuta, poi si scusò e chinò il capo per tornare al suo lavoro. Le dita fini che batteva sulla tastiera e con cui si aiutava di tanto in tanto per spostare ciocche di capelli biondi dietro l’orecchio. Ai lobi aveva piccole perle abbinate alla collana e guardandola sentiva echeggiare nella testa la voce della madre – “Le perle invecchiano prima dei trent’anni, caro. Porta questo collare a una delle tue puttane”.

- C’è altro che posso fare per lei, signor Payne?-

Scosse il capo sovrappensiero alla domanda della giovane, corrugò la fronte quando i lati spigolosi del biglietto premettero contro la pelle del palmo e incontrò gli occhi celesti della segretaria che aveva assunto recentemente ma di cui Dorothy si fidava.

- Ci sarebbe una cosa ma deve restare tra noi.- pronunciò con un tono basso, un breve guardarsi attorno e avvicinarsi alla scrivania con un solo passo. - Deve avvisarmi se mio padre dovesse chiedere un colloquio con una signorina Spencer o qualsiasi altro assistente sociale. Anzi, facciamo così. Dia un appuntamento alla signorina Spencer, - estrasse il foglietto dalla tasca e lo posò sul legno, vedendo apparire sulla fronte della giovane qualche ruga mentre osservava le informazioni e tentava di farsi un’idea di quel che stava accadendo tra padre e figlio - questo è il suo numero. Le dica che ho bisogno di parlare con lei di una questione privata.-

Attraversò con tre passi il corridoio per raggiungere l’ufficio, strinse le dita attorno alla maniglia per aprire la porta di vetro e si voltò con il busto nella direzione della segretaria che aveva già la cornetta del telefono tra l’orecchio e la spalla, il biglietto rettangolare tra due dita e l’indice a premere contro i tasti.

- Le dica di portare tutte le carte. Sono pronto a firmare.-

Lasciò che la porta si chiudesse alle proprie spalle al principio della chiamata - “Buongiorno, sono la segretaria del signor Payne. Lei è Anne?” - e si abbandonò sulla poltrona dietro la scrivania, girandosi per guardare la vetrata che costituiva tutto un lato della stanza e gli mostrava l’edificio nero che si ergeva di fronte e il cielo grigio di quella mattina di fine ottobre a Toronto. Si sfilò gli occhiali, li posò sulla scrivania e si massaggiò con le dita le palpebre, spingendosi contro lo schienale che cigolò solo una volta nel silenzio dello studio.

 

///

 

Erano le prime giornate di novembre e il tempo aveva deciso d’improvviso di cambiare. Il cielo era limpido ma l’aria fredda costringeva le persone a ritirarsi nelle abitazioni o nei bar per non stare esposti al gelo. Dal cielo era caduto persino qualche fiocco di neve prematuro, cacciati giù dai compagni chiusi nelle poche nuvole bianche spruzzate qua e là nell’azzurro. Alla televisione annunciavano l’avvicinarsi della prima nevicata, ancora qualche giorno e poi tutto si sarebbe vestito di bianco. Le voci provenivano dall’apparecchio, un modello di televisore vecchio incastrato nel mobile, e suonavano soffuse nel silenzio della cucina di villa Payne. Al tavolo posto in un angolo della stanza stavano quattro personaggi, ognuno affaccendato per conto proprio. C’era Maurice, il maggiordomo con due baffoni bianchi arricciati alle estremità, che sfogliava il Toronto Star con una cadenza di cinque minuti per pagina. Era costretto a dare dei colpetti con i polsi per tenere le pagine del giornale rigide; il tavolo era occupato da bacinelle per separare le fave dagli scarti e da fogli sparsi e impiastricciati con calcati tratti infantili. In un primo momento Zayn era riuscito a occupare un angolo del tavolo con i tre fumetti che stava leggendo, poi aveva dovuto spostarne due a terra quando il bambino con tanti ricci sul capo aveva tentato di imprimere le sue creazioni sulle pagine non ancora consultate. Stava seduto scomposto, le gambe allungate sotto il tavolo e solo le spalle premute contro lo schienale. Di tanto in tanto controllava la situazione accanto a lui per assicurarsi che il bambino fosse ancora impegnato sul disegno del treno e non si arrampicasse sul tavolo per recuperare qualche pastello. Era quello che aveva fatto qualche minuto prima, facendoli spaventare tutti. Sarebbe caduto a terra se non fosse stato per la prontezza di Zayn a bloccare la caduta con un braccio teso.

- Papà.-

Zayn sollevò gli occhi dalle pagine del fumetto e cercò lo sguardo della madre per comunicare con lei di quella novità. O perlomeno capire come proseguire dopo aver sentito la voce del bambino che da quasi due settimane era una presenza silenziosa tra loro. Lei però si era scambiata un’occhiata con Maurice ed erano tornati entrambi a badare ai loro interessi o doveri, chi a sbucciare fave e chi a leggere un articolo sull’ultimo acquisto di una società in espansione.

- Papà.-

E alla semplice parola si aggiunse il dito che premeva sulla copertina con una risata a mettere in evidenza le fossette sulle sue guance. Chiuse il fumetto con un sospiro e lo posò sul tavolo, cercando di capire cosa intendesse quel bambino che indicava il supereroe e ripeteva solamente “papà”. Inarcò un sopracciglio quando incrociò i suoi occhi vispi e sembrò passare nei loro sguardi l’incomprensione perché l’attimo dopo il bambino aveva un pastello giallo nel pugno e un foglio libero dagli scarabocchi. Fu quindi logico per Zayn mostrarsi attento a ogni segno che lui tracciava con l’ocra sul bianco.

Dapprima fu un ovale che si estendeva su tutta la pagina, due punti equidistanti e chiusi in due altri cerchi collegati da una linea. Poi una parentesi ribaltata in fondo al foglio, le due estremità curvate verso l’alto.

- Papà.-

Zayn spostò gli occhi dallo scarabocchio sul foglio, al bambino, alla punta del pastello e solo quando tracciò delle linee ravvicinate in alto, tendenti a destra o sinistra a seconda del lato occupato, intuì di cosa stesse parlando. Non riuscì a contenere la risata perché quel bambino aveva riportato con tratti meticolosi la pettinatura del minore tra i proprietari della villa.

Evitò di soffermarsi su Maurice che li osservava con i suoi piccoli occhi da sopra le pagine di giornale e annuì quando il bambino si sporse sul tavolo per indicare la copertina del fumetto che era stato la causa di tutto quello. Era un vecchio numero di Superman e in copertina Clark Kent si strappava la camicia per rivelare l’enorme S sul petto. Gli occhiali che indossava dovevano essere l’elemento che aveva fatto scattare il paragone nella mente del bambino.

- Liam?- domandò ugualmente dopo un’ulteriore breve risata per la pettinatura da damerino che gli ricordava l’amico d’infanzia. Doveva mostrargli quella creazione al suo ritorno da lavoro. Poteva essere un buon modo per cancellare l’espressione corrucciata che aveva sul viso in quelle giornate. Si riprese da quei pensieri quando il bambino spinse ancora una volta il pastello contro la copertina con un tap tap leggero e curvò le labbra in un sorriso mentre diceva: - È come il tuo papà, sì.-

Seguì confuso i movimenti del bambino e puntò gli occhi nella direzione della madre per ricevere il suo aiuto quando gli si arrampicò addosso per prendere posto sulle gambe. Lei aveva interrotto il lavoro minuzioso di separare le fave dagli scarti e li stava osservando con le sopracciglia aggrottate, un’espressione pensierosa con cui sembrava stesse studiando quella novità e valutando i pro e contro.

- Superman è papà.-

Distolse lo sguardo dalla madre perché era chiaro non volesse intromettersi quanto più fare l’osservatore esterno alla vicenda e mosse le dita sui fianchi del bambino per fargli il solletico. Aveva una risata simile a quella di Liam e, anche senza vederlo, era certo stesse strizzando gli occhi  con due lacrime formate agli angoli.

- Te l’ha detto lui che è Superman? È stato Liam a dirlo, vero?-

Fermò il movimento delle dita sui fianchi per permettergli di prendere fiato, asciugarsi le lacrime e parlare. La stanza era avvolta nel silenzio, escludendo il soffuso vociferare della televisione e i loro discorsi, ma sembrò cadere in uno più pesante quando il bambino commentò: - Lo diceva sempre la mia mamma. Diceva che papà è forte come Superman.-

Notò una smorfia pietosa far la comparsa sulla bocca del maggiordomo e prima di dare una possibilità a uno dei due adulti di intromettersi, sistemò il bambino su una gamba e cambiò argomento. Non sapeva quanto fosse fresca quella ferita o cosa sapesse della madre, sicuramente erano temi che era meglio evitare. Prese quindi tra tutti i suoi scarabocchi quello che ricordava un treno con tutti quei rettangoli uno collegato all’altro e degli ovali che ricordavano gli sbuffi di vapore. Picchiettò l’indice sul foglio che spostava di fronte a loro e disse: - Mi piace un sacco questo.-

- Sono belli i treni. Lo sai che la mia mamma mi ha fatto vedere la loco… la loco...- gli occhioni marroni l’avevano subito cercato per chiedergli un aiuto con il nome difficile ma l’attimo dopo con sicurezza aveva proseguito il suo discorso -… la locotiva. Ed era enorme, la più enorme che esiste.-

Zayn si mostrò fin da subito interessato con dei versi meravigliati mentre il bambino si voltava con il busto per mostrargli con le braccia spalancate quanto fosse grande il vagone su cui era stato. Non era semplice inserirsi nella sua parlantina per fare domande. Dovevano servire per farlo parlare, invece quel bambino ora sembrava potesse tenere in piedi una discussione animata sul suo futuro lavoro da guidatore di treni a vapore che occupava la durata di cinque minuti e più.

Approfittò di un momento di silenzio per porgergli la mano e dire: - Non ci siamo ancora presentati, capitano. Io sono Zayn.-

Si sforzò per tenere un’espressione impassibile in viso mentre quel bambino con serietà ricambiava la stretta della mano e si presentava con “Maximilian, per gli amici Max”.

 

///

 

Seduto al tavolino di un bar Liam stava sfogliando la rubrica sulla finanza del quotidiano, una tazza di caffè fumante di fronte e gli occhi che spostava dalle lettere stampate all’orologio che spuntava da sotto il polsino. Arrivava di tanto in tanto a spingersi con lo sguardo verso la vetrata che si affacciava sulla strada innevata. I passanti erano di fretta e si stringevano nei loro cappotti, nelle sciarpe che nascondevano il viso, mentre superavano il piccolo bar che si celava tra gli alti edifici. Aveva preso l’abitudine di frequentarlo da quando l’aveva scoperto, non si era mai reso conto di quante volte vi era passato accanto senza mai notarlo. Proprio come tutte quelle persone indaffarate nella frenesia che anticipava le feste.

Il caffè decente e l’atmosfera riservata l’avevano convinto a diventare un habitué. Oltre che la comodità per la vicinanza al Dominion Centre e allo stesso tempo la protezione che offriva dalla presenza assidua del padre in ufficio.

Abbassò lo sguardo sulle lancette dell’orologio. Dieci minuti ancora e poi sarebbe dovuto tornare dietro la scrivania, non avrebbe potuto aspettare un secondo più di quello.

Chiuse il giornale e lo piegò in due, posandolo sul tavolo mentre cercava con gli occhi l’orologio da parete. Erano regolati perfettamente quindi lui non poteva essere né in anticipo né in ritardo all’appuntamento. Non che avesse dubbi su quel dettaglio, aveva la caratteristica noiosa di spaccare il secondo. Noiosa perché la maggior parte delle persone avevano invece l’abitudine del ritardo e ben pochi praticavano la disciplina dell’anticipo. Come in quel caso, aveva creduto di trovare la donna già seduta al tavolino ad attenderlo e invece il locale l’aveva accolto con la delusione.

Portò la tazza di caffè alle labbra e focalizzò lo sguardo sulla porta che si apriva con uno scampanellio, introducendo l’entrata di una famiglia chiassosa. Tre bambini che con una corsa avevano raggiunto il tavolo rotondo con i divanetti e le due donne che li seguivano tenendosi per mano. Continuò a osservarli di sottecchi mentre venivano raggiunti dal giovane cameriere, un nuovo acquisto se i suoi occhi sgranati e spaesati all’ordinazione confusa potevano esserne un’indicazione. Prese un sorso del caffè bollente, amaro come era solito ormai berlo, e posò il fondo della tazza sul tavolino.

La persona che stava aspettando comparve quando controllò per la terza volta in pochi minuti l’orario che aveva al polso. La osservò durante tutta la camminata mentre sorseggiava il caffè e si alzò in piedi quando gli fu vicino, stringendole la mano con un sorriso e indicandole con un gesto di accomodarsi.  Prima di entrare sull’argomento che interessava entrambi, quello che stava chiuso nella cartelletta arancione che lei aveva posato sul tavolino sopra il giornale piegato, aspettarono che il cameriere arrivasse per prendere la sua ordinazione, tornasse con la tazza e il cornetto dopo pochi minuti e li lasciasse poi soli dopo qualche scusa per aver quasi rovesciato il cappuccino.

- Dalla chiamata che avevo ricevuto da parte di tuo padre credevo volessi aspettare prima di riconoscerlo e firmare le carte.-

Increspò le labbra in una smorfia al discorso che introdusse la donna e distolse lo sguardo dalla cartelletta arancione per mostrare tutta la serietà che stava chiusa nel secco: - Mio padre non è il mio portavoce.-

- Sono contenta che non ci sia quella solita scaramuccia con investigatori e test del DNA. Ne ho viste di ogni tipo in tutti questi anni. Quei bambini non meritano di finire nel mezzo di discussioni da adulti. E in questo caso...- una pausa per prendere un sorso del cappuccino -… avevo paura finisse sui quotidiani quando sono stata contattata da Leah. Non immagini quanto sia felice ora di essermi sbagliata.-

- Come dicevi tu -, replicò Liam con gli occhi che dal colorito scuro della bevanda aveva sollevato per cercare lo sguardo della donna, - ne ha già passate tante. Non c’è bisogno che finisca in scandali mediatici o sottoposto a  test della verità. È mio figlio e mi prenderò cura di lui.-

Fu probabilmente la risposta che la signorina Spencer stava aspettando. Unì i palmi di fronte al viso e curvò gli angoli della bocca colorata di un rosso acceso in un sorriso. Spostò il piattino con il cornetto e la tazza di cappuccino su un lato del tavolino, recuperò la cartelletta arancione e la aprì per sfilare dal fascicolo i fogli che le interessavano e che gli posizionò di fronte dopo essersi assicurata fosse tutto pulito. Estrasse dalla borsa in cui aveva rovistato per una manciata di minuti una penna che gli porse con un sorriso e un commento sui pochi uomini responsabili rimasti. Liam fece scorrere gli occhi sulle scritte più per abitudine che effettivamente per leggere la pratica burocratica e apportò la firma in fondo a ogni foglio, muovendo di tanto in tanto la testa per mostrarsi interessato ai discorsi della donna.

- Non ricordo nulla di lei.- s’inserì nel suo racconto sul primo incontro con Leah e il figlio, chiuse la penna con un click contro il tavolo e gliela passò assieme al fascicolo di fogli, vedendola riporli dapprima nella cartelletta arancione e poi tutto in borsa. Sfregò il pollice sul bordo della tazza e senza che lei ponesse domande, mormorò: - Ricordo poco di quella festa. Ovviamente mi ricordo di lei e di quello che abbiamo fatto. Fisicamente me la ricordo, tutto il resto è sparito.-

Scosse il capo e portò la tazza alle labbra, prendendo un sorso dopo aver borbottato contro la presenza degli alcolici alle feste della confraternita. Era più un problema personale quello ma non avrebbe raccontato a una sconosciuta del periodo nero. Ne era uscito e non avrebbe influito sul suo essere genitore. Almeno quel problema poteva controllarlo ora.

Portò subito gli occhi sul viso della donna quando gli coprì il dorso della mano, inarcò un sopracciglio per chiederle con l’espressione a cosa fosse dovuto il suo gesto e arricciò le labbra in una smorfia insoddisfatta fin dal principio di quel “Può essere un modo per avvicinarti a tuo figlio”.

- Lascia che sia lui a parlarti di sua mamma quando ne sentirà il bisogno.-

Ritirò la mano da sotto la sua al guizzo delle sue dita, ignorò la delusione nei suoi occhi per il rifiuto e finì con due sorsi il caffè, poggiando la tazza vuota sul tavolo e dicendo: - Ho accettato perché non ha nessun altro.-

- Non credo di essere indicato per questo ruolo. Anzi, sono convinto - spostò il polsino per controllare l’ora e si alzò in piedi, recuperando il quotidiano - di essere la persona meno indicata per crescerlo. Non sono quasi mai in casa. Non ho mai avuto qualcosa d’altro oltre la vita d’ufficio e...-

Abbassò lo sguardo sulla mano della donna che si era posata sul braccio piegato per ottenere attenzione e interromperlo, sollevò gli occhi sul suo viso e notò le sue labbra tendere in un sorriso genuino mentre con un tono rilassato rispondeva a tutti i dubbi che aveva evidenziato.

- La quantità di tempo che dedichi a tuo figlio è importante, non ci sono dubbi. Non è impossibile, però, unire una vita d’ufficio a una vita in famiglia. Ci sono tanti genitori che si focalizzano più sulla qualità del tempo che dedicano ai figli, invece che sulla quantità.-

Quel discorso era stato di per sé incoraggiante. Non era una totale castroneria e sì, poteva concentrare in quei momenti liberi del tempo da dedicare al figlio per conoscersi meglio. Farlo sentire apprezzato, amato. Essere una famiglia per lui.

- Sono sicura tuo padre abbia fatto la stessa cosa a suo tempo!-

Non riuscì a trattenerla la smorfia di disgusto che modellò in fretta la bocca a quell’accenno. La coprì dietro un sorriso tirato - “Devi imparare a fingere, figliolo” - e pronunciò: - Il migliore che potessi desiderare.-

Gli uomini sono una sporca razza di bugiardi. Noi stiamo ai vertici perché sappiamo mentire, vedi? I più deboli invece stanno sotto di noi, lavorano per noi. Questo ci distingue da quel tuo amico e dalla sua categoria. Lo capisci? Io e te, figliolo, siamo uguali. Abbiamo il potere di controllarli tutti”.

- Mi sarebbe piaciuto restare ancora ma ho un impegno urgente in ufficio.-

La menzogna era scivolata così facilmente tra le labbra che quasi si convinse lui stesso di avere urgenza nel tornare a chiudersi nell’edificio nero.

 

///

 

- Ho firmato perché è mio figlio!-

- L’hai fatto alle mie spalle perché sapevi di star sbagliando. Credo si possa rimediare. Sì, possiamo ancora rimediare. Facciamo un test e quando risulterà che non è tuo figlio, allora potremmo dire che sei stato costretto a firmare e… sì, non scuotere il capo in quel modo. Sai anche tu di aver fatto una mossa sbagliata. Sei fortunato che ho amici importanti nella stampa e possiamo creare il caso sulle donne che usano i bambini per...-

- Ho detto che non userai mio figlio.-

- Liam...- una prolungata pausa di silenzio -… cerchiamo di ragionare e… Dove stai andando? -

Nessuno fiatava nella cucina comunicante con il salotto della villa. Ognuno dei domestici era impegnato nel proprio lavoro, chi a pulire il bancone e chi a lavare il pavimento, ma erano tutti attenti sulla discussione che da qualche minuto stava accendendo il salotto con un crescendo di tensione. Zayn ne era convinto perché percepiva gli sguardi alternati di Trisha o Sasha addosso mentre cercava di concentrarsi sul fumetto che teneva tra le mani. Aveva avuto d’un tratto l’idea di alzarsi dalle due sedie occupate, le uniche non a gambe all’aria sul tavolo, ma non appena aveva poggiato i piedi sul pavimento bagnato dal salotto era provenuto il secco ordine fatto dal più giovane, fino a qualche mese prima, tra i Payne a non essere toccato.

- Vuoi metterti davvero contro di me? Posso isolarti da tutti! Sai che ho il potere! Non mi dare le spalle, Liam! Porta rispetto o ne pagherai le conseguenze! Posso costringerti a ubbidirmi!-

Ora i domestici rimasti nella cucina non fingevano neppure di proseguire con il loro lavoro. Zayn aveva incrociato lo sguardo preoccupato di Sasha, poi lei aveva scosso il capo e si era rivolta a Trisha con la confessione tenue – “Mi piange il cuore non poter mai intervenire. L’ho cresciuto come se fosse mio figlio”.

- La metà delle azioni della società sono mie. Vorrei proprio vederlo come potresti costringermi. Non c’è più nulla che tu possa fare per farmi stare sotto di te.-

Zayn portò una mano alla fronte ancora prima di sentire la risposta del capostipite della famiglia Payne. Non era certo quello che intendeva lui quando incitava Liam a prendere il controllo e opporsi al padre. Si stupì però della risata fredda che suonò nel salotto ed echeggiò fino alla cucina, facendo scambiare occhiate preoccupate tra i domestici. Non appena il motivo dell’ilarità di quell’uomo malvagio si spiegò, strinse i pugni per contenere la rabbia.

- Tu sei ancora un debole, figliolo. Ho tentato di farti capire che quei domestici sono inferiori a noi, ma tu ti sei affezionato a loro. Basterebbe accennare che ho il potere di farli finire tutti in strada per farti ubbidire. Sei debole e resterai solo. Sto facendo tutto questo per te. Perché non riesci a capirlo? Perché devi essere tanto difficile, figliolo? Mi costringi a essere cattivo, lo vedi?-

Zayn portò un pugno alla bocca per non gridare quando nel “Non mi toccare! Stammi lontano!” riuscì a percepire la paura del suo amico d’infanzia. Ignorò le occhiate che gli stavano perforando la schiena mentre si dirigeva verso la porta che dalla cucina immetteva direttamente nel giardino della villa. In quel momento non gli importavano le raccomandazioni della madre a non intromettersi, a tenere le distanze che il diverso rango già forniva. Liam aveva bisogno di lui, tutto il resto passava in secondo piano. Come poteva mettersi davanti l’ostacolo di una relazione impossibile quando aveva sentito in modo chiaro la sua voce tremare come un tempo.

La brezza leggera lo costrinse ad avvolgere le braccia attorno al corpo per scaldarsi; tornare indietro per recuperare una giacca l’avrebbe solo rallentato.  Attraversò il viale con tre passi lunghi e fece una breve corsa per raggiungere la quercia. Il buio della notte era spezzato dai lampioni piazzati nel viale tra i cespugli ma in quell’angolo di giardino solo loro, sotto le fronde del grande albero, non riusciva ad arrivare la loro luce. Lì dentro stava il loro piccolo mondo, lontano dalla villa e dalle rigide regole della società.

Fu ugualmente un sollievo per Zayn spostare le foglie e trovare una sagoma seduta sul ramo più basso. Non aveva bisogno di luce per riconoscere il suo amico. Stava ricurvo con le mani unite tra le cosce, il capo basso e il respiro che gli sollevava regolarmente le spalle. Posò i palmi contro il legno ruvido e si issò sul ramo, sedendosi accanto a quello che si spostò un poco per fargli spazio. Non si rivolsero né un saluto né uno sguardo per riconoscere la presenza dell’altro. Erano anni che non stavano in silenzio sotto le fronde di quella quercia ma era stato facile per Zayn cadere di nuovo in quell’abitudine.

Decise di spezzare il silenzio quando sentì provenire dal ragazzo sedutogli accanto un sospiro tremante e il tipico tirare su con il naso che preannunciava un pianto. Si spinse con la spalla contro di lui e sussurrò: - Non sei solo.-

Era stato terribile il suono della sua risata, così come riuscire a notare quanto fossero lucidi i suoi occhi. Non poteva rincuorarlo come avrebbe voluto, non poteva toccarlo. Le ricordava bene quelle crisi. Erano i momenti rari in cui Liam odiava il contatto fisico, persino da parte sua. Si chiudeva nel suo silenzio, si stringeva in se stesso, e Zayn gli restava accanto e riempiva lo spazio tra loro di frasi, talvolta senza alcun senso. Liam gli aveva confessato solo dopo tanti anni quanto la sua voce lo aiutasse in quei momenti.

Prese un profondo respiro per prepararsi e intravide Liam piegare una gamba sul ramo, la guancia che premeva contro il ginocchio per dedicargli tutte le attenzioni. Perché in quel momento era tanto semplice tornare come un tempo?

- Devo raccontarti una cosa che è successa recentemente. Devi saperlo.-

Curvò le labbra in un sorriso dopo aver pronunciato quelle parole e riuscì a percepirlo nel verso con cui Liam lo invitava a proseguire. Grattò con l’unghia la corteccia per distrarsi dal desiderio di sollevare la mano del ramo e accarezzare la sua guancia. Non poteva toccarlo.

- Stavo sfogliando un vecchio numero di Superman - iniziò a raccontare dal principio con gli occhi focalizzati sui palmi posati sulle cosce - e tuo figlio ha detto che sei Clark Kent.-

Fece dondolare i piedi nel vuoto, sollevò le spalle con uno sbuffo e in fretta continuò: - Penso sia per gli occhiali. Ora sta dicendo a tutti che suo papà è un supereroe. Dovrei avercela un poco con lui perché ora sono diventato il centro delle battutine di tutto il personale. Evidentemente far leggere a tuo figlio dei fumetti è crescerlo come me. Non capisco perché sia un male. Non è un male, no?-

Sollevò gli occhi in tempo per vedere la scossa del capo di Liam, il sorriso che curvava le sue labbra e sentire il flebile: - Non sono né Clark Kent né Superman.-

Incise i denti sul labbro inferiore per non ribattere con grinta e focalizzò gli occhi su quel che riusciva a riconoscere nel buio dell’erba sotto di loro, percependo ogni parola successiva di Liam come una pugnalata su di lui.

- Sono solo un illuso senza spina dorsale. Sono debole. Non ho il coraggio di prendere posizione con lui, riesco solo a scappare via. Ha ragione su di me. Mi fa schifo ammetterlo ma mi conosce meglio di chiunque altro.-

Scosse il capo con una smorfia e strinse forte i pugni per non sfiorarlo mentre lasciava traboccare il dolore nel sussurro: - Non dire così, jaan.-

- Ha ragione, Zayn.-

Non gli piaceva quel tono imperativo. Odiava quando la sua voce suonava fredda. Come se fosse totalmente deciso e non ci fosse la minima possibilità di fargli cambiare idea. Come se non esistesse più la possibilità di recuperarlo. E Zayn sapeva che in certi casi la metteva di proposito quella barriera tra loro. Non sapeva quale tra le due opzioni facesse più male: se il suo essere convinto di quelle parole o se quel voler staccarsi da lui.

- Forse dovrei solo smettere e diventare quel che vuole lui. Forse sarei più felice.-

 

Siamo troppo diversi ora, Zayn

Che stronzata è questa, Lee

Noi non possiamo essere amici. Siamo diversi. Ho una società da gestire

Questo è quello che vuole tuo padre. Se credi sia meglio in questo modo, però, accetto la tua decisione

 

- Stronzate.- sputò fuori d’istinto e agitò una mano per fermare le sue insistenze. Non sarebbe rimasto in silenzio quella volta, non avrebbe accettato passivo una sua decisione. Anni prima aveva creduto fosse una soluzione inevitabile quella di calzare i panni perfetti del loro rango sociale. Cos’avevano ottenuto in quegli anni a dimenticarsi del loro passato? Nulla. Continuavano a oscillare sul filo della loro storia senza mai finirci dentro. Ed erano felici? Dio, non sapeva se era felice ma Liam non lo era nemmeno lontanamente. Prese un nuovo respiro e con un ritmo incalzante disse: - Non è quello che stai cercando di fare da anni? Non sarai mai come vuole lui, Liam. Tu sei fatto così, sei buono. E non saresti più felice. Arriveresti a un certo punto della tua vita e non riconosceresti più te stesso. Vuoi quello? Credi che estraniarti completamente sia la soluzione? Non sarai mai come lui e non saresti felice.-

- Io non mi riconosco già più, Zayn.- Voltò di scatto il viso nella sua direzione e gli sembrò di vedere sulle sue labbra uno di quei sorrisi che odiava, quell’arrendevole piega e la scossa lieve del capo. - Ho resistito per anni solo per questo momento. Ho affrontato ogni giorno pensando che avrei guadagnato la libertà. Invece ho quasi trent’anni e sono ancora sotto di lui. E non ho nulla di ciò per cui ho lottato.-

- Non dire così, Liam.- sussurrò quando captò l’incrinatura nella sua voce, si tenne ancorato con le dita al ramo e si sporse per cercare il suo sguardo, insistendo: - Non sei solo. Hai tuo figlio, ti vuole bene.-

Seguì il movimento delle sue mani che andavano a coprire il viso e gli sembrò di aver ricevuto un pugno nello stomaco quando tra le dita farfugliò: - Basta una sua parola e divento così. Sono… sono un debole. Ho un figlio che ha bisogno di me e sono qui a farmi del male con dei pensieri che...-

Allungò un braccio e sfiorò il polso più vicino. Lo avvolse con le dita per fargli spostare il palmo dal viso e con cautela sussurrò: - Jaan.-

Sfregò il pollice lungo il suo polso dove riusciva a percepire perfettamente le pulsazioni e ignorò la scossa del capo di Liam che doveva essere la sua richiesta a smetterla. La enunciò l’attimo dopo con i farfugli: - Non dovresti essere qui. Crisse. Tu non dovresti essere a Toronto, Zayn. Ti aspettava un futuro splendido. Avevi il tuo sogno a portata di mano. Stavi vivendo il tuo sogno. E hai rinunciato a tutto. Stai perdendo il tuo tempo qui e lo sai.-

- Non sto perdendo tempo.- pronunciò con un tono cauto e la mano stretta alla sua, prese un respiro e continuò: - Non ho rinunciato al mio sogno. Sono tornato perché mi mancava la mia famiglia. E non mi piace vederti così. Vorrei fare qualcosa.-

Restò immobile di fronte allo sguardo scrutatore di Liam, lasciandogli il tempo di tradurre quelle confessioni e decidere dove portarli. Inarcò un sopracciglio quando un debole sorriso comparve sulle sue labbra e sollevò il capo per seguire quel che il suo indice stava puntando.

- Sai cosa mi farebbe stare bene?- Scosse il capo con confusione e riportò gli occhi sul viso di Liam, tentando di capire qualcosa della sua espressione enigmatica in quella penombra. Si aggrappò alla sua caviglia quando si alzò in piedi sul ramo, preoccupato di quel che voleva combinare senza il fattore importante della luce, e lo lasciò andare per paura di peggiorare la situazione. Liam stava già seduto sul ramo più in alto e faceva ciondolare i piedi sopra la testa di Zayn con un sorriso bianco.

- Sai cosa mi farebbe stare bene?- lo ripeté ancora una volta e Zayn si alzò in piedi per aggrapparsi con le braccia al ramo sopra di lui, ricordandosi gli anni d’infanzia mentre rispondeva: - Chi raggiunge la cima è il vero difensore della quercia.-

Il silenzio si riempì della loro risata e poi Zayn fissò sconvolto Liam che si aggrappava al ramo ancora più in alto per procedere con la scalata.

- Hai il completo elegante!-

Era una fortuna che si stesse tenendo in equilibrio con le mani sul ramo perché l’attimo dopo avergli fatto quel rimprovero Liam si era lasciato cadere a testa in giù, tenendosi aggrappato come una scimmia con le gambe. Scosse il capo con un sorriso quando i suoi polpastrelli ruvidi gli sfiorarono la guancia e restò perfettamente immobile quando il suo respiro gli accarezzò la bocca, rispondendo con un grugnito alla provocazione nascosta nel suo “Dovrebbe importarmi?”.

 

///

 

La curvatura ironica sulle labbra piene. La lingua le umettava una sola volta e poi tornava veloce a nascondersi dietro una barriera di denti bianchi. Le palpebre calavano con un movimento lento, le ciglia carezzavano gli zigomi appuntiti. Una mano entrava nel raggio visivo per bloccare il fascio di luce che lo infastidiva, le pagliuzze dorate annegate nel nocciola scintillavano con la risata.

Liam poteva ripetere le azioni catturate in quel video di un minuto scarso senza guardare lo schermo. Fece scorrere con l’indice i protagonisti del filmato all’origine e si accorse tardi di aver strappato un angolo della bustina di zucchero e averne versato già per metà il contenuto nella tazzina di caffè. Borbottò tra sé e sé mentre la riponeva sul piattino e tentò di togliere la sostanza dolciastra dal fondo usando il cucchiaino. Lo sorseggiò a occhi chiusi per essere concentrato nel valutare la differenza di sapore dai caffè amari che era abituato ad assumere in ufficio. Annuì due volte e con il mignolo fece ripartire il video.

La vecchia automobile inquadrata di sbieco. Un insieme di colori confusi per il movimento veloce. Il sorriso di Zayn. “Aggiornamento dal progetto ambizioso. Bessy ha borbottato, sembra si stia riprendendo”. Lo schermo occupato dall’automobile. Inquadratura sul cemento. “Ohi, Max! Non toccare quelle cose!”. Un grugnito. “Tuo figlio è una peste”. Passi sull’asfalto. Due volti premuti uno accanto all’altro per stare nell’inquadratura dello schermo. “Saluta il papà”. L’indice del bambino sollevato. La sua risata. L’insistenza nell’indicarli sullo schermo. “Il tuo papà lo guarderà a lavoro. Vuoi fargli un saluto?”. Il lento oscillare della sua mano piccola . Il suo sorriso luminoso. “Torna presto, papà”.

- Occupato?-

Sollevò di scatto il viso dallo schermo del cellulare e lo puntò sulla segretaria che gli stava di fronte con il vassoio del pranzo. Solo in quel momento il baccano della caffetteria del primo piano tornò prepotentemente a prendersi i suoi spazi. Sollevò un braccio e indicò il posto libero, molto meglio che il tavolo venisse occupato da dipendenti che dal padre. Abbassò gli occhi sullo schermo ancora illuminato in quell’ultima inquadratura – le mani del bambino aggrappate al braccio di Zayn, la sua bocca aperta in una risata che non era stata catturata in tempo dal video.

- Quindi è vero che ha un figlio?-

Portò di nuovo gli occhi sulla giovane che gli stava seduta di fronte, con forchettate decise stava infilzando foglie di insalata e fette di pomodoro. Non sembrava essere particolarmente interessata della risposta, tutta la sua concentrazione stava sulla quantità di cibo che riusciva a comprimere nella dentatura della posata.

- Le voci corrono in ufficio?- domandò a sua volta in un tentativo di prendere tempo e non fornirle subito la risposta. Inarcò un sopracciglio quando le sue labbra rosse si schiusero in una risata e si spinse contro lo schienale della sedia per non essere nella traiettoria della sua forchetta che si sollevava per indicarlo. Non capiva cosa ci fosse di tanto ilare in ciò che aveva domandato, solo i segreti del padre erano al sicuro dai pettegolezzi lì dentro. Era quello che aveva più motivo di stare sulla bocca di tutti con la sua relazione extraconiugale in ufficio di cui tutti erano a conoscenza e una moglie alcolizzata che finiva sui giornali di gossip per le sue “scappatelle” in isole tropicali. Lui era solo l’anonimo figlio di due cicloni che non avrebbero mai dovuto fondersi.

- Ho fatto solo qualche ricerca.-

Lo disse con tanto di occhiolino. Liam continuò a fissarla confuso mentre lei prendeva nuove forchettate della sua insalata, si puliva la bocca con il tovagliolo di carta e si sporgeva in avanti come se fosse in procinto di rivelare un segreto.

- Volevo capire perché fosse tanto interessato ad un’assistente sociale. Per quale motivo doveva anticipare suo padre. Le magie di Internet. Non si può nascondere più nulla nel ventunesimo secolo.-

Spostò gli occhi dai suoi celesti allo schermo nero del telefono, riportò lo sguardo nel suo e sospirò. Sfregò un palmo contro la guancia, i peli della barba corta pungevano contro i polpastrelli. Dorothy era stata il portante della società Payne, gli era stata simpatica fin da bambino perché da quelle brutte giornate in compagnia del padre tornava a casa con una manciata di caramelle nella tasca del cappotto. Se lei si fidava di quella giovane che ora la sostituiva, si sarebbe fidato anche lui.

- Ho avuto qualche discordanza con mio padre. Non è nulla di importante e Maximilian non c’entra.-

- Maximilian.- Un movimento del capo di Liam per indicarle la corretta pronuncia. - Ha scelto di proposito un nome così altisonante? Maximilian Payne. Non le dà subito l’immagine di un baronetto?-

Tre rughe apparirono sulla fronte, le labbra si arricciarono appena e borbottò: - L’ha scelto sua madre.

- È sposato?-

Spostò i palmi sotto il tavolo per celare le dita all’occhiata indagatrice della segretaria, probabilmente alla ricerca di una fede o di un qualsiasi tipo di anello.

Non raccontare mai la verità a una sola persona. La userà contro di te. Devi mentire sempre, figliolo.

Una mano si aggrappò con forza alla sua simile dove stavano al sicuro posate sulle gambe. Lei lo fissava in attesa, un guizzo impercettibile sulle labbra e sulle dita che si strinsero solo per un secondo con più forza alla posata.

- Quelle sono informazioni personali.- stabilì con una cadenza monotona e perse un istante la corazza quando lo schermo del cellulare riprese vita con l’arrivo di un nuovo messaggio. Si alzò in piedi e tenne il cellulare saldo nella mano, unico appiglio in quella stanza tetra. - Ci vediamo in ufficio, signorina Edwards. Buon pranzo.-

Si sentì al riparo solo una volta le porte metalliche dell’ascensore si chiusero davanti a lui, si appoggiò con la schiena a una parete e sospirò. Con un movimento del polso voltò il telefono per illuminare lo schermo.

« Dovrai spiegarmi per quale motivo tieni tanto a questa carcassa, jaan »

Spinse la nuca contro lo specchio e abbassò lo sguardo sulla moquette blu che rivestiva quei sei metri quadrati dell’ascensore. Le palpebre calavano e dietro di esse il ricordo scorreva.

 

Questo è il tuo posto segreto?”. Un breve cenno del capo per non parlare, le braccia strette attorno alle gambe e il mento posato tra le ginocchia. “È strano”. Un movimento veloce per allontanarsi dal suo braccio teso, il respiro che si bloccava con un groppo nella gola quando la schiena cozzò contro la portiera. Non aveva vie di scampo. Non sarebbe riuscito a sollevare in fretta la mano per aggrapparsi alla portiera. Era persino la portiera difettata, non avrebbe avuto la forza di aprirla. “Ti stanno cercando ovunque, sai?”. Le dita che premeva contro il tappetino della vecchia automobile, il labbro inferiore tremante e gli occhi supplicanti che puntava sul bambino inginocchiato poco distante da lui. “Posso andare via e lasciarti qui solo ma sai quanto sono alte le probabilità che ti scovino lo stesso? Molto, molto alte. Troverebbero te e il tuo posto segreto. Allora dovrai cercare all’infinito un nuovo posto segreto la prossima volta. Se invece vieni con me possiamo inventare una bugia e conoscerò solo io il tuo posto segreto”. Il sopracciglio tendeva verso l’alto mentre valutava la proposta del bambino che stava accovacciato come lui, incastrato nello spazio libero tra i sedili anteriori e posteriori. La sua piccola mano aperta, le dita che tendevano verso di lui in un invito a seguirlo. “Mia mamma fa i biscotti migliori dell’intera galassia. Non hai mai provato  cibo alieno? Quello è tutto verde e poltiglia”. La risata che era suonata con leggerezza al verso di disgusto del coetaneo. “Li aveva fatti solo per me, ma posso cederne qualcuno a un amico. Sono Zayn”. La mano che chiudeva attorno alla sua. “Liam James Payne” recitato con chiarezza come a ogni presentazione. “Ti chiamerò solo Liam. Ora andiamo via da questo ferro vecchio prima che qualcuno ci scopra”. Solo dopo aver dato due morsi al biscotto si decise a confessare: “Si chiama Bessy e quando si sveglierà me ne andrò via con lei”. Una pausa di silenzio mentre entrambi sgranocchiavano il loro biscotto. “Può volare? Se hai bisogno di un pilota, Liam, posso aiutarti. Possiamo volare su tutte le galassie e combattere contro gli alieni”.

 

 

///

 

Era il 25 di novembre. Un mese esatto all’arrivo del natale. Lo dimostravano tutte le decorazioni che come ogni anno venivano sistemate con cura dentro e fuori dalla villa. La festa di natale dei Payne era un evento imperdibile per l’alta società canadese. A riceverne l’invito non si doveva solo far parte di un certo rango sociale, bensì di rappresentare un gruppo di persone prescelte a guidare la città di Toronto sotto l’aspetto economico, finanziario, politico e di intrattenimento – cantanti, attori e presentatori TV erano sempre benvoluti. In quei saloni durante la vigilia di natale si sarebbe trovata l’élite di Toronto. Tutto doveva quindi essere perfetto, la signora Payne era intransigente sugli addobbi. Doveva passare ogni particolare sotto la sua supervisione, le piaceva controllare i preparativi e si divertiva a gridare ordini contro il personale che non la comprendeva quando chiedeva “eleganza, non pacchianata”.

Era riuscito a scamparla quell’anno Zayn. O almeno, l’assenza provvisoria della signora Payne gli aveva dato modo di ignorare i preparativi per la festa dell’anno e concentrarsi sulla vecchia automobile che aveva spostato in garage per ripararla dal gelo. Come ogni giorno da quando aveva preso in mano i lavori di recupero di quel rottame se ne stava sdraiato sul carrello, le dita che passava sul telaio e sui vari bulloni che aveva già avvitato, svitato e avvitato in un ciclo continuo. Era ormai una questione di principio. Aveva promesso a Liam di svegliare Bessy e ce l’avrebbe fatta.

- Zeeen.-

Poggiò le mani sull’asfalto per darsi la spinta e sgusciare da sotto la vettura, fissò dal basso il bambino che l’aveva chiamato a gran voce e si mise seduto sul carrello, recuperando uno strofinaccio sporco di grasso e olio per pulirsi in qualche modo le mani.

- Dimmi, capitano.-

Le labbra del bambino assunsero una piega soddisfatta quando si sentì definire di nuovo in quel modo, si piegò sulle gambe corte e quasi si sbilanciò in avanti per fissare sotto la vettura con un’espressione seria. Zayn si sforzò a non ridere della scrupolosa osservazione, del cenno del capo e del serioso “Non vuole svegliarsi, eh?”. Scosse la testa una sola volta e sfregò le dita contro la guancia e la bocca per bloccare la risata per come quel bambino di quasi cinque anni si stava comportando.

- Bessy è una pigrona.- ribadì Zayn con un tono confidenziale, rivolse il palmo all’insù e aspettò le sue dita sottili si stringessero alle proprie, facendogli compiere quei pochi passi che li dividevano per osservare il suo viso da vicino. Ripulì la sua guancia dalla crema con il pollice e lo fissò con serietà, vedendo la colpevolezza apparire chiara nei suoi occhi scuri. Aveva ereditato da suo padre il vizio di infiltrarsi in cucina per mettere le mani nel barattolo di crema alla nocciola, ne era certo. Anche se a sua volta Liam l’aveva imparato da lui, un particolare non importante.

- Posso aiutarti a svegliare Bessy?-

Non s’impegnò per rifiutare quella richiesta, presto o tardi avrebbe ceduto ai suoi occhioni marroni. Era incredibile la somiglianza del taglio degli occhi. Erano gli stessi di Liam, che li aveva a sua volta ereditati da sua madre. Recuperò il vecchio skateboard dallo scaffale più in basso e lo poggiò a terra accanto al carrello, indicandolo al bambino che si sdraiò come gli aveva visto fare spesso. Aveva imitato persino il gesto di passare le mani sui pantaloni. Sorrise di fronte a quella scena, commosso per come sembrava essersi affezionato a lui. Non voleva sostituire il padre che aveva ma ricordava con una punta d’orgoglio quel che gli aveva confessato giorni prima – “Da grande voglio essere come te, Zen”.

Non riusciva a pronunciare alla perfezione il suo nome quindi ne aveva inventata una variante tutta sua. Forse era una particolarità anche quella ereditata da Liam perché ricordava bene quanto impegno ci avesse messo tanti anni prima ad avere la giusta pronuncia. Avevano passato intere giornate seduti sul ramo della quercia mentre Liam insisteva sul voler pronunciare quel nome strano alla perfezione. Non riusciva a quantificare quale tra i due atteggiamenti fosse il più tenero: l’impegno ossessivo di Liam a trovare la corretta pronuncia o il nomignolo che Max gli aveva incollato addosso. Era certo però, di poter impazzire dalla felicità all’idea di aver ottenuto la totale fiducia di quel bambino che con tutti gli altri buttava fuori solo due parole scarse. Faticava persino a parlare con Liam, ma Zayn lo notava come s’incupiva di tristezza nel vederlo salire in macchina e come si rallegrava non appena la vettura nera compariva nel viale. Non parlava con Liam solo perché non aveva tempo di farlo e Zayn stesso stava cercando un momento per parlargliene. Era costantemente in ufficio e quando rientrava a casa la nuvola grigia sopra di lui era evidente.

- Oggi sarai il mio assistente, Max.- pronunciò con serietà, prese posto sul carrello e scivolò sotto la vettura, accompagnando lo skate con una mano stretta alla sua estremità. - Vedi questi bulloni? Dovrebbero essere loro il problema. Li stringiamo ancora un poco e vediamo che succede. Passami quello strumento che hai lì accanto.-

Curvò le labbra in un sorriso fiero quando tra le mani comparve lo strumento corretto e rivolse una breve occhiata al bambino che teneva lo sguardo concentrato sui bulloni che avrebbe dovuto stringere.

- Se noi svegliamo Bessy - il tono cauto scelto dal bambino lo fece bloccare e rivolgergli tutte le attenzioni - poi papà è felice?-

- Quando Bessy si riprenderà per merito nostro tuo papà sarà molto felice. Sarà una bella sorpresa per lui.-

Zayn era così preso ad avvitare bulloni da non essersi accorto del silenzio del bambino che lo fissava con ostinatezza. La stessa che usò per domandare: - Papà riesce a essere felice?-

- Certo!- esclamò di getto Zayn, voltò il viso di lato per osservare il piccolo e notò il suo labbro inferiore sporgersi con la smorfia di disappunto. - Tuo papà è molto impegnato a lavoro, per questo è sempre tanto serio.-

- È così da quando ci sono io.-

Strabuzzò gli occhi per come era suonato serio e impassibile un bambino così piccolo e posò la chiave inglese a terra, facendoli poi muovere sulle rotelle per uscire da sotto la macchina.

- Non è così, Max.- pronunciò con serietà dopo averlo fatto sedere sullo skate, sfregò una mano tra i ciuffi biondi e grugnì quando gli si presentò di fronte agli occhi con chiarezza un ricordo.

 

Lei non mi sopporta

È impossibile, Liam. È tua mamma!

Mi odia proprio perché sono suo figlio. Ha detto che se non fosse stato per me lei sarebbe felice. Vuol dire che io la rendo triste. Quindi mi odia

Liam

Mio padre ha detto che sono pazzo come lei

Ancora ascolti le stronzate che dice?

Ha detto che non si sarebbero sposati, se non fosse stato per me. Sono un loro errore, ha detto

Li-- … Jaan

Cosa vuol dire? Quella cosa che hai detto. Jaan?

Vuol dire che finché ci sono io, finché ti chiamo così, tu non sei solo

 

- Ascoltami bene, Maximilian.- Sollevò persino l’indice come era solito fare con Liam durante una delle tante lezioni sulle stelle e le galassie. Spinse quel dito contro il suo pancino per farlo ridere e osservò con sollievo le sue labbra curvarsi verso l’alto con una risata spensierata. - Tuo papà, come certi adulti noiosi, è molto impegnato con il suo lavoro e crede che mostrando il suo bel sorriso possa succedere una catastrofe. Con tanto di draghi e orchi.-

- Il mio papà non è noioso.-

Sollevò le braccia al tono difensivo del bambino e scoppiò in una risata quando fu lui a tentare di fargli il solletico mentre lo incitava a rimangiarsi le brutte parole sul genitore.

- Il mio papà è il più forte di tutti.-

- Come Superman, lo so. Tutti sanno quella storia, Max.-

Passò le dita tra i suoi ricci con una risata e lo avvolse in una presa debole con un braccio attorno alle spalle.

- Lui non ha paura né dei draghi né degli orchi. Li mangia a merenda.- insistette il bambino dopo essere stato liberato, le mani sui fianchi e il petto che gonfiava per mostrarsi più grande della sua età. - Il mio papà è un eroe coraggioso. È solo triste perché… perché gli manca qualcuno. Anch’io sono triste quando penso alla mia mamma.-

- La tua mamma è sempre con te, Max.- pronunciò di getto quando vide le sue labbra tendere in un broncio. Posò una mano sulla sua spalla e guardandolo negli occhi aggiunse: - Tutti noi ti vogliamo un gran bene. Non dimenticarlo mai.-

 

///

 

I fiocchi di neve danzavano fuori dalla vetrata, la luce faticava a bucare le nuvole bianche e preannunciava con quell’atmosfera il natale ormai vicino. La prima settimana di dicembre era volata, poi di colpo il tempo si era arrestato. A Liam pareva assurdo essere ancora fermo al martedì. Odiava stare chiuso in ufficio in quei giorni. Il ritorno della madre pesava sulla testa come la lama della ghigliottina, pronta a scivolare in un colpo letale. Suo padre insisteva con le manie di complotti per distruggere il nome della famiglia messi in atto da un bambino. Suddetto bambino, suo figlio, stava abbandonando il comportamento avuto dal suo arrivo e si stava aprendo con i domestici. Non era un problema di distinzioni sociali, come invece suo padre sosteneva, quanto più il desiderio di conoscere lui stesso il figlio appena incontrato. Partivano in netto svantaggio, avendo perso i primi anni importanti della sua vita, e ora dovevano coesistere come estranei e famiglia. Era una situazione paradossale. Tutti attorno a lui conoscevano suo figlio, avevano già coniato un modo di scherzare con lui. Per Liam invece restava un estraneo… suo figlio, un estraneo.

Ai due colpi decisi alla porta si girò con la poltrona, distogliendo lo sguardo dalla vetrata e dalla bufera chiusa fuori dall’ufficio. Il caschetto biondo della segretaria spuntava dalla porta di vetro tenuta aperta dal suo fianco premuto contro di essa. Le fece cenno di avvicinarsi con un movimento della mano e unì i palmi sopra la scrivania in una posizione di attesa e concentrazione.

- Devo parlarle di una situazione critica e importante.-

- Hai bisogno di qualche giorno di ferie per le vacanze? Sai che non posso darteli. Siamo pieni di lavoro in questo periodo e con i ritardi delle spedizioni...-

Si interruppe quando vide le sue braccia sollevarsi e le sue mani muoversi con scatti, inarcò un sopracciglio e spinse gli occhiali con il medio più su lungo il naso, sfregandolo nella ridiscesa verso la punta.

- È una questione delicata e...- un sospiro, la porta che si chiudeva alle spalle dopo aver scrutato il corridoio e i suoi passi veloci che la portavano vicino alla scrivania - … non so come potrebbe prendere queste informazioni che ho raccolto.-

Liam rivolse un palmo verso l’alto per indicarle con le dita le due poltroncine davanti alla scrivania e unì poi le mani sotto il mento, scrutando le sue mosse e il nervoso spostare le ciocche bionde dietro l’orecchio.

- Come le ho già detto sono curiosa.- La invitò a procedere con un verso modulato nella gola, grattò con l’unghia del pollice il labbro inferiore e piegò appena il viso su un lato al cambio di tonalità e al suo improvviso difendersi con il seguito del discorso.

La chiamò dapprima con il cognome per interrompere quella serie di parole confuse sul poter finire nei guai, su quanto fosse meglio stare in silenzio e lasciare che venisse allo scoperto da solo. Non funzionò per calmarla. Si alzò in piedi per sovrastarla con l’altezza e poi sollevò il tono di voce per pronunciare: - Perrie, non ti licenzierò per questo!-

- Come posso esserne certa?-

Arrivò in fretta la risposta della giovane che sistemava i pantaloni neri del completo da pieghe inesistenti. Liam sprofondò nella poltrona a quella domanda, poggiò la nuca contro il rivestimento in pelle e allargò poi le braccia con un sospiro. Non c’era nulla che potesse dire per convincerla e costringerla di conseguenza a parlare.

- Se dovesse riguardare suo padre?-

- Mio padre?- domandò di getto con le tre rughe di famiglia sulla fronte, sfregò le dita contro di esse per distenderle e insistette: - Cos’avrebbe fatto mio padre di grave? Tanto da preoccuparti di un licenziamento.-

Al silenzio che seguì quella richiesta portò le dita alle tempie per apportare pressione e rilassare i nervi. Solo citare uno dei genitori metteva in moto una concatenazione di pensieri e preoccupazioni che generavano un’emicrania. Si era illuso quella mattina di avere davanti una noiosa giornata d’ufficio, non certo di scontrarsi ancora con il padre.

- Come potrai aver notato in questi mesi non sono il capo che licenzia dopo un errore.- si decise a prendere il discorso da quel lato quando il suo silenzio si protrasse ancora. Tamburellò le dita di una mano contro il tavolo mentre con l’altra muoveva la penna su fogli bianchi in scarabocchi. Spinse per tre volte la punta della biro contro un angolo del foglio, sollevò gli occhi in quelli azzurri della giovane e con le sopracciglia corrugate sussurrò: - Non ho nemmeno un buon rapporto con mio padre, credevo si fosse intuito.-

Lasciò che si prendesse il suo tempo per valutare quelle parole di convincimento e posò la penna contro la scrivania quando lei si schiarì la voce per preparare un discorso serio e articolato.

- Non sono stata assunta per spulciare nella parte finanziaria di quest’impresa ma ho frequentato… non è importante. Mi sono incuriosita. Diciamo proprio che mi mancava gettarmi su investimenti e guadagni.-

Le sue dita che andavano a stringersi, il guizzo che aveva attraversato le labbra rosse e la scossa breve del capo erano segni di quanto si stesse sforzando per procedere nel discorso e non lasciarsi fermare dal nervosismo.

Le andò incontro per aiutarla e domandò: - Hai scoperto qualcosa che vuoi dirmi?-

Il suo cenno del capo, la sicurezza nascosta in quel gesto e la fierezza nell’azzurro dei suoi occhi. Le sue labbra che si schiusero in una lapidaria affermazione.

- È stato aperto un conto privato a nome di suo padre. È aperto da più di ventisei anni ma nell’ultimo periodo ha iniziato a trasferire più soldi. Se non agisce con più cautela attirerà attenzioni che metterebbe tutta l’impresa nei guai. Ci finirei di mezzo io, lei… gente che lavora per questa famiglia da anni. Penso sia meglio per lei che inizi a informarsi su quello che sta mettendo in atto suo padre. Può non andare d’accordo con lui ma in un eventuale processo ci andrà di mezzo.-

 

///

 

La schiena ricurva, i gomiti contro il bancone e i pugni premuti contro le guance per sostenere il viso. Zayn stava seduto sullo sgabello e stava osservando il bambino mentre faceva merenda. Inzuppava biscotti nel bicchiere di latte e ne stava accumulando sul fondo un’ingente quantità. Aspettava troppi minuti a portarli alla bocca e gli si spezzava a metà sotto il peso della parte imbevuta di latte. Il bancone era pieno di briciole e latte che con l’impatto fuoriusciva dal bicchiere. Gli ricordava anche in quel caso Liam, aveva l’abitudine di inzuppare il biscotto fino a toccare con le dita il latte e poi parlare, parlava troppo, prima di mangiarlo. Era certo persino sua madre stesse pensando al padroncino di casa ormai cresciuto, aveva una curvatura nostalgica sulle labbra.

Un attimo e poi aveva spostato l’attenzione dal bambino a lui. Ora sulla fronte appariva una profonda ruga, gli occhi socchiusi mentre lo studiava in silenzio alla ricerca di chissà quale informazione.

- Non voglio che tu ti faccia ancora del male, beta.-

Aggrottò la fronte in un misto di confusione e comprensione. Sapeva a cosa si riferiva la madre; era stata lei a tenere una fitta corrispondenza negli anni in Pakistan e ricordava bene quanto dolore impregnasse i fogli dei primi mesi lontano da casa, dalla famiglia e da Liam. Distolse lo sguardo in un gesto di colpevolezza e incrociò le braccia sul bancone per riuscire a chiudersi a riccio e nascondersi all’osservazione continua della madre. Cosa voleva che ammettesse? Che non gli era mai passata l’infatuazione giovanile per Liam? Che Liam ricambiava i suoi sentimenti? Che ancora una volta nessuno dei due aveva il coraggio di causare problemi all’altro? Che stava giocando al genitore con quel bambino e gli stava piacendo come ruolo? A ognuna di quelle domande sarebbe seguita una risposta affermativa. Ricordava ancora quel che gli aveva scritto in una delle tante lettere di incoraggiamento, la leggeva ogni sera prima di addormentarsi e ormai poteva ricopiarla persino nella sua grafia – “Devi imparare ad amare e lasciar andare, beta. Se vuoi davvero così bene a quel ragazzo devi essere qualcosa che lo faccia sentire libero, non un peso che lo tenga bloccato”.

E lui voleva essere quella leggerezza nella vita di Liam, come diceva sua madre. Era il suo migliore amico, prima di ogni altra cosa. L’unico peso che bloccava Liam era il giudizio della sua famiglia e lui stesso. Zayn desiderava solo saperlo felice, null’altro.

- Sei malato, Zen?-

Sollevò il viso di colpo quando sentì nella voce del bambino tutta la preoccupazione, il passato, l’orrore. Negò veloce con un movimento del capo e distese un braccio sul bancone per chiudere la sua mano piccola nel palmo.

- Sto bene, Max. Mamma è solo preoccupata perché fuori fa freddo.-

Osservò la smorfia corrucciata apparire sul suo viso tondo e sfregò le dita contro la bocca per nascondere il divertimento al suo gonfiare il petto e ribadire con fermezza “Bessy doveva svegliarsi, così papà è felice”.

- Io non credo una macchina...-

- Patricia.-

Si voltarono tutti e tre nella direzione della voce profonda di Yaser. Con il gesto del suo braccio stava indicando Liam fermo sulla soglia con un sorriso imbarazzato e cordiale sulle labbra. Seguì la spiegazione “Abbiamo delle visite oggi” e la fretta del bambino di scendere dallo sgabello per correre tra le braccia aperte di Liam.

Zayn evitò di spostare lo sguardo da quella scena, sicuro di avere addosso la preoccupazione dei genitori. Si concentrò al contrario sulle braccia sottili del bambino che andavano a cingere le spalle strette in un cappotto invernale, sulle spiegazioni minuziose dei progressi fatti con la macchina e di essere pronti per un collaudo in città.

- Devi chiederlo a lui se vuole venire.-

Inarcò un sopracciglio quando comprese quell’unica frase tra i loro farfugli e spostò gli occhi da Liam al bambino che dopo uno sbuffo infantile cantilenò: - Puoi venire con noi, Zen? Per favooore.-

Trattenne il respiro e qualsiasi altro verso con l’interno delle guance stretto tra i denti. Si lasciò sfuggire un soffio di risata per come entrambi stavano facendo buon uso dei loro occhioni e si coprì con un palmo il viso all’incalzare di Liam – “Per favore, Zen. Vieni con noi”.

Il suo palmo rivolto verso l’alto, il braccio teso come se stesse aspettando Zayn unisse le loro mani. Poi tutta la sincerità che traboccava dai suoi occhi. Tutto quell’affetto che senza paura rivelava.

Scosse il capo al colpo di tosse che proveniva dalle proprie spalle, si voltò verso la madre per risponderle che non doveva temere nulla ed era consapevole di ogni rischio. Venne anticipato da Liam che coprendo le lamentele di Max propose: - Possiamo andare quando sei libero, se hai qualcosa da fare qui. Possiamo aspettare.-

Continuò a dargli le spalle per comunicare con la madre e farle capire con pochi sguardi che non avrebbe rinunciato a quel momento. Capì dalla sua postura la resa e le andò incontro per stringerla in un abbraccio veloce e premere un bacio contro la sua guancia.

- Possiamo andare, Liam.- stabilì mentre recuperava dall'appendiabito tutto il necessario per uscire in un pomeriggio che prometteva bufera; sciarpa, cappello e giacca pesante, sue e di Max. Avevano incastrato nella lana ancora qualche fiocco di neve di quelli che erano caduti loro addosso mentre correvano dalla macchina alla cucina.

- Sei sicuro?- Rispose con un cenno del capo e un verso, più concentrato sul bambino che si agitava e rendeva impossibile l’infilargli le maniche della giacca. - Possiamo rimandare se hai impegni. Possiamo anche aiutarti.-

Aveva appena calato il cappello di lana fino a coprire gli occhi di Max ed era pronto a rispondergli che non c’era impegno più importante dell’uscire con loro due ma fu più veloce la madre a dire: - Non si preoccupi, signor Payne.-

Vide le guance di Liam colorarsi di rosso, i suoi occhi strabuzzarsi e tre rughe scavare la sua fronte. Era la prima volta che Trisha si rivolgeva a lui con quel termine distaccato.

- Vogliamo andare, signor Payne? Sarò il tuo autista privato oggi.- scherzò per togliere l’espressione confusa dal suo viso e fece ondeggiare le chiavi dell’automobile, tenendo le dita strette attorno al ciondolo che gli aveva regalato anni prima. Incredibile quanti oggetti stesse ancora conservando legati al loro passato. Passò una mano sul cappello di lana del bambino che rideva mentre ripeteva “Signor Payne” e accompagnò con una mano alla base della schiena Liam verso l’uscita, salutando con un movimento delle dita libere i genitori che li fissavano. Non voleva voltarsi per scoprire la delusione o chissà che altro sui loro volti.

- Ti porterò su tutte le galassie come ti ho promesso, jaan.-

Lo sussurrò contro il suo orecchio, premendosi un istante con il petto contro la sua schiena. Percepì in quel modo tutti i passaggi che attraversò con il corpo, dalla sorpresa rigida allo sciogliersi con un sospiro contro di lui.

 

///

 

Liam aveva organizzato quella giornata in modo perfetto; prima si sarebbero occupati di riempire il guardaroba di Maximilian con indumenti appropriati, dopodiché sarebbero passati alla parte divertente. Era giusto in quel modo, o forse era l’imminente ritorno della madre a farlo ragionare così. Tuttavia era certo di dover comprargli almeno un abito da cerimonia, qualcosa di elegante, perché la festa di Natale era un evento che non poteva fargli perdere se voleva presentarlo come suo figlio ed erede Payne. La prima presentazione era fondamentale, su quello avevano ragione i genitori. Doveva essere impeccabile.

- È solo un bambino, Liam.-

Prese un respiro per non ribattere di getto che lui non poteva capire quanto fosse importante per tutti loro che lo vedessero come un Payne. Non voleva offendere Zayn e rinfacciargli che provenivano da due classi sociali ben diverse. Tornò a rivolgersi alla commessa per descriverle al meglio ciò che desiderava e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava con il bambino imbronciato per mano. Aveva faticato a convincerlo a staccarsi da Zayn, cui stava aggrappato con l’altra mano mentre faceva capricci perché voleva tornare alla vetrina del negozio di fronte. In esposizione avevano una pista circolare su cui si muoveva un treno a vagoni.

- Stai facendo esattamente quello di cui ti lamentavi dei tuoi genitori.-

Sfregò le dita contro la fronte per distendere le rughe e puntò testardo gli occhi verso la commessa che stava piegata sulle gambe per spiegare al bambino cosa indossare. Sentì Zayn ridere sommessamente al “No!” secco di Max e si coprì il viso con un palmo quando vide i suoi capricci mutare in un rigido voto a non cambiare idea neppure con le opere di convincimento messe in atto dalla commessa e da un cesto di caramelle.

- Non puoi convincerlo tu? A te dà retta.-

- Jaan.- Un sospiro pesante, le sue dita che scorrevano nel biondo scolorito. - Non lo convincerà nessuno. Sai perché?-

Scosse il capo con la fronte aggrottata mentre incrociava il suo sguardo e increspò ancora di più le sopracciglia al suo stringersi nelle spalle e spiegare: - Lui era convinto avessi preso una pausa dal lavoro per stare con lui. Non per fare cose da adulti con lui.-

- Scegliere un completo per la festa non è una cosa da adulti. Non posso farlo apparire in mezzo a tutti quegli uomini e quelle donne sofisticate con la maglia di Batman. Sai che a me non importa un accidente di com’è vestito. Per altri non sarà così.-

- Non è un piccolo adulto, è un bambino. Questo per lui è la cosa più noiosa e brutta cui potessi sottoporlo.-

Liam spostò gli occhi sulla commessa che ancora cercava di comunicare con il bambino e notò subito l’espressione sul viso minuto che prometteva uno scoppio di pianto. La riconosceva perché era la stessa che aveva lui quando veniva trascinato e abbandonato in quei negozi per ore con i rimproveri a non fare scenate. Ricordava fin troppo bene quelle dita che lo toccavano e la voce che con acidità e sarcasmo commentava “Te l’avevo detto di non esagerare con quei biscotti. Hai troppa ciccia e ora dobbiamo allargare tutti i tuoi vestiti”.

- Non sono come i miei genitori.- stabilì con un tono fermo e un velo di lucidità a rivestire gli occhi.

- Posso fare un tentativo, se ci tieni. Non in questo negozio.-

 

///

 

Zayn stava iniziando a innervosirsi. Ogni indumento che tentava di prendere dagli scaffali del negozio riceveva un commento negativo da parte di quello che lo seguiva con il figlio per mano. In macchina gli aveva promesso di lasciargli carta bianca su tutto e appena aveva adocchiato un maglione carino con una renna gigante l’aveva sentito chiaramente sbuffare e commentare il capo con un “ridicolo” che aveva riciclato per qualsiasi altra cosa. Non gli dava nemmeno la possibilità di osservarlo meglio, era costretto a superare quegli scaffali perché il suo giudizio non lo faceva fermare. Si era impuntato su una maglia nera a maniche lunghe che gli pareva comoda, non l’aveva neppure visto il teschio di Punisher. Un particolare che a Liam non era sfuggito perché l’aveva sentito ridere e sbuffare annoiato assieme.

- Ora spiegami cosa c’è di male in questa maglia.-

Si voltò persino per affrontarlo e incrociò le braccia al petto, dimostrandogli in quel modo che non avrebbero proseguito di un centimetro da lì finché non avesse espresso quell’opinione che lo faceva sbuffare tanto.

- Perché non gli fai indossare anche una giacca di pelle? Così diventa la tua copia degli anni ribelli.-

Evitò di soffermarsi su come aveva calcato sull’aggettivo e con curiosità ripeté: - Anni ribelli?-

Seguì il movimento del suo capo per affermare l’utilizzo di quel termine e inarcò un sopracciglio al suo spiegare: - Sì, quando avevi quattordici anni e mi costringevi a disubbidire ai miei genitori.-

- Cosa?!- Rivolse un’occhiata scocciata alla donna che si era fermata accanto a loro e li aveva fissati con disprezzo, guardò Liam che rideva con spensieratezza e borbottò: - Io non ti costringevo.-

- Ero influenzato da te.-

Roteò gli occhi all’affermazione scherzosa di Liam e sullo stesso tono ribatté: - Eri sotto la mia influenza, certo. Stavi sempre sotto di me. La mia giacca di pelle ti influenzava parecchio.-

Osservò con una certa soddisfazione le sue guance tingersi di un rosso acceso e curvò le labbra in un sorriso furbo, sporgendole per un attimo quando incrociò i suoi occhi. La risposta del suo corpo fu immediata: una risata nervosa e “Non stavo parlando di quello, idiota”.

Decise di rischiare in quel momento Zayn, di gettarsi nel momento. Tese un braccio verso di lui, posò la mano sulla sua spalla e fece risalire le dita lungo il collo e la guancia, carezzando la pelle calda. Modulò il tono di voce in modo da nascondere nel “E di cosa stavi parlando, jaan?” una sottospecie di seduzione latente. Se Liam fosse stato a suo agio avrebbe colto l’occasione al balzo come lui, altrimenti avrebbero lasciato cadere il tutto nel dimenticatoio.

Riuscirono a intrecciare i loro sguardi e sorridersi, poi uno schiarimento di voce li costrinse a separarsi.

- Questo è vostro?-

La domanda la pose il buttafuori del negozio, un completo scuro ed elegante che gli conferiva una certa professionalità. Teneva una mano sulla spalla di Max – o almeno quel che sembrava essere Max. Aveva delle gonne di tulle vaporoso ferme attorno alla vita da un elastico, lunghi guanti neri in velluto sulle braccia e un cappello con tre piume che gli cadevano sul viso e lo solleticavano facendolo ridere.

- Non lo stavi tenendo per mano tu?-

- Evidentemente no, se è riuscito a conciarsi in quel modo.-

L’uomo in divisa li fissava con un’espressione impassibile e Zayn si ricordò di non avergli ancora risposto. Gli venne istintivo allungare un braccio per stringere le dita attorno al polso del bambino e confermare con “Sì, è nostro” quel che l’uomo aveva domandato.

- Dovete comprare tutto quel che ha indossato.-

- In realtà noi eravamo venuti fin qui per un altro tipo di vestiario. Se gentilmente può contattare il direttore, noi...-

Se la situazione non fosse stata tanto seria Zayn si sarebbe messo a ridere per come Liam si era zittito al gesto della guardia, l’indice che spostava con regolarità per tre volte da destra verso sinistra.

- Dovete comprare tutto quel che indossa. Con il direttore siamo d’accordo così.-

Non riuscì a fermarla la risata quando Max sgusciò dalla presa con le braccia sollevate, un ringhio nella gola e “Sono un dinosauro, papà! Guardami!”.

 

///

 

Liam chiuse il palmo attorno alla manina, piegò il braccio e lo tenne rigido mentre il bambino si sollevava da terra con delle risatine e le gambe che agitava nel vuoto, scalciando come se volesse andare ancora più in alto. Dopo aver speso un capitale in indumenti che mai suo figlio avrebbe indossato, radunati in borse chiuse nel bagagliaio e di cui ancora non aveva deciso che farsene, si erano spostati al museo di storia naturale. Max era rimasto così affascinato dal grosso scheletro del T-Rex da averlo richiesto come animale domestico, fortunatamente si era poi accontentato di un giocattolo in scala ridotta. Non smetteva di parlare e raccontare storie, più o meno verosimili, da quando erano usciti dal museo.

Lo fece saltare un’ultima volta alle sue insistenze, aiutato da Zayn che gli teneva la sinistra, e lo posizionò nel seggiolino una volta raggiunta l’automobile. Esteriormente non aveva un bell’aspetto ma gli interni erano come nuovi; un’ultima sistemata e poi sarebbe stata perfetta.

- Sai perché sono morti tutti quanti?- Scosse il capo per rispondere alla sua domanda, sicuramente il soggetto erano ancora i dinosauri. Si concentrò sull’incastro delle cinture, cercare di tenere le sue braccia nella posizione giusta, e si arrese al terzo tentativo di spostare le sue dita dalle ciocche. Poggiò la fronte contro le sue gambe con un sospiro arrendevole, indeciso se chiedere l’aiuto di Zayn già seduto alla guida e fischiettante. - Un bel giorno è caduto un sassolino sulla testa del t-rex e gli ha fatto un buchino nella testa. Quando è morto tutti gli altri sono morti per il dispiacere.-

Sollevò il viso per approfittare del termine della storia e legarlo, sbuffò quando Zayn lo caricò con il curioso “Non la conoscevo così la storia” e gli rivolse un’occhiataccia dallo specchietto, storcendo le labbra in una smorfia quando con una risata il bambino fece scontrare il dinosauro giocattolo con l’angolo degli occhiali.

- Perché gli altri dinosauri si divertivano a farsi inseguire da lui e quando è morto non avevano più nessuno con cui giocare.-

- Oh, no. Poveri dinosauri.-

Scosse il capo con un sospiro al tono sofferente usato da Zayn e approfittò del momento di distrazione di Max per finire di sistemare le cinture, osservando soddisfatto la conclusione di quel lavoro. Spostò i ricci dalla sua fronte e premette un bacio in quel punto, sorridendo a seguito della sua risata spensierata.

Fu dopo essersi rilassato nel sedile del passeggero e nell’andatura veloce della macchina che si rese conto del silenzio pacifico che era calato dopo un paio di minuti di parlantina tirata. Dallo specchietto retrovisore vide il figlio addormentato: il gioco che teneva stretto contro il petto, la bocca schiusa per far passare il respiro regolare, un leggero russare e il viso che ciondolava di tanto in tanto per colpa delle curve.

- Zayn, volevo solo dirti che...- S’interruppe, prese un respiro e strinse le mani tra loro  -… ti sono riconoscente per la giornata di oggi e per tutto il resto. Volevo ringraziarti. -

- Ringraziarmi per cosa? Per non essermi arreso su quale dei due progetti ambiziosi?-

Lasciò libera una risata leggera e spinse poi la nuca contro il poggiatesta con un sospiro e la confessione di aver bisogno di una giornata lontano dall’ufficio.

- Che succede?

Sollevò le spalle e rispose: - Non sto capendo nulla. Ti farò sapere quando avrò più informazioni.-

- Ricordati che basta una tua parola.- Scoppiò in una nuova risata ancora prima di sentire il già sentito seguito. - Una parola e ti porto via per sempre.-

Piegò il viso fino ad avere la guancia contro il poggiatesta e studiò il suo profilo; la mascella rilassata, le labbra curvate in fischi o intonazioni di canzoni lasciate incomplete e gli occhi che concentrava sulla strada, salvo poi spostare di tanto in tanto le iridi per far incrociare i loro sguardi.

- Tu ed io su un’isola deserta senza comunicazione col mondo esterno.- Sollevò gli occhi verso il tettuccio della macchina e sospirò, poi con un filo di voce aggiunse: - Certe volte vorrei avere il coraggio di accettare, Zayn.-

Liam non capì quanto tragitto passarono in quel silenzio, forse si stava persino per addormentare prima che Zayn lo svegliasse dicendo: - Ti assomiglia molto, sai? Ha i tuoi stessi occhioni e il tuo stesso nasino.-

Indirizzò di conseguenza lo sguardo alle proprie spalle per osservare il dormiente e curvò le labbra in un sorriso intenerito, salvo poi bloccarsi con una smorfia e con tono lapidario affermare: - Domani torna mia madre.-

Al verso di Zayn proseguì spiegando: - Non sa nulla di tutto questo. Non sospetta nulla. Mio padre vuole che sia io a parlargliene. Devo assumere le responsabilità dei miei errori o così dice.-

Continuò a scrutare il bambino addormentato, così innocente e tra le mani di persone orrende, e spostò l’attenzione su quello alla guida per sorridergli quando dichiarò: - Non sei solo, jaan. Sono sempre qui se hai bisogno di parlare.-

- Lo so, Zayn. È bello sapere di avere qualcuno di cui mi fido accanto.- Prese un respiro, allungò un braccio per cercare la sua mano e intrecciò le loro dita, sussurrando: - Ti prometto che ci prenderemo una lunga vacanza quando le cose si sistemeranno. Solo tu ed io.-

- E Max. Tuo figlio è un fenomeno.-

- Solo noi tre molto lontano da qui.-

- Direttamente su un’altra galassia, Liam.-

- Irrealizzabile.-

- Non rovinare i miei sogni, signor Payne! Io guido, io decido.-

La battuta finale provocò una risata immediata che svegliò il bambino, fortunatamente dopo aver borbottato qualche parola confusa si addormentò di nuovo.

 

///

 

- Così si accende una candela ogni sera?-

Era la mattina del quindici dicembre, la bufera di quella notte aveva innalzato la coltre di neve che già con la fine di novembre aveva rivestito il giardino della villa. Essendo imminente il rientro della madre dal viaggio di piacere alle isole tropicali Liam era stato quasi costretto a prendersi una giornata lontano dall’ufficio. Secondo il padre sarebbe stato saggio accoglierla con un grosso sorriso e la notizia della comparsa improvvisa di un nipote. A lui non pareva una della più grandi idee del padre ma non si era rifiutato, approfittando così di quelle ore per stare in compagnia del figlio. Avevano passato tutta la giornata precedente assieme e già gli effetti erano evidenti. Non pareva più trattenersi, al contrario non aveva smesso un secondo di parlare da quando si erano spostati dalla sala da pranzo al salotto per non disturbare i domestici con gli ultimi preparativi.

Stavano seduti sul tappeto persiano, la schiena di Liam contro il divano e le gambe aperte per permettere al figlio di stare nel mezzo. Stavano sfogliando un album pieno di fotografie che il bambino aveva tenuto nascosto fino a quel momento nella valigia che conteneva tutta la sua vita. Si fermava di rado a indicargli qualche scatto, raccontargli storie di peluche rotti che aveva dovuto buttare via e inserire di tanto in tanto brevi spiegazioni della festa durante cui sua mamma gli faceva accendere candele.

- Si chiama Hakunnah.-

Mosse il capo in un cenno serio quando il bambino si voltò per comprendere il motivo della risata e si lasciò toccacciare gli occhiali perché il danno era ormai fatto, le sue impronte stavano impresse sulle lenti. Posizionò un braccio in modo da impedirgli la caduta mentre si alzava in piedi e gli si arrampicava addosso, continuando a scrutare le fotografie che gli donavano un passato altrimenti perduto. Sfregò il pollice contro lo scatto che immortalava Leah e un fagottino di ricci, percependo una violenta scossa di nostalgia e rammarico.

Non riuscì a farsi travolgere quella volta dal vortice di negatività perché il peso del bambino sulla spalla l’aveva trascinato fuori prima ancora di precipitare. Piegò un braccio per ancorarlo in quella strana posizione che aveva assunto: per metà sul divano mentre l’altra metà stava sospesa nel vuoto, come i piattini di una bilancia in perfetto equilibrio sulla spalla. Rispose al suo richiamo, quel “papà” che stava entrando nel quotidiano, e scosse il capo con un sospiro arrendevole ai suoi svariati tentativi di toccare con le dita il tappeto. Piegò una gamba per fargli cambiare obiettivo di quell’impresa da folli e infatti dopo poco stava spingendo i pugni contro le ginocchia.

- Possiamo accenderle le candele?-

Inclinò il viso per cercare quello del figlio e permise in quel modo alle sue mani di stringersi alle guance, lasciando che gliele torturasse mentre lo osservava con le sopracciglia aggrottate.

- Vuoi festeggiare Hanukkah?-

Un cenno deciso e poi l’ammissione – “La mia mamma diceva che accendiamo le candele per ringraziare l’uomo che sta tra le stelle. Io gli avevo chiesto di farmi trovare il mio papà”.

Tenne una mano sempre pronta ad agguantarlo mentre scendeva dalle spalle e osservò la carezza che stava lasciando sulla fotografia, come si chinava per premere un bacio contro quel foglio freddo intriso di ricordi.

- Allora è deciso.- stabilì con fermezza e l’indice a picchiettare contro il suo nasino. - Da stasera accendiamo le candele e ringraziamo chi ci ha fatto incontrare. Poi salutiamo anche la tua mamma che sono certo ti starà ascoltando ed è fiera di te.-

Circondò con le braccia il suo corpicino quando gli si aggrappò al collo. I suoi ricci gli solleticavano il naso ma non lo fece allontanare, immerse il viso nella sua capigliatura indomabile e prese un respiro. Lo strinse più forte e chiuse gli occhi per assorbire tutto l’affetto chiuso in quel gesto e nel “Ti voglio bene, papà”.

Si separò da lui solo per cancellare i lacrimoni che gli bagnavano le guance, gli sorrise incoraggiante e sussurrò: - Sono felice di averti nella mia vita, Max.-

Poi il rumore dei tacchi a spillo risuonò dal corridoio, assieme a lamentele sull’allestimento natalizio. Asciugò le lacrime dal viso del figlio con il polsino della camicia e si alzò in piedi ancora prima che potesse apparire nella stanza la donna dalla voce acuta e i modi altezzosi. Indossava dei pantaloni rossi e una maglietta bianca che lasciava scoperto l’addome. Molto semplice ma ugualmente impeccabile. La carnagione olivastra per le ore di esposizione al sole e un fisico slanciato grazie agli sforzi cui sottoponeva il suo corpo con ritmi che tendevano al malsano. Lezioni di nuoto, interi pomeriggi in palestra e una dieta ferrea che provocava effetti devastanti all’assunzione di alcool.

- Buongiorno, madre.- la salutò con una cadenza monotona, non volendo alterare il suo umore instabile. Prese un respiro per trovare la forza di affrontare la situazione con Max che si nascondeva dietro le gambe. Lei si fermò sui suoi passi, le grosse lenti degli occhiali da sole impedivano di capire di che inclinazione fosse.

- Questo sarebbe l’imprevisto di cui parlavi?-

Lo ignorò così, rivolgendosi al marito che stava ritto e impassibile. Era quel che precedeva sempre uno scoppio di grida. Lei che chiedeva spiegazioni e lui che non parlava, non mostrava emozioni.

- Com’è stato il volo?- domandò Liam per togliere la sua attenzione dall’uomo che con la testa era da tutt’altra parte per dedicarle attenzioni. Sempre troppo impegnato a pensare alle sue amanti per notare l’arcuarsi del sopracciglio fine, l’incresparsi delle labbra rosse e il guizzo sotto la palpebra.

- Piacevole.- Mosse il capo in un cenno per mettere in moto tutti i feedback di cui aveva bisogno per non alterarsi e trattenne qualsiasi reazione non voluta che lei avrebbe in fretta captato con il suo sguardo acuto. Doveva sempre essere una statua davanti a lei. - Almeno finché non sono tornata a casa mia e ti ho trovato con… cos’è quello?-

Fece spostare Max da dietro di lui, posizionò le mani sulle sue spalle e prese un respiro, presentandolo con fermezza: - Lui è Maximilian. Mio figlio.-

- Tuo figlio?-

Solo la modulazione della sua voce mostrava quanto disgusto stesse provando, non c’era neppure bisogno di osservare la piega della sua bocca per capirlo. E dalla richiesta successiva fatta a conoscere il nome della madre si intuiva su cos’avesse focalizzato la sua attenzione. Non gli diede neppure il tempo di rispondere, portò due dita alla tempia e le sfregò con un esagerato sospiro di dissenso.

- Te l’avevo detto, Simon.- si rivolse lei al marito che si schiarì la voce, fingendo di essere sempre stato presente. - Non avremmo dovuto lasciargli troppe libertà.-

- Cheryl, cara...-

Non proseguì oltre al nervosismo chiuso nel verso della donna. Bastò quello e un movimento svogliato della sua mano per zittirlo.

- Vi siete accertati sia davvero un Payne?-

- Come...-

Solo un nuovo verso scocciato e un gesto della mano per zittire quell’uomo austero.

- Il test del DNA.- lo pronunciò con una tale irritazione nella voce da far capire a Liam non fosse del tutto lucida. Non si sfilò gli occhiali ma sapeva servivano a nascondere venature rossastre. Così infatti cambiò il suo umore, con una risata e un sarcastico: - Possibile che devo spiegarvi sempre tutto io? A nascondere puttane e smascherare meticci alla ricerca di fama.-

- Ho detto...- prese un respiro per togliersi il sapore amaro della bile, spostò le dita dalla spalla del bambino che lo osservava alla folta chioma di ricci e continuò: - … che lui è Maximilian Payne. Mio figlio.-

Calò subito il silenzio a quella netta opposizione alla figura materna, la matrona che gestiva ogni dettaglio in quella villa. Se fosse stata sobria forse avrebbe avuto prontezza nella reazione e nella risposta. Lasciò passare invece minuti di silenzio, poi agitò una mano e il ticchettio delle scarpe riprese. Un’imprecazione per il marito che aveva cercato di sostenerla quando si era sbilanciata sui tacchi e un commento per il figlio e la sua ingenuità.

- Credevo di averti cresciuto nel modo corretto, sempre la solita delusione. Un marito che va a puttane e un figlio ingenuo. Lasciatemi riposare ora. Tutta questa situazione mi ha provocato l’emicrania.-

Sostenne lo sguardo del padre, la scossa del suo capo e assottigliò gli occhi al rimprovero – “Non vedi come la riduci ogni volta? Spero tu sia soddisfatto”.

L’aveva poi seguita come un cagnolino, così sottomesso a lei e pronto a dimenticarla tra le braccia della segretaria. Non riusciva a capirlo perché stessero ancora assieme. Forse per soldi o mantenere le apparenze di una coppia felice e di successo.

Avvolse le braccia attorno al bambino e si piegò sulle gambe per stringerlo meglio contro di lui quando si voltò per premere il viso contro l’addome. Non avrebbe permesso a nessuno dei due di fargli del male.

 

///

 

Zayn aveva puntato la sveglia alle sette quella mattina. Avrebbe dovuto accompagnare la signora Payne in una giornata di intense spese. Era sempre così quando rientrava da quelle vacanze. Lei sosteneva fosse un modo per eliminare lo stress, lui ipotizzava fosse per innervosire il marito fin dal rientro e stare fissa nei suoi pensieri. Conoscevano tutti le relazioni extraconiugali di Simon Payne e i capricci della moglie parevano essere tentativi di ricevere attenzioni, anche se solo critiche per le spese inutili. Sospettava fosse persino un modo per far impazzire lui. Gli forniva gli indirizzi uno per volta, non volendo dar una mappa completa delle varie tappe, e capitava spesso passassero tre volte dalla stessa strada. Poi non voleva che alzasse il finestrino divisorio, diceva che la sua faccia di prima mattina era una carica di energia. Per non parlare poi delle volte in cui voleva a ogni costo scherzasse con lei. Lui fissava testardamente la strada oltre il parabrezza, nemmeno una sbirciata al finestrino retrovisore, lei sbuffava e con una risata commentava sui buoni gusti del figlio – “Almeno questo l’ha imparato. Devono essere belli, silenziosi e ubbidienti”. Non capiva come potesse avere una resistenza tanto alta, forse per il timore che una reazione avrebbe provocato un licenziamento e allontanamento da Liam. E c’erano poi i momenti in cui la odiava. Erano rare giornate in cui rivangava nel passato e lo faceva con l’intenzione chiara di offendere il figlio. In quei momenti gli pareva impossibile da due persone tanto cattive fosse nata una persona tanto buona.

Spense quindi la sveglia alle sette della mattina con già il sentore di una pessima giornata davanti. Si fece una doccia e indossò la divisa con gesti meccanici, gli occhi fermi sulla cornice alla parete in cui stava chiuso lo scatto di due bambini felici. Certe volte si convinceva di essere tornato solo per lui. Niente aiuto alla famiglia o nostalgia di Toronto, solo la voglia di stare accanto al suo amico e portarlo via. Ricordava bene il giorno del rientro dal Pakistan. Aveva atteso che Liam tornasse a casa dall’ufficio, l’aveva bloccato per un polso prima che potesse entrare in villa e l’aveva trascinato al riparo nel garage per evitare che qualcuno li notasse. Aveva visto una lucentezza nei suoi occhi e poi subito un muro ergersi tra loro. Qualcosa che non c’era mai stato, come il suo passo indietro e la scossa del suo capo, la risata. Una risata così fredda. Aveva ignorato la sensazione di cambiamento che li aveva circondati e aveva ripetuto le promesse fatte a fuggire via. Liam aveva solo riso di nuovo e gli aveva dato le spalle. Ricordava il pugno nel petto al semplice “Non possiamo più essere amici”. Aveva desiderato riprendere l’aereo quella notte stessa, si era convinto a fermarsi ancora e convincerlo. Non poteva aver dimenticato quelle promesse, non poteva essersi distrutto tutto tra loro in modo irreparabile. Dopo quattro anni aveva accantonato la speranza di fuggire lontano con lui. Non lo abbandonava però, gli aveva promesso di stargli accanto sempre.

Lasciò la propria stanza con l’animo pesante per i ricordi e si bloccò sull’ultimo gradino della scalinata. Dalla cucina, una zona dedicata al personale, proveniva la risata di Max, la riconosceva perché aveva un suono nasale, e poi la madre che continuava un discorso che stava facendo ridere tutti gli altri domestici – “Insieme a mio figlio, ovviamente. Dovevi vederli. Due pestiferi”.

Varcando la soglia si aspettava quindi di vedere il bambino tutto ricci, lo colse impreparato trovarlo seduto sulle gambe di un Liam che fingeva di esserne esasperato e sorseggiava il suo caffè. Si riprese in fretta dallo stupore perché Max l’aveva notato subito e gesticolava per mostrargli il posto al tavolo che aveva tenuto libero per lui.

Un picco del genere per una disastrosa giornata sembrava il giusto premio. Riempirsi del sorriso di Liam e dei racconti di Max sulla giornata al museo l’avrebbero aiutato ad affrontare la vipera che si nascondeva sotto eleganti vestiti e trucco.

- Abbiamo ospiti oggi?- domandò una volta preso posto sulla sedia e sorrise al piatto di pancakes che la madre gli metteva di fronte quando il bambino lo salutò con un bacio sulla guancia. Cercò di accantonare il turbine di emozioni che lo prendeva mentre gli si accomodava sulle gambe per versare troppo sciroppo d’acero. Era solo una giornata come le altre. Doveva ignorare le occhiate curiose, gli schiarimenti della gola e il braccio di Liam che andava a posarsi sullo schienale della sedia. Una giornata come le altre.

Mosse il capo in un cenno alle spiegazioni che Liam gli stava fornendo. Capì solo la descrizione dei genitori: antipatici, noiosi e cattivi. Poi percepì il suo corpo spostarsi sulla sedia, il suo ginocchio premere contro la coscia e il sussurro “Mi accompagni tu oggi?”. Era una domanda legittima, vista la divisa che indossava così presto, e posta con un tono di voce calmo. Richiedeva solo un’informazione. La testa però aveva già collegato quella situazione, il bambino sulle gambe e quel maledetto braccio dietro le spalle, a una quotidianità che non apparteneva certo a loro. Arrossì, senza motivo per tutti quelli seduti al tavolo. E tossì quando il caffè gli andò di traverso.

- Io… ecco… veramente io...-

- Puoi accompagnarlo, beta. Mi occuperò io della signora Cheryl.-

Chinò il viso per nascondere un poco il rossore al padre che gli stava seduto di fronte. Lo coprì con le mani quando ai mormorii di Liam sul non voler creare scompigli seguì l’affermazione divertita del padre – “Liam, la sua compagnia è più piacevole. Sono certo mio figlio sostenga lo stesso”.

Spostò il bambino a terra per alzarsi dalla sedia e domandò a Liam se avesse finito la colazione, gesticolando per interrompere la risposta dove spiegava di aver atteso lui e di poter aspettare che terminasse il caffè e i pancakes. Riuscì a evitare la scenata di trascinarselo dietro perché doveva aver intuito il disagio e la frustrazione alle risate sommesse dei domestici. Tradito dai suoi stessi genitori, una tragedia.

- Fermi dove siete!-

Avrebbe dovuto svegliarsi alle sette della mattina, accompagnare la signora Payne durante la giornata di shopping natalizio e sorbirsi le battutine sui gusti del figlio. Invece stava con suddetto figlio, bloccato con un piede fuori dalla porta e il vischio che dondolava sopra le loro teste. Una giornata come le altre, certo.

Abbassò le palpebre e sospirò pesantemente. Liam doveva aver preso quella reazione come una risposta all’invito di Sasha a rispettare le tradizioni. Aveva infatti posato con cautela una mano sulla spalla e si era sporto per baciargli una guancia e sussurrare “Non siamo costretti a farlo”. Un gesto che aveva ottenuto lamentele da parte del personale che avrebbe dovuto essere dalla sua parte e la risata nasale di Max che mostrava loro come fare dando baci al t-rex.

- C’è gente qui che sta lavorando. Buona giornata.-

Li aveva zittiti, era certo di esserci riuscito. Aveva due piedi fuori dalla porta. La quercia, il giardino e la macchina davanti a lui. Meno di un minuto a piedi e avrebbe potuto dimenticare quell’inizio assurdo di giornata. Si bloccò per colpa di una mano attorno al polso, la stessa che si spostava contro la nuca e poi il contatto con una bocca morbida. Durò poco, come stabilito dalla tradizione, solo un bacio fugace sotto il vischio. Non doveva avere un significato oltre a quello. Eppure Liam per un attimo gli aveva sorriso, una piega in cui stavano riflessi tanti segreti e affetto.

- Buona giornata a tutti. Ti ringrazio per avermi ospitato nella tua cucina, Patricia. Questa sera ci vediamo per accendere le candele, Max. Te lo prometto.-

Non sapeva di cosa stesse parlando Liam, però la sua voce era più leggera e allegra di quanto l’avesse mai sentita.

 

///

 

Non l’aveva fatto di proposito. O almeno, gli era parso ogni avvenimento di quella giornata fosse incentrato su quel momento in particolare. La conversazione con la segretaria per le novità di quel misterioso conto aperto a nome di Simon Payne, l’incontro con il padre in ufficio e i suoi discorsi criptici. Tutto sembrava portare al ritardo di quella sera. Si era fermato in ufficio e aveva saltato la cena per capire la situazione economica dell’impresa di famiglia, da dove venissero presi i soldi spostati sul conto del padre e perché lo stesse facendo. L’ultima domanda era quella che si era posto da quando l’aveva scoperto e a cui la segretaria rispondeva con una stretta delle spalle, una smorfia dispiaciuta e l’ipotesi assurda che suo padre fosse in una brutta situazione. Yaser, non Zayn, lo stava aspettando fuori dall’insieme dei grossi edifici neri. Non era sceso dall’automobile per aprirgli, faceva freddo e nevicava quindi era comprensibile. Aveva un’espressione dura in viso e Liam non capiva se fosse dovuta all’averlo fatto aspettare mezz’ora in più, se anche lui fosse a conoscenza della rottura della promessa fatta a Max o se non avesse accettato il bacio con Zayn di quella mattina. Erano stati loro a insistere e sì, forse stavano solo prendendo in giro Zayn già di per sé nervoso. Lo facevano spesso, lo sapeva. Era tradizione darsi un bacio sotto il vischio, però. Non aveva fatto nulla di male.

Cercò di non badare al viaggio silenzioso, dopotutto era impegnato a riflettere sulle novità di quel conto e di quel che aveva scoperto con la segretaria. Se quel che avevano ipotizzato era vero suo padre aveva aperto quel conto più di cinque anni prima della nascita del suo erede, aveva accumulato piano piano un gruzzoletto e quando aveva fatto la sua comparsa il nipote aveva spostato una somma che non poteva passare inosservata. Per quale motivo l’avesse aperto ancora non lo capiva. E perché la madre ne fosse coinvolta. Lei che in quei viaggi di piacere non incontrava solo uomini con cui avere avventure ma depositava soldi forse non molto puliti sul conto intestato al marito.

Si accorse della mancanza del saluto una volta arrivati alla villa e fuori dalla vettura. Yaser non portava mai rancore ed era certo non avesse mai mancato di rispetto in quel modo neppure a suo padre, il ché era già dire molto. Non aveva fatto nulla per meritare un simile trattamento ma decise di lasciar correre per quella volta. Lui non era come il padre, non avrebbe punito il personale solo per delle giornate storte. Forse anche per quel motivo l’autista di famiglia si era permesso di assumere quel comportamento.

Si fermò con un piede nella stanza del figlio quando notò una sagoma più grande nel letto con lui e avvicinandosi riconobbe con sollievo i tatuaggi che riempivano d’inchiostro il braccio esposto alla luce dell’abat-jour, una piccola lampada con il paralume di Spiderman. Non capiva perché si trovasse nella stanza del figlio e non in quella di Zayn, suo vero proprietario. Era la stessa che stava accesa sotto il piumone mentre leggevano di nascosto fumetti nelle notti di molti anni prima. Zayn era legato a quella lampada, così come al giocattolo di Hulk che stava sul comodino con le braccia sollevate. Non si guardò attorno troppo perché non sapeva come avrebbe reagito a trovare nuovi oggetti preziosi della collezione di Zayn nella camera di Max.

Cos’erano? Un modo come un altro per rappresentare il legame che stava crescendo tra loro per colpa della sua assenza? O poteva rischiare di lasciarsi travolgere dal desiderio che potesse indicare altro?

Una famiglia con Zayn? Suo padre non avrebbe mai accettato. Ancora non riconosceva le due cose separatamente: la relazione con Zayn e il figlio Max. Unire i due elementi sarebbe stato inconcepibile per lui. Non avrebbe accettato e non l’avrebbe permesso.

Forse l’unica soluzione era davvero fuggire via, come avevano concordato da ragazzini e come Zayn gli aveva ripetuto essere pronto a fare in qualsiasi momento. Non era pronto a lasciare l’impresa di famiglia, si era affezionato alle persone che lavoravano per lui e si sentiva un poco responsabile del loro destino. Lasciarli alla mercé del padre senza fare da intermediario? Zayn doveva capire che non riusciva a essere egoista fino a quel punto, anche se aveva desiderato accettare la proposta di fuga dal primo giorno del suo ritorno.

Si concesse quel momento in solitudine e lontano dalla severità del genitore, dagli obblighi familiari, per guardare la realizzazione di quel nuovo desiderio. Le due persone più importanti della sua vita che si tenevano strette aspettando il suo ritorno da una giornata di lavoro. Il braccio scoperto di Zayn stava fermo attorno alle spalle di Max, le dita incastrate tra i ricci e la bocca contro la sua fronte. Sembrava bloccato in un istante di coccole prima che il sonno li cogliesse.

Bastò sfiorare con le dita la testa del serpente inchiostrato sulla spalla del maggiore per svegliarlo. Liam indietreggiò di un passo e strinse le mani dietro la schiena, come se fosse stato lui a essere colto in un momento privato. Zayn stava dormendo con suo figlio, lui volendo storpiare gli eventi aveva solo cercato di svegliarlo.

Notò subito il passaggio dal dormiveglia alla totale ripresa dei sensi quando le labbra di Zayn persero il sorriso disinvolto. Non riuscì nemmeno a chiedergli il motivo di quell’improvvisa freddezza perché Zayn spezzò il contatto tra i loro sguardi. Si alzò in un istante dal letto, recuperò la camicia da terra e infilò le maniche con gesti decisi. Liam aprì a quel punto la bocca per chiedergli spiegazioni e rilasciò un verso sorpreso quando le dita callose si strinsero attorno al polso e lo strattone lo costrinse a seguirlo fuori dalla stanza.

- Che ci fai qui, Liam.-

- Io?- domandò con un tono confuso, le sopracciglia aggrottate mentre studiava la linea tesa assunta dalle labbra di Zayn. Quella era una richiesta assurda. Non riusciva a comprenderne il senso. O il troppo lavoro l’aveva catapultato in una crisi di nervi e universo alternativo o davvero Zayn gli stava chiedendo che ci facesse lui in camera di suo figlio e nella zona riservata ai padroni della villa. Non voleva assumere lo stesso atteggiamento del padre ma l’unico a dover dare spiegazioni tra loro era Zayn. Non solo stava nella zona vietata a uno del personale addetto alla meccanica ma stava pure dormendo con Max che apparteneva a tutt’altra classe sociale. Se li avessero scoperti i signori Payne sarebbe stato un guaio.

- Mi hai capito. Per quale motivo sei arrivato ora.-

- Zayn, per favore.- mormorò con le dita che sfregavano contro le rughe scavate nella fronte, cercò di farlo spostare con una mano contro la spalla ma lui si teneva saldo di fronte alla porta, socchiusa per non disturbare il bambino. - Sto vivendo una situazione complicata tra quello che succede a casa e in ufficio. Mi manca solo sentire tue critiche perché...-

S’interruppe quando Zayn spinse l’indice contro lo sterno, indietreggiò confuso e si sentì in colpa solo con il suo sguardo. Gli parve quasi stesse prendendo la mira prima di scoccare la freccia – “Ho dovuto consolare tuo figlio perché come padre gli hai promesso qualcosa che non voleva confessarmi”.

- Zayn...-

- No, ascoltami.- Mosse il capo in un movimento breve dall’alto verso il basso e incrociò le braccia al petto per difendersi quando vide la schiera di argomentazioni mettersi in fila con il suo respiro profondo. - Io lo faccio con piacere. Adoro tuo figlio. Non è un peso stare con lui. Però devi capirla che sei importante, sei fondamentale per lui. Sei l’unica famiglia che gli è rimasta. Io non posso difenderti così. Non posso farlo quando è evidente che stai sbagliando.-

Sciolse la stretta attorno allo stomaco con un sospiro e allargò le braccia, mormorando: - Non voglio difendermi, so di aver sbagliato a rompere la promessa senza avvisare del ritardo.-

Passò un palmo sul viso e poi scrollò le spalle, come se volesse scacciare il contatto che il braccio sollevato di Zayn prometteva.

- Non hai idea di quanto sia stato strano e anche spaventoso scoprire di avere un figlio. Non so nemmeno cosa sia un padre. Come posso esserlo per lui?- domandò infine dopo essersi bloccato più volte nel discorso, rivolse gli occhi verso il punto più lontano del corridoio in cui stavano e scosse il capo al richiamo di Zayn. Sollevò le spalle con il profondo respiro di cui si riempì i polmoni e continuò il discorso dicendo: - Sta succedendo qualcosa di strano in ufficio e sto cercando di capire cosa sta nascondendo mio padre. Perché mia madre sia d’accordo con lui e stia spostando soldi a suo nome in un conto aperto in uno dei così detti paradisi fiscali. Perché sta portando via soldi alla nostra impresa? E perché non mi dice nulla? Non credevo potesse arrivare fino a questo punto, Zayn. E in tutto questo ho deciso io di mettere da parte la promessa fatta a Max. Non l’ho dimenticata, non era una priorità.-

Abbassò gli occhi sulle punte delle scarpe lucide per non essere costretto a incrociare lo sguardo di Zayn, sicuro fosse chiaro il giudizio che si mostrava già nel sospiro pesante e nel tono che aveva usato per chiamarlo.

- Io voglio bene a mio figlio, Zayn. Solo che questo problema in ufficio è molto più importante delle candele che possiamo accendere un altro giorno. Non so quanto tempo ho a disposizione prima che mi esploda tutto in mano. Devo capire cosa sta succedendo per evitare il disastro. Non posso parlarne con mio padre, non posso rivolgermi alle autorità. Devo capirlo da solo. E ho rotto la promessa fatta a Max ma posso rimediare quando questa storia sarà conclusa.-

- Non devi giustificarti con me, Liam. Neppure con Max. Gli ho spiegato che il lavoro tiene molto impegnato il suo papà.- Seguì lo sguardo di Zayn quando le sue labbra curvarono in un sorriso dolce e dalla porta socchiusa notò la chioma di ricci occupare per metà la superficie del cuscino. Riportò gli occhi su di lui quando la sua mano si posò sulla spalla e inarcò un sopracciglio al sussurro: - Cerca di non farlo accadere ancora. So che è difficile ma puoi metterti con facilità nei suoi panni. Sai cosa può provare a vederti sempre impegnato lontano da lui. Fai in modo che non si solidifichi l’idea che il lavoro è più importante di lui. Non posso prendere sempre le tue difese, Liam. Ha bisogno di vedere che non viene messo in secondo piano ogni volta. Tengo sia a te che a Max, lo sai.-

- Lo so, Zayn. Lo so.- sistemò gli occhiali sul naso, cercò i suoi occhi e bisbigliò: - Grazie per tutto quello che stai facendo per noi.-

Decise di osare un po’ di fronte al sorriso del coetaneo e nascondendo la verità in un tono scherzoso confessò: - Saresti un ottimo padre.-

Curvò gli angoli delle labbra in un sorriso fiero alla risata spensierata di Zayn, non si spostò quando il suo pugno si scontrò con la spalla e percepì il solito calore focalizzarsi sulle guance quando gli sfiorò il viso con delicatezza. Abbassò le palpebre con un sospiro al contatto delle sue labbra contro la fronte e si schiarì la voce dopo aver sentito chiara la sua affermazione – “Tu sei un ottimo padre, jaan”.

- Non stressarti troppo a lavoro e cerca di riposare, Liam.-

Un bacio contro l’angolo delle labbra e una carezza sulla guancia.

- Ci proverò!- esclamò quando vide Zayn già lontano nel corridoio. Si era distratto e perso un attimo in quel semi bacio ma non voleva fargli credere non ricambiasse il suo affetto. Ridacchiò appena quando Zayn sollevò due dita per salutarlo e prima che potesse allontanarsi troppo aggiunse: - Cerca di riposare anche tu! Le tue occhiaie fanno paura.-

Trattenne la risata quando nell’idiota che Zayn gli aveva rivolto si poteva sentire il broncio, lo stesso che stava mostrando ora che si era voltato verso di lui. Non voleva svegliare Max ma Zayn era sempre buffo quando fingeva di prendersela per simili sciocchezze e passare per il vanitoso.

- Non importa. Ti piaccio lo stesso.-

Mosse una mano a mezz’aria, per scacciare lui o la frecciatina.  Allargò le braccia con un sospiro teatrale e ribatté: - Mi piaci sempre, Zayn. Lo sai.-

 

///

 

- Cos’è il test del diennay?-

Un’altra mattinata atipica con il tornado Max nella cucina non poteva che anticipare un nuovo disastro. Zayn avrebbe dovuto intuirlo fin dal sorriso estasiato che Liam gli aveva rivolto che le cose erano sul punto di precipitare. Più il loro rapporto si stabilizzava, più il freddo imprenditore lasciava posto al vecchio amico d’infanzia e più era imminente il disastro. Evidentemente era stata introdotta una nuova legge nell’universo mentre stava in Pakistan a studiare le stelle e la fisica. Liam non poteva perdere l’impassibilità da burocrate senza che qualcun altro pagasse. Era solo il secondo giorno ma iniziava a crederci per davvero a quella teoria. Quel che lo rattristava maggiormente era che a rimetterci sembrava essere sempre quel bambino innocente.

- Il DNA?-

Zayn spostò gli occhi dalla tazza di caffè fumante a Liam che stava con la sedia rivolta nella direzione del figlio e gli dedicava tutte le attenzioni. Peccato che quello era proprio l’unico caso in cui avrebbe dovuto evitarlo.

Era calato uno strano silenzio nella cucina, tutti sembravano essere affaccendati nelle loro cose ma le orecchie erano pronte a captare il discorso tra i due. Zayn li conosceva bene tutti. Non erano cattivi, solo un po’ troppo pettegoli in certe occasioni. Dal canto suo si posizionò meglio con la schiena contro il frigorifero e mantenne ostinato gli occhi fermi in quelli di Liam che sembrava chiedere supporto. Prese un sorso della bevanda calda quando Liam spezzò il legame con un sospiro per pronunciare con chiarezza: - L’hai sentito dire dai nonni? Non devi ascoltare quel che dicono, d’accordo?-

- A cosa serve?-

Se qualcuno ancora aveva dubbi sul suo essere un Payne quella domanda li avrebbe fatti ricredere. Era ostinato quanto tutti loro.

- Solo per essere sicuri tu sia davvero mio figlio.- Zayn si trattenne dal commentare con un verso la scelta di Liam di trattare un bambino come un adulto. Avrebbe dovuto a quel punto inventarsi qualche bugia e invece gli dava risposte chiare, da grande. - Io sono sicuro, non ho bisogno di vederlo scritto su un foglio.-

- Possiamo averlo lo stesso quel foglio?-

Avrebbe voluto ribattere alla smorfia di Liam che se l’era proprio cercata quella domanda ma decise di non intromettersi nella discussione padre e figlio. Forse era quello di cui avevano bisogno quei due. Si costrinse a bere con due sorsi la bevanda calda all’insistenza del bambino – “Per essere sicuri tu sia davvero il mio papà”.

- Vuoi farlo per quello?-

Liam era un idiota. Sul serio. Non aveva più dubbi. Quel bambino si stava mostrando con tutta la sua insicurezza e invece di confortarlo come la sua età richiedeva lui lo trattava da adulto. Avrebbe dovuto parlargliene perché non pensava fosse tanto impacciato in quel campo. L’aveva già visto consolare il figlio, non era una situazione tanto diversa da quella. Sarebbe bastato un abbraccio, una parola dolce… e invece insisteva con quella storia del test.

E si notava quanto il bambino fosse provato da tutto quello. Fingeva di essere più grande, disinteressato del risultato e poi nascondeva la verità in poche frasi – “Così poi loro non sono obbligati a nascondermi perché sono davvero tuo figlio e non un impostore”.

- Non dovresti ascoltare quel che dicono i grandi.-

Se solo fosse stato più vicino a Liam avrebbe osato pure con un calcio negli stinchi. Invece doveva limitarsi a bere caffè e controllare la situazione a due o tre metri di distanza. Spinse la nuca contro il frigorifero, pronunciando con Max il verso scocciato, e scosse il capo quando Liam lo fissò con confusione. Non sapeva se essere più spaventato dalla coordinazione con Max, la prontezza di Liam di cercarlo con gli occhi o come suonasse adulto quel bambino mentre ragionava dicendo: - Se non possiamo dire a nessuno che sono tuo figlio finché non siamo sicuri, allora quando vedono che sono davvero tuo figlio possiamo dire alle persone che sei il mio papà?-

- Possiamo dire a chi vuoi che sono il tuo papà.-

Mosse il capo in un cenno breve per mostrare a Liam che condivideva la scelta delle parole; almeno per quella volta aveva scelto con saggezza. Poi però Max s’impuntava e chiedeva: - Anche alle persone con cui lavori?-

Il capostipite della famiglia Payne non avrebbe mai permesso a quel bambino di immischiarsi nei suoi affari e Liam non avrebbe potuto promettere che…

- Per quello ci vuole più delicatezza ma ti prometto che lo diremo a tutti quanti.-

- Prometti?-

Zayn fissava le dita di Liam che si segnavano una croce sul cuore e pensava a come aveva potuto innamorarsi di un tale idiota. Non sarebbe riuscito a mantenerla e lui non sapeva dove andare a parare per difenderlo eventualmente una volta venuta a galla quella verità.

Si mantenne comunque impassibile mentre accompagnava Liam alla macchina, poi bastò un’occhiata allo specchietto e sbuffò, ottenendo l’attenzione di quello accomodato nel sedile dietro quello del passeggero. Certe volte sospettava fosse il posto prescelto perché era in grado di osservarlo meglio senza essere notato; non ne aveva mai avuto la conferma.

- Non credo questa sia una delle tue grandi idee.- spiegò quando incrociò il suo sguardo nello specchietto, scosse il capo e borbottò: - Se dovesse risultare che non è tuo figlio? Ci hai pensato? Sai che è un’eventualità?-

S’infuriò quando Liam pensò solo a pulire le lenti degli occhiali, strinse le dita attorno al volante e ribadì: - Sei l’unica certezza che gli è rimasta. Sua madre è morta, Liam. Non ha ancora cinque anni, avresti dovuto opporti. Continui a fargli promesse che sai non manterrai. Non è un giocattolo, ha dei sentimenti. Lo sai questo? O non ricordi com’era essere un bambino? Certe volte mi sembra di averti perso davvero e di avere davanti solo il prodotto che desiderava tuo padre.-

- Cosa dovrei fare, Zayn?- Tenne testardo gli occhi sulla strada mentre percepiva quelli di Liam cercarlo e si chiuse nel silenzio mentre lo sentiva parlare con la calma sporcata dal tremolio della voce. - Dovevo lasciarlo con il dubbio che potrei non essere il suo vero padre? Ormai sa che potrebbe essere un’eventualità, non è stupido. Faremo quel test e qualsiasi risultato darà, Zayn, lui è mio figlio. Mi rivolgerò a qualcuno di fiducia nell’eventualità di manomettere il test. L’ho riconosciuto come mio figlio, non cambierò idea.-

Lo osservò dallo specchietto mentre era distratto a sfregare le dita contro le palpebre e incrociò un istante il suo sguardo quando si sistemò gli occhiali sul naso.

- Farai ancora tardi in ufficio?-

Lo sbuffo di Liam arrivò chiaro alle orecchie sopra il ticchettio della freccia di posizione, così come la lamentela intrisa nella sua voce mentre spiegava: - Sai com’è la situazione. Non criticarmi.-

- Non ti critico.- ribatté con un tono duro, dovuto al nervosismo che sembrava destinato a crescere. Prese un respiro ma non servì a placare la disapprovazione per le sue scelte mentre diceva: - Ricorda che hai promesso ancora a tuo figlio di accendere quelle candele a parer tuo stupide. Quelle che hanno un significato tanto importante per lui. Ieri sera si è addormentato dopo ore di silenzio, Liam.-

- Ti ha morso una tarantola mentre dormivi? Oggi sei insopportabile. E se stai cercando di farmi sentire in colpa ci sei riuscito, contento?-

Non gli diede alcun tipo di risposta. Spinse l’indice contro il tasto nero e sentì la sua lamentela sovrapporsi al rumore del divisorio che si sollevava, separandoli come era giusto che fosse.

 

 

///

 

Liam non lo capiva per quale motivo si stesse ostinando a non chiarire con Zayn. Aveva passato una settimana sommerso nel lavoro in ufficio, impegnarsi nella ricerca di nuove informazioni su quel misterioso conto e poi di corsa a casa per accendere le candele, come aveva promesso a Max. E un secondo per parlare con Zayn non l’aveva, o meglio non voleva proprio trovarlo. Non si stavano neppure evitando perché era Zayn ad accompagnarlo in ufficio ogni mattina e andare a prenderlo la sera. Gli augurava una buona giornata e un sereno riposo. Non stavano parlando solo della discussione avuta sul test del DNA e le promesse infrante. Nessuno dei due voleva farlo, era chiaro in quel divisore sempre sollevato cui Liam si stava abituando. Non era stata una vera e propria discussione quella che avevano avuto ma era per colpa delle idee contrastanti se non stavano più parlando, o almeno così stava ipotizzando Liam.

Aveva provato nostalgia ad aprire la chat con Zayn e trovare il video che gli aveva inviato più di un mese prima. Si era tenuto coinciso a spiegargli che avrebbe fatto molto tardi in ufficio e di non preoccuparsi perché avrebbe chiamato un taxi. Non voleva soffermarsi su quel che erano stati in quelle settimane. La situazione era già complessa senza che si mettesse a fantasticare sulla famiglia che avevano creato assieme. Tra la questione del padre cui la segretaria era certa stesse arrivando alla soluzione e la risposta del test che avevano fatto lui e Max, mancava solo precipitasse il suo rapporto con Zayn. Non era suo diritto criticare certe scelte.

- Sicuro di non volere nulla? Posso andare al cinese qui all’angolo.-

Agitò una mano per interrompere la parlantina della segretaria e allungò le gambe sotto il tavolino su cui stavano impilati vecchi fascicoli con annotate uscite ed entrate dell’impresa Payne. Si stiracchiò con le braccia sollevate verso l’alto e spinse le spalle contro il divanetto che creava un piccolo salottino all’interno dell’ufficio.

- Non ho fame quando sono stressato. Grazie lo stesso, Perrie.-

Rivolse alla giovane un sorriso riconoscente e prese dalla pila un fascicolo, tenendolo aperto sulle cosce e sfogliando le varie carte contenute all’interno. Allentò il nodo alla cravatta e passò le dita tra le ciocche in un tic nervoso, ignorando la risata di quella che aveva ripreso a raccontare delle preoccupazioni legate alla cena di natale con i parenti della sua fidanzata. Si stava creando quasi un’amicizia tra loro per via di tutte le ore extra che stavano passando in ufficio a consultare vecchi documenti. Era più lei a parlare, lui interveniva di rado con brevi commenti che parevano bastare alla giovane che riempiva quei momenti di chiacchiere.

Deviò l’attenzione da tutti quei numeri al lieve bussare alla porta di vetro e si trovò in poco tempo con il figlio tra le braccia, continuando a fissare confuso Zayn che stava fermo sulla soglia con l’impugnatura di plastica delle borse incastrate tra le dita.

- Volevamo farti una sorpresa, papà.-

Premette un bacio sul capo riccioluto del bambino sorridente e inarcò un sopracciglio al verso scocciato di Zayn. Cercare di capire cosa passasse dalla sua testa diventava sempre più complesso in quelle settimane.

- Non volevamo disturbare.- Vide i suoi occhi guizzare un istante sulla giovane sedutagli accanto sulla moquette, tutta presa a presentarsi al bambino come un’amica di papà, e si arrese quando sulle sue labbra comparve una smorfia di disgusto e l’attimo dopo un tiratissimo sorriso gentile. - Credevamo fossi solo e affamato in ufficio. Avevamo portato la cena ma immagino ora voi siate impegnati.-

- In effetti sì, siamo pieni di doc--…- Venne bloccato dalla gomitata di Perrie e la fissò confuso quando lei allungò le braccia verso le borse che Zayn aveva posato nello spazio libero sul tavolino. Li presentò brevemente con solo i loro nomi e decise di ignorarli perché se Perrie era tanto affamata e Zayn tanto arrabbiato con lui, non avrebbe dovuto pagarne le conseguenze il bambino che stava elencando tutto quel che aveva fatto in quella giornata.

- Grazie, Zen. Sei un miracolo. Il capo voleva tenermi a digiuno.-

Roteò gli occhi con uno sbuffo alle accuse fasulle di Perrie e si lasciò toccare le lenti degli occhiali dalle dita del figlio perché era rimasto sconvolto dalla durezza con cui il suo amico d’infanzia pronunciava: - Non è Zen, è Zayn.-

Spinse la fronte contro la spalla di Max quando sembrò trovare opportuno chiedergli se potesse invece lui chiamarlo in quel modo. Non avrebbe dovuto stupirsi del modo gentile che aveva usato per rivolgersi al bambino. Si sorprese però del carattere scorbutico che stava mostrando anche davanti a un’estranea mentre diceva: - Ora è meglio se torniamo a casa, Max. Tuo padre è impegnato e non ha tempo per noi.-

Perché fosse diventato il bersaglio contro cui scoccava i suoi dardi velenosi non riusciva a capirlo. Evitò di rispondere per le rime solo perché era seriamente impegnato con tutte quelle carte. Si lasciò baciare una guancia dal figlio che si affrettò poi a stringere la mano che Zayn gli porgeva e cercò di chiedergli con la sola espressione del viso che gli prendesse quella sera. Era arrabbiato perché gli aveva fatto fare un viaggio inutile? Parve capire in quel momento di aver esagerato perché le sue guance assunsero più colore e il suo viso s’inclinò come era solito fare nei momenti d’imbarazzo.

- Non addormentarti subito, Max.- decise di rivolgersi al figlio che annuiva tenendo una mano stretta a quella di Zayn e il t-rex per un braccio in quella opposta. - Prometto di tornare a casa in orario per darti la buonanotte e raccontarti una storia.-

- Zayn.- lo chiamò quando ormai erano sul punto di dar loro le spalle e uscire dall’ufficio. Prese un respiro e curvò le labbra in un sorriso cauto, sussurrando: - Grazie per tutto. Cerco di tornare a casa presto oggi.-

Il silenzio nell’ufficio durò quasi dieci minuti quando restarono soli lui e Perrie, indaffarata com’era a usare le bacchette per mangiare gli spaghetti.

- Hai una famiglia molto carina.-

Accettò la confezione di pollo che lei gli stava porgendo e ne mangiò qualche boccone sovrappensiero, per poi scuotere il capo e ribattere: - Non sono la mia famiglia.-

- Ti ha chiamato papà e quello Zen era parecchio geloso. So che tieni molto alla tua vita privata ma il tuo segreto è al sicuro, puoi fidarti. Per quello non corre buon sangue con tuo padre?-

Mosse la bacchetta tra i pezzi di pollo e mandorle, scosse il capo e poi increspò le labbra in una smorfia. Portò alle labbra un boccone e scelse le parole per rispondere: - Max è mio figlio, Zayn è un mio amico. Un mio carissimo amico. E quanto a mio padre avrebbe avuto problemi con me anche se loro due non fossero mai esistiti. Loro mi stanno solo aiutando a stare sano di testa.-

Sfregò la tempia con le bacchette e abbassò lo sguardo sullo schermo che s’illuminava con l’arrivo di un nuovo messaggio.

«Torna a casa davvero presto come hai promesso. È importante.»

 

///

 

 La busta nella tasca dei pantaloni pesava un quintale. La stava conservando nello stesso posto da quando l’aveva vista sullo scaffale insieme alle tante altre lettere e inviti a feste. Era indirizzata a “L.P” ma era certo nessuno dei Payne si sarebbe fatto scrupoli a consultarla, anche solo per il simbolo che stava impresso e ne svelava il possibile contenuto. Zayn non l’aveva aperta, l’aveva solo infilata in tasca e ogni ora che passava pareva diventare più pesante. Aveva raggiunto Liam in ufficio per quello. Gli avrebbe consegnato la lettera e avrebbe aspettato in silenzio il risultato, poi avrebbero festeggiato insieme con Max. Liam aveva promesso che a qualsiasi informazione riportata su carta sarebbe seguito lo stesso risultato: Max era suo figlio, l’aveva riconosciuto come tale. Però quel che stava scritto su quei fogli era importante lo stesso. Per Max era fondamentale e sapeva pure Liam li riteneva di un certo valore.

Erano passate due ore da quando erano rientrati alla villa Payne dall’ufficio in cui l’avevano trovato con la segretaria. Si vergognava ancora del comportamento messo in atto davanti a Liam; era stato un fascio di nervi tutta la mattina con quel segreto nella tasca e aveva lasciato che quello prendesse la meglio su di lui.

Stava aspettando il suo ritorno con le spalle contro il muro, la porta della stanza di Max alla fine del corridoio. L’aveva lasciato solo a giocare perché era troppo nervoso e quel bambino aveva un’intelligenza acuta, avrebbe capito in fretta ci fosse qualcosa di strano nell’aria.

Si separò di colpo dalla parete come se avesse appena preso una scarica elettrica quando dei passi suonarono sulle scale e andò incontro a Liam per liberarsi prima di quel peso che si stava portando dietro.

- Non dirmi che sta già dormendo. Ho cercato di fare il più in fretta possibile. Zayn, te lo giuro. Sta nevicando e ci sono le strade bloccate. L’ho detto al taxista di fare in fretta.-

Coprì la sua bocca con tutto il palmo, sporgendosi fin troppo contro di lui, e voltò il viso per guardare nella direzione della camera di Max. Stava ancora parlando con Bobby, il t-rex. Sospirò di sollievo perché prima che potesse comparire quel bambino aveva bisogno di parlare con il suo papà per capire se la sua idea era rimasta la stessa. Lasciò scivolare la mano dal suo viso ma non indietreggiò di quel passo che li avrebbe tirati fuori dalla distanza intima in cui stavano.

- Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato oggi e in questi giorni.- sussurrò con gli occhi fermi nei suoi, vide le rughe della sua fronte distendersi e spiegò: - Ero molto preoccupato. Quel che vuoi fare… manomettere un test del DNA? Liam, è pericoloso. Sai che i tuoi genitori hanno amici ovunque. Sarà già arrivata loro voce di questo.-

Estrasse dalla tasca la busta e la bloccò contro il petto di Liam, sussurrando: - Non voglio vederti finire nei guai, jaan. E non voglio che Max soffra. Ne ha già passate tante per un bambino della sua età. Mi fido di te, so che hai a cuore il suo bene ma è una prova scritta questa. Puoi fare una copia fasulla ma la verità ormai è scritta qui.-

- L’hai letta?-

Scosse il capo alla domanda che gli aveva rivolto e lasciò che gli sfilasse la busta da sotto le dita, aggrappandosi alla sua camicia mentre fissava tutti i movimenti delle sue dita per aprire l’aletta, estrarre il foglio e dispiegarlo. Trattenne il respiro con il cuore in gola per come gli occhi di Liam scorrevano su ogni riga e spostò lo sguardo dal suo viso al foglio che aveva girato nella sua direzione. Spostò le dita di una mano sul suo polso per riuscire a fermare il tremore e leggere il risultato. Cercò con gli occhi l’ultima riga e si focalizzò sui primi numeri della lunga percentuale “99”.

- Sei suo padre?- domandò per accertarsi di aver compreso bene quei numeri e quell’ultima frase.

Gli bastò il cenno del capo e il sorriso sulle labbra per capire la risposta. Gettò le braccia attorno al suo collo e lasciò libera la risata mentre lo sentiva ripetere lo stesso concetto più e più volte – “Sono il suo papà. Sono davvero il suo papà, Zayn. Max è mio figlio”.

Si strinse a lui saldamente quando li fece volteggiare nel corridoio e una volta con i piedi a terra portò le mani sulle sue guance e si sporse per premere le labbra contro le sue. Si separò da lui per controllare le sue reazioni e vide la sua espressione sorpresa lasciare presto il posto a una felicità piena. S’incuriosì quando gli avvolse i polsi con le mani, spostò malvolentieri le dita dal suo viso e continuò a scrutare il sorriso che era apparso sulle sue labbra.

- Non posso fuggire via con te.- Inarcò un sopracciglio, non capendo per quale motivo avesse scelto di tornare su quel discorso mai chiuso, e strabuzzò gli occhi quando dalla tasca estrasse un anello che gli infilò all’anulare. - Quando sarai pronto voglio combinare un disastro con te, Zayn.-

Sussurrò il suo nome con le lacrime incastonate negli occhi e portò le dita di una mano alla bocca per contenere l’espressione scioccata quando Liam posò le labbra contro il dorso di quella su cui spiccava il semplice filo d’argento.

- Nessuno può impedirmi di essere felice.- Scosse il capo per dargli ragione, non riuscendo a trovare le parole, e spostò gli occhi dall’anulare al suo viso quando lo sentì confessare: - Non ho mai smesso di amarti, Zayn.-

- Neppure io.- dichiarò con un accento marcato dovuto al groppo che gli chiudeva la gola e avvolse le braccia attorno al suo collo, stringendosi a lui mentre sussurrava: - Non smetterò mai di amarti, jaan.-

- Mai?-

Si separò con il viso dal suo collo a quella domanda incerta e gli sorrise mentre con una scossa del capo faceva sfregare le punte dei loro nasi, ripetendo: - Mai e poi mai. Il mio cuore è sempre con te anche quando io sono lontano.-

Gli accarezzò il viso con le punta delle dita e premette la fronte contro la sua, curvando le labbra in un sorriso contro la sua bocca.

- Perché state piangendo?-

Si voltarono entrambi verso il bambino che aveva posto la domanda e li osservava con confusione a pochi passi da loro, il fedele dinosauro che teneva per mano per non farlo perdere nell’immensa villa.

- Se voi due siete tristi dobbiamo esserlo anche io e Bobby?-

Sollevò le mani quando Liam cercò il suo sguardo per capire chi fosse la persona citata e con un cenno al dinosauro borbottò: - Max è tuo figlio e ha i tuoi stessi gusti per nomi strani.-

- Bobby non è un nome strano.-

Si coprì il volto con una risata quando entrambi andarono a difendere il nome e fece un commento tra sé e sé sulla paura che di sicuro avrebbe causato un t-rex con un nome ridicolo come quello. Poi seguì con lo sguardo Liam che si piegava sulle ginocchia, recuperava il foglio di carta e faceva cenno a Max di avvicinarsi.

- Non eravamo tristi.- Confermò le sue parole con un cenno del capo quando gli occhioni marroni del bambino lo cercarono e sorrise intenerito quando si arrampicò su una gamba di Liam per osservare meglio quel foglio con sguardo critico dopo averlo sentito aggiungere: - Eravamo molto felici perché qui c’è scritto che sei mio figlio.-

- C’è scritto che mi chiamo Maximilian Payne?-

- C’è scritto che ti chiami Maximilian Payne e che il tuo papà si chiama Liam Payne. Sai cosa non c’è scritto?-

Inarcò un sopracciglio, confuso quanto il bambino che scuoteva la sua chioma di ricci.

- Quanto ti voglio bene e quanto sei speciale per me. Quello nessun test riuscirà mai a contenerlo.-

Li osservò con un sorriso quando Max si aggrappò con le braccia al collo del maggiore e lo ampliò quando incrociò gli occhi lucidi di Liam.

 

 

 

 

 

Angolo Shine:

Questa storia ha bisogno di un continuo che non so bene quando arriverà.

Un piccolo regalo di natale in ritardo o un augurio di buon anno in anticipo.

Nonostante il 2017 sia stato un anno da dimenticare, mi ha riservato anche qualche bella sorpresa. O meglio, sono stata io a farmi coraggio e decidere di coltivare questa passione per la scrittura che non mi ha mai abbandonata, che mi ha fatto crescere e disperare. Ho deciso di mettermi in gioco iscrivendomi a una scuola di scrittura creativa e ho dovuto quindi ridurre il tempo da dedicare al mio bel mondo di fanfiction. Car Wash ne ha pagate le conseguenze, come sempre. Ormai quella è una certezza. Riusciranno le due famiglie a passare insieme il natale? M’impegnerò per farlo succedere nel 2018. :(

Spero questa breve storia vi abbia fatto sorridere in questi ultimi giorni di un disastroso anno o che possa accogliervi con tutte le speranze di un 2018 grandioso.

Vi auguro tante cose belle nella vita.

Vi ringrazio per essere sempre qui.

Un grosso abbraccio, buone feste. ♥

   
 
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