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Autore: vero511    31/12/2017    1 recensioni
Ellie Wilson 24 anni, appena arrivata a New York insieme alla sua gioia più grande: il figlio Alex. Lo scopo della giovane è quello di ricominciare da zero, per dare la possibilità ad Alex di avere un futuro diverso dal passato tumultuoso che lei ha vissuto fino al momento del suo trasferimento. Quale occasione migliore, se non un prestigioso incarico alla Evans Enterprise per riscattarsi da vecchi errori? Ma Ellie, nei suoi progetti, avrà preso in considerazione il dispotico quanto affascinante capo e tutte le insidie che si celano tra le mura di una delle aziende più influenti d’America?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ELLIE’S POV

La verità è che non ho mai pensato molto alle conseguenze del mio continuo ficcanasare e solo ora mi rendo conto che, invece, avrei dovuto farlo.
Un’ulteriore cosa a cui avrei dovuto pensare è per quale motivo sono stata destinata a non avere mai un momento di piace: nell’essere sempre così indaffarata e nel mio obbligo di essere forte per due, non mi sono mai soffermata molto sulle notevoli sfortune che ho dovuto affrontare.
Poi penso a come sarebbe andata la mia vita se mia madre non fosse deceduta in quella condizione psicologica orribile, se non avessi mai conosciuto Allen, se non avessi avuto Alex e se non avessi incontrato Zack. Ma la verità è che questo mio arrovellarmi non cambierà la cose e non mi aiuterà a comprendere perché non vedo altro che bianco tutto intorno a me.

Non so se questo ambiente asettico che mi circonda sia presente da molto, non ho cognizioni spazio-tempo e mi sento particolarmente leggera, come se fluttuassi e non fossi un ente corporeo.
È una strana sensazione.
Ma è piacevole.
A volte mi sembra di cadere in un sonno profondo, poi mi risveglio e mi sento ancora meno appesantita.
Ho la sensazione di star dimenticando qualcosa, ma cosa? O meglio, chi?

Questo limbo mi dà pace. Mi sono appena svegliata e tutto appare più luminoso di quando mi sono addormentata. Sorrido, o almeno credo. Faccio un giro su me stessa, nulla. Resta tutto bianco e allora ritorno a pensare. Provo a riacchiappare quelle riflessioni che avevo già formulato, ma sono così lontane… è come se la mia mente stesse correndo per avvicinarsi ad esse, ma più essa si avvicina, più loro fuggono via.
Questa corsa mi mette stanchezza e gli angoli della mia bocca si abbassano istintivamente.
Sono triste e sola.
Il bianco non è più splendente come prima. È solo bianco. E immobile.

Quando ero piccola, adoravo stare nella mia camera, le quattro parenti parevano essere state costruite apposta per proteggermi e tenermi al riparo. Era il mio rifugio. Quando la mamma si ammalò, durante le sue crisi il papà mi gridava di andare nella mia stanza e io lo facevo, consapevole che lì sarei stata al sicuro.
Ma adesso, non ci sono nemmeno delle pareti, è tutto, solo, bianco.
Immagino di sedermi a terra, anche se non riesco a sentire la temperatura o a percepire la solidità della superficie.
Non sono nemmeno più leggera e felice. Il senso di tristezza che aveva iniziato a montare in me, si sta lentamente trasformando in paura.
Aiutatemi.
Sono in una prigione monotona.
Sono…già, chi sono?

Credo di dormire più a lungo, anche se non ho nessuna certezza. Sto perdendo sempre di più la voglia di guardarmi intorno, probabilmente perché ho capito che non c’è nulla che valga la pena di guardare. Eppure, una volta, qualcosa c’era.
Due occhioni azzurri mi balenano davanti. Un bambino? Mi è famigliare, chissà come si chiama. Poi scompare, troppo velocemente perché io possa cogliere altri dettagli del suo aspetto.
E mi ritrovo di nuovo sola.

Sono stanca. Non mi riferisco a una stanchezza fisica, ma mentale. Mi sono risvegliata perché è successo qualcosa: dopo quella che mi è parsa un’eternità, dietro alle mie palpebre serrate è comparso un lampo. È stato fugace, ma abbastanza per farmi rialzare. Comincio a risentirmi pesante, il bianco sta diventando grigio.

Riapro gli occhi, ancora. Tutto è nero. Le tenebre non mi fanno paura, anzi, paiono rassicurarmi. Qualcosa sta cambiando, lo so. Ma cosa?
Forse dovrei muovermi, ancora non sento il pavimento sotto ai piedi, ma va bene così. Riesco a camminare o comunque sono in grado di percepire la dinamicità del mio corpo. Improvvisamente mi fermo e nemmeno io so spiegare il motivo del mio arresto. Ancora quel lampo, svengo.

Vedo qualcosa…sembra…una porta. Ne riconosco i margini da cui entra uno spiraglio di luminosità e allora mi avvicino, consapevole di star uscendo da questa monotonia…oppure…mi sto semplicemente addentrando in un posto migliore.
Non ci sono maniglie, ma finalmente scorgo la mia mano che spinge l’uscio. Per un momento resto accecata, dopodiché i miei occhi si abituano all’ambiente: una villetta a schiera è davanti a me e nel vialetto ci sono delle persone.
Sono famigliari, ma mi costa troppa fatica ricordare precisamente le loro identità.
Mi avvicino per vedere meglio cosa sta accadendo: un uomo e una donna sulla cinquantina si osservano in modo strano, come se avessero appena ricevuto un pugno nello stomaco o fossero stati risvegliati violentemente da un sonno profondo. Due giovani si abbracciano piangendo. Zack sta…Zack? È forse questo il nome di quel bellissimo giovane uomo dagli occhi di ghiaccio? E come faccio a saperlo?

Istintivamente ho voglia di guardare i dettagli del suo viso più da vicino. Lui a sua volta si sta approcciando ad una persona che mi dà le spalle: riesco solo a scorgere i suoi capelli biondi e mi sembra che stia tenendo qualcosa in mano. Incuriosita, mi sposto e giro intorno al gruppo, nessuno percepisce la mia presenza. La bionda ha un bambino. Alex, mi suggerisce un angolo della mia mente. Sono incantata dalla piccola creatura, molto più di quanto non lo fossi nei confronti del moro che ora si trova alle mie spalle.

Possibile che qualcosa di così piccolo ed innocente possa essere così meraviglioso? È come se vedessi per la prima volta, come se il mio cuore fosse al suo più arcaico battito. Tremo. Scosse di brividi mi fanno percepire il mio corpo in tutta la sua completezza, ma sento freddo, tanto. La mia mano si tende a toccare quella del bambino: è morbida e calda. Ci siamo solo noi. Sorrido.

Dopo quella che mi è parsa un’eternità, con ancora le mie dita intrecciate in quelle di Alex porto lo sguardo più su. Mi aspetto di trovare qualcuno che gli somiglia perché probabilmente a stringerlo così è la madre, ma quando i miei occhi incrociano i suoi, torna il gelo che il bimbo era riuscito ad alleviare. Sono io. Sono viva. Ma se io sono davanti a me, io chi sono?

Un applauso riporta il tempo a scorrere e distoglie la mia attenzione dalla madre di Alex. L’uomo che compare mi terrorizza, pur sapendo di essere in qualche modo incorporea, temo per il bambino e per colei che lo tiene in braccio….e anche per gli altri presenti che riappaiono nel mio campo visivo.
“Ma che bel quadretto”. Ross, urla la mia mente. “Che cosa ci fai tu qui?” Zack si mette davanti a me, il suo intento è quello di proteggere la bionda: la guardo, o meglio, mi guardo, e il bambino è scomparso, perché?
“Sono qui per regolare i conti con la famiglia Evans che è stata così cortese da riunirsi di sua spontanea volontà. Mi avete tolto un bel po’ di lavoro”. Ma di che diavolo sa parlando? La sparizione del piccolo e queste parole senza senso mi stanno facendo scoppiare la testa. Qualcuno dice qualcosa, ma non capisco. L’uomo cattivo inizia  a raccontare quella che sembra una storia e la mia attenzione si fa più nitida.

La mia famiglia mi ha insegnato che nella vita le cose dobbiamo conquistarcele. I miei genitori erano quelli che si potrebbero definire un padre ed una madre amorevoli, pressochè perfetti. Ben istruiti, generosi, avrebbero dato la vita per i loro figli. Incredibile che nessuno di questi valori mi sia stato strasmesso, no?
Scommetto che eravate convinti che io avessi avuto un passato disastroso, tutti i conti così tornerebbero. Ma non sempre, ogni cosa si incastra alla perfezione, vedete, viviamo in un mondo imperfetto; ed io sono l’incarnazione di questo difetto.
Sono la pecora nera della famiglia, li ho sempre odiati quegli stupidi sorrisi e gesti di incoraggiamento. Non è possibile essere sempre felici! Così, un giorno decisi di sbarazzarmi di loro: come dicevo, sarebbero stati disposti a tutto pur di far felice me. Il primo a soccombere fu mio padre: quando avevo diciassette anni, mi regalò una barchetta intagliata a mano, perché lui adorava il mare. La portammo al fiume per osservarla mentre veniva trascinata dalla leggera corrente ed io sorrisi, fingendo di divertirmi. La verità era che odiavo quello stupido giocattolo e volevo liberarmene: proposi a mio padre di provare l’imbarcazione nel lago, saremmo riusciti a recuperarla con l’aiuto dei pescatori. La lasciammo e ci recammo sul ponte per osservarla passare al di sotto. Mio padre si sporse, ed io lo spinsi. Dissi che era scivolato, ci credettero tutti ed il caso venne archiviato seppur con qualche dubbio dalla parte del capo della polizia.

Siamo immobili ad ascoltare i deliri di un pazzo, ma non è solo ed è armato. I suoi complici che appaiono come persone normali hanno tolto i  telefoni dalle tasche dei presenti e hanno lasciato intravedere le pistole nascoste sotto ai vestiti. Non ci sono passanti, ma non credo che converrebbe a qualcuno avvicinarsi e non penso neppure lo farebbero: vista da fuori, la scena appare tranquilla, ogni cosa in regola.

Mia madre era disperata, ma contrariamente a ciò che pensavo, non perse la sua forza e continuò ad abbracciarmi e a dirmi che andava tutto bene. Ero intenzionato a risparmiare almeno colei che mi aveva portato in grembo per ben nove mesi e che con fatica mi aveva dato alla luce, ma la mia rabbia ebbe il sopravvento. Quella sua volontà indistruttibile mi dava il tormento; meditai a lungo su come agire, farlo sembrare un incidente era più complicato del previsto. Nel frattempo i mesi passavano e mia madre conobbe un uomo piuttosto facoltoso e incredibilmente intelligente. Quando me lo presentò, ciò che mi colpì furono i suoi occhi di ghiaccio e non mi riferisco solo al loro colore, ma anche alla loro espressione. Mi scrutava attentamente, come un cacciatore fa con la sua preda e non ne capivo il motivo. Possibile che in un solo incontro, quell’uomo fosse riuscito a comprendere quanto la mia mente fosse malata?
Era un peso, un ostacolo che dovevo superare. Poi il destino si mise in mezzo: tra lui e mia madre le cose andavano bene, ma entrambi si accorsero di comportarsi più come fratelli, così decisero di restare buoni amici e si lasciarono. Era la mia occasione, tuttavia, dovetti aspettare ancora qualche anno perché potessi agire. Si ammalò e dovetti assumere una badante che si prendesse cura di lei: una mattina, scambiai le medicine che le erano state lasciate con altre e andai in fretta e furia al lavoro. La domestica venne incriminata e incarcerata e mia madre morì. Al suo funerale, si presentò il suo migliore amico, che nel frattempo si era sposato e aveva avuto un bambino: Christopher Evans.

Tutti hanno un sussulto e poi tornano a trattenere il fiato. Il nome non mi è nuovo e il mio capo si volta meccanicamente verso l’uomo sulla cinquantina che ora è avanzato e non è più vicino alla donna. “Quindi?” Osa pronunciare questa domanda e Zack e lo guarda spaventato, portando una mano sul suo avambraccio, come a volerlo trattenere.

Mia madre, come ultimo desiderio, voleva che tuo padre mi assumesse e lui, seppur con qualche incertezza, lo fece. Certo, il lavoro era ottimo, ben pagato. Ma l’uomo ha sempre nutrito dei sospetti nei miei confronti e quando suo figlio, ovvero tu, ha avuto modo di fondare la sua azienda, io sono passato completamente in secondo piano nonostante i miei anni di servizio. Pensavo che l’impresa sarebbe stata lasciata a me, invece no. Poi ho conosciuto Wilson, Allen e Kim e be, il resto della storia lo conoscete.

Sembra appagato  della suo racconto e ora non sta più nella pelle mentre estrae una pistola da sotto la giacca. “Pensi davvero di farla franca?” Questa volta è Lilian a parlare… conosco anche il suo nome. “Ti prenderanno!” “Ma certo che lo faranno, però mi sarò tolto la soddisfazione di aver fatto soffrire tutti voi!” Per un misero momento, ognuno dei presenti cerca di capire come sia possibile in un solo gesto, rendere tutti infelici, ma quando Zack sembra aver raggiunto la consapevolezza è già troppo tardi.

Uno sparo. Un dolore lancinante. Il buio. La Ellie alle mie spalle cade, per fortuna non ha più in braccio il bambino. Sta diventando pallida, il suo colorito è in netto contrasto con il liquido cremisi che sgorga da una ferita. Vedo solo lei, nient’altro. Mi porto una mano sulla pancia, per un secondo mi sembra di vedere un pancione, poi il mio ventre ritorna piatto e sanguinante.
Ora non sono più una semplice spettatrice.
Sento male ovunque.
Qualcuno mi chiama, forse è Zack.
Qualcuno piange, forse è Jennifer.
Qualcuno chiama un’ambulanza, forse è Christopher.
Qualcuno sta per passare a miglior vita, forse sono io.

ZACKS’ POV

Sto allacciando i bottoni della camicia ad Alex, come faccio ormai ogni mattina. Lui mi sorride quando sistemandogli il colletto, accidentalmente, gli faccio il solletico. “Allora ometto, pronto per il primo giorno di scuola?” Annuisce deciso, anche se riesco a leggere un velo di paura nei suoi occhi. “Ehi, andrà tutto bene” mi abbasso alla sua altezza e gli poso una mano sui capelli biondi. “Adesso facciamo colazione, altrimenti faremo tardi” lo prendo per mano e lo porto in cucina aiutandolo a sedersi al tavolo. Mi accomodo accanto a lui dopo avergli dato del latte ed un cornetto al cioccolato. “Non sporcarti la camicia, mi raccomando” gli lascio un buffetto sul naso e continuiamo a mangiare in silenzio.

“Ehi amico! Rilassati, sembri più agitato di lui!” Matt è venuto a prenderci, così poi andremo al lavoro insieme. “Idiota, ne riparleremo tra un paio d’anni, quando Nina comincerà  le elementari” lo prendo in giro sapendo quanto si preoccupa per la sua bambina. “La accompagnerà Jennifer probabilmente, sai, quelle due si coalizzano contro di me in continuazione!” “Non dire sciocchezze” il mio migliore amico riesce, come sempre, a strapparmi una risata.

Durante la giornata lavorativa, non faccio altro che pensare ad Alex. Chissà se sta andando tutto bene, se ha già fatto amicizia e se le sue maestre sono brave. Prima di andare a prenderlo, andrò a comprargli un gioco, magari un peluche.

“Allora, com’è andato il primo giorno di scuola?” Sono in attesa mentre lo osservo con aria interrogativa. Il mio cuore palpita non udendo alcuna risposta. “È stato bellissimo!” Prorompe poi facendomi buttare fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni. Lo prendo in braccio e  lo stringo più forte del solito. “Ho un regalo per te” lo accompagno alla macchina e apro il bagagliaio, una scatola si staglia davanti ai nostri occhi e lui non vede l’ora di scartarla.
“Andiamo dalla mamma?” Mi chiede dai sedili posteriori. Lo guardo dallo specchietto retrovisore. “Certamente”.

Mi fermo davanti all’ospedale e Alex scende prendendomi subito la mano. Da bravo bambino qual è, si comporta in modo educato: cammina lentamente, resta in silenzio e mi segue per i corridoi freddi. “Bussiamo?” Mi chiede solo una volta giunti davanti alla porta. “Non credo ce ne sia bisogno” e apro.
“Ma guarda chi è venuto a trovarmi!” Il piccolo perde la sua compostezza e comincia a correre verso il letto, arrampicandocisi sopra e abbracciando la persona che sta sotto le candide lenzuola. “Zio Arty!” Sì, lui chiama così Arthur. Il mio maestro ha avuto un infarto un mese fa e ora è sotto costante controllo. Lui e Alex hanno legato molto e ciò mi rende immensamente felice.
Nonostante io non ami l’ambiente, passiamo circa un’ora nella camera dell’uomo. Il suo album da disegno è aperto e alcune bozze sono appese alle pareti: una concessione per essere amico della famiglia Evans.

“Accidenti è tardissimo” corro in macchina trascinando Alex. “La mamma ci metterà nel forno insieme all’arrosto!” dice lui e scoppiamo a ridere.
Fortunatamente il tragitto è breve e in poco tempo giungiamo a destinazione.
“Mamma! Siamo tornati!” Il piccolo stringe il suo nuovo gioco e avanza lentamente. “È questa l’ora di rincasare, Signor Evans?” Mi metto sull’attenti e un brivido percorre la mia schiena. “S-siamo stati da Arthur” mi giustifico, grattandomi la testa colpevole. Avrei potuto avvisarla. “Lo immaginavo” il suo viso si addolcisce. “Ehi piccolo, a lavarsi le manine” gli lascia un bacio sulla fronte e gli dà una lieve spintarella in direzione del bagno. “Con te facciamo i conti dopo, Evans” mi si avvicina con fare seduttore e la stringo in un abbraccio. Fisso i miei occhi nei suoi e ne resto completamente abbagliato. Mi sembra incredibile pensare a cosa siamo diventati, ma d’altronde si sa: quando l’amore prende il sopravvento, non ci resta che piegarci ad esso.
Le do un bacio a fior di labbra e sussurro: “non vedo l’ora, Signora Evans”.  


~ N/A ~
Buongiorno cari lettori, il 2017 sta per chiudersi, e con esso anche questo incredibile viaggio trascorso insieme ad Ellie, il piccolo Alex e Zack. Quello che avete letto è l'ultimo capitolo, ahimè.
Come avrete notato, è più lungo degli altri e spero che questo metodo di scrittura un po' particolare vi sia piaciuto. 
La nostra idea, è ora quella di creare un sequel fatto dai cosiddetti missing moments, tramite i quali cercheremo di raccontarvi gli eventi salienti che qui non sono stati narrati, cosa ne pensate?
Detto questo, è giunto il momento dei ringraziamenti.
Quando Rita mi propose di iniziare insieme questa avventura, non stavo più nella pelle, quindi la prima da ringraziare è proprio lei. Ha avuto l'idea di partenza e mi ha spronata affinché dalla mia testa uscisse tutto questo. Data la collaborazione, mi sono impegnata per portare a termine questo progetto, uno dei più importanti e belli della mia vita, il primo degno di nota e il primo veramente concluso. Il secondo grazie, ma non meno importante, va a tutti voi lettori, senza i quali non sarei riuscita a continuare. Grazie per il sostegno, per la vostra presenza silenziosa e non. 
When Love Takes Over è una parte di me e spero sia riuscita ad entrare nei vostri cuori almeno quel tanto da lasciare un piccolo segno. 
Grazie, grazie a tutti.
Buon anno nuovo, buona vita e non smettete mai di credere nei vostri sogni.
Baci, Veronica.
  
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