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Autore: FRAMAR    01/01/2018    28 recensioni
Il pranzo di Natale doveva portare qualche cosa di nuovo, un amore, una speranza, ma ci fu invece un imprevisto. La zia non si risparmiò a organizzare la cena di mezzanotte, non l'avevo vista mai così euforica. Verso le undici suonò il telefono: quasi mi sentivo male.
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Dedicata a tutti gli amici di Efp, con gli auguri di un felice anno nuovo
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Un  Capodanno per due




 
Da almeno una decina di minuti Renzo mi stava rovesciando addosso per telefono, una infinità di ragioni per cui due giovani come noi,  ampiamente maggiorenni, avevamo tutto il diritto di trascorrere le vacanze natalizie insieme e lontani da ogni “rompimento” familiare. Ogni tanto tentavo di interromperlo per spiegargli le ragione “mie”, che mi impedivano di accettare le sue proposte. Ma inutilmente.

«D’accordo sbuffò Renzo a un certo punto, «Sei fatto in un certo modo, me lo hai ripetuto fino alla noia. E io, ti ribatto che oggi si vive in modo diverso ed è ora che tu decidi a cambiare anche tu: Se è vero che mi ami, come vuoi farmi credere, non hai che dimostrarmelo una volta per tutte, mettendo un po’ di roba in una valigia e scendendo sotto casa, al solito. Sarò lì tra una mezz’ora, ad aspettarti con la macchina. Ti garantisco che passeremo il più bel Natale della nostra vita: da persone intelligenti e moderne. Altrimenti non mi vedrai mai più.»

Preso alla sprovvista dal suo ultimatum, detto con tono insolitamente brusco, non riuscii a rispondere e Renzo interpretò il mio silenzio come una resa.

«A tra poco, allora, concluse trionfante, infatti,  troncando la comunicazione e lasciandomi con l’inferno dentro. Perché lo amavo da morire, e non avrei  voluto perderlo, ma neanche  volevo sbagliare ancora, come mi era accaduto una volta.

Zia Elisa, la persona che costituiva ormai tutta la mia famiglia, mi girava attorno con dei pretesti puerili nel desiderio di sapere. Ma cosa potevo dirle? Non volevo darle un dispiacere, ma neppure mentire, perché non lo meritava.

Comunque doveva aver intuito, dalla mia faccia, che avevo fatti un buco nell’acqua. Dopo poco, infatti azzardò timidamente.

«Ha rifiutato l’invito a pranzo per Natale? Sarebbe stata una buona occasione per farsi conoscere. Peccato.»

«Be, sai… » farfugliai, «Era già stato invitato in  precedenza, da amici. Si è detto spiacente, ma… »

«Capisco», mormorò lei, uscendo dalla stanza. Non so cosa avesse capito, né volevo chiederglielo. Sapevo soltanto  che non  l’avrei lasciata sola a Natale: non  potevo: le dovevo troppa riconoscenza, povera zia.

«Porto il cane a fare un giretto», le dissi poco dopo infilandomi il giaccone sui pantaloni.

Quando Renzo mi vide arrivare con cane al guinzaglio, anziché con la valigia, diventò livido.

«Ma che combini? Lo sai che ho già prenotato le stanze in albergo, a Rio, solo in via eccezionale, data la ressa delle prenotazioni? Che figura ci faccio, adesso?»

«Non è colpa mia, se hai deciso tutto tu,», cercai di difendermi.

«E perché allora non me lo hai gridato, un bel “no” chiaro e tondo al telefono. Se già pensavi di non venire con me?»

«Senti…»

«Ti do una possibilità: consegnare il cane al custode e partire con me subito, così come sei. A Rio compreremo tutto ciò che vorrai. Poi telefonerai a tua zia quello che ti verrà in mente.»

«Non posso trattare così zia Elisa», cercai di farlo ragionare. «Ti ho già raccontato come prendendomi con sé, mi abbia salvato da una situazione dolorosa, irregolare, che mi stava rovinando l’esistenza.»

«Già», scattò Renzo, «facendoti giurare di non sbagliare mai più e facendoti promettere che non l’avresti mai lasciata. Il bene si fa senza chiedere nulla in cambio, mentre lei ti impedisce di vivere la tua vita come ti pare!»

«Be’ in questo caso come pare a “te”. Perché non è vero che io mi lasci condizionare dalle idee di mia zia, semplicemente, quelle idee le condivido.  Sai il dolore mi ha maturato molto e mi ha fatto  capire tante cose.»

«Per me», disse Renzo, «sono stupidaggini, nate da una mentalità superata. A ogni modo, se preferisci stare dalla parte di tua zia, vuol dire  che per te conto poco. Anzi, non conto niente. E io che credevo… mi ero illuso…»

«Ma io ti amo davvero!»

«Non hai  che da dimostrarmelo.»

«Ti ho già detto che non me la sento di lasciare sola zia Elisa. Non in questa occasione, almeno. Un’altra volta… chissà?», tentai di rabbonirlo. Ma lui non ci cascò.

«O adesso, o mai più!» disse in tono definitivo.

«E per te questo sarebbe amore?»

«Certamente. Ti giuro che non ho mai sospirato tanto per nessun’altro». Disse rabbioso.

«Ma», proseguì quasi tra sé, «il cappio al collo non me lascio mettere, né da te, né da nessun’altro. Eppure ti amo… ti amo… ti amo, maledizione!», concluse picchiando con foga un pugno sul volante. «E ti voglio.»


Poi riprese: «Che male c’è, dico io, per due persone che si amano e che sono in condizioni di decidere, voler passare insieme le feste di Natale e Capodanno?».

Cadde tra noi un pesante silenzio nel timore, probabilmente, da parte di entrambi, di aggiungere altre parole amare. Avevo una gran voglia di piangere, ma cercavo di trattenermi. Poiché non vedevo altra soluzione, volevo che il nostro addio fosse almeno amichevole e, al limite, senza rancore. «Non fissarmi a quel modo», scattò lui a un certo punto, «come se vedessi in me il mostro! Io sono un tipo  normale, sei tu a essere fuori dalla regola!»

«Avrei voluto dirgli che nell’individuo prepotente, egoista, e anche immaturo, in fondo, che mi stava davanti, cercavo il ragazzo tenero, comprensivo, affettuoso che era stato nei giorni passati. Qual era il vero Renzo? Questo accecato e reso irragionevole dalla passione, o l’altro?

La risposta mi venne da un improvviso stridio di ruote sull’asfalto. Ero rimasto di nuovo solo. In tutti i sensi, mi dissi disperato. Ma lo sarei rimasto ugualmente “dopo”, ne ero certo. Soffrivo disperatamente, comunque. E mi pareva persino di odiare zia Elisa.

Zia Elisa non mi chiese più di Renzo e io evitai di parlarne. Pensavo con rammarico che ero stato ingenuo a chiedere alla zia di invitarlo per il giorno di Natale, Ma ero stato tratto in inganno dal suo atteggiamento dalle frasi che Renzo ogni tanto buttava là: «Che bello aspettare il nuovo anno abbracciati! Potrebbe essere di buon augurio non credi?».

«Magari!», rispondevo io, felice, interpretando da ragazzo innamorato le sue parole nel senso migliore. Che sciocco, continuavo a ripetermi, con la triste esperienza che avevo alle spalle! Ma si sa che in  amore il cuore rinasce con tutte le sue speranze…


«C’è Renzo, al telefono» mi avvertì la zia.

«Non voglio più sentir parlare di lui!», scattai in un tentativo di difesa, anche se il mio cuore batteva impazzito.

«Ma no, vai a rispondergli», mi esortò la zia. «Mi sembra un  buon segno questo».

Sapeva saper tutto, anche se io non le avevo detto nulla.

«Da due giorni soltanto ti sono lontano», disse subito Renzo, «ed è come se mi mancasse l’aria per respirare. Ho tentato tutto, ma non riesco a scacciarti dai miei pensieri.»

«A chi lo dici!» sospirai.

«E allora che aspetti a raggiungermi? Coraggio Daniele, trova una scusa per tua zia e parti. Amore, ti prego».

Era tornato il ragazzo di sempre e tutto me stesso desiderava correre da lui. Tuttavia, riuscii a reagire.

«La mia opinione non  è cambiata», dissi.

«Va bene». Ridivenne cattivo. «Allora stasera mi porto a letto il primo biondo disponibile che trovo.»

Tremavo e soffrivo le pene dell’inferno, ma riuscii a rispondere con l’indifferenza: «Bene, buon divertimento.»

Lui mi ribatté: «Grazie, non mancherò». Ma non tolse la comunicazione. Tacemmo entrambe, poi lui scattò «Cosa posso inventare ancora per convincerti?»

«Niente», risposi.

«Sei fissato, sai?»

«E tu no?» ribattei.

«Per me è diverso.»

«Certo! La tipica affermazione della persona egoista e basta».

«Egoista?», si stupì lui. «Sto facendo di tutto per offrirti anche la felicità.»

«Non potrei mai goderla, in quel modo. Credi che mi trovi in una situazione facile?» Subito pentito, però, di avere mostrato una crepa della mia resistenza, aggiunsi: «Comunque, non parliamone più».

«D’accordo, Daniele. Non ti chiamerò più», mi disse freddamente. E’ questa volta tolse la comunicazione.

Rimasi sveglio tutta la notte. Continuavo a chiedermi con angoscia quale sarebbe stata la mia vita senza Renzo, ma a chiedermi, anche, quale sarebbe stata la mia vita “con” Renzo.
Quando ormai mi ero rassegnato ad averlo perduto per sempre, Renzo mi richiamò.

«Vieni a raggiungermi almeno per il giorno di Natale», supplicò. Subito insorse in me la parte più intransigente: «Perché non vieni ti? L’invito è sempre valido.»

«Perché non mi va, non me la sento! Mi vedi, tu, mentre arrivo tutto compito, col pacchetto dei dolci in mano, il mazzo dei fiori nell’altra, il sorriso ebete di circostanza…».

«Non so cosa ci sia di ridicolo in tutto questo», ribattei. «Quando si ama veramente un ragazzo e normale comportarsi così».

«Certo», disse lui. «E magari chiedere la tua mano alla zia, come nel secolo vecchio, informandomi con tatto quanto ti lascerà in eredità!... E’ questo che vuoi, che speri da me?»

«Sei proprio dissacrante», balbettai col pianto nella voce, umiliato e ferito.

«Dissacrante perché non sono ipocrita?»

«Ti ho solo chiesto di venire a pranzo da noi il giorno di Natale. Non me la sento di lasciare sola la zia.»

«E io ti ho spiegato i motivi del mio rifiuto. Non sono tipo da cerimonie, ecco tutto. Se tu e tua zia preferite un  tipo del genere, perché non invitate l’ingegnere Podestà, quello dell’appartamento accanto, che quando ti incontra per strada o in ascensore ti sorride e ti fa l’occhio di pesce bollito?»

«L’ingegnere è solo una persona estremamente gentile», specificai. «Comunque, mi hai dato un’idea. Ti ringrazio.».

«Figurati! Buon Natale!».

«Buon Natale anche a te», trovai appena di balbettare, tanto ero rimasto scioccato.

Voltandomi mi accorsi che alle spalle c’era zia Elisa.

«Hai sentito tutto?» le chiesi stancamente.

«Sì», rispose. «L’ho fatto di proposito. E credo proprio che inviterò l’ingegnere Podestà».

«A che pro», sospirai. La zia si limitò a sorridere.

L’ingegnere accettò l’invito con entusiasmo e si presentò, proprio come aveva previsto Renzo, con fiori e i dolci. Si ricordò perfino del cane, portandogli una barattolo di cibo speciale, perché disse, anche per lui era festa.  Non avevo voglia di ridere, anche se la presenza dell’ingegnere, in fondo, era un gran sollievo.

Ci raccontò di avere lavorato per molti anni in Africa. Ora si ritrovava solo… perché la sola donna che avesse amato l’aveva piantato mentre lui cercava fortuna all’estero. Aveva quindici anni più di me e uno meno della zia. Con tatto si informò se ero sentimentalmente legato. Scantonai.

La giornata, bene o male, passò. Più male  che bene, a dire la verità. Ma la notte fu peggio.  Mi chiedevo con chi era stato Renzo. E lo immaginavo abbracciato a un  ragazzo splendido, per consolarsi. Mentre io avevo soltanto il maturo ingegnere.

Renzo mi richiamò il giorno di Santo Stefano.

«Perché non la smetti di tormentarmi?», gli dissi con la voce che tremava. «Cosa vuoi ancora da me?» Dio, come lo odiavo per la sofferenza che mi procurava. E come lo amavo, per la felicità che provavo solo nel sentire la sua voce.

«Stai tranquillo, non ti chiederò più di raggiungermi. Anche perché ho cambiato stanza è ho preso quella con un lettino».

Mi raccontò di avere incontrato una comitiva di americani. Tra loro c’era Paul, un ragazzo con la quale aveva “filato” qualche anno prima quando era studente. Ora facevano coppia fissa.

Paul era di origine tedesca, con un carattere forte e deciso. Non era un rinunciatario, come me, pensai con amarezza. Ma ormai era tardi per recriminare.

«Mi fa piacere», dissi a Renzo. «E telefonami pure per raccontare dei vostri progressi», aggiunsi vigliaccamente.

L’ingegner Podestà veniva quasi tutti i giorni a casa nostra, a prendere il tè, e colmava me e la zia di gentilezze e complimenti. Ci  intratteneva con il racconto degli episodi numerosi e assai avventurosi della sua lunga permanenza in Africa, zia Elisa lo ascoltava estasiata, mentre io ero sempre in ansiosa attesa delle telefonate di Renzo. Intanto si avvicinava il Capodanno e la zia non aveva più dubbi sulle intenzioni dell’ingegnere.

«E’ logico che si aspetta di essere invitato per il cenone», disse con gli occhi che brillavano, «e vedrai che in quell’occasione si “dichiarerà”».

La zia non si risparmiò a organizzare la cena di mezzanotte. Erano anni, da quando era rimasta vedova, che non si sentiva così euforica. Tutto merito mio, mi disse, che le avevo procurato l’occasione. Ne ero felice, ma solo per lei.

L’ingegnere arrivò verso le dieci col solito pacco di dolci e il mazzo di fiori e la serata iniziò piacevolmente. Verso le undici e mezzo suonò il cellulare credevo che il cuore mi si spezzasse dal salto che feci. Poteva essere Renzo?, mi chiedevo con ansia, mentre correvo a rispondere. Era proprio lui e sembrava un cane bastonato, benché cercasse di darsi un certo tono. Ma io lo conoscevo bene e non riusciva a ingannarmi. Disse che era tornato con la comitiva di amici e di avere litigato con Paul, qualche ora prima. «Mi fece capire che ormai ci conoscevamo da tanto tempo e che non occorreva aspettare tanto per sposarci. Perciò stasera voleva farmi conoscere i suoi genitori e cenare assieme da qualche parte».

«Be’, cosa c’è di strano?».

«C’è che io non ho mai pensato di sposarlo. Così, messo alle strette, l’ho piantato. E mi sono detto che, se proprio destino che io vengo incastrato, preferisco che sia tu a farlo. Ti prometto che sarò un buon compagno… Se mi vuoi ancora».

Ero così sorpreso, così sconvolto dalla felicità che non riuscivo a trovare il fiato per rispondergli.

«Dove sei?» gli chiesi alla fine.

«Vicino a casa tua, accanto al bar».

«Fai presto allora, perché mancano  pochi minuti a mezzanotte. Intanto preparerò un coperto anche per te».

«Bada che sono senza il mazzo di fiori!».

«Non importa», risi. «Li ha portati l’ingegnere».

«Cosa hai detto?»

«Fai presto», lo sollecitai. «Forse sei arrivato in tempo per salvarmi».

Ma non era così. Ce ne rendemmo conto, io e Renzo, quando entrammo abbracciati nel soggiorno, dove nell’angolo da pranzo era preparata la cena, mentre scandivano i rintocchi della mezzanotte: infatti l’ingegnere cingeva con un braccio le spalle della zia, mentre lei stava contemplando ammirata uno splendido anello che brillava al suo anulare sinistro.

L’anno nuovo, dunque, aveva portato un amore nuovo: a tutti e due.

   
 
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