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Autore: BabaYagaIsBack    02/01/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Ventesimo
§ Stesso Sangue §
parte prima

 

"God damn I think I'm stuck again
Last call it's time to sink or swim
Blacked out I end up on my back
And I know I should stop"

Washed Out, Counterfeit

 

Per il resto del tragitto Alex rimase zitta. Le sue labbra non si schiusero nemmeno una volta, facendo sentire Noah in difetto: ma per quale ragione? Dopotutto era lei quella che non voleva parlare con lui, che cercava di stargli quanto più lontana possibile pur non avendone la facoltà. Non era forse lei quella che era piombata nella sua vita, a casa sua, senza essere invitata? E allora per quale ragione doveva farlo sentire così... sbagliato?
Avrebbe voluto chiederglielo sia durante il tragitto in autobus, sia mentre salivano la rampa di scale che li separava dal suo appartamento, ma ogni volta che si era girato verso di lei per aprir bocca l'aveva trovata rivolta in tutt'altra direzione, persa in chissà quali pensieri - e le parole avevano finito con il morirgli in gola.
Approcciarsi a Z'èv alle volte gli pareva impossibile, faticoso; e non si trattava solamente dei suoi modi scostanti, spesso era lui stesso ad avvertire la sensazione di essere dalla parte del torto, di averle arrecato una qualche offesa da dover sanare prima di poter tornare a far la pace. Peccato che non avesse la più pallida idea del motivo di tutto ciò.

D'un tratto però, ormai sul pianerottolo di casa, vedendola afferrare la maniglia Noah si ridestò dai propri pensieri e, colto da un'urgenza che non avrebbe saputo spiegarsi, esattamente come moltissime altre cose da quando li aveva conosciuti, le chiese d'un fiato: «Finisce così?» E Alexandria nell'udire la sua voce sembrò irrigidirsi, addirittura sorprendersi, ma non a sufficienza per voltarsi verso di lui. Per un solo istante, scrutando quella reazione, a Noah parve che la Chimera non volesse incrociare il suo sguardo, che stesse provando a nascondergli le proprie emozioni; perché? Cosa avrebbe potuto vedere se si fosse girata?

«Cosa?» gli domandò in un sospiro.
«La nostra conversazione.»
La sentì trattenere una risata: «A malapena è iniziata, ragazzino. Inoltre ti ho già spiegato che ci sono cose lasciate in sospeso tra me e la persona che non sei, quindi smettila di insistere» e a quel punto abbassò del tutto la maniglia, quasi a voler mettere fine a una discussione che Noah non era intenzionato a concludere a quel modo.

«"Cose" di che tipo? Alexandria, voglio solo...»
Stavolta, ne fu certo, vide i suoi muscoli contrarsi.

«Sei scocciante» sbuffò togliendosi la giacca.
«E tu malmostosa, irascibile e davvero poco amichevole!» si sentì sbottare, infastidito da quel continuo respingerlo. Infondo non stava facendo nulla di male, anzi! Voleva davvero capire, dare un senso alle stranezze che gli erano capitate dal giorno in cui era nato, ma per farlo aveva bisogno di tutto l'aiuto possibile, anche del suo. «Sto cercando di venirti incontro!»
Di tutta risposta, a quel commento, la Chimera si girò sbigottita verso di lui - di certo non doveva aver apprezzato gli aggettivi con cui l'aveva descritta, in effetti erano ben lontani dall'essere carini, ma Zenas, a ridosso del tavolo da pranzo e intento a preparare chissà quale altra leccornia, dovette nascondere il viso con una mano per camuffare la risata che, comunque, non gli risparmiò un'occhiata fulminante da parte della sorella.
E per quanto minuta, Z'èv sapeva bene come mettere soggezione.

«Come, scusa?» domandò subito dopo aver rimproverato Akràv, tornando così a fissare l'interlocutore: «Non credo di aver capito, moccioso.»
Ed ecco che, forse intimorito dalle possibili reazioni di lei, Zenas cercò di intervenire: «Alex, dai, stava scherzando...» peccato che il suo fu un tentativo inutile. Piuttosto che fermarsi, lei avanzò tanto da costringere Noah a retrocedere di qualche passo, ritrovandosi così spalle al muro. Era in trappola e il legno della porta sembrò diventare freddo quanto la roccia; nemmeno il suo colpo più potente avrebbe potuto farla spalancare e permettergli la fuga.
«Al tite'arev, akh...» sentì ringhiare prima di vederla nuovamente accorciare la distanza tra loro, quasi a volerlo far sentire sempre più in suo potere - e ormai, a dividerli, c'erano giusto un paio di spanne. Un mix di imbarazzo e agitazione parve afferragli lo stomaco e stringerlo, ma non seppe bene come giustificarlo. Da quando si erano conosciuti, infatti, per quel che l'Hagufah si ricordava non erano mai stati tanto vicini. Alexandria aveva sempre cercato di mantenere le distanze, di ergere tra di loro una sorta di invalicabile muraglia, eppure in quel momento parve oltrepassarla per poterglisi scagliare addosso - e involontariamente sentì una vampata scaldargli il viso. Come era ovvio, anche lui non era immune alla sua assoggettazione.
«Sto parlando con il ragazzo» la udì aggiungere dopo qualche istante sempre in direzione del fratello, e il modo in cui gli occhi di Z'èv si fissarono nei suoi sembrò d'improvviso allontanare ogni sensazione di disagio, lasciandogli in bocca un'unica domanda: perché non voleva aprirsi con lui? Cosa era successo, di tanto terribile, tra lei e Re Salomone?
Ora che la poteva guardare bene in viso, così vicino, tutti i timori che aveva creduto provare divennero innocui. Sì, Z'èv faceva effetto, poteva essere pericolosa, ma non con lui - non in quel frangente, quantomeno.

«V-voglio solo capire, Alexandria, d-davvero. I-io...»
«Ti ho detto che non ne voglio parlare, chiaro? Mi sembra di aver usato la tua lingua, non l'ostrogoto, o sbaglio? Ma se vuoi posso ripetertelo in altri quattro modi» ancora un passo avanti.
Più lo spazio tra di loro diminuiva, più Noah si sentì sopraffare da nuove, strane sensazioni; come il brivido che in quel momento gli corse lungo la schiena, una sorta di dolce scarica elettrica che parve offuscargli il raziocinio.
«Sono disposto a fare qualsiasi cosa tu voglia, ti sto solo chiedendo di spiegarmi, di darmi la tua versione di...» Alex si mise in punta di piedi e allungò il collo, mozzandogli il fiato: erano davvero troppo vicini ora, gli venne da pensare.
Aveva i palmi sudati, il respiro corto e, per un solo istante, deglutendo a fatica, temette che la Chimera fosse sul punto di mettergli le mani intorno alla gola, ma non accadde. La ragazza si fermò a metà del movimento, restando sospesa, e in un sibilo gli disse: «Non puoi fare nulla, hai capito o no? Tu non sei il mio Re.»
Ma come poteva dirlo? Con quale fermezza si opponeva a ciò a cui, invece, i suoi fratelli credevano così tanto? Perché ad essere onesto, con la loro convinzione, sia Akràv sia Nakhaš erano riusciti a far dubitare persino lui di se stesso e di ciò che aveva sempre conosciuto - e non avrebbe mai pensato potesse essere cosa così semplice. Né nell'infanzia né nell'adolescenza si era mai immedesimato negli eroi stereotipati dei libri fantasy, eppure se sentita dalle labbra di quei due, quell'ipotesi, poteva quasi apparire vera. Forse muovendo qualche piccolo passo verso di loro avrebbe davvero spalancato le porte su un mondo che mai avrebbe creduto esistere.
«È per via di... di quello che vi siete detti tu e Levi? È perché non so usare l'Alchimia?» e se quello era il problema e al contempo la soluzione, avrebbe provato in tutti i modi a dimostrare ad Alexandria di tenere alla loro causa.

Il rumore della sedia sul pavimento tradì Zenas: «Alex, per favore. Credo che adesso sia meglio lasciar perdere e-»

«Amareti sheatah tsarikhe al tite'arev, Akràv!» Il fiato di lei gli sfiorò il viso. Noah poté sentirne il bollore, l'aroma di caffè rimastole in bocca - e nonostante stesse parlando con il fratello non distolse lo sguardo da lui nemmeno per un istante. Il suo corpo gli era quasi addosso, la sua rabbia palpabile e minacciosa più di quanto si sarebbe aspettata. Alex d'un tratto divenne lava in procinto di bruciarlo, eruzione implacabile che lui stesso aveva scatenato scavando nei punti giusti dei crateri rimasti intonsi. Noah poté percepire il pericolo con estrema nitidezza stavolta, eppure non volle ritrarsi. Qualcosa, in lui, gli stava suggerendo di non ritrarsi, di lasciarla avanzare fin quando non gli avrebbe sfiorato la carne. La sua ustione non lo avrebbe ferito, lo sapeva, era già successo, ma quando? Quando l'aveva percepita tanto ostile e al contempo sul punto di crollare?
Mosso da chissà quale involontario masochismo, l'Hagufah le afferrò le braccia per bloccarla, placarla nella speranza di farle capire che lui non era il nemico, bensì un alleato, ma ciò che ottenne quando le sue dita la toccarono fu ben diverso.

Nell'istante esatto in cui le loro pelli entrarono in contatto, Noah vide Alex sgranare gli occhi e schiudere appena le labbra, quasi l'ossigeno le stesse venendo strappato dai polmoni. Le pupille le si dilatarono in una sorta di spasmo, mentre il rosso delle iridi parve attenuarsi tanto da assumere un colore quasi naturale - e più queste si facevano umane, più il sangue in lui sembrò aumentare la velocità di circolazione. Le dita gli presero a formicolare, il cuore ad accelerare maggiormente. Si sentì inebriare da una sensazione piacevole, seppur indefinita, da un appagamento che non avrebbe saputo dire se avesse già provato o meno e lei, quella creatura così innocua adesso, ne era l'origine.
Non se ne chiese il perché, non aveva alcun interesse nel farlo - quello che sapeva è che ne voleva di più, desiderava essere pervaso da quel piacere così inusuale; nemmeno una scarica di adrenalina lo avrebbe fatto sentire tanto... vivo.

«N-Noah...?»
Riconobbe Zenas, la sua voce, eppure non gli diede alcuna importanza perché, in quel momento, non era in grado di concentrarsi su altra cosa se non Alexandria e il loro contatto.
«Noah, basta! Fermati.» Il suono dei passi della terza Chimera arrivò ovattato, l'Hagufah non avrebbe saputo dire quanto fosse distante da loro, ma ancora una volta non gli diede alcuna rilevanza. Pian piano, infatti, gli occhi di Z'èv erano tornati di un verde cupo, i capelli del color del caramello e, guardandola in quello stato di quasi normalità, gli venne naturale chiedersi se quello fosse il suo vero aspetto perché, a essere onesti, se lo ricordava diverso. Forse era il modo in cui i capelli le ricadevano accanto al viso, liberi da qualsivoglia acconciatura, oppure era quel trucco così marcato, che sottolineava in modo aggressivo il taglio degli occhi, o ancora quegli abiti aderenti, poco consoni a una donna come lei; non riusciva a capire.

In un gesto istintivo, così naturale da dargli l'impressione di averlo fatto decine di altre volte prima, Noah aumentò la presa tirando Alexandria più vicina.
Da quanto tempo non la vedeva?
«ShalomZ'èv» sibilò: «Hishetaneyta.» Dalla bocca gli uscirono parole che non sapeva di conoscere, in un tono tanto calmo e profondo da essergli estraneo - e d'improvviso, udendosi, si accorse di riuscire sì, a concepire ogni cosa intorno a sé, ma allo stesso modo di non essere realmente lui il padrone del proprio corpo. Percepiva le sensazioni, lo stordimento, ma a tratti ebbe l'impressione di essere solo uno spettatore: perché? Cosa gli stava prendendo?

L'espressione della ragazza d'un tratto s'irrigidì, nel suo sguardo sembrò passare una scintilla di paura e dalle labbra, quei due spicchi rosati, il sangue defluì fino a farle impallidire. Una sorta di tremore le fece schiudere maggiormente, quasi stesse provando a dirgli qualcosa, eppure più l'aspetto di lei cambiava, quasi deperendo, più a Noah parve impossibile lasciarla andare.
Doveva trattenerla a sé se voleva continuare a sentire quelle sensazioni, ma allo stesso modo, la voce che gli aveva detto di afferrarla per impedirle di perdere il controllo, improvvisamente, prese a gridargli di smetterla perché qualcosa non stava funzionando correttamente.

Peccato gli fosse impossibile. Seppur il formicolio nelle mani stesse diventando sempre più intenso, il battito accelerato e il suo corpo bollente, staccarsi da Alexandria non sembrava essere un'opzione contemplabile.

«lo! Io, tafessiq!» Ma non ci riusciva. Anche se le suppliche di Zenas stavano diventando vere e proprie grida, a Noah parve di non riuscire a comprendere realmente il loro significato.

«S... Sal... om-one... a-atah hor...eg oti.»
Dalle labbra di Alexandria uscì una sorta di rantolo, un sussurro roco e privo di forza che, d'un tratto, lo fece sussultare, riportandolo alla realtà.

Come?

Ma prima che potesse realmente spiegarsi quelle parole, una pressione soffocante lo premette contro il muro, strappandogli di mano le braccia della Chimera.



 

Al tite'arev, akh: stanne fuori, fratello.
Amareti sheatah tsarikhe al tite'arev, Akràv: ho detto che devi starne fuori, Akràv
Shalom, Z'èv, hishetaneyta: buongiorno, Z'èv, sei cambiata
lo! Io, tafessiq!: No! No, basta!
Atah horeg oti: mi stai uccidendo

 
   
 
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