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Autore: _katherine_lls    02/01/2018    1 recensioni
Beatrice ha deciso di trasferirsi e di proseguire gli studi in Inghilterra convinta dalla sua migliore amica Serena che la definisce "la prima vera opportunità di cambiare la loro vita".
Un'opportunità che rischia di trasformarsi in tragedia quando scopre l'identità di uno dei ragazzi con cui dovrà condividere l'appartamento. Stando su un filo di lana Beatrice sembra aver trovato il giusto equilibrio ma la situazione andrà definitivamente a rotoli con l'arrivo di suo fratello dall'America.
Deve riuscire a proteggere le persone che amava e che ha imparato ad amare facendo scelte difficili, perché nessuna decisione può essere presa alla leggera quando c'è di mezzo la famiglia, anche se alla fine si tratta solo di legami di sangue.
Deve riuscire a fidarsi di se stessa e imparare a credere in una persona che ha disprezzato per lungo tempo perché è l'unico modo che hanno per uscirne vivi.
Ma come fai a fidarti di chi ti ha tradita? Come fai ad andare avanti quando tutti sembrano averti voltato le spalle nel vero momento del bisogno?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Merda!- sbottai chiudendo la porta dell’appartamento e lanciando le chiavi sul mobiletto dell’ingresso. Sapevo che non avrei dovuto accettare. Sapevo che non avrei dovuto accettare di trasferirmi all’estero insieme alla mia migliore amica. E invece mi trovavo là, a più di tremila chilometri da casa e circondata da persone odiose e tremendamente fastidiose che facevano di tutto per rendermi le giornate un inferno. Le era bastato davvero poco per convincermi, facendo leva sui punti giusti. Aveva sfruttato la mia situazione abbastanza incasinata a casa per darmi un apparente via di fuga. Da quando mio padre se n’era andato dopo il divorzio portandosi dietro anche quel decerebrato di mio fratello, mia mamma non era più la stessa. Era diventata intrattabile e in costante lotta con il mondo.

-Bea sei a casa? – urlò la mia migliore amica chiudendo il getto della doccia.

- No Serena, sono un ladro di passaggio. Rubo il poco cibo rimasto in frigo e me ne vado – risposi sarcastica sentendola sbuffare. Sorrisi lievemente. Eravamo giovani e praticamente scappate di casa anche se avevamo il consenso dei nostri genitori che ci finanziavano parte delle spese. A diciannove anni avevamo già colto quella che secondo Serena sarebbe stata la nostra opportunità di cambiare vita. E perché no? Avevamo pian piano iniziato a costruirci una vita in Inghilterra, nuovi amici, nuovo lavoro part-time, nuova scuola.

Mentre aspettavo che Serena uscisse dalla doccia mi preparai un panino con il poco prosciutto che era rimasto in frigo e il pane che avevo comperato tornando a casa.

-Non potevi cucinare anche per me? –

-Non c’è altro da mangiare! –

-Non potevi ordinare cinese? – sbuffò alzando un sopracciglio.

-Andiamo Sere, ho il turno al ristorante, non ti ci mettere anche tu! –

La prima cosa che avevamo fatto, dopo aver trovato l’appartamento, era stata cercare un lavoro, possibilmente part-time e possibilmente ben retribuito. Io ero riuscita a trovare come cameriera in un ristorante di un certo livello, avevo turni infiniti, ma uno stipendio decente. Serena invece lavorava come commessa in un negozio d’abbigliamento all’interno di un centro commerciale. Alla fine del mese riuscivamo a far quadrare tutte le spese e a pagarci l’università riuscendo a mettere anche qualche soldo da parte.

Lanciai un’occhiata all’orologio e finii l’ultimo pezzo di panino che mi restava. Mancavano ancora dieci minuti prima che Mark mi passasse a prendere. Faceva anche lui il cameriere e avevamo cominciato a lavorare al ristorante più o meno nello stesso periodo. Fortunatamente lui abitava a pochi passi dal mio appartamento e, soprattutto, aveva una macchina e mi aveva risparmiato un infinità di viaggi in metropolitana e taxi.

Stavo finendo di mettermi il mascara quando sentii la porta aprirsi e il rumore delle chiavi che venivano lanciate sul povero mobiletto accanto all’attaccapanni.

Guardai nuovamente il mio orologio sperando che fosse Riccardo che rientrava dal lavoro. Troppo presto. Avrebbe staccato tra circa due ore.

Dai due tonfi sul pavimento dedussi che il nuovo arrivato aveva appena fatto volare i suoi costosi anfibi per il salotto.

E niente, tutti gli indizi erano a favore dell’ultimo coinquilino. Quello più odioso di tutti.

-Merda! – sbottai per la seconda volta. Cosa ci facesse a casa a quell’ora era un mistero. Purtroppo non sarei riuscita ad evitarlo. Ecco, lui era esattamente il tipo di persona più fastidiosa e insopportabile sulla faccia della terra. Ti squadrava dall’alto del suo metro e ottanta e non riusciva a trattenersi dal commentare anche solo un capello fuori posto. Rimisi il mascara nella trousse respirando profondamente.

Consapevole del fatto che l’avrei trovato stravaccato in salotto con il telecomando in mano mi imposi di stare calma e di uscire senza badare alle sue provocazioni.

-Oh, è a casa. Sere, perché non mi hai detto che lo scricciolo era a casa? – ghignò appena mi vide. Questo era il suo modo di salutarmi; ed era anche stato gentile a non chiamarmi nano da giardino come al solito, visti i venti centimetri abbondanti di differenza.

Una delle poche cose che non avrei mai perdonato a Serena era l’avermi tenuto nascosto fino al mio arrivo in Inghilterra la presenza di quest’essere, che adesso sorrideva strafottente dal divano dove si era spalmato. Okay, Riccardo poteva passare: nel giro di due settimane avevamo instaurato un rapporto di convivenza civile, ma lui no. Sapeva che non sarei mai riuscita ad andare d’accordo con Jeremy Mercuri.

-Sì e sta uscendo, vedi di non darle fastidio! – gli rispose Serena dalla cucina. Probabilmente aveva rinunciato ad ordinarsi qualcosa e si era messa a cucinare con gli avanzi. Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto fare la spesa!

-Ma io non le do mai fastidio! Viene a prenderti il tuo amichetto io-sono-il-più-figo? – mi chiese e io dovetti respirare profondamente più volte per non saltargli alla giugulare. Per qualche motivo a me tuttora sconosciuto Jeremy non riusciva a vedere o a sentire nominare Mark senza sparare qualche suo commento cattivo.

-Sì, qualcosa in contrario? –

-E quando mai? Sei grande, puoi fare quello che ti pare, poi però non venire a piangere da me! – berciò per poi tornare a dedicarsi completamente allo zapping, segno che quella nostra bellissima conversazione era finalmente conclusa.

Per quanto mi avrebbe rinfacciato ancora quello che era successo quella sera? Ero arrivata da due settimane, ed ero completamente ubriaca e disperata fuori da una discoteca perché avevo appena lasciato il mio ragazzo storico, decisione avventata che poi si era rivelata la migliore in assoluto. Jeremy era l’unica persona che non ne poteva più di restare ammassato in quel locale dove non si riusciva nemmeno a respirare e per la prima volta dopo due settimane mi era sembrato umano, non il solito stronzo antipatico che girava per l’appartamento. E quando mi chiese cosa non andasse, risposi ingenuamente con la verità. Naturalmente la peggiore cosa che potessi fare perché, un po’ a causa dell’alcol e un po’ perché ero veramente disperata, scoppiai a piangere davanti a lui, che da tre mesi a quella parte non perdeva un’occasione per rinfacciarmelo.

Mi infilai le scarpe da ginnastica e il giubbotto leggero, in fondo era solo settembre, e presi le chiavi dal mobile. Salutai con una mano Serena mentre aprivo la porta. Sembrava dispiaciuta, ma era tutta colpa sua. Sapeva che se mi avesse detto della presenza di quel deficiente non mi sarei mossa da casa.

Motivo per cui aveva deciso di omettere la cosa fino al mio arrivo nell’appartamento dopo il quale sarebbe stato un po’ difficile nascondere un ragazzo alto quasi due metri che lasciava le sue cose ovunque, che non faceva mai la spesa e che passava intere giornate davanti alla televisione a fare zapping.

Salii in macchina di Mark che come sempre mi stava aspettando davanti al portone del palazzo. Dio, fossero stati tutti come lui.

-Ciao! Fatto storie anche oggi? – sorrise non appena chiusi la portiera dell’auto, vedendomi infuriata.

-L’unico momento in cui smetterà di darmi fastidio è da morto e ultimamente sta facendo di tutto per far sì che la sua ora arrivi prima del previsto! – sbottai agganciando la cintura e abbassando il volume della radio. Lo sentii sghignazzare e poi si immise nel traffico. I venti minuti che ci separavano dal ristorante passarono veloci e soprattutto in silenzio.

Non riuscivo a smetterla di pensare ai modi più cruenti per uccidere Jeremy nel sonno, arrivando sempre alla stessa conclusione: entrare nella sua stanza senza fare rumore, per il disastro di oggetti sparsi sul pavimento, dove sembrava essere sempre in atto una guerra, era decisamente impossibile e quindi mi avrebbe senza dubbio scoperta. E lì si sarebbe conclusa la storia della mia vita.

Non l’avevo mai visto arrabbiato per fortuna, ma già da calmo era insopportabile, non osavo immaginarlo con i nervi a fior di pelle.

Staccai cinque minuti prima, data la scarsa clientela, e cominciai a sistemare le mie cose aspettando che finisse anche Mark. L’avevo conosciuto qualche settimana dopo il mio arrivo in Inghilterra. Mi era sembrato simpatico sin da subito. Aveva ventun anni, era alto con i capelli ricci e castani e gli occhi verdi. Da quello che sapevo si era trasferito per continuare gli studi anche se non avevo ancora capito cosa volesse fare dopo, data la sua capacità di cambiare i corsi settimanalmente.

-Andiamo? - mi chiese infilandosi la giacca. Non l’avevo sentito arrivare.

-Sì! - risposi sbadigliando. Guardai velocemente l’orologio, le due e mezza. Per fortuna era sabato. Almeno avevo qualche speranza di riuscire a dormire qualche ora in più, sempre che qualche deficiente, uno a caso, Jeremy per esempio, non si sognasse di accendere le casse alle otto del mattino e di alzare il volume dello schifo che ascoltava al massimo.

Non è che avessi litigato con lui. Solo mi stava antipatico. L’avevo visto per la prima volta qualche anno fa a un compleanno di Serena;  da quello che avevo capito i loro genitori avevano fatto lo stesso college. Lui abitava in Inghilterra anche se suo padre era italiano e per qualche strana coincidenza si trovava in Italia in quel periodo. In qualche strano modo era venuto a conoscenza della festa e Serena si era sentita costretta ad invitarlo. O forse era stata colpa della cotta adolescenziale che temevo avesse nei suoi confronti.

Fatto sta che Mr. Simpatia aveva passato tutta la serata a giocare con il telefono, e quando non giocava era in un angolo a fumare qualche sigaretta. Vizio che per fortuna aveva perso con il tempo. Poi, la cara e dolce Serena aveva ben pensato di invitarlo al mare con noi l’anno scorso, e li era venuto fuori il putiferio. A momenti lo annegavo in acqua, ma lui era riuscito lo stesso a proporre alla mia migliore amica di trasferirsi in Inghilterra dove avrebbe potuto poi frequentare lo stesso college che frequentava lui perché a suo dire dava buone opportunità per il futuro. E Serena aveva ben pensato di andare dritta a domandare il permesso a mia madre senza chiedermi la mia opinione; non che mi dispiacesse trasferirmi in Inghilterra ad essere sinceri. Mia mamma, neanche a dirlo era stata più che entusiasta, forse a causa del nostro rapporto che negli ultimi anni si era lentamente distrutto, e neanche dieci mesi dopo eravamo in un aereo, pronte ad andare via da casa.

Sembrava un sogno, che si era infranto quando, aprendo la porta dell’appartamento, avevo scoperto che era in condivisione con quella specie di scimmia amica di Serena. E a quanto pareva la simpatia era reciproca.

Entrai in casa cercando di fare meno rumore possibile, ero civile io. Trovai Jeremy addormentato sul divano con la TV in sottofondo. Mentre dormiva sembrava quasi una brava persona anche se la tipica espressione di coloro che hanno la puzza sotto il naso non accennava mai ad abbandonare il suo viso.

Andai in cucina e salutai Riccardo che stava finendo di mangiare la pizza che a quanto pareva aveva ordinato.

-Mai che torno a casa e trovo qualcosa di pronto, o anche solo qualcosa di commestibile in frigo! – sbottò con un sorriso.

-Vado a fare la spesa stamattina! – promisi. Ero stanca anche io di mangiare sempre qualcosa cucinato con degli avanzi. Mimò un grazie con le labbra prima di ficcarsi in bocca l’ultima fetta di pizza. Sorrisi e gli arruffai i capelli neri beccandomi un'occhiataccia. Odiava che gli fossero toccati i capelli. Nemmeno con lui andavo d’accordo all’inizio. Aveva il brutto vizio di rincasare sempre tardi e non per lavoro, di portare ragazze nell’appartamento senza farsi mezzo problema e di fumare in salotto. Poi per fortuna eravamo riusciti a scendere a patti per la convivenza civile che comprendevano un messaggio quando voleva avere compagnia, così che potessi starmene da qualche altra parte, e le sigarette solo in terrazza. Adesso andavamo parecchio d’accordo e, soprattutto, eravamo complici nelle bricconate nei confronti di Jeremy, suo migliore amico da sempre.

Mi versai un bicchiere di latte e mi sedetti sul bancone della cucina.

-Come è andata al ristorante? – mi chiese prima di trangugiare mezza lattina di birra che era rimasta chiusa fino a quel momento.

-Abbastanza bene, tu come mai sei ancora sveglio? – gli chiesi curiosa. Sapevo che doveva finire di lavorare più o meno verso le dieci ma adesso erano quasi le tre.

-Sono andato in discoteca con i ragazzi. Poi è arrivata quella vipera di Ashley e mi ha fatto passare la voglia di ubriacarmi! – sbottò tornando a concentrarsi sulla lattina. Ashley era la sua ex ragazza storica. Si erano mollati prima che arrivassi in Inghilterra dopo circa quattro anni che stavano insieme. E tutto perché lui aveva scoperto che lei lo tradiva. Per poco non ero scoppiata a ridere in faccia a Serena quando mi aveva raccontato il motivo delle tensioni tra i due. Andiamo, Riccardo non aveva esattamente la faccia e la reputazione di uno che si faceva mettere i piedi in testa dalla sua ragazza. Sinceramente non aveva nemmeno la faccia di uno che era riuscito a stare quattro anni con la stessa persona visto il tran tran di amiche che aveva avuto poi.

Finii il latte e gli diedi la buonanotte con due baci sulle guance. Tornando in camera lanciai un occhiata all’angioletto che dormiva placido sul divano e mi venne voglia di mettere in pratica tutte le varie vendette che avevo escogitato durante il turno al ristorante. Cercai di avvicinarmi senza fare rumore al divano, ma quando presi lo spigolo del mobile sul ginocchio mi resi conto che non sarei stata in grado nemmeno di disegnargli dei baffi decenti e masticando bestemmie tornai in camera sperando con tutto il cuore che quel cretino, almeno per un sabato, riuscisse a dormire fino alle nove.

NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti!
Questa è la prima storia mia che pubblico su EFP. Spero che la trama vi abbia incuriositi e che il primo capitolo vi sia piaciuto. Mi farebbe davvero molto piacere sapere cosa ne pensate. 
Cercherò di aggiornare il prima possibile ma, chi mi conosce, sa che non posso promettere nulla :)
A presto, spero ;)
  
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