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Autore: Tide    02/01/2018    1 recensioni
Come disse Dick Roman: "Se vuoi vincere devi essere lo squalo. E lo squalo deve mangiare."
Credo di avere un'idea di chi potrebbe averglielo insegnato.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Note: Giusto per chiarire, il Leviatano in questione è quello che sarà Dick Roman, ma, ovviamente, a questo punto non ha ancora assunto tale identità, perciò è allegramente senza nome. Quanto a Carestia, all'epoca doveva essere perfettamente in salute, suppongo. 

LO SQUALO DEVE MANGIARE

Un Leviatano deve abituarsi alla fame, deve accettarla e adeguarvisi come a un incontrovertibile dato di fatto. Questo non significa che non sia sgradevole. Non significa che sia accettabile essere guardati dall’alto verso il basso, con quell’espressione di disprezzo e divertimento,  mentre si sbranano per un pezzo di carne. L’orgoglio gli impedisce di tollerare quell’umiliazione.
Ma quando d’un tratto  lascia il pasto per aggredire a fauci spalancate quello che appare un giovane, magro  uomo, al Cavaliere basta allungare la mano con l’anello dalla pietra nera
“Non sono io a farvi questo.” ringhia schiacciando il Leviatano a terra, premendo sul suo petto, prima di andarsene “Questo è ciò che già siete.”
Quando l’Entità lo lascia, il Leviatano è ancora più umiliato e perciò più orgoglioso, più furente e, soprattutto, ancora più affamato;  si giura che non si lascerà più schiacciare al suolo. Ma le cose non vanno così né la volta dopo, né quelle successive.
Ogni volta che Carestia si presenta, il Leviatano vorrebbe solo piantargli le zanne nel collo e sbranarlo, ma, quando il Cavaliere si avvicina, non ne è mai capace. E non sa perché non riesce mai a spalancare la bocca e strappargli la faccia quando L’Entità gliela chiude con  quei baci violenti. Non capisce perché, mentre insulti, imprecazioni e maledizioni si susseguono nella sua mente,  non può impedirsi di farsi guidare dalla Fame, ogni volta che sente il corpo di Carestia, così spigoloso da far male, premuto sul suo.
“Tu mi vuoi.” Gli dice il Cavaliere, premendogli sempre la mano sul petto, e ogni volta il Leviatano vorrebbe solo ribattere , ma il corpo risponde prima, la Fame è più rapida e forte del pensiero.
“Il tuo corpo ha fame, ma ne ha anche di più il tuo spirito.” Dice Carestia “ Tu vuoi il potere. E se vuoi avere  potere devi essere insaziabile.”
E ogni volta il Leviatano non sa perché non riesca a fare altro che cedere a un’attrazione prepotente, odiando sé stesso per il folle piacere che prova.
“Potere o sazietà?” lo provoca Carestia “è ciò che tu stesso vuoi a condannarti, lo sai. E tu vuoi me, sai anche questo.”
Allora, ogni volta, il Leviatano cerca di prevalere almeno nell’atto, ma il Cavaliere ride ed è sempre lui a dominare.
Non importa quanto il Leviatano possa odiare Carestia, arriva sempre il punto in cui non desidera altro che sottomettersi al Cavaliere.
Eppure, ancora non può accettare di non poter  nemmeno per un secondo, in nessun modo vincere questa battaglia, mentre sa di poter battere qualsiasi altro Leviatano, qualsiasi altro mostro, angelo, demone, qualsiasi altra creatura.
Carestia ride aspramente:
“Puoi stare in cima alla catena alimentare, se ti riesce, ma non ne sarai mai fuori.” Gli dice “Puoi vincere tutto, ma non me.”
E ogni volta l’Entità lo lascia più umiliato e perciò più orgoglioso, più furioso e sempre, soprattutto, più affamato.    

 

   
 
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