Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: Yellow Canadair    02/01/2018    6 recensioni
Che fine ha fatto la Ciurma di Barbabianca, quei capitani così coraggiosi che a Marineford avevano combattuto con tanto coraggio? Dov'è finita la flotta più importante del mondo, i figli del vecchio Imperatore caduto in battaglia? Barbanera li ha sconfitti duramente nella "Battaglia della Vendetta", e di loro si sono perse le tracce.
Dov'è Marco la Fenice, lo stratega che tante vittorie aveva regalato ad Edward Newgate?
Gattovipera lo sa, ma chissà se riuscirà a convincerlo a tornare a calcar le scene... visto che è dalla Battaglia della Vendetta che nessuno, nemmeno i suoi fratelli, riesce a parlare con lui.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Fossa, Marco, Rakuyou, Vista
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Notte fonda al Nido dell’Aquila

 

– Si tratta dell’ex comandante della prima flotta dei pirati di Barbabianca – spiegò Gattovipera – Marco la Fenice.

– Ma… dopo quell’incidente di un anno fa… – ricordò Franky.

– Non ci sperate troppo. – guaì mesto Canistrice. – Anche se riuscissimo a trovarlo, le possibilità di farlo unire a noi sono basse. –

Monkey D. Rufy intanto era impegnato a ricordare a chi appartenesse quel nome che gli suonava così familiare. – Ehi! Marco e gli altri hanno lottato contro Barbanera?! – esclamò quando riuscì a fare mente locale, aiutato da Nico Robin.

– Proprio così – confermò l’archeologa. – E dopo quella battaglia, Barbanera ha cominciato a essere riconosciuto come imperatore.

– Se Marco è ancora vivo – sospirò Gattovipera fumando beatamente – C’è solo un’isola sulla quale potrebbe trovarsi: lo andrò a cercare lì con i miei sottoposti. –

 

~

 

Il Mare Occidentale offriva isole impervie, spesso sferzate dai venti, a volte sempre innevate, a volte tartassate da monsoni che duravano diversi mesi, e facevano somigliare le montagne aguzze a imponenti fontane, con i ruscelli che straripavano e sembravano saltare da un’asperità all’altra fino a incontrare il mare freddo, molti metri più giù. Persino le isole estive sembravano sfoggiare niente più che un mite autunno. Discorso a parte per le isole fuori da ogni schema climatico: in alcune le stagioni si alternavano ogni mezz’ora, in altre esisteva solo una perenne tempesta di fuoco verde dove vivevano bizzarre creature che parevano nuotare tra le fiamme, oppure ancora si favoleggiava di un’isola che vagava per il mare su un carro trainato da due giganteschi bufali d’acqua che, abbandonati dal loro palafreniere, continuavano a nuotare in cerca di banchi di alghe.

L’isola La Gomera, fuori dalle tipiche rotte navali, era un’isola tranquilla, il cui clima ricordava una calda primavera. Vento ne spirava poco, a parte qualche libecciata che faceva oscillare i vascelli ormeggiati al porticciolo. I boschi, costituiti da piante imponenti da cui pendevano grosse liane, erano percorsi da centinaia e centinaia di specie diverse di uccelli, alcuni piccoli come falangi e altri grossi come case, che s’insinuavano tra i tronchi con grazia e leggerezza.

Sembrava un’oasi di pace, ma il suo era un terreno infido: ogni granello dei miliardi e miliardi che lo componevano era un organismo vivente vorace e spietato, che non esitava un attimo a ingoiare qualsiasi animale o uomo che avesse osato toccare il suolo. Una morte atroce e quasi istantanea rendeva La Gomera “L’Isola delle Sabbie Mobili Viventi”.

Di buono c’era che quei granelli non si arrampicassero sugli alberi, né su pali piantati, né si avventurassero in acqua.

Tempo addietro vi era stata una colonia su quell’isola, ma nel tempo di due generazioni le persone si erano spostate da lì, preferendo zone in cui mettere un piede a terra non si rivelasse letale. Tuttavia, tale popolazione aveva lasciato quasi intatte diverse palafitte lungo la costa e molte case di legno sugli alberi secolari, un vero e proprio villaggio fantasma sospeso a diversi metri dai mortali sedimenti.

Ed era lì, in quel luogo sconosciuto ai più, che i pirati di Barbabianca si erano nascosti agli occhi del mondo: giornalisti, Marine, civili, mercanti, agenti segreti e forse persino gli imperatori ignoravano la posizione di quella vasta isola come ignoravano la sorte di quella che una volta era stata la ciurma più nota e pericolosa del mondo.

Il villaggio di palafitte abbandonato si era ripopolato, e si era esteso fino a incontrare le case sugli alberi, e scala dopo scala, ponte dopo ponte, i carpentieri della flotta avevano creato un’immensa città sospesa che partiva dalle navi attraccate ai pontili e proseguiva verso l’interno, nel bosco.

Le giornate dei pirati trascorrevano all’ombra dei baobab, tra passerelle tese tra un ramo e l’altro, cacciando uccelli e partendo, di tanto in tanto, per assaltare qualche nave mercantile a parecchie miglia nautiche di distanza, senza lasciare tracce e rimanendo sempre fuori dai radar della Marina.

Gattovipera, scorgendo il profilo dell’isola, sogghignò mostrando i canini aguzzi; un filo di fumo, quasi invisibile nell’oscurità del crepuscolo, confermava le sue supposizioni: Marco era tornato a La Gomera, sua isola natale ora abbandonata, e probabilmente con lui c’era anche il resto della flotta. La sua giornata (cominciata, come suo solito, alle sei pomeridiane) aveva avuto proprio un ottimo inizio ed era finalmente giunto alla sua meta!

Passò il cannocchiale d’ottone a Emil, suo ufficiale in seconda. Emil era un Visone Tigre, nel corpo dei Guardian da quando era poco più di un cucciolo. Ora era un veterano esperto, e la sua specialità era seguire le tracce sul terreno. « Abilità che ti servirà a poco, dove andremo! » aveva ridacchiato Gattovipera prima di partire, ma in quanto ottimo combattente e Visone di piena fiducia, Emil aveva occupato il posto di luogotenente per quella missione senza che nessuno se ne lamentasse.

Emil chiuse l’occhio destro e puntò il cannocchiale verso l’isola: era quasi invisibile, ma loro erano Visoni e per di più felini, e l’oscurità era loro amica. – Non c’è dubbio, è proprio fumo. – confermò. – Do l’ordine di spegnere le luci? –

– Sarebbe il modo migliore per farci sparare addosso. – miagolò il Re della Notte beandosi della sua pipa. – Issate il vessillo del Ducato di Mokomo e fate in modo che sia ben visibile.

 

~

 

– Il Ducato di Mokomo? – scandì lentamente Fossa, incredulo, aggrottando le cespugliose sopracciglia e guardando verso il mare aperto con un binocolo.

– Non c’è dubbio. – rispose Rakuyou, sfogliando un vecchio libro scritto a mano. – È la bandiera di Mokomo.

Esisteva, su un alto promontorio de La Gomera, una sala d’osservazione per monitorare tutta la porzione di mare che circondava l’isola. Di solito era un luogo ottimo per giocare a carte e pisolare, però una nave in avvicinamento con una bandiera grossa quanto le vele, per di più illuminata come una modella in passerella, aveva destato l’attenzione dei pirati di guardia, e i capitani erano stati allertati subito.

Halta, giovane spadaccina, era stata la prima a raggiungere la stanza dalle pareti di vetro, seguita da Rakuyou e infine erano giunti due veterani, Fossa e Vista.

– Ducato di Mokomo? Da che mare provengono? – domandò curiosa, strappando di mano a Fossa il binocolo e puntandolo verso l'obbiettivo: la nave illuminata volava pigramente sull’acqua e sembrava una meteora infuocata, tante le candele che ardevano.

– È storia vecchia. Voi giovincelli non potete ricordare… – ridacchiò Vista stirandosi un baffo tra indice e pollice. – Vecchi amici di papà. – spiegò.

Sorvolò per abitudine sul fatto che il Ducato di Mokomo avesse a che fare con vecchi amici di papà e di Roger… per poi rendersi conto che quella premura, purtroppo, non serviva più.

– Ammesso che siano davvero loro. – avversò Fossa, serio. – Potrebbe essere una trappola! –

– Beh, se non sono loro… che sbarchino pure! – rise sguaiato Rakuyou chiudendo di scatto il libro che stava consultando, dove erano disegnati tutti i simboli e le jolly roger incontrati dalla compianta Moby Dick nel corso degli anni.

Halta cominciava a innervosirsi: perché nessuno le diceva qualcosa di completo? Fu Vista, di nuovo, ad avere pietà di lei: – Sono vecchi amici, forse gli unici al mondo a conoscere quest’isola. È storia di più di vent’anni fa: alcuni abitanti di Mokomo, una città costruita sul dorso di un elefante che vaga per i mari, viaggiarono sulla Moby Dick con noi per qualche tempo. – il Quinto Comandante sorrise a quei ricordi, sembrava un’altra vita. – E se sono qui, sarà per un motivo serio. Gattovipera e Canistrice del Ducato di Mokomo, due Visoni, erano la scorta di Lord Oden, ultimo rampollo del regno di Wano.

– Wano? Non è un regno ostile ai contatti con l’esterno? – si ricordò la giovane.

– Se sono intrusi, la sabbia di Gomera farà il suo lavoro. – concluse Fossa.

– Non credo siano intrusi… avete visto chi c’è a prua? – fece la Spada Fiorita, che aveva ripreso il binocolo. Il vascello illuminato era abbastanza vicino da poter distinguere chi ci fosse a bordo.

– Quel vecchio pazzo di Gattovipera! – rise Fossa, guardando il Visone impettito sul ponte di prua.

– Avvertiamo Marco? Del resto, a quei tempi… e poi probabilmente è qui per parlare con lui.– azzardò Rakuyou.

Vista e Fossa ammutolirono, esitando. Halta ne approfittò e tornò a guardare la nave illuminata con il binocolo.

I Comandanti si guardarono.

– Forse qualcuno gliel’ha già riferito. – osservò Fossa – Le voci corrono e lui ci sente bene –

– Non credo. Solo noi capitani saliamo fino al Nido dell’Aquila. –

Vista si fece carico del comando. – Andiamo incontro alla nave. Forse hanno qualche notizia dall’esterno, forse riusciranno a parlare con Marco. O forse non è nulla di grave, e non ci sarà bisogno di andare a disturbarlo.

Halta faceva finta di non ascoltare, ma non si perdeva una sillaba dei discorsi dei suoi fratelli. Non le piaceva la situazione in cui si era confinato Marco, però… però purtroppo non era una questione che si potesse risolvere con un sano pugno. Ci aveva provato lei, ci avevano provato Fossa e Jaws. In maniera più diplomatica ci avevano provato Izou e Vista. Nulla aveva funzionato.

Anzi, una cosa aveva funzionato, ma era servita solo a far sorridere la Fenice: la nascita della figlia di Jaws. Quando la piccola era andata via, il cupo manto della disperazione era tornato sul Primo Comandante, e il sorriso che la piccola gli aveva strappato era sparito.

E certo non si potevano sfornare bambini a profusione per far riaccendere in Marco un qualche interesse per la vita.

 

Gattovipera, smentendo il pessimismo di Fossa, era originale, in carne e pelo come al solito, anche se con una zampa in meno e qualche ruga in più. Ma era così vitale e felice che nessuno o quasi ci fece caso.

I suoi Guardian rimanevano nelle retrovie a guardare con sospetto i pirati e soprattutto i granelli assassini su cui Gattovipera li aveva largamente messi in guardia.

– Fossa! Vista! – riconobbe il Visone abbracciando i vecchi amici sul molo. – Tu, tu sei… quello che ruppe una cassa di sakè sul tappeto di quello scemo del cane! Sei… sei…

– Blenheim – rispose truce il diretto interessato.

– Complimenti, come ti sei fatto grande! – si congratulò Gattovipera, per nulla intimorito, guardando l’omaccione alto circa quattro metri.

Poi si girò verso gli altri capitani, alcuni però erano volti nuovi. – Izou, il pistolero del Mare Corto – disse girandosi verso il Sedicesimo Comandante. – Ho sentito molto parlare di te. –

Izou rispose chinando il capo in segno di ringraziamento: non era il tipo da grandi discorsi, ma conosceva bene la sua meritata fama.

– Ma… manca qualcuno o sbaglio? E il vecchio Jaws? E soprattutto… – si girò verso Vista. – Marco dov’è? I giornali lo davano per ancora vivo, l’anno scorso. –

Un silenzio penoso seguì le parole di Gattovipera.

– Curiel è morto durante la Battaglia della Vendetta, e Speed Jill subito dopo. – spiegò la Spada Fiorita chinando la testa e togliendosi la tuba dal capo. I volti dei comandanti si fecero tristi. Però sorrisero quando Vista continuò dicendo: – Jaws è fuori, al momento. Qualche mese fa è diventato padre e sta andando da sua figlia e dalla sua signora! E Marco è vivo, però… –

 

~

 

Ottocentoventi gradini separavano il Nido dell’Aquila dalla prima piattaforma del villaggio; trentacinque metri e ottantatre centimetri dividevano Marco la Fenice dal più superficiale dei granellini assassini: il Nido dell’Aquila era in alto, lontano dagli altri alloggi, sferzato dai venti e gelido come un’isola invernale.

Ma nonostante la distanza fisica, ogni capitano saliva spesso e volentieri quei maledetti ottocentoventi gradini. Non gli importava che il fratello li guardasse soltanto, rigido e altero, impenetrabile come una fortezza, e che rifiutasse di parlare.

Per molti di loro Marco era stato il primo a tendere una mano, e avrebbero fatto altrettanto finché quello stupido dal cervello di pennuto non si fosse deciso ad afferrargliela.

Così Halta sbuffò davanti alla porta chiusa e l’aprì girando il pomello. Marco non chiudeva mai con la chiave, perché sapeva benissimo che i fratelli avrebbero scassinato la serratura o buttato giù l’intera porta, parete compresa, quindi tanto valeva risparmiare del lavoro ai carpentieri.

Dentro c’era il solito disordine, inusuale per un maniaco dell’ordine come Marco: il letto matrimoniale sfatto, le lenzuola divelte, la scrivania coperta da vecchi diari di bordo e da libri. Fogli appallottolati, lumacofoni di cui era rimasto solo il guscio, polvere, la foschia di una mente alla deriva. E piume, piume azzurre e oro da riempirci decine di cuscini che rotolavano spinte dal vento che entrava dalla porta e dalle finestre dai vetri rotti.

– Marco, è arrivata una nave per te! –

Marco, sul letto, sollevò la testa e la guardò, apatico come al solito.

– Dal Ducato di Mokomo! – completò la spadaccina, sperando di impressionarlo.

Uno degli archi perfetti che erano le sopracciglia di Marco si alzò, meravigliato. Poi piegò il lungo collo e tornò a dormicchiare sul vecchio letto, che occupava la parte più remota della stanza, quella opposta alle finestre.

– Marco, ti prego! Esci! Vieni a vedere! Il capitano è un gatto! Un gatto enorme, con i baffi, la pelliccia e tutto! –

In cuor suo, Marco sorrise. Era naturale che Halta, con poche primavere alle spalle, trovasse ancora strani certi incontri. Oppure era una bugia, l'ennesimo trucco per farlo catapultare fuori dal suo nido; non ci sarebbe cascato neanche questa volta.

 

~

 

I Comandanti (dei sedici originari erano rimasti in dodici) avevano fatto accomodare Gattovipera in un grande salone nella palafitta principale, una costruzione che si innalzava su sedici pali di legno grossi e robusti nel bel mezzo della spiaggia principale, al limitare della foresta dentro la quale, di frasca in frasca, scorazzavano i pirati e si scambiavano notizie circa l’avvenimento del giorno, l’arrivo degli ospiti. Era la prima volta in un anno che avevano visite!

Gattovipera aveva fatto ormeggiare la sua caravella in un porto naturale dove erano alla fonda le navi dei capitani; con un sistema di ponteggi erano tutte collegate alla terraferma, e una passerella conduceva sulla spiaggia. Era alta da terra circa un metro, una distanza di sicurezza più che sufficiente dai famelici granelli: pur senza soffrire di vertigini, a Fossa veniva sempre un vago senso d'inquietudine a guardare giù.

Nonostante l'ora tarda (era da poco passata mezzanotte, non era proprio un orario da riunione) i Comandanti furono immediatamente convocati dai rispettivi luogotenenti e ben presto tutte le sedie della sala furono occupate.

Tutte meno una: quando la sala era stata ultimata, i ragazzi ancora speravano che Speed Jill riuscisse a superare anche quella battaglia ma alla fine il coraggioso Capitano si era arreso, e la sua sedia era rimasta lì. Idealmente, era rimasta a ricordo suo, di Curiel, di Satch e di Ace. "Per il babbo" avrebbe detto proprio il giovane caduto a Marineford "non sarebbe grande abbastanza".

Vista prese la parola: – Vedi, da quando c’è stata quella battaglia, da quando molti di noi sono morti, Marco… non si è più ripreso. – spiegò.

– Il giornale ha dato notizie tragiche – commentò il Re della Notte. – Non dev’essere stato facile, per lui.

– In parte la colpa è nostra… – mormorò Halta torcendosi le mani.

– Non potevamo saperlo, all’epoca. – disse secco Izou, seduto accanto a lei.

– Di cosa parlano? – domandò Gattovipera alla Spada Fiorita, che in quel momento faceva le veci di Marco e si occupava di fare gli onori di casa.

– Dopo la battaglia di Marineford abbiamo nominato Marco Comandante di tutti noi. Questo gli ha scaricato addosso, nella sua testa, la responsabilità di quanto successo dopo… siamo andati volontariamente a cercare Teach per vendicare Ace e il babbo, credevamo di avere la potenza bellica necessaria a ucciderlo. Marco aveva studiato un piano con i fiocchi, aveva preso in considerazione ogni imprevisto, credimi… –

– Era strategia allo stato dell’arte – tuonò Izou, nel silenzio che s’era fatto. – Purtroppo quello che abbiamo visto alla Battaglia della Vendetta è andato contro ogni umana immaginazione –

– E dopo quella sconfitta Marco vi ha condotti qui per poi ritirarsi come un eremita? – concluse il Visone.

– Credo che nei suoi piani volesse semplicemente portarci al sicuro, non confinarci – disse Vista – Ma come potevamo abbandonarlo? Comunque, non c'è modo di chiederglielo.

– Non sarà in coma?! – si spaventò il gattone.

– No: ma dalla Battaglia della Vendetta non è più tornato in forma umana. –

 

~

 

Alla luce delle fiaccole, il grande Gattovipera salì gli ottocentoventi scalini che separavano il pericoloso suolo dell’isola dalla camera da letto dove si era rifugiata la Fenice. Forse Marco stava dormendo: in effetti erano quasi le tre del mattino, non era l’ora più consona per parlare con qualcuno, ma Gattovipera aveva un bioritmo notturno e quando sarebbe arrivata l’alba sarebbe crollato nel mondo dei sogni.

Bussò con la zampona sul legno chiaro della porta, ma non venne risposta.

Bussò di nuovo. Stesso silenzio.

Vista, che era con lui, lo fece fare da parte e lo precedette, aprendo con precauzione la porta.

– Marco – chiamò piano – Stai dormendo? Qui c’è un tuo vecchio amico… è venuto da lontano e ha bisogno del tuo aiuto. – e fece cenno al Gattovipera di avvicinarsi.

Fossa, il Quindicesimo Capitano, chiuse la piccola processione ed entrò in ultimo.

Il Re della Notte varcò la porticina della stanza, chinandosi un po’ e stringendosi perché era davvero piccola per la sua corporatura massiccia. Non era un tipo molto ordinato, lui, ma notò immediatamente la quantità di oggetti sparsi per la stanza: la cassettiera alla destra della porta aveva i cassetti strapieni, alcuni abbandonati a terra come se qualcuno li avesse divelti, le finestre al di sopra delle cassettiere avevano i vetri rotti e l’aria della notte entrava ora impetuosa, ora lieve. Un piccolo uscio, alla sua sinistra, portava a un piccolo bagno dove c’era soltanto un vecchio vaso di ceramica, un lavandino con una manopola sola e, seminascosta dietro la porta divelta, una doccia. La porta di legno aveva segni di graffi e macchie scure. Gli stessi segni, che sembravano ora artigli e ora unghie umane, erano incisi qua e là sulle pareti. In un punto remoto però si accavallavano e si confondevano: sulla parete accanto al vecchio letto, in fondo a sinistra, letto che aveva solo il materasso sporco. Le lenzuola stavano, divelte e polverose, in un mucchio grigiastro che spuntava dall’armadio aperto.

Ovunque c’erano piume azzurre e dorate, posate su mobili e libri, e tremavano al vento. Quando entrava una folata più forte venivano spazzate via, fino a rintanarsi quasi spaventate tra la porta d’ingresso e quella del bagno.

E al centro del letto, con la testa ficcata sotto l’ala, c’era Marco. Non brillava come a Marineford, non era che l’ombra della sfavillante Fenice che tutti conoscevano e temevano: le piume erano arruffate, opache, e la luce fioca della fiaccola non serviva a nascondere il profondo malessere di quell’anima in pena.

– Marco, svegliati. Visite. – cercò di scuoterlo Vista.

Fossa girò attorno al letto (che non era attaccato al muro, c’era un po’ di spazio per passare) e andò dove sapeva esserci la testa di Marco, invisibile ai più perché lui la metteva sotto l’ala per dormire, proprio come gli uccelli veri.

– Marco – lo chiamò serio. – Quel tipo ha fatto un sacco di strada per vederti. Devi tirarti su. – disse in modo che nessuno lo potesse sentire.

Si vergognava per il fratello, di quelle condizioni pietose. Fosse stato per lui, l’incontro si sarebbe dovuto svolgere lontano dal Nido dell’Aquila, nella grande e luminosa sala da pranzo della vecchia Emerald Phoenix, la nave di Marco, ma non c’era verso di spostare il suo capitano da mesi.

Un fremito involontario delle piume incoraggiò Gattovipera a parlare. Anche lui si sentiva un po’ a disagio, nonostante i fratelli di Marco avessero fatto di tutto per prepararlo a quello che si sarebbe trovato davanti.

– Buonasera, Marco! – esordì – Ti ricordi di me? –

Al suono di quella voce la Fenice incredula spalancò gli occhi e si girò di scatto verso il visitatore. Scettico come suo solito, non aveva creduto alle voci che gli erano arrivate.

Gattovipera ridacchiò. – Sei proprio come ti avevo lasciato. Letto e schifezze a parte. –

Vista e Fossa avrebbero sperato che a quelle parole Marco reagisse, ma loro avevano già provato con tutto il repertorio: insulti, minacce, ironia, sarcasmo, persino dolcezza e retorica, nulla aveva funzionato. Anche la violenza fisica era servita a poco, e sì che più volte avevano rischiato di mandare dei poveri innocenti in pasto ai granelli, diversi metri più in fondo.

Ma passato un primo momento di sorpresa, Marco aveva ripreso il solito atteggiamento enigmatico e ora fissava altero il Visone.

– Vado dritto al sodo, Marco. Ci sono dei problemi a Wano. –

– Andiamo, Fossa. C’è da controllare il settore nord–est. – tuonò Vista.

Fossa, ben consapevole che non esisteva nessun settore nord–est, capì che bisognava lasciare soli i due vecchi amici e andò via con il Quinto Comandante.

Marco era contrariato da quella presenza, ma non osò scacciare Gattovipera; da un lato aveva fatto un lungo viaggio per parlare con lui, dall'altro era curioso. Aspettò che fosse il Visone a parlare, cosa che non accadde immediatamente.

Gattovipera si stirò sbadigliando, guardò il cielo notturno e sospirò. Si sedette sulla scrivania con un piccolo balzo dopo essersi ritagliato un po' di spazio dalle scartoffie, poi prese uno scovolino dalla tasca del variopinto abito e si mise a pulire la pipa, che accese e cominciò a fumare.

– Allora, Marco – disse finalmente – Cosa mi racconti di bello?

La Fenice si mosse sul letto, senza sollevarsi troppo dal materasso. Si girò verso Gattovipera e lo fissò torvo con ostentazione.

Ma l'ospite non si lasciò intimorire, miagolò una risata e rispose: – Ho viaggiato per giorni e ho voglia di chiacchierare! Mi dispiace per te ma non me ne andrò così in fretta! –

E tenne fede a quanto detto.

– Rufy ha detto che vuole ringraziarti per la storia di Marineford... quel ragazzino è tremendo! Una stampa e una figura con Roger!

Frugò nell’armadio con l’intenzione di ripiegare le lenzuola aggrovigliate sul fondo, ma poi si limitò a rimetterle dentro e a chiudere le ante.

– I tuoi carpentieri hanno fatto un lavoro eccellente, su quest'isola. Non si sente neppure la mancanza del suolo. Ma per verdure e ortaggi come fate? Non rispondi, uhm? Me lo farò dire da Vista.

Si inginocchiò per sbirciare sotto al letto e cavò fuori una pallina di carta con la quale giocò goduriosamente per venti minuti.

– Scommetto che te l'hanno già detto, ma sei l'ombra di quello che ricordavo. Ma non preoccuparti, come loquacità non sei cambiato!

Dopo parecchie chiacchiere, Gattovipera si fece serio, e cominciò a parlare della terribile situazione in cui versava Wano, del giuramento che lo legava ai signori di quella terra, dei soprusi che le persone subivano. Raccontò di come Mokomo avesse fronteggiato le truppe di Kaido, e di come si fossero incontrati con la ciurma di Monkey D. Rufy.

– Abbiamo bisogno di te e dei tuoi fratelli, Marco. Lo so che un fallimento brucia, ma sotto quelle vecchie piume c'è un eccellente stratega. Ed è quello stratega che voglio al mio fianco. Riprenditi il ruolo che ti aveva assegnato Edward. Ricordi? Ti sentivi felice solo quando architettavi i tuoi piani, ed è anche grazie a quei piani che siete diventati flotta imperiale! Non ricordare persone che non ci sono più... devi ricordarti di chi eri, quando la forza di quelle persone brillava dentro di te. Permetti alla forza di tuo padre e dei tuoi fratelli di tornare a brillare, Marco! –

Gattovipera sospirò alzandosi. La pipa era ormai spenta, le stelle in cielo erano più pallide: l’alba si stava avvicinando.

– Non pretendo che tu mi risponda ora. Ma pensaci su. – miagolò andandosene.

Quando fu andato via, il Nido dell’Aquila ripiombò nella quieta solitudine buia.

 

– Marco – chiamò una voce, entrando. La Fenice si limitò ad aprire un occhio, sotto l’ala. Era suo fratello Vista. Il buon vecchio Vista, che doveva portare via tutti i fratelli da quel posto infame e lasciarlo marcire lì, e invece era caparbiamente rimasto e non solo: aveva ridato vita all’isola, facendola diventare così popolosa da ricordare a Marco la propria infanzia, prima che i granelli di sabbia sbranassero tutti. Tutti tranne lui, il mostro che sapeva volare e non aveva bisogno di toccar terra.

La Spada Fiorita entrò, disarmato e senza la sua tuba, come al solito quando la mattina era pigra, e non c’erano nemici salvo quelli dentro la testa di Marco. Il Capitano della quinta divisione si fermò sulla soglia, e osservò un cumulo di piume azzurre che era diventata la Fenice.

– Gattovipera ti ha fatto una proposta, ieri – disse – E ti lascerà qualche giorno per pensarci, sarà nostro ospite. Aspettati di vederlo tornare quassù, non è uno che molla l’osso facilmente –

Aspettò qualche istante una reazione di Marco, che non ci fu, e poi aggiunse. – Ti ricordi l’ultimo ordine di papà? –

Marco deglutì e aprì gli occhi, ficcato sotto l’ala.

L’ultimo ordine di Edward Newgate ai suoi figli. E a lui.

– Difendere Cappello di Paglia. Proteggere la sua avanzata. Papà non lo concedeva a chiunque, lo sai meglio di chiunque altro. –

E detto questo, lo spadaccino se ne andò.

 

Alla sera, una mano girò il pomello della porta del bagno, lassù al Nido dell’Aquila, e l’acqua della doccia, a spruzzi e singhiozzi, cominciò a fluire.

 

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Ciao a tutti e grazie per aver letto questa storia! Era un sacco che volevo dire la mia su "come" Gattovipera (o Nekomamushi, o Cat Viper, a seconda delle traduzioni) avrebbe ritrovato Marco dopo che lui e la sua ciurma sono scomparsi dai radar dopo la pesante sconfitta subita da Barbanera.

In realtà questo capitolo doveva essere inserito in una long, il seguito di "Flyin' High - il volo del Canadair", che però per vari motivi non credo vedrà mai la luce. Però ci tenevo a pubblicare la mia personale visione della sconfitta di Marco prima che Oda ci riveli il canon, e quindi eccola pubblicata! Ho tolto ovviamente i riferimenti a quella storia, salvo uno: la nascita della figlia di Jaws! Era una cosa che mi piangeva il cuore togliere, e tutto sommato possibile nel canon (insomma, non è così assurdo che uno dei capitani nei due anni di timeskip abbia avuto un figlio), quindi ho conservato questo dettaglio!

"La Gomera" esiste davvero, si trova nelle Canarie, e qui è parlato il Silbo Gomero, un linguaggio fischiato utilizzato in passato dai pastori per comunicare a vari chilometri di distanza. Ed ecco da dove mi è venuta l'idea di un'isola abitata prevalentemente da uccelli, perfetta per dare i natali a Marco La Fenice. I granelli di sabbia cannibali, purtroppo, non esistono.

Anche il Nido dell'Aquila esiste davvero, ed è... il modo in cui KikiShadow93 chiama la sua camera! grazie per avermela "prestata" per Marco! ♥ 

Grazie a tutti per aver letto fin qui ♥ un abbraccione forte forte,

Yellow Canadair

ps. chiedo aiuto ai lettori: nell'elenco dei personaggi non c'è il povero Gattovipera! Potreste votare per aggiungerlo alla lista dei personaggi? Grazie infinite! (e già che ci siete, votereste anche per Hattori e per Stussy, due personaggi che vorrei inserire nelle mie prossime storie ma non posso? così anche altri autori potranno inserirli nelle loro, se vorranno!) Grazie ♥♥♥ basta andare nella pagina principale delle storie di One Piece e cliccare in alto a destra alla voce "aggiungi personaggi"! 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Yellow Canadair