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Autore: 2015robin    06/01/2018    3 recensioni
"Una ragazza pensa al suo amore perduto.
Perduto per sempre, sotto gli spietati colpi della "grande guerra".
Ma qualcosa le rimane ancora di lui, oltre al semplice ricordo dei loro momenti d'amore.
Ed è proprio questo che le darà la forza di continuare; lei che a questa guerra è invece sopravvissuta."
E ciò che le è accaduto, è comparabile per lei a quel temporale che si avvicina....
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Dopo aver pubblicato su sezioni di fanfiction, approdo qui sugli inediti con questa breve storia. Questo piccolo racconto ambientato al termine della prima Guerra Mondiale, l'ho scritto moltissimo tempo fa per partecipare ad un concorso.
Sarebbe stato quindi valutato e, se ritenuto idoneo, pubblicato poi su un giornalino locale della mia città.
Nessun premio particolare quindi, ma quando ricevetti a casa una busta contenente alcune copie del giornalino con il mio racconto pubblicato, fu per me una bella soddisfazione. Io che appunto non mi classifico una'autentica scrittrice.
Rimasto nel cassetto per molti anni ho deciso ora di pubblicarlo, visto che ho aperto questo account di autrice e che all'epoca in cui l'ho scritto non c'erano siti come questo.
E' una piccola storia proprio perchè il concorso richiedeva scritti che non superassero un certo numero di battute.
Non mi resta quindi che augurarvi una buona lettura.

Robin
 

Dopo un temporale


Si sedette sulla panchina. Era passato un mese dall'arrivo della lettera dal fronte.
Poche parole, fredde, vuote. Era morto. Lui era morto.
Il dolce pensiero del mattino e il fremente tormento della sera, in lei, erano morti.
Morti con lui.
Per una settimana aveva pianto chiusa in casa. Quella stessa casa dove lo aveva invitato a bere un tè, il primo giorno in cui si erano conosciuti.
Spesso lei si stendeva sul letto, nella speranza di sprofondare in un sonno consolatore che spazzasse via tutti i pensieri dalla sua mente stanca e disperata. Invece si trovava abbracciata al cuscino dove lui aveva appoggiato il capo, quella sera in cui si erano amati per la prima volta. Erano seguite poi altre stupende notti con lui, tra le sue braccia, prima che quella maledetta guerra desse loro sporadiche possibilità di incontri nei pochi giorni di licenza concessi.
Una guerra mondiale.
Guerra: faceva paura solo a nominarla.
Mondiale: il solo concetto di quella parola atterriva.

L'aveva aiutata a salire a cavallo, quel lontano giorno al maneggio. Le aveva fatto fare un giro nel bosco limitrofo tenendole le briglie, poichè lei non sapeva cavalcare. Poi, rientrando dalla passeggiata, le aveva promesso che le avrebbe insegnato a cavalcare all'amazzone e poi all'inglese, quando fosse stata più sicura. Sarebbe quindi stato meglio che la volta successiva avesse indossato dei pantaloni.
Era stato proprio così il loro primo incontro. Avevano chiacchierato tutto il tempo durante la passeggiata, e quando lui si era offerto di riaccompagnarla a casa, lei aveva accettato arrossendo timidamente. E nella sua mente, era vivo il ricordo di quel primo bacio. Lei con la schiena appoggiata al muro che precedeva la cancellata della sua abitazione. Le labbra tra quelle di lui, e il contatto con il suo corpo mentre la stringeva teneramente a sè.
Un colpo di fulmine. Così si poteva definire ciò che era accaduto tra loro.
E da quel giorno si erano visti senza interruzione. Lei lo faceva salire di nascosto in camera sua quando la madre, vedova, dormiva nella stanza al piano terra con la porta chiusa.
E nel silenzio della notte si amavano e cullavano fino all'alba, promettendosi sotto voce mille follie.
Di giorno si vedevano al maneggio, e le passeggiate nel bosco erano divenute una scusa per stare abbracciati in riva al fiume a ridere, a baciarsi e a perdersi l'uno negli occhi dell'altra.
Fino al giorno in cui lui era partito per il fronte. L'ombra della guerra era calata su di loro. Sul loro amore e sui loro progetti.
Le lacrime e i baci contro ogni pudore, là alla stazione. Le promesse. Le mani intrecciate a quelle di lui, appoggiate al finestrino aperto del treno che lo avrebbe portato lontano.
Avevano l'impressione di essere soli, quel giorno.
Soli con il loro dolore di separarsi.
Soli con la loro paura della guerra.
Soli contro quel destino avverso.
E il dolore più grande, quello insostenibile e inconsolabile, dopo tempo arrivò.
Un tempo fatto di lettere tristi e angosciate; alcune piene di amarezza, altre piene di speranza.
Una speranza che si era affievolita in un ospedale da campo e che poi era morta lasciando tristezza e odio.
Sì, perchè lei quella guerra la odiava. E ancor più odiava sè stessa per esserle sopravvissuta.
Pensava, in una sorta di consolazione, che forse le cose per rimanere eterne devono avere un tragico decorso. E così per potersi amare per sempre, all'infinito e nello stesso modo per l'eternità, si dovrebbe morire nello stesso istante in cui si sente di essere arrivati al culmine del sentimento.
Che sciocca teoria. Eppure se fosse morta in quell'istante, il suo cuore si sarebbe perso nell'oblio dei sensi, per poi incontrarsi e avvinghiarsi a quello di lui nello spazio infinito.
Tutte riflessioni che nascevano da un umano bisogno di placare quel dolore che pungeva come uno spillo piantato sul cuore.
E quel senso di vuoto che non la abbandonava mai, le marchiava l'anima.
Sopravvivere. Ancora. Ma non per nulla..
Si asciugò la lacrima che le rigava il viso e si abbassò sugli occhi la veletta del cappellino nero.
Nero come il suo abito e come i suoi pensieri.
Si alzò e iniziò a passeggiare.
Guardò un bambino che correva lungo il viale alberato, e pensò che tutto non era accaduto per niente.
Niente era accaduto per caso.
Una piccola parte di lui viveva ora in lei e, giorno dopo giorno, sarebbe divenuta la cosa più importante della sua vita. Si sfiorò il ventre con una mano, quasi per assicurarsi che nessuno le avesse portato via il suo ultimo sogno. Poi si fermò e volse lo sguardo al cielo.
Socchiuse gli occhi pensando che lui sarebbe rimasto per sempre nel suo cuore, al sicuro, e che suo figlio lo avrebbe amato attraverso lei.
Anche la sofferenza ha e deve avere un limite. E quando lo si raggiunge si deve scegliere.
Si può scegliere di morire, o si può scegliere di vivere per amare ancora, forse in un modo in cui non si sperava più di poter fare.
Ci avrebbe provato con tutte le sue forze.
Si udì in lontananza il tuono del temporale.
Lei si avviò verso casa, la mano ancora sul ventre e un leggero sorriso sulle labbra.
Guardò ancora il cielo cosparso di nubi scure, e una goccia le cadde sul viso.
Un temporale può fare miracoli. Spazza via tutto, pulisce, lava. Non di sicuro i ricordi, quelli no. Ma almeno fa tornare il sole più limpido di prima.
E in quell'istante capì che per provare a guardare al futuro, nella sua vita era ora che piovesse.

                                                                           fine

Ringrazio chi ha gentilmente letto.


   
 
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