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Autore: AthenaKira83    06/01/2018    3 recensioni
La vita di Magnus cambia improvvisamente quando un avvocato si presenta da lui rivendicando, sul figlio Max, il diritto del padre naturale.
Per amore del bambino, l'uomo è disposto a ritornare a casa ed ad incontrare il famigerato individuo che minaccia di frantumare la sua felicità.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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New York, 8 anni prima

Un fulmine squarciò il cielo plumbeo. Il rumore del tuono, che arrivò poco dopo, riuscì a coprire a malapena il grido di piacere che la donna bionda si lasciò sfuggire dalla labbra morse a sangue, nella vana speranza di non farsi sentire. Imprecò sommessamente, mentre stringeva, con più forza, il bordo della scrivania su cui era piegata.
Una risatina roca ed affannata le accarezzò l'orecchio sinistro.
"Shhh!" la ammonì, divertito, il ragazzo alle sue spalle, mentre spingeva ritmicamente dentro di lei.
La donna lo ignorò e continuò ad assecondare quegli assalti che la condussero ben presto all'apice del piacere, seguita a ruota dal compagno.
"Per Lilith!" esclamò soddisfatto il ragazzo, ansando e risistemandosi i pantaloni.
"Stai migliorando!" si complimentò la donna, alzandosi e girandosi per fronteggiarlo.
Il ragazzo le sorrise orgoglioso. "Faccio parecchia pratica!" rispose allegro.
Una fitta di gelosia, tanto acuta quanto inaspettata, saettò nel petto della bionda. Scosse la testa, come a voler scacciare quella fastidiosa sensazione, rimise a posto la gonna e la camicetta e si piegò per raccattare le mutandine gettate a terra neanche dieci minuti prima. Si avvicinò felina al giovane e gliele ficcò nella tasca posteriore dei jeans, palpando, visto che c'era, la natica soda che sentiva sotto le dita. Quel moccioso aveva un corpo perfetto per avere solo vent'anni.
"Quando lo rifacciamo?" chiese, in punta di piedi ed ad un soffio dalle sue labbra, pentendosene un attimo dopo, perchè ora sarebbe sembrata un'odiosa ragazzina alla prima cotta.
Non era, però, riuscita ad evitare quella domanda. Le sarebbe piaciuto avere un atteggiamento algido con lui, cosa che le riusciva perfettamente nella realtà di tutti i giorni con le altre persone, ma da quando erano iniziati quegli incontri clandestini, attendeva quella deliziosa ed eccitante evasione con sempre più maggiore trepidazione.
Non sapeva se era tutto merito del ragazzino, che riusciva a farle raggiungere l'estasi come non c'era mai riuscito nessun altro, o se era per l'ebrezza del peccato, visto che era assolutamente proibita quella tresca che, invece, era nata e continuata nel tempo. Forse per entrambe le cose, decise.
"Non lo so! Devo andare. Ho altre commissioni da fare. Ci vediamo!" le disse, per tutta risposta, il ragazzo, allontanandosi da lei ed uscendo dalla stanza.
La donna incrociò le braccia al petto, irritata. Odiava quando si comportava così. Quel mocciosetto, alla prossima occasione, avrebbe dovuto sudare sette camicie per tornare a trastullarsi con lei!
Sospirò seccata ed iniziò a sistemarsi per tentare di eliminare ogni possibile traccia di quello che era appena successo. Si accorse, con grande disappunto, che c'era uno strappo sulla gonna. Il tessuto doveva essersi impigliato da qualche parte quando il ragazzino l'aveva presa e sbattuta sulla scrivania. Avrebbe dovuto gettarla ed era un peccato, perchè era una delle sue preferite. Dannato moccioso!
Si girò di scatto non appena sentì richiudersi, dietro di lei, la porta della stanza.
"Oh cielo!" esordì, portandosi la mano al petto. "Mi hai fatto prendere uno spavento!" sorrise, mentre l'uomo che era entrato nello studio si avvicinò a lei. "Sei tornato presto!" osservò.
Lui non parlò, limitandosi a trapassarla con un'occhiata glaciale che le fece rizzare i peli dietro la nuca. Oh oh. Era arrabbiato. E parecchio anche.
"Tesoro, c'è qualcosa che non va?" chiese, con la voce più mielosa che riuscì a tirare fuori, appoggiando il palmo della mano sulla sua guancia.
Che sospettasse qualcosa? No, non era possibile. Lei ed il ragazzino erano sempre stati estremamente cauti. Certo, in quel preciso momento, suo marito sarebbe dovuto essere in viaggio di lavoro, anzichè davanti a lei, ma questo non significava che era stata scoperta.
L'uomo prese tra le dita il polso della donna e strinse, dapprima leggermente, poi sempre più forte.
"Ahi! Mi stai facendo male!" lo avvertì la donna, tentando di sottrarsi a quella morsa, senza tuttavia riuscirci. Non era spaventata, ma cominciava ad agitarsi.
Il manrovescio che le arrivò all'improvviso, però, le fece piegare la testa di lato e schizzare il cuore in gola. Boccheggiò, sia per lo shock che per la botta ricevuta. Ora, era il momento di iniziare ad avere paura.
Guardò smarrita, e con le lacrime agli occhi, l'uomo di fronte a lei. "Perchè?" fu tutto quello che riuscì a chiedere, prima che una scarica dolorosa la trapassasse da capo a piedi.
Con occhi sbarrati di incredulità, abbassò lo sguardo verso il proprio ventre. Un manico dorato, e finemente lavorato, spiccava sul bianco candido della camicetta e su una macchia rosso scuro che stava inzuppando velocemente il tessuto.
Rialzò gli occhi sull'uomo, che la guardava imperturbabile, e sentì distintamente la lama ritirarsi dalla sua carne per poi affondare di nuovo in lei, in un altro punto.
Avrebbe voluto urlare, ma le uscì solo un verso strozzato, mentre la macabra danza del coltello continuava ancora, e ancora, e ancora.
In un ultimo lampo di lucidità, mentre si accasciava al suolo, si rese conto che stava morendo, che lui la stava uccidendo.
L'ultima cosa che sentì, prima di sprofondare definitivamente nel buio che la stava risucchiando a sè, fu la risata terrificante dell'uomo.

Il temporale era finalmente cessato e Magnus camminava lentamente lungo il marciapiede, fermandosi, di tanto in tanto, ad osservare le vetrine.
Gli sarebbe piaciuto entrare in ogni negozio ed uscirne pieno zeppo di sacchetti, ma la banca gli aveva bloccato, per l'ennesima volta, la carta di credito perchè il conto corrente era in rosso. Accidenti! Quei damerini in giacca e cravatta non riuscivano a capire che per lui avere l'ultimo modello di quelle scarpe favolose o quella camicia assolutamente fantastica, che di certo non trovavi al mercatino dell'usato, non era uno sfizio, ma questione di vita o di morte! Insomma mica poteva andare in giro vestito da straccione, no?
Passò oltre una vetrina che l'aveva particolarmente affascinato, ma ritornò sui suoi passi quando decise che la giacchetta borchiata, che aveva ammirato per un numero imprecisato di minuti, era troppo bella e non poteva lasciarla su quel manichino inespressivo. Sarebbe stato un reato!
Se non ricordava male, doveva avere almeno duecento dollari nel portafoglio. Bastavano eccome. Si tastò, quindi, le tasche dei jeans.
Su quella di destra trovò le mutandine di Camille: le prese, schifato, e le gettò nel bidone dell'immondizia là accanto. Quando mise la mano nell'altra tasca, però, scoprì di non averlo più con sè. Cazzo! Doveva averlo perso mentre si dava da fare con la donna!
Sarebbe dovuto tornare a riprenderlo, rivedendo, così, la bionda. La cosa, però, anzichè eccitarlo, lo seccava enormemente perchè, sì, lei era molto bella e con le curve al posto giusto, ma stava diventando troppo appiccicosa per i suoi gusti. Avrebbe dovuto dare retta al suo istinto e non accettare di incontrarla nuovamente, dopo la prima scopata.
Magnus non era fatto per le relazioni stabili. A lui piaceva, infatti, svolazzare di fiore in fiore e farsi uomini o donne (od entrambi, perchè no?!) diversi ogni giorno.
Camille, però, era stata così insistente che, alla fine, aveva ceduto. Non che gli fosse dispiaciuto, anzi, ma era giunto il momento di troncare quel rapporto, fin troppo particolare rispetto ai suoi soliti standard, soprattutto prima che lei diventasse una spina nel fianco.
Sbuffò. In un certo senso era colpa sua. Essere troppo bello e troppo desiderabile era la sua croce e la sua delizia.
Il motivo principale, comunque, per cui fece marcia indietro era che non poteva permettersi di lasciare il portafoglio in quella casa. Se fosse capitato tra le mani del marito di Camille, instillando anche il più remoto sospetto che tra i due potesse esserci qualcosa, Magnus era sicurissimo che entrambi sarebbero andati a fare compagnia ai pesci in modo talmente veloce che non se ne sarebbero neanche resi conto. Era meglio non far arrabbiare quell'uomo. Era inquietante. E pericoloso.
Arrivato a destinazione, sgattaiolò all'interno della casa, con la sicurezza che derivava dall'esperienza di averlo fatto decine di volte.
Silenzioso come un gatto, ritornò nello studio, sperando di non dover incontrare nuovamente Camille. Per Lilith, se lei era ancora lì, sicuramente non se la sarebbe più scollata di dosso!
La stanza, fortunatamente, era buia, ma vuota. Per evitare di farsi scoprire, non accese la luce, ma solo la torcia del cellulare e guardò sotto la scrivania, visto che era il posto più probabile dove poteva aver perso il portafoglio, quando si era slacciato i pantaloni. Lo trovò là, infatti. Lo recuperò velocemente e, nel fare dietrofront, scivolò su qualcosa di viscido, lasciando andare il telefono nella caduta.
Aggrottò le sopracciglia e saggiò con le dita la cosa viscosa che gli aveva fatto perdere l'equilibrio. Cos'era? Ritornò in possesso del cellulare e puntò la luce della torcia sulla mano: le dita erano colorate di rosso. Il suo cuore prima perse un battito, poi iniziò a palpitare furiosamente nel petto. Rapidamente indirizzò il fascio di luce anche sul punto dove i suoi piedi avevano perso aderenza e al ragazzo si fermò il respiro.
Un'enorme chiazza scura spiccava sul pavimento dello studio e Magnus era sicurissimo che, fino ad un'ora prima, quella cosa non c'era. Ne era talmente certo che avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco.
Quando finalmente il cervello recepì l'informazione visiva, Magnus sentì improvvisamente l'odore metallico del sangue invadergli ferocemente le narici. Gli venne da vomitare e, prima di farlo, decise saggiamente di alzarsi da terra. Tremava mentre si asciugava le dita sui pantaloni.
Di chi era quel sangue? Cosa era successo in quella stanza?
Il respiro si fece affannato ed incontrollato ed il ragazzo si impose di calmarsi. Doveva farlo se voleva uscire indenne da quella situazione.
Era nella casa di uno degli uomini più pericolosi dell'intero paese, c'era moltissimo sangue e lui poteva essere incastrato per quell'omicidio o addirittura essere la prossima vittima. Non impazziva per nessuna delle due ipotesi.
"Pensa Magnus! Pensa!" si disse, inspirando ed espirando più e più volte.
Via. Doveva andare via da lì, subito.
Come prima cosa, decise di togliersi le scarpe, perchè le suole erano macchiate di sangue ed avrebbero lasciato delle tracce che avrebbero potuto ricondurlo a lui. Poi toccò alle impronte. Quando si era dato da fare con Camille, aveva toccato qualcosa? Ci pensò e, a parte il corpo della donna, era sicuro di non aver sfiorato nessun'altra superficie.
Ok, doveva essere a posto.. il preservativo! Dove cazzo aveva buttato il preservativo? L'aveva gettato nel cestino? Guardò nel bidone, ma era immacolato. Stava per farsi prendere da un attacco di panico, quando si ricordò di averlo portato via con sè, quando se n'era andato dalla stanza la prima volta, e di averlo gettato alla prima occasione utile.
Prese un altro respiro e, con cautela, sbirciò fuori dalla porta per vedere se c'era qualcuno nei paraggi. Nella casa regnava il silenzio assoluto e Magnus schizzò fuori dalla stanza. Sperò e pregò di non incontrare nessuno durante la sua fuga e, fortunatamente, fu accontentato.
Respirò a pieni polmoni non appena ritornò all'aria aperta, come se fosse emerso dopo una lunghissima immersione.
Aveva appena girato l'angolo del muro di cinta dell'abitazione, quando una voce lo gelò.
"Ehi! Ehi ragazzino! Fermati!" urlò un uomo.
L'istinto di sopravvivenza di Magnus gli gridò prepotentemente di scappare e lui lo fece, dirigendosi verso il marciapiede trafficato.
Vide solo una sequenza indistinta di volti, mentre correva a perdifiato, e si accorse della donna solo quando le rovinò sopra.
"Mi.. mi scusi!" ansimò Magnus. "Oh cielo, si è fatta male?" le chiese, quando la aiutò a rialzarsi, accorgendosi del suo volto sofferente.
La donna fece in tempo a fare un debole cenno di diniego, quando il richiamo dell'uomo si fece risentire.
"Ragazzino! Ragazzino fermati!!" lo sollecitò.
Gli occhi di Magnus si spalancarono per il terrore. L'avrebbero preso e Dio solo sapeva cosa gli avrebbero fatto. Torture, sevizie ed infine, quando ormai sarebbe stato solo una poltiglia sanguinolenta, la morte.
La donna guardò prima il ragazzo e poi l'uomo che stava avanzando verso di loro. Prese il polso di Magnus e lo trascinò nel taxi che la stava aspettando, e che avrebbe preso se lui non le fosse piombato addosso. Diede l'indirizzo al conducente e l'auto partì prima che lo sconosciuto potesse raggiungerli.
Magnus si girò verso di lei. "Grazie! Grazie! Grazie! Mi hai salvato la vita!" le disse, colmo di gratitudine, prendendole le mani.
La donna sorrise. "Prego." rispose timidamente.
"Io sono Magnus!" si presentò.
"Lydia." rispose, laconica, la donna.
Il silenzio piombò nell'abitacolo ed i due si fissarono, studiandosi.
Lui aveva un aspetto terribile, con i capelli sparati in tutte le direzioni, gli abiti sgualciti e macchiati di sangue e scalzo, ma lei era talmente pallida che sembrava pronta per la bara da un momento all'altro! Era carina, però, e doveva avere all'incirca la sua età, era bionda, aveva gli occhi azzurri, era ricca, a giudicare dagli abiti che portava, e tremendamente incinta!
Lydia sorrise quando notò dove si era posato lo sguardo del ragazzo.
"E' un maschio. Si chiamerà Max." lo informò, rispondendo alla tacita domanda del giovane, mentre si accarezzava il ventre.
"Sei sicura che ce ne sia solo uno là dentro?" chiese Magnus, sorpreso.
Lydia rise divertita. "Sì, un solo bambino!" confermò.
Il ragazzo guardò scettico la pancia, per nulla convinto di quello che lei gli aveva appena riferito. Il ventre era talmente prominente, che era certo che lei attendesse tre gemelli!
Ritornò lo sguardo sul suo viso e la guardò preoccupato. "Non stai bene." constatò.
Il sorriso della donna si spense. "E' solo la fatica della gravidanza. Non preoccuparti." gli disse, tentando di minimizzare il suo stato di salute.
Anche in quel frangente, Magnus fece fatica a crederle, ma non voleva sembrare invadente e non insistette. Oltretutto, anche se non si conoscevano, e nonostante il suo aspetto, la donna non aveva posto nessuna domanda né lo guardava con diffidenza. Evitare il terzo grado, gli sembrava il minimo.
Guardò fuori dal finestrino e l'enormità della situazione in cui si era cacciato lo riportò alla realtà come una secchiata d'acqua fredda.
Era nei guai. Se lo sconosciuto, e Magnus non aveva motivo di dubitarne, era uno degli scagnozzi del marito di Camille, lui doveva assolutamente sparire dalla circolazione. Almeno fino a quando le acque non si fossero calmate, almeno fino a quando non fosse stato sicuro di non essere più in pericolo di vita. Con Valentine Morgenstern non si scherzava.
Il suo istinto gli diceva che, nel punto in cui c'era l'enorme pozza rosso scuro, qualcuno era morto e non aveva nessuna intenzione di essere nei paraggi per fare la sua stessa fine.
La cosa più logica da fare sarebbe stata quella di chiamare la polizia, ma cosa avrebbe potuto dire? E come avrebbe potuto giustificare la sua presenza in quella casa, senza compromettere Camille? Certo la donna stava diventando una palla al piede, ma, nel caso in cui ci fosse stata una spiegazione plausibile per tutto quel sangue, Magnus rischiava di darla in pasto alla cattiveria del marito ed era una cosa che non avrebbe fatto mai e poi mai. Non avrebbe augurato l'ira di Morgenstern neanche al suo peggior nemico!
L'unica idea che gli veniva in mente, quindi, era quella di fuggire il più lontano possibile.
Sospirò affranto. Dove poteva andare? Non voleva coinvolgere i suoi migliori amici e non aveva una famiglia presso cui rifugiarsi.
Emise un altro sospiro sconsolato e Lydia lo notò.
"Tutto bene?" gli chiese dolcemente.
"Sì.. no.." ammise il ragazzo. "Devo.. devo andare via da New York il prima possibile." le confessò, proprio mentre il taxi si fermava all'indirizzo richiesto dalla donna.
Lydia lo osservò in silenzio e poi annuì. "Tra pochi minuti mi imbarcherò sulla Queen Mary 2." lo informò. "Viaggio da sola." gli disse, facendo una pausa, in attesa che Magnus recepisse l'informazione che gli aveva appena fornito. "Ma questo lo sappiamo solo tu ed io. E avrei davvero bisogno di qualcuno che venisse con me." terminò.
Il ragazzo fissò il volto della sua salvatrice e riuscì solo ad annuire, grato per quella possibilità che quell'angelo biondo gli stava servendo su un piatto d'argento.

"Signor Bane, ecco suo figlio!" annunciò l'infermiera, ponendogli delicatamente tra le braccia il neonato.
Magnus guardò spaesato prima la donna e poi il bambino. Non sapeva assolutamente niente di infanti e quella donna gliene aveva appena appioppato uno. Per Lilith! Lo stava tenendo bene? Gli stava facendo male? Perchè non emetteva un suono?
"Lydia!" si ricordò improvvisamente, "Come sta?" chiese all'infermiera.
La donna si rabbuiò. "Ecco.. vede.. Oh! Sta arrivando il dottore!" disse la donna, sollevata di non essere lei a dover dare la notizia al giovane.
Il medico arrivò di fronte a Magnus. "Signor Bane, purtroppo la sua fidanzata non ce l'ha fatta. Ha avuto una forte emorragia, che siamo riusciti a fermare, ma poi è andata in arresto cardiaco e.. Signor Bane, abbiamo fatto tutto il possibile e.. Mi dispiace.. mi dispiace moltissimo per la sua perdita." gli comunicò serio.
Magnus riuscì solo ad annuire e, prima di far cadere il bambino, decise che era meglio sedersi.
Lydia era morta. Morta.
Doveva piangere, voleva piangere, ma il bambino tra le sue braccia emise un gorgoglìo e Magnus abbassò lo sguardo su di lui.
Da quel che poteva giudicare, era davvero bello. Aveva una pelle morbida, i capelli neri e gli occhi di un'incredibile tonalità di blu, diversi da quelli della madre, che non mollavano i suoi un attimo.
"Ciao Max!" sussurrò con il groppo in gola, mentre il bimbo si appropriava del dito con cui gli aveva accarezzato la pelle.
"Signor Bane, possiamo fare qualcosa per lei? Vuole che chiamiamo qualcuno della sua famiglia?" gli chiese l'infermiera, premurosa.
Magnus scosse la testa. "No, grazie." rispose distratto. "Loro.. loro stanno arrivando." la informò con un filo di voce.
Il medico e l'infermiera annuirono, lasciando poi i due da soli.
Il giovane cullò il neonato, in attesa che i suoi amici arrivassero. Era riuscito a chiamare Tessa mezz'ora prima e l'amica, dopo la sorpresa iniziale, gli aveva assicurato che lei e Jem sarebbero arrivati il prima possibile. Quando avrebbero visto Max, era certo che ai due sarebbe pigliato un infarto!
Magnus sospirò. Non aveva idea di come ci si prendesse cura di un bambino, delle sue necessità, di quello di cui aveva bisogno, ma aveva fatto una promessa ed era intenzionato a rispettarla fino alla morte.
Sì, c'era questo "piccolissimo" dettaglio che il piccolo non era suo, mentre tutti pensavano l'esatto contrario, e che poteva essere tranquillamente incriminato per rapimento, ma non volle pensarci in quel momento. Le emozioni, che gli si agitavano nel petto, erano troppo grandi per ragionare lucidamente.
Lydia, inoltre, era stata categorica: il padre naturale del bambino non doveva essere coinvolto. Magnus non aveva osato chiederne il motivo, perchè le doveva la vita e l'avrebbe assecondata in tutto e per tutto, ma doveva ammettere che la domanda bruciava ancora sulle sue labbra.
La donna era riuscita a farlo imbarcare sulla nave, spacciandolo come suo fidanzato, ed il ragazzo ci aveva visto giusto quando aveva ipotizzato la sua agiatezza economica, perchè uno degli ufficiali dell'imbarcazione era stato ben felice di chiudere un occhio, sul fatto che Magnus non aveva il biglietto, quando lei gli aveva sventolato, sotto al naso, una lauta ricompensa per il suo silenzio.
Magnus aveva avvisato i suoi amici di New York che si sarebbe assentato per un po' e, dopo una settimana di navigazione, lui e Lydia erano diventati amici, se così si potevano definire due che non sapevano assolutamente niente l'uno dell'altra, se non le cose più frivole.
Tutto quello che il ragazzo era riuscito a scoprire era che anche lei stava scappando da qualcuno. Chi era e perchè stesse fuggendo da lui, non era dato sapere. Lydia si era cucita la bocca a riguardo e non avevano più toccato l'argomento.
Non appena sbarcati, la donna era entrata in travaglio e dopo neanche un'ora era diventato padre e "vedovo".
Se qualcuno gli avesse predetto che, a vent'anni, sarebbe stato entrambe le cose, gli avrebbe riso in faccia talmente tanto da farsi venire le convulsioni.
Ripensò all'ultimo momento in cui aveva visto la donna e strinse un po' più forte a sè il bambino.

"Prometti.. prometti.." ansimò pesantemente Lydia, prima di sparire dietro le porte della sala parto.
"Cosa?" chiese Magnus, afferrandole la mano.
"Prometti.. promettimi che ti prenderai cura di lui." lo supplicò Lydia, stringendogli le dita. "Ti prego Magnus, promettimelo!" gracchiò sofferente.
Magnus prese un respiro profondo ed annuì. "Lo giuro." dichiarò solennemente.
   
 
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