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Autore: Nat_Matryoshka    08/01/2018    3 recensioni
“Credi davvero che stare con me ti impedirebbe di svolgere il tuo dovere, come tutti gli altri Jedi?”
Rey Kenobi è una giovane Jedi, addestrata dal leggendario maestro Luke Skywalker, nipote di un altro famoso maestro del passato. Kylo Ren è un Sith dalle ambizioni più grandi di lui, testardo e fin troppo brillante.
Le cose iniziano a complicarsi dopo il loro incontro.
[Jedi/Sith AU || Scritta per il "Ring in the New Year with Reylo 2017", organizzato dalla Reylo FF Anthology]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kylo Ren, Luke Skywalker, Rey
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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The most beautiful souls

 




 
Le sabbie di Jakku le scivolavano sulla pelle, grattandola. Dovunque poteva spingere lo sguardo vedeva solo sabbia a perdita d’occhio e un cielo spento, dello stesso grigio opaco, privo della vita che offrivano i cieli di altri pianeti.

La ragazza si faceva strada sulla duna ripida davanti a sé, borbottando appena per la fatica. A poca distanza da lei, un grosso animale bardato con corde grezze sbuffava tenendo sulla schiena una creatura piccola e altrettanto spazientita, che cercava di riparare gli occhi dalla sabbia con dei grossi occhiali. Ne ho un paio anche io, sembrò ricordare la ragazza, e quasi senza accorgersene si calò sul viso un visore dalle lenti blu, impolverato e decisamente malridotto, ma che le aveva salvato la vista diverse volte durante le tempeste di sabbia. Sorrise e continuò a procedere, mentre l’animale sbuffava allontanandosi e il suo cavaliere aggiustava il carico di rottami che portava con sé, talmente assorto nei propri pensieri da non guardarsi nemmeno attorno.
Niente su Jakku era gentile: né gli abitanti, induriti da venti e tempeste impietose, né i giorni fatti di caldo asfissiante e sabbia, né le notti gelide. Solo una persona le aveva sempre sorriso, asciugandole le lacrime quando piangeva e raccogliendo i suoi sogni di bambina, e quella persona abitava in una casa di pietra che spiccava tra le dune, silenziosa come la luna che aveva fatto capolino da una nuvola per tutta la notte. Suo nonno.
La ragazza sorrise ancora, lasciando che l’immagine mentale dell’uomo la accompagnasse. Davanti a lei c’era la casa in cui era vissuta da bambina, esattamente identica a come la ricordava. Lui sarebbe stato ancora lì dentro?
Si toglieva gli occhiali dal viso, e i suoi occhi verdi brillavano di una gioia difficile da descrivere.
 

Si riscosse da quel sogno ad occhi aperti muovendo la testa: per un attimo, temette di essersi davvero addormentata. Intorno a lei i maestri si scambiavano occhiate, chiacchieravano, animavano i corridoi del tempio della loro energia tranquilla. La luce brillava attraverso gli archi decorati della terrazza, disegnando forme geometriche sui pavimenti di pietra chiara.  Era una bella mattina, e il suo maestro ancora non si faceva vedere. Che strano.
Non era la prima volta che sognava Jakku, il pianeta sabbioso in cui era cresciuta prima di incontrare l’uomo che ora che chiamava maestro: la sabbia e il vento erano tornati spesso a popolare i suoi sogni, portandosi dietro immagini a volte piacevoli, a volte angoscianti e impossibili da togliere dalla mente, ma bastava guardare il viso di suo nonno solo per un attimo per sentirsi protetta, ovunque si trovasse. Quella notte non l’aveva visto, ma in qualche modo sentiva che sarebbe stato lì ad aspettarla, come sempre quando si avventurava a cercare rottami in giro. Non era stato facile lasciarlo per iniziare l’addestramento… e quei sogni non facevano altro che confermarle quanto il legame con l’unico membro della sua famiglia rimastole fosse importante per lei.
Anche se non avrebbe dovuto. Ai Jedi è proibito stringere qualunque tipo di legame.

Si appoggiò alla colonna alle sue spalle, lasciando che la pietra raffreddasse le spalle toccate dalla luce. Coruscant era infinitamente più grande di Jakku, e molto meno caldo, eppure si sentiva a casa solo in parte. Le mancavano i tramonti del suo pianeta, la distesa di stelle che poteva contare da casa sua, persino frugare tra i ruderi delle vecchie navi per cercare rottami da vendere. Ma, più di ogni altra cosa, le mancava il vecchio Ben Kenobi e il suo sorriso saggio, sempre pronto a confortarla, a farla sentire speciale.
Scrollò la testa. Niente legami. Luke l’aveva scelta perché aveva del potenziale, aveva scambiato un’occhiata con suo nonno ed entrambi avevano capito che sarebbe stata la persona giusta da presentare ai maestri Jedi per l’addestramento. Il nome di Obi-Wan Kenobi era ricordato con rispetto nonostante avesse lasciato l’ordine da anni e la Forza scorreva potente nella sua famiglia, da lui a suo figlio, fino a toccare la nipote, come linfa che percorre un albero. Luke le aveva frizionato la testa con affetto, guardandola saltellare tra i rottami e aveva detto ci vorrà del tempo, quando sarà pronta tornerò. Era davvero tornato, e la sua vita da quel momento era cambiata.
Un suono allegro la distolse da quei pensieri. Guardò ai suoi piedi, in tempo per intercettare l’arrivo di un droide bianco e arancione di forma sferica, una palla che rotolava nella sua direzione emettendo bip-bip ravvicinati e ronzii meccanici per attirare la sua attenzione. Rey sorrise: lo conosceva fin troppo bene, semmai la stupiva il fatto che fosse riuscito ad arrivare fin lì nel tempio senza essere fermato da nessuno… probabilmente aveva spaventato a morte la povera Jocasta Nu giù nella biblioteca, ridacchiò tra sé, sentendosi subito un po’ in colpa.

Il droide la puntò rotolando con una certa urgenza e si fermò ai suoi piedi, lampeggiando come per iniziare un discorso importante. La ragazza si inginocchiò, dandogli un colpetto sulla testa metallica per salutarlo. “Ciao, piccoletto. Hai un messaggio per me?”
Un altro bip. BB-8 aprì uno scompartimento nella parte inferiore del suo corpo ed estrasse una specie di memoria nera di forma allungata, che consegnò nella mano aperta della ragazza.

“È stato lui a mandarti? Gentile da parte sua. Immagino che non si aspetti che gli invii un messaggio, eh?”

BB-8 le rispose con un suono che somigliava ad un cinguettio. Rey lo prese per un sì. Infilò la memoria nella tasca interna dell’abito da Jedi e gli diede un altro colpetto, questa volta per congedarlo. Qualche padawan si era girato per lanciarle un’occhiata stupita, ma la maggior parte dei maestri era abituata al viavai di droidi e altre creature per i corridoi del tempio, tanto da non farci quasi più caso. Il droide emise un altro bip e si allontanò, facendosi strada attraverso i passanti con la sua solita fretta vivace, colpendo le gambe di parecchi presenti. Rey lo osservò sparire in lontananza, poi si voltò e si incamminò verso la sua camera, in alto, nella zona riservata alle stanze di maestri e padawan. Aveva un messaggio da leggere, ed era sicura che al mittente non sarebbe piaciuto che l’interessata lo aprisse in biblioteca, circondata da sguardi indiscreti.
 
 
*
 


Non era la prima volta che si muoveva tra le strade sporche e caotiche della Città Sotterranea di Coruscant, e ogni volta che doveva recarcisi sperava sempre che fosse l’ultima.

Esisteva una sorta di patto silenzioso tra la parte superiore della città e quella inferiore: la polizia e i Jedi non si immischiavano nelle attività che avvenivano sotto ai loro piedi, e gli abitanti del mondo di sotto evitavano di farsi vedere alla luce del sole. Quello che veniva detto e fatto nei bassifondi di Coruscant restava lì… più o meno. Di certo non era comune incontrare dei Jedi nei locali pieni di fumo e di cacciatori di taglie annoiati, per cui un travestimento era sempre d’obbligo. Rey sospirò pesantemente, calcandosi sulla testa il cappuccio mentre procedeva lungo la strada principale, diretta verso uno degli squallidi locali che punteggiavano il quartiere. Era costretta a recitare quella farsa ogni volta che dovevano incontrarsi, nonostante le sue lamentele e la richiesta di trovare un posto migliore, un qualunque luogo che non comprendesse brutti ceffi e sguardi inquietanti ogni volta che entrava… ma lui era irremovibile, e il sorriso sornione che le rivolgeva le faceva pensare che in fondo in fondo apprezzasse quegli incontri clandestini.

Tipico di Ben.

Non c’era stato bisogno di ricordarle il nome del locale, ormai lo conoscevano bene entrambi. Era il più grande di quel distretto, circondato da una piccola folla di umani e altre creature accalcata davanti all’ingresso, chi in attesa di entrare, chi impegnato ad osservare i dintorni con aria truce. Superò un gruppo di astanti e riuscì a farsi strada verso l’interno, eludendo senza troppi problemi la sorveglianza: probabilmente il grosso Dathomiriano che pattugliava l’ingresso serviva più a scoraggiare chiunque cercasse guai che a perquisire i clienti che desideravano entrare. Nessuno faceva domande, nella Città Sotterranea. Una volta che memorizzavano il viso di uno straniero, era semplice circolare in libertà per locali e strade.
La musica all’interno era assordante. Una Twi’lek dalla pelle verde danzava a fianco del grosso bancone illuminato da neon rosa e blu, affiancata da un’umana dai capelli corti di un viola acceso. I movimenti delle giovani erano sensuali ed ipnotici, prima lenti e poi più rapidi, ispirati dalla musica che le circondava e accolti da schiamazzi e applausi da parte di un gruppo di uomini, probabilmente ubriachi. La Twi’lek scosse i lekku e lanciò un bacio a Rey, che arrossì e si nascose sotto al cappuccio, imbarazzata: si voltò e si appoggiò al bancone coi gomiti, ignorando gli sguardi degli avventori e sperando ardentemente che il mantello la coprisse del tutto, senza rivelare la sua identità. Ci mancavano solo dei curiosi che andassero in giro a spargere la voce di una giovane Jedi che si recava abitualmente in quel locale, col rischio che anche Luke lo venisse a sapere.
Iniziava sempre con qualcosa da bere, aspettava Ben e il fruscio del  mantello che le annunciava il suo arrivo. E anche quella sera non si era fatto attendere: la folla che riempiva l’ingresso era ammutolita per un attimo, accompagnando l’ingresso di una figura alta e completamente vestita di nero, che li superò per dirigersi al bancone senza curarsi granché degli sguardi degli altri avventori. Le si sedette accanto con la noncuranza di chi agisce a caso, ma le rivolse un sorriso minuscolo, impercettibile. Il solito sorriso che significava eccoti. Ce l’hai fatta a venire anche questa sera.

“Questa è l’ultima volta che accetto un appuntamento in un posto simile.”

Il compagno fece un cenno al barista, poi le rivolse un’occhiata insolente. Sorrideva di gusto. “Coruscant non è il massimo del romanticismo, mia signora. E se ci vedessero?”
“Meglio qualche Jedi di una ventina di cacciatori di taglie annoiati. Se volevi guardare delle cubiste, bastava che ci incontrassimo in un locale notturno della Città Superiore.”
“E rovinarti il piacere di una visita ai bassifondi? Mai. E poi, siamo clienti affezionati.”

Il barista, un grosso Zabrak dall’espressione truce e il grembiule sporco, allungò un bicchiere al ragazzo e un altro a Rey, dirigendosi subito verso altri due clienti che sedevano sul lato opposto del bancone. Kylo si avvicinò alle labbra il liquido e ne bevve una sorsata. Si comportava come la persona più tranquilla del mondo, come se trovarsi in un bar pieno di brutti ceffi nella zona più malfamata della Città Sotterranea fosse una routine per lui e non motivo di nervosismo. La ragazza muoveva un piede avanti e indietro, impaziente e preoccupata. Sperava che il momento di togliersi da quella sala affollata arrivasse presto… ma lui doveva ancora godersi il suo drink, e non sembrava avere fretta.
Di solito perdeva qualche minuto ad osservare il fiume in piena di umani e razze aliene che la circondava, provando a indovinare le storie di ognuno, soffermandosi su una mano che spuntava fuori da una manica, un paio di occhi che sondavano la stanza con espressione molto simile alla sua. Aspettava, e intanto guardava di sottecchi il ragazzo, le sue dita lunghe e sottili, le labbra piene che si muovevano nel formulare domande e sorseggiare il resto della sua bevanda. Era bello, e non se ne rendeva conto. Bello di una bellezza distratta ma che restava impressa, bello come quelle cose che in pochi definirebbero tali, ma che ogni giorno rivelano qualcosa di nuovo. Non glielo aveva mai detto, ovviamente. Non era nemmeno sicura che si fosse mai definito bello…

… e poi arrivava il momento di lasciare quella folla chiassosa e colorata per ritagliarsi il loro spazio, il momento che Rey amava di più e che probabilmente anche Kylo aspettava ogni giorno. Le faceva un cenno con la testa e lasciava che il barista gli facesse scivolare una chiave in mano, poi si allontanava verso il retro del locale seguito da Rey, fino ad una scala seminascosta da un mucchio di scatole. Ogni giorno aumentavano ed era difficile riuscire a salire i primi tre gradini senza inciampare, ma impedivano ai curiosi di ficcanasare. Il piano di sopra era il regno del silenzio e della fuga: le porte venivano accostate con delicatezza, e le urla del piano di sotto si trasformavano in sospiri, poi in ansiti. Era una zona fatta di luci soffuse e segreti, e tutto ciò che accadeva tra quelle stanze polverose e mal arredate restava confinato lì dentro, sconosciuto agli abitanti di Coruscant. Se così non fosse stato, nessuno l’avrebbe scelto come luogo di fuga.
Kylo le prendeva una mano, senza esitare, mentre i neon delle insegne di fronte colpivano i loro mantelli con laser innocui. Apriva la porta, e il loro piccolo paradiso gli si spalancava davanti.

La prima volta non era stato dolce, affatto: “dolce” era un aggettivo che Rey si era sentita ripetere tantissime volte, ma che non si addiceva a Kylo Ren. L’aveva baciata con tanta foga da morderle un labbro e lasciarla di sasso, mentre le mani scivolavano sui suoi fianchi, sulla pancia coperta dalla tunica, sulle spalle che tremavano appena. Avrebbe continuato con la sua esplorazione senza fermarsi, affamato della novità e della morbidezza che il corpo della ragazza gli offriva, se la risposta altrettanto affamata di Rey non lo avesse bloccato, stupendolo. Non si aspettava che lo baciasse prima con lentezza inesperta, poi con foga sempre maggiore, quasi avesse tratto ispirazione dai suoi movimenti… e man mano che andavano avanti, che approfondiva il contatto aggrappandosi ai suoi vestiti come se non riuscisse a resistere alle sue stesse azioni, aveva percepito che qualcosa di più profondo si era creato. Le aveva fatto scivolare una mano sotto alla tunica, e il piccolo fremito di lei nell’accarezzarle i seni con la mano guantata, fredda, lo aveva fatto sorridere.
“Rey?” aveva chiesto, senza aggiungere altro. La ragazza gli aveva sfiorato le labbra con un dito, poi aveva premuto la mano con cui la toccava contro il petto. Erano nella sua stanza, al tempio, e Kylo era scappato dal luogo in cui viveva per andarla a trovare, perché aveva bisogno di lei. Non le serviva nient’altro, in quel momento. 
Non erano riusciti a concludere a causa di una porta sbattuta che li aveva allarmati entrambi e che era stato il motivo principale per cui avevano deciso di incontrarsi nella Città Sotterranea, al riparo da sguardi indiscreti di altri Jedi o apprendisti Sith. Si erano guardati negli occhi, la tensione che li rendeva simili ad animali braccati, poi Kylo le aveva lanciato uno sguardo e si era dileguato nella notte, rapido, per non mettere nei guai la ragazza. Eppure, era stato in grado di venire in contatto con lei quasi subito: le aveva regalato BB-8, un droide arancione dal’indole piuttosto allegra, perché era certo che le sarebbe piaciuto, e l’aveva usato per recapitare i messaggi. Era un Sith, vivere d’istinti era la norma per lui, e lei se n’era innamorata.
Poi c’era stata la vera prima volta, su un letto misero in una stanza di quel locale malfamato, ma in quel momento le era sembrato più bello della reggia in cui era vissuta sua nonna. Kylo era stato dolce, davvero dolce, e l’aveva baciata a lungo mentre le loro mani si incontravano, timide e affamate, delicate e feroci allo stesso tempo. L’aveva spogliata col timore con cui si svelano i tesori più preziosi e aveva abbassato gli occhi quando lei aveva insistito per togliergli di dosso gli abiti scuri, quasi si vergognasse del proprio aspetto. Lei gli aveva accarezzato le labbra, il petto, poi il ventre, aveva posato baci sulla cicatrice che gli ornava la schiena. Lui l’aveva accarezzata ovunque, memorizzando ogni suo cambiamento nel respiro, ogni minima reazione. E poi, quando si erano ritrovati entrambi nudi e affannati sul materasso freddo, l’aveva stretta a sé con tanta forza che, per un attimo, Rey aveva perso la sensibilità delle braccia.
Avevano fatto l’amore in quell’angolo di galassia così triste, eppure pieno di vita. E quando era sgattaiolata nel Tempio, quella sera, continuava a stringere nella mente il ricordo degli occhi scuri di Kylo, di una lacrima che aveva visto apparire per un attimo mentre sospirava il suo nome e gli toccava una guancia, accogliendolo in sé.

Le volte successive erano state diverse, ma significative  allo stesso modo. Qualcosa stava nascendo tra loro, si faceva strada in quel labirinto di pensieri e idee che riempiva ogni loro giornata. Un legame, forse? I Jedi parlavano di Forza, che univa chi la usava e la percepiva con un filo invisibile, a volte legando le vite di due individui indissolubilmente. I Sith avevano mai parlato di qualcosa di simile?
Kylo interruppe quel ricordo chiudendo la porta alle sue spalle e abbassandole il cappuccio. Sorrideva, e questa volta era il ragazzo quasi impacciato che aveva imparato ad amare. Privo di quella maschera ironica e invincibile che il suo maestro cercava di attaccargli addosso.

“Finalmente soli, mia signora. Come stai?”

Rey lo bloccò con un bacio intenso, pieno di una rabbia e di una passione che non pensava di raccogliere in sé. Lasciò che Kylo la ricambiasse, poi si appoggiò a lui mentre la conduceva gentilmente verso il letto alle spalle, il materasso sottile e scricchiolante su cui amavano gettarsi. Era un gesto quasi liberatorio.
 
 
 
*
 


“Stai pensando ad altro, Rey. Percepisco una certa distrazione intorno a te.”

La luce del pomeriggio filtrava attraverso i parasole sottili appesi alle finestre di pietra del tempio, un espediente che i Jedi utilizzavano per non distogliere la mente dalla meditazione giornaliera. Il suo maestro era seduto davanti a lei sulla poltrona grigia che occupava di solito, un’espressione imperturbabile fissata sul viso segnato dal tempo. Rughe sottili ai lati delle labbra, nascoste dalla barba ormai quasi del tutto bianca, altre più profonde sulle guance, sotto agli occhi; segno di saggezza, diceva sua nonna, e Luke Skywalker era uno dei maestri più saggi che Rey conoscesse. Era poco più di un ragazzo cresciuto quando l’aveva incontrato per la prima volta, da piccola, ed erano cambiati insieme: lei stava per diventare un Jedi, lui era uno dei saggi del Consiglio. Eppure, per quanto Rey fosse maturata e diventata sempre più abile con la Forza, ancora conservava quell’insofferenza per lo stare troppo tempo ferma nello stesso posto, identica a quando era ancora una bambina selvaggia di Jakku.
Certe cose non cambiavano mai, e forse era importante che restassero com’erano.
Scosse la testa, aprendo gli occhi e rivolgendoli subito a Luke. Era vero, un pensiero solitario l’aveva portata fuori strada, ma si era impegnata in tutti i modi per respingerlo e tornare a visualizzare le onde del mare, come le diceva sempre il maestro. Quel pensiero iniziava col viso di suo nonno e finiva con un sorriso impertinente, labbra piene e imbronciate che sapevano ferire e addolcire le parole, una mano che spariva dietro ad un guanto nero di pelle e poi la stanza e…

No. Ci sto ricadendo, sussultò appena nel bloccare la sua mente. Luke, però, se n’era accorto da un pezzo.

“Non ti sto rimproverando.” La guardò col suo solito cipiglio, come se fosse in grado di decifrare ogni suo pensiero senza sforzo. “Ormai non sei più una padawan, sei in grado di gestire da sola la tua vita e le tue emozioni. Solo…”

Era rimasto in silenzio. Rey non parlava, le labbra semi-aperte di chi aspetta una sentenza col fiato sospeso, ma Luke aveva lasciato cadere la frase. Le palpebre si erano richiuse piano sui suoi occhi azzurri e aveva ripreso a far fluttuare il cristallo che aveva davanti come da allenamento, lasciandolo muoversi lentamente all’altezza del petto. Rey provò a fare altrettanto, ma il suo continuava a restare immobile accanto alla spada, quasi non avesse voglia di fare il suo dovere: le avevano detto che i cristalli di kyber si legavano talmente tanto all’anima del Jedi che sceglievano da mimarne i gesti e la volontà, e quello sembrava essere il suo caso.
Chiuse gli occhi, frustrata, per quanto sapesse perfettamente che la frustrazione e l’impazienza non l’avrebbero di certo aiutata a svuotare la mente. Inspirò profondamente, poi decise di concentrarsi su qualcosa di estraneo, su un pensiero lontano che non avrebbe potuto portarne con sé altri spiacevoli. Cercò di visualizzare le tende della sua stanza che si muovevano col vento, il profumo del mare che si mischiava con quello muschiato del bosco, un uccello che cantava nel folto degli alberi e continuava a nascondersi, timido e allegro. Un pianeta lontano, rovine, il primo tempio dei Jedi che brillava debolmente nella luce calda della sera, decadente ma ancora maestoso, tanto amato dal maestro. Era di nuovo ad Ahch-To e Kylo Ren ancora non faceva parte della sua vita, né la mancanza di suo nonno continuava a scavarle quel solito buco nel cuore che ogni tanto faceva male. Le sembrava di sentirle, quelle tende, mentre il tessuto le faceva il solletico sul palmo della mano. Se avesse guardato fuori dalla finestra, avrebbe visto il mare e gli isolotti sparsi al suo interno, come gettati alla rinfusa.
Il cristallo, seppur con qualche incertezza, riprese a fluttuare piano. La connessione era stata ristabilita.

Luke respirava piano e per un attimo le sembrò che tutta Coruscant si concentrasse in quella stanza, che esistessero solo loro in quel pianeta enormemente caotico e pieno di strade, di vita. Gli altri maestri erano chi in biblioteca, chi ad allenarsi, i bambini sciamavano attorno al Maestro Yoda pieni di quell’entusiasmo che caratterizzava più o meno tutti alla loro età, eppure l’impressione di trovarsi in una bolla protetta continuava a pervaderla. Era tutta una questione di concentrazione, di costringere la sua mente ad accettare un ordine esterno e svuotarla di tutto ciò che la turbava, per quanto quei pensieri la rendessero felice. Ma non c’era verso, Kylo era sempre lì e anche su Ahch-To risuonava la sua risata profonda, le onde nere dei suoi capelli si allargavano sul cuscino e poi…
“… solo che i tempi sono cambiati. E sono sempre gli animi più sensibili a soffrire, in momenti simili.”
Luke aveva rotto il silenzio, rivolgendo prima uno sguardo a Rey e poi uno generico alla stanza, quasi stesse valutando l’effetto delle sue parole. Non era raro che le desse dei consigli, ma quella frase aveva il gusto di una confidenza, quasi volesse avvertirla perché le voleva bene, e con gli anni aveva imparato a crescerla e conoscerla. Avrebbe potuto descrivere a memoria il viso del suo maestro, ogni suo gesto, e lui poteva dire con esattezza cosa le passasse per la testa mentre si allenava, quando stringeva le labbra per non far scappare via un pensiero. Eppure, qualche segreto rimaneva nell’aria, e Luke non sapeva nulla di Kylo. Non avrebbe dovuto saperlo. 

“Si, maestro.”

Non le veniva in mente un’altra risposta. Si alzarono entrambi, richiamando i cristalli e lisciando i pantaloni dell’uniforme che si erano spiegazzati durante la meditazione: fuori iniziava a farsi sera. I palazzi di Coruscant bevevano la luce arancione del tramonto, un rumore di passi lenti e cadenzati accompagnava l’aria fresca. Un bastone, forse quello del maestro Yoda, che batteva sulla pietra. Le si stavano sciogliendo i capelli, l’ultimo codino le penzolava morbido sul collo, ma non aveva voglia di alzare le braccia e legarlo da capo.
Luke ruppe il silenzio ancora una volta, e questa volta la sua preoccupazione sembrò ancora più evidente.

“Rey… attenta a chi mostri le tue debolezze. Può sembrarti tutto sotto controllo, ma la calma prima della tempesta è sempre il momento più difficile da afferrare… non lasciarti trascinare. Resta vigile.”

Era stagliato contro la finestra, serio e silenzioso. Lui sa, fu il suo primo pensiero, ma non lo trasformò in parole: si limitò a guardarlo per un attimo, poi si inchinò e uscì dalla stanza, la mente in tempesta. Aveva le labbra secche: cercò di inumidirle con la lingua, senza successo.
 
 
*
 

Si erano incontrati per caso, uno di quegli incontri destinati a cambiare un’esistenza che si fingevano giornate normali, semplice routine da Jedi. Dobbiamo scortare il Senatore Yavok ad una prima dell’opera, nulla di entusiasmante, l’aveva avvisata Luke prima di accettare quell’incarico per sé e per la sua padawan. Ci sarebbero stati dei membri dell’Ordine dei Sith ad accompagnare il loro capo, un certo Lord Snoke che aveva preso il comando da poco ma di cui già si parlava con una certa preoccupazione, almeno tra i ranghi dei Jedi… ma, almeno per quella sera, le ostilità sarebbero state messe da parte. Rey aveva indossato un’uniforme nuova, quella per le grandi occasioni che teneva piegata nel suo armadio, e assieme al maestro Luke aveva varcato la soglia del Grande Teatro della Repubblica col naso all’insù, abbagliata dalla meraviglia delle luci e delle architetture che la circondavano. C’erano più statue che persone nell’atrio ed era meraviglioso veder risplendere la loro pelle di luci oro e argento, mentre il viavai degli invitati si faceva largo nel salone e raggiungeva le poltrone in alto, nei palchi più prestigiosi, o in basso, nelle file più economiche. Luke l’aveva preceduta verso il loro palco, una piccola tribuna schermata da una tenda di velluto rosso, avevano preso posto insieme attendendo l’inizio dello spettacolo con calma, guardandosi attorno.

Era stato in quel momento che l’aveva visto, seduto esattamente di fronte a loro, nel palco riservato ai Sith che occupavano in tre. Indossava un abito nero, di foggia elegante ma semplice come il suo, collo alto e una spilla d’argento appuntata sulla parte anteriore del mantello con un simbolo che non riusciva a identificare. Anche i capelli erano neri, onde morbide che gli incorniciavano il viso e cadevano con grazia dietro le orecchie. Una strana grazia, particolare. Non riusciva a vedere il colore dei suoi occhi, ma le labbra spiccavano sul resto del viso, gonfie come quelle di un bambino, piegate in un’espressione concentrata. Le avrebbe amate col tempo, quelle labbra, ma ancora non poteva saperlo.
Luke non le aveva prestato attenzione durante la rappresentazione, né in quei dieci minuti di intervallo in cui si erano alzati per sgranchirsi le gambe e Rey era andata in giro a curiosare per fatti suoi, mentre il maestro seguiva il senatore Yavok che si complimentava con il direttore del teatro per la scelta della rappresentazione. Si erano incontrati nel corridoio principale, lei e quel giovane apprendista vestito di nero, e si erano scambiati uno sguardo. Aveva gli occhi marroni, magnetici, se li era sentiti addosso per tutta la sera. Non avrebbe saputo dire se era emozionata dalla cosa, o infastidita per quell’improvviso turbamento che l’aveva colpita.

Si erano presentati mesi dopo, durante un incontro diplomatico tra i loro Ordini, presenziato da Lord Snoke e dal Consiglio Jedi al completo. Si chiamava Kylo Ren ed era un ragazzo poco più grande di lei, ma la sua voce era profonda e impregnata di una saggezza molto più anziana.
I ricordi le si affacciavano tutti assieme alla mente, correndo come se avessero paura di venire trascurati mentre la ragazza si faceva strada verso il loro solito luogo di appuntamento nella Città Sotterranea. Aveva sbuffato pregandolo di cambiare locale, di vedersi altrove, ma alla fine erano legati entrambi a quel bar pieno di fumo e stanze silenziose, e il solo fissare un nuovo appuntamento li faceva sentire liberi. In colpa, nel suo caso, e liberi.
Facevano l’amore senza pensare a nient’altro che alle loro voci e al modo in cui le loro mani si toccavano, ai baci pigri che Kylo le posava sulla pancia, sulle spalle, sulla nuca. I primi tempi Rey si era trattenuta, temendo che qualcuno potesse sentirli e in qualche modo riconoscerla dalla voce… si mordeva le labbra, stringeva le lenzuola fino a sbiancare le nocche, restava in silenzio. Poi, col tempo, aveva capito che sarebbe stato inutile trattenersi, e che nessun Jedi l’avrebbe cercata fin lì. Luke la credeva in giro per Coruscant, forse a cercare se stessa, forse in una compagnia che il Codice non le avrebbe mai permesso; ad ogni modo, nessuno l’avrebbe mai immaginata nella zona più malfamata della città, assieme a quel giovane Sith dai capelli neri, alto e sottile, le labbra tese su parole segrete che solo lei aveva avuto la possibilità di ascoltare dopo il sesso, distesa tra le lenzuola umide di sudore e di piacere. Era felice, anche se non avrebbe potuto permetterselo.

“Non ti fa soffrire reprimere i tuoi sentimenti ogni giorno?” le aveva chiesto quella notte, mentre le accarezzava i capelli sciolti sul suo petto. Erano nudi e accaldati, un filo d’aria sottile entrava dalla finestra e sfiorava la loro pelle con gentilezza. Rey aveva alzato lo sguardo per catturare il suo, ammaliata dalle pagliuzze d’oro che gli riempivano gli occhi marroni. Qualcuno sbatteva i piatti nella cucina al piano di sotto, una porta scricchiolava accompagnata da un coro di voci allegre.

“Non lo so”, aveva mormorato, nascondendo le labbra contro il suo petto. La verità era che non sapeva bene cosa rispondere, che Kylo aveva centrato perfettamente il punto e non c’era altro da aggiungere: cosa ci guadagnavano i Jedi, a distaccarsi tanto dal mondo? Non sarebbe stato meglio cedere piano ad un sentimento e poi analizzarlo, cercare di capire come inserirlo nell’equilibrio della propria vita? Ma lei, come tutti loro, continuava a fuggire. Non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere a Luke, confessargli che era innamorata e forse anche ricambiata.

“Non lo sai, o non vuoi saperlo?”

La incalzava: Kylo Ren non era tipo da lasciar cadere i discorsi più interessanti. Le accarezzava ancora i capelli e continuava a mormorare, forse a lei, forse a se stesso.

“Ai Sith viene insegnato a nutrirsi delle proprie emozioni, positive o negative che siano. Ci fanno sentire vivi, sono parte di noi… che senso ha nasconderle? Se le respingi, torneranno a tormentarti, ti sbilanceranno. Potresti accoglierle, essere forte grazie a loro. Ho conosciuto Jedi che amavano, che si lasciavano consumare da un amore represso fino a soffrirne fisicamente, eppure nessuno di loro ha mai ammesso che sarebbe stato più facile accettarle e imparare qualcosa da quell’esperienza… siete così orgogliosi, e freddi. Così controllati. Non è stancante?”

“Le emozioni portano fuori strada, impediscono di concentrare la mente su ciò che è bene per la collettività.” Era un discorso che aveva sentito fare fin troppe volte ai maestri. “Se pensassi solo a me stessa e a ciò che desidero finirei per mettere in secondo piano la mia missione. Non sarebbe giusto.”
“Credi davvero che stare con me ti impedirebbe di svolgere il tuo dovere, come tutti gli altri Jedi?”

Rey rimase in silenzio. Il cuore di Kylo batteva con regolarità e la sua voce esprimeva la stessa consapevolezza tranquilla, quella di qualcuno che crede pienamente nelle proprie idee e non ha paura di esprimerle. Le luci notturne sfioravano la cicatrice che gli copriva il viso, quella che si era fatto durante un combattimento su Geonosis, o forse su Cato Neimodia, non lo ricordava. Le piaceva baciarla, passarci delicatamente un dito e immaginarlo in un periodo in cui erano ancora due estranei l’uno per l’altra. Stare con lui l’avrebbe davvero resa cieca di fronte ai bisogni della galassia?  E se fosse esistito un modo per conciliare quel sentimento che la rendeva così felice e la sua vita all’interno dell’Ordine?
I maestri le avevano anche detto che un Sith vive solo di assoluti, usa gli altri per i propri fini e si fa dominare dai propri capricci, incapace di portare equilibrio nella propria esistenza disordinata: le aveva sempre accolte come una lezione, una verità assoluta, ora le sembravano solo parole dettate da un pregiudizio vecchio di secoli e nient’altro. Non condivideva molte scelte portate avanti dal loro Ordine, ma Kylo era lì con lei, fragile, umano. Avrebbe potuto ucciderla quando voleva e non l’aveva mai fatto. La osservava, le labbra socchiuse. Aspettava una risposta.

“Non credo di essere la persona più adatta a cui chiederlo.”
“Hai ragione. Dopotutto, hai decisamente ceduto ai tuoi sentimenti, o sbaglio?”

Si mise seduta, vestita solo della luce soffusa che riempiva la stanza. Kylo le rivolse un sorriso insolente, divertito: era riuscito nel suo intento. Lasciò che Rey aggredisse il suo collo coi baci, che prendesse possesso del suo corpo e si accomodasse tra le sue gambe, facendogli sfuggire uno dei suoi rari sospiri. Rey non avrebbe mai risposto direttamente, ma quei baci parlavano per lei.
 
 
*
 

Suo nonno aveva lasciato l’Ordine anni prima: nessuno sapeva bene perché. Obi-Wan Kenobi era stato uno dei Jedi più rispettati, un maestro e membro del Consiglio che contava innumerevoli ammiratori e amici di tutte le razze. Era intelligente, ironico, di buon cuore, sapeva pensare con la sua testa e guidare chiunque verso la strada giusta, tanto che anche chi non lo conosceva bene sapeva di potersi fidare di lui.
Quello che i più non sapevano era che esisteva una ragione ben precisa dietro al suo abbandono dell’Ordine: aveva covato dentro di sé una bugia per anni, tanto da non sopportane più l’eco a lungo andare.
Si era innamorato di una donna quando era ancora un ragazzo, un padawan pieno di sogni che esaudiva finalmente quello di diventare un Cavaliere Jedi. Lei era la Duchessa di Mandalore, una donna splendida e intelligente, e fuggiva da una guerra civile che stava inghiottendo il suo pianeta. Il Consiglio aveva dato ordine a suo nonno e al suo maestro di proteggere la Duchessa, i due Jedi avevano eseguito il compito, ma il tempo trascorso insieme aveva portato qualcos’altro ai due giovani. Quello che sapeva Rey nasceva dai racconti di suo padre e dal poco che suo nonno le aveva detto da bambina, così aveva sempre riempito la storia coi colori e i dettagli della sua immaginazione: vedeva sua nonna come una donna fiera, vestita con abiti regali, accompagnata da due Jedi, gli occhi pieni di quel rispetto che con gli anni sarebbe diventato amore e accanto a lei suo nonno, ancora non segnato dal tempo e dal dolore, giovane, gli stessi occhi luminosi di suo padre. Non sapeva come si erano ritrovati dopo tanti anni, come e se suo padre avesse effettivamente riallacciato i rapporti con la famiglia che per anni gli era stata nascosta: lei aveva sempre vissuto a Jakku, cullata dai venti desertici, osservata da un Jedi anziano e gentile che non l’aveva mai abbandonata. Dei suoi genitori non sapeva nulla, forse quella lontananza l’aveva aiutata lungo la strada della rinuncia a qualsiasi legame.

Rey passeggiava lungo il cortile interno del tempio, con la luce del giorno che si stagliava alle sue spalle come un mantello, e rifletteva. Da quando Luke l’aveva presa sotto la giurisdizione di maestro non era quasi più tornata a Jakku, se non per alcune missioni. L’ultima volta che si era messa in contatto con Obi-Wan Kenobi era stato tramite HoloNet, quasi in segreto, un regalo che le aveva fatto il suo maestro perché non sentisse nostalgia di casa… e forse anche perché gli mancava l’anziano eremita che era stato suo maestro. La vita era un ciclo, diceva sempre sua nonna: Obi-Wan aveva addestrato Luke, Luke era tornato a prendere Rey. E lei cosa avrebbe fatto? Sarebbe diventata la maestra di qualche padawan? Avrebbe percorso quella stessa strada affiancata da un allievo, saggia e sicura delle proprie capacità come non era mai stata fino a quel momento?

Erano tempi difficili, le aveva detto Luke. Ma quando mai la vita era stata priva di sfide?

A volte si pentiva di non aver potuto godere per più tempo della compagnia di sua nonna. Era morta quando era ancora una bambina, troppo piccola per ricordarla bene, e le uniche tracce del suo passaggio erano le frasi che Obi-Wan ricordava di tanto in tanto per riportarla in vita tra loro. Le avrebbe potuto chiedere come aveva fatto a conciliare i suoi doveri con ciò che la rendeva felice, quali erano state le loro difficoltà e se mai avevano pensato di mollare tutto, di dimenticare quanto era accaduto tra loro come se non fosse mai successo. In qualche modo, senza saperlo e facendo solo affidamento sulle sue sensazioni, sentiva che lei l’avrebbe capita. Confidarsi con suo nonno l’avrebbe messa a disagio, molto più che raccontare tutto a Luke: anche se avevano vissuto situazioni simili, la paura di deluderlo era troppo radicata in lei per sconfiggerla.

Coruscant Prime tramontava nel pieno del suo splendore, accolto dalle braccia tese dei grattacieli della città. Ad alcuni maestri piaceva sedersi sulle gradinate di pietra del tempio e osservare la stella splendere e poi spostarsi lentamente, lasciando posto alla notte e a tutto un altro genere di pensieri. Rey era tra loro: l’aveva preso da Luke, erano due tipi introversi e contemplativi, che amavano restarsene a pensare seduti nel loro angolo, a volte anche per ore. La riflessione le faceva bene, e osservare il mondo muoversi accanto a lei in qualche modo la aiutava a trovare un ordine, uno scopo da portare avanti. L’occhio di Coruscant Prime osservava tutti, e la sua immutabilità la rassicurava.
Erano tempi difficili, tutta la galassia lo dimostrava: la guerra volgeva al termine, ma gli equilibri non erano ancora stati ristabiliti. Se era vero che le menti migliori trovavano la risoluzione ai loro problemi, allora anche lei avrebbe trovato la sua strada.

Sospirò, e alzò la testa con gli occhi chiusi, lasciò che i raggi danzassero oltre le sue palpebre. L’astro iniziava a tramontare, ma lei non lo vedeva.
 
*
 


Si era allenata ancora con Luke a far fluttuare il suo cristallo, con più successo delle prime volte. Il suo maestro l’aveva gratificata con un sorriso orgoglioso, e quella gioia le era rimasta attaccata addosso come uno dei raggi di Coruscant Prime, anche durante la notte.
Appena era scesa la sera, era tornata tra le braccia di Kylo. Avevano passeggiato per la Città Sotterranea senza il cappuccio, senza curarsi di chi avesse potuto riconoscerli, ma per una volta non ci avevano fatto caso. La brezza fredda della notte raffreddava le mani di Rey: istintivamente, aveva cercato un contatto con quelle del ragazzo per riscaldarsi. Lui l’aveva lasciata fare. Sorrideva.

“C’è aria di tempesta” aveva detto lui, osservando il cielo con attenzione. La ragazza non ci aveva badato. In quel momento, il resto non aveva molta importanza.
 
 
*
 

Improvvisamente, le mura del luogo dove era cresciuta la soffocavano nella loro stretta. Non si sentiva più a casa, voltava lo sguardo e ogni angolo, ogni persona che incontrava, le sembravano estranei. Cercava di scacciare quella sensazione, si ripeteva quanto fosse passeggera, ma come si faceva a vivere con la costante sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato?
 

*
 


Era un periodo di turbamenti e guerra imminente, le aveva detto Luke. Rey lo aveva ascoltato come faceva sempre, ma mai avrebbe pensato che le sue previsione più pessimistiche si sarebbero avverate con tanta velocità.

Una notte la svegliò di soprassalto, afferrandola per un braccio, e aspettò solo quei pochi minuti che le erano necessari per vestirsi. Fuori infuriava la battaglia: truppe vestite di bianco correvano coi fucili in mano, sparando e annuendo agli ordini ricevuti, voci concitate si facevano domande a vicenda, alcune piangevano. I maestri stavano correndo via, ma in lontananza – o vicinanza? Sembravano provenire dall’ingresso sul retro del Tempio! – alcune voci avevano gridato e si erano subito spente. Rey riconobbe quella di Sovi, una padawan sua amica, ed ebbe paura.
Luke la condusse tirandola per un braccio in una delle zone più alte dell’edificio, una delle terrazze in cui si era recata a prendere il fresco della sera innumerevoli volte. Le aveva preso le mani in una stretta febbrile, spaventata, e lo sguardo che le aveva rivolto non era da meno.

“Rey, mi devi ascoltare bene. Molto bene, perché è in gioco la nostra vita. Ci stanno cercando: qualcuno è entrato nel Tempio per uccidere quanti più di noi, mentre il Senato è stato rovesciato. Il maestro Yoda ci aveva avvertiti che la situazione politica stava precipitando, ma noi…” si fermò un attimo, quasi cercasse più aria da respirare. Deglutì. “Dobbiamo andarcene, non possiamo farcela da soli. Sono in contatto col maestro Windu, è riuscito a fuggire e tra poco ci verrà a prendere qui… è riuscito a rintracciare alcuni di noi in missione, forse riusciremo a trovare un luogo sicuro dove riorganizzarci. Ma voglio che tu stia bene e lo aspetti qui, d’accordo?”
“E tu, maestro? Che farai?”
Luke fletteva le dita della mano metallica che aveva perso anni prima, in un incidente di cui Rey non sapeva nulla. Quante cose ancora gli aveva nascosto? La guerra, le prime avvisaglie di quell’attacco, il fatto che qualcuno li cercava per eliminarli tutti e sembrava esserci quasi riuscito?
“Devo andare a radunare quanti più padawan possibile. Non meritano quello che sta succedendo, nessuno lo meriterebbe. Tornerò dentro… e succederà quel che la Forza vorrà.”
“No! Devo andare via, tu non…”
“Rey.” Luke la fermò con un gesto insolitamente delicato per  quei momenti di concitazione. “Io sono vecchio, tu sei una Jedi capace e intelligente. Se qualcuno di noi non deve salvarsi, voglio che quel qualcuno sia io. Tu resta qui… e ti prego, resisti. Tieni con te la spada e aspetta il maestro Windu. Devi salvarti a qualunque costo.”

La ragazza fissò l’elsa della sua spada laser, il metallo freddo che ormai era un tutt’uno col freddo della sua mano, e l’immagine di un’altra elsa le balenò alla mente. Luce che fuoriusciva da due estremità, un kyber sintetico. Sith. Ecco il tassello che mancava.
“Maestro… sono stati i Sith, vero? Ci sono loro, dietro al cambio di potere?”
Luke scosse la testa, sorprendendola. “Sì e no. Non lo sa nessuno, ma l’uomo che è entrato aveva una spada rossa in mano… è uno dei seguaci di Snoke, o almeno sembra esserlo. Ma ora non importa, dobbiamo pensare a noi, non a loro.”

La ragazza si voltò e iniziò a correre verso la porta, l’eco dei suoi passi che quasi la stordiva. Accadde così in fretta che Luke non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene, né di fermarla: correva a perdifiato verso l’uscita, lontana dai massacri dell’interno e dalle voci che si affievolivano, guidata da una sensazione che le faceva bruciare il cuore e la gola. Lo sentiva, da qualche parte sapeva che lui era lì, che la aspettava. Sapeva sempre dove trovare il luogo peggiore, dopotutto.
 

Di fronte all’ingresso del Tempio, un gruppo di uomini alti e vestiti di nero restava in piedi, le spade sguainate davanti a loro, come se attendessero qualcuno. Uno di loro si staccò dal gruppo: l’elsa vibrava impazzita, i due getti di energia rossa sprigionata dal cristallo rendevano instabile la presa. Prima ancora che si abbassasse il cappuccio e rivelasse gli occhi scuri, le labbra piene e rosa da bambino, Rey l’aveva riconosciuto.
Kylo era lì. Ancora una volta, il loro legame l’aveva avvisata in anticipo.
Il gruppo alle sue spalle si allargò, pronto ad attaccarla: la ragazza accese la spada e la strinse più forte in pugno, perché capissero che non se ne sarebbe andata senza opporre resistenza, ma Kylo si staccò da loro e la raggiunse, impedendo lo scontro. La prese da parte come aveva fatto Luke prima, con una forza che nascondeva una gentilezza strana per uno come lui, e lasciò che i suoi uomini si spargessero intorno. Se avevano qualcosa a che fare con l’intrusione o se erano lì solo per controllare la situazione, non l’avrebbe mai saputo.

La ragazza non gli diede tempo di iniziare. “Perché hanno attaccato il Tempio? Ci sono truppe ovunque… ho sentito degli spari, i maestri stanno andando via!”
Kylo le sembrava… triste? Teneva lo sguardo basso, ma dal poco che riusciva ad intravedere la luce che gli riempiva gli occhi non era felice, né soddisfatta. Combatteva contro qualcosa, e solo la Forza sapeva cosa.
“Lord Vader sta portando avanti il suo compito… ma io sono venuto per te. Rey… vieni via. Andiamocene da qui, non c’è più niente per te.”
“Sei impazzito? Il mio maestro è andato a cercare aiuto, non posso abbandonarli!” Volse la testa a destra e a sinistra, angosciata. Le esplosioni sembravano essere cessate, ma cosa stava succedendo all’interno? Sperò che l’assenza di suoni significasse che Luke era riuscito ad avere il controllo della situazione, in qualche modo. Strinse i pugni.
“Pensi di poter fare qualcosa contro dei Sith addestrati e armati? Perché pensi che sia qui, invece di affiancare Lord Snoke ed eseguire i suoi ordini?” la scosse per le spalle, e finalmente la ragazza riuscì a dare un nome al sentimento che riempiva le sue parole: preoccupazione. Era disperato quanto lei, ma riusciva a nasconderlo bene. “Non puoi fare più nulla, ormai. Sono disposto ad ogni cosa per saperti al sicuro, anche andarmene, portarti da qualche parte e restare con te finché la situazione non sarà tornata alla normalità, ma non posso lasciarti qui. Non posso. Ti prego, Rey… sii ragionevole. Vieni.”
La ragazza fece un passo indietro. Le lacrime le riempivano gli occhi tanto da appannarle la vista, le mani le tremavano tanto che la spada rischiò di cadere. Luke le aveva chiesto di fare la stessa cosa, scappare e abbandonare tutto dietro di sé… e, come aveva disobbedito a lui, sentiva di non poter ascoltare nemmeno l’uomo che credeva di amare.
“Non posso, Kylo. Non posso.”
“Se tu solo cedessi…”
“Vieni tu con me!” esclamò Rey, e si accorse di urlare. Un gruppo di truppe stava per entrare nel Tempio, i fucili posati sul fianco, in attesa di ordini. Erano soli, o dipendevano dagli uomini in nero? Luke doveva aver raggiunto qualche padawan, forse li aveva avvertiti del pericolo. Sperò che fosse così.
Per un attimo, vide gli occhi di Kylo accendersi di una luce diversa, quasi speranzosa, ma fu questione di un secondo: quello successivo scosse la testa. Aveva chiesto troppo.
“Non posso.”
“Se io posso scappare con te, anche tu puoi venire via con me!”
“Non è la stessa cosa. Rey… vorrei davvero che potessimo restare insieme, ma non è possibile. Devi scegliere un lato con cui schierarti, non possiamo più nasconderci e guardare il mondo muoversi attorno a noi ed ignorarci. Ma puoi seguirmi tu, e nel caso potrei pensare ad un luogo dove tu possa restare al sicuro. La scelta è tua… io continuerò ad esserci per te, qualunque decisione tu prenda.”
La ragazza asciugò una lacrima. Le scappò una risata nervosa, che si trasformò subito in un singhiozzo. “Tramite droide?”
“Anche tramite droide, se vorrai.”

Rey lo guardò negli occhi e, per la prima volta, lesse tutto quello che gli era sempre sfuggito di lui. L’anima tormentata che si portava dietro come un fardello da spartire solo con se stesso, i suoi occhi scuri, che sfuggivano la luce, quel modo di sorridere nascondendo ciò che pensava, concedendo solo qualcosa di tanto in tanto. Gli prese una mano e ne sentì le dita che stentavano a scaldarsi, si piegò in avanti disperatamente per cercare un contatto maggiore. Lui tolse la mano dalle sue e le prese il viso per baciarla, un bacio intenso, triste.
Non riusciva a immaginare quanto fossero rimasti in quel modo, stretti in un abbraccio intenso come quelli delle loro notti nella Città Sotterranea, ma la battaglia intorno a loro sembrava procedere con un ritmo lento e costante. Si staccò da Kylo e sentì che altre lacrime, non sue, le avevano bagnato le guance.

“Allora, è un addio?”
Lui sorrise di rimando. “Non direi. Sai dove trovarmi… l’hai sempre saputo. Se la Forza ci servirà bene, le nostre strade si incontreranno ancora.”
“Se la Forza sarà con noi, vuoi dire.”

Lui le sorrise, poi alzò la testa. Una piccola nave stava scendendo verso di Rey, un portellone si abbassava e rivelava il volto di un uomo, una lama viola che brillava mentre veniva sguainata. Il maestro Windu. La ragazza lanciò uno sguardo a Kylo, ancora esitante.
“Vai, Rey. Non preoccuparti per me… è questo il tuo destino, è giusto che lo segui. Io farò in modo di poterti rivedere.”
Le strinse la mano. Rey lo guardò ancora, ma nessuno dei due parlò: fu Kylo a spingerla via, sempre gentilmente, ma con decisione. Un’altra corsa, ma questa volta le lacrime nemmeno cadevano più: voleva aggrapparsi alla più piccola delle speranze che aveva. Saltò all’interno del portellone, guardò giù e fissò lo sguardo sui capelli neri di Kylo, sul cappuccio che alzava sulla testa e la sua spada e pensò a quante volte l’aveva visto indossare di nuovo quel mantello dopo che avevano trascorso la notte assieme, quante volte ci aveva giocato mettendoselo addosso e prendendolo in giro. Lui la sgridava per scherzo, poi la spingeva sul letto e cercava di riprenderselo. Le sembrava un ricordo di un’altra vita, un romanzo letto anni prima, eppure erano stati loro, e quel ragazzo che si allontanava sempre di più l’aveva chiamata per nome, le aveva detto cose che non aveva mai detto a nessun altro. Le lacrime minacciavano di cadere di nuovo e oscurarle la vista: strinse i pugni e respirò profondamente, sperando passasse. Eppure, in qualche modo sentiva che quella sensazione la condividevano entrambi, che prima o poi le loro strade si sarebbero incrociate di nuovo. Se la Forza o il destino o chi per loro li aveva fatti incontrare, perché non avrebbe dovuto farlo ancora?

La nave virò verso la terrazza dove si trovava in precedenza con Luke, e il maestro Windu scese per cercare l’uomo. Rey sporse la testa dal finestrino, ma Kylo era già sparito dalla sua vista.

Non per molto, si disse, e sperò di aver ragione.











***
Piccole note post-storia
Ho scritto questa AU in occasione del primissimo evento della RFFA a cui partecipai, nell'autunno del 2016: la ragazza a cui dovevo regalare questa storia-scambio desiderava una Jedi/Sith AU dai toni abbastanza malinconici, ed è proprio dal finale malinconico che sono partita per tratteggiare tutta la vicenda di Rey e Kylo, una Jedi e un Sith che si innamorano nonostante le difficoltà della loro vita e gli ostacoli posti dai due Ordini.
Rispetto al canone, ovviamente, cambia un po' tutto, a cominciare dal fatto che Luke conosce Rey da quando era bambina ed è suo maestro da anni, e che Obi-Wan e Satine Kryze (la Duchessa di Mandalore che appare nella serie tv The Clone Wars) sono i nonni della nostra scavenger. Suo padre è Korkie Kryze, che nella mia fantasia da patita di headcanon resterà sempre il figlio di Satine e Obi-Wan (nella serie ci viene presentato come il nipote di Satine, ma andiamo, è un misto perfetto di entrambi!). Vader non è il nonno di Ben e Luke non è suo zio, mentre l'attacco finale al Tempio Jedi è una sorta di Ordine 66 "rivisitato", in cui sia Vader sia Snoke hanno un ruolo.
Insomma, un gran minestrone che spero però vi abbia intrattenuto e convinto!

Ho scritto questa storia in totale trasporto, specie per quanto riguarda le emozioni di Rey, in cui c'è sempre qualcosa delle mie. Non mi era mai capitato di scrivere questo genere di alternate universe, per cui chiedo venia per eventuali errori o ingenuità dovute alla mia troppa fantasia. E ringrazio col cuore Ailisea, il mio Ben, per il solito entusiasmo e l'amore che riserva ad ogni cosa che scrivo.
Qui ho anche pubblicato una piccola moodboard della storia, se aveste voglia di rebloggarla.

*regala biscottini ai lettori*
Rey
   
 
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