Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar
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Autore: Koome_94    09/01/2018    6 recensioni
Soldato ha diciannove anni quando si iscrive al primo anno del College più rinomato degli Stati Uniti.
Timido e impacciato, si troverà subito nei pasticci, costretto dal regolamento scolastico ad iscriversi a uno dei mille Club Studenteschi.
Skipper, capo e fondatore del Club di Spionaggio, vede la sua associazione a rischio soppressione a causa della carenza di iscritti. Assieme ai suoi fratelli gemelli, il geniale Kowalski e l'esplosivo Rico, troverà nella giovane matricola dallo sguardo ingenuo la leva giusta per salvare il suo club.
Ma il Club di Spionaggio affonda le sue radici in una storia torbida e pericolosa, una vicenda di vendette e ricatti nella quale il giovane Soldato rimarrà suo malgrado invischiato.
Chi sono i misteriosi Johnson e Manfredi, che sembrano tanto tormentare il passato dei tre gemelli?
E che ruolo avrà Hans, il misterioso studente del progetto di scambio con la Danimarca?
Chi è il nemico che trama nell'ombra in attesa di vendetta?
Ma soprattutto, riuscirà Soldato a sfondare il muro di paura e rimorsi che attanaglia il cuore del capo del più folle gruppo di spie che l'America abbia mai visto?
Lo scoprirete solo se rimarrete con noi, fino alla fine~
[Human!College!AU]
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Kowalski, Rico, Skipper, Soldato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VIII~






Nei giorni immediatamente successivi a Capodanno l’Università era stata un cantiere continuo.
Interi gruppi di studenti erano scomparsi nel nulla, Doris compresa, e le aree comuni si erano trasformate in quello che sembrava più uno stadio che una scuola.
In caffetteria e nell’ingresso erano comparsi striscioni colorati, cartelloni esplicativi erano stati appesi alle pareti e quando gli studenti scomparsi erano ritornati dal loro misterioso ritiro spirituale muniti di badge che citavano “TUTOR SCAMBIO”, improvvisamente era stato come trovarsi in un museo o in un negozio di abbigliamento dalle commesse troppo solerti.
- Ci mancava solo lo scambio con l’Europa! – biascicò Skipper, seduto su una panca in corridoio con i gomiti sule ginocchia mentre in palestra si reiterava la fiera dei Club.
- Ancora non capisco perché non abbiamo partecipato! Un membro in più non può certo far male al Club, no? – fu il commento di Soldato, seduto accanto a lui.
Skipper sospirò.
Fuori nevicava piano, il cortile interamente imbiancato nella quiete del tardo pomeriggio.
A chiunque quella vista avrebbe trasmesso un senso di pace; non a lui.
Per lui la neve significava solo un altro anno gettato alle ortiche, un altro anno nel quale non era riuscito a ottenere giustizia.
Posò gli occhi su Soldato, che buono e ingenuo com’era non poteva nemmeno immaginare ciò che appesantiva il suo cuore.
- Fidati, Matricola. Quattro è un numero sufficiente. – si limitò a ribattere.
- E poi sono solo dieci studenti da smistare, scommetto che se li accaparrerà tutti Julien! – scherzò, felice nel vedere un sorriso sul volto dell’amico.
La porta della palestra si aprì, e dallo spiraglio sgusciò fuori Marlene, il sorriso elettrizzato ad anticipare la notizia.
- Due a uno! – esclamò, volteggiando verso di loro con aria trionfante.
- Due aggiunte al Giornalino contro un solo nuovo adepto di Jul! Qualcuno mi deve offrire una pizza! – cinguettò proprio mentre la porta si spalancava dietro di lei.
- Aspetta a cantare vittoria! C’è ancora mezz’ora per il Grande Re Julien! – sbottò il Grande Re Julien, scuro in volto per l’onta combinata di aver perso potenziali sudditi e di dover offrire una pizza a Marlene.
- Tutto perché Doris mi ha tradito… - sibilò poi nel puntare un dito contro la ragazza, Skipper e Soldato che assistevano incuriositi allo scambio di battute.
- Doris ha tradito anche me, cosa credi? Il suo scambio è andato al Club di Cucina! – gli rise letteralmente in faccia Marlene.
- Quindi alla fine le hanno assegnato uno studente? – si intromise Soldato, che da quando erano arrivati gli scambi non aveva più avuto modo di parlare direttamente con lei.
La ragazza annuì con un grande sorriso, Julien dietro di lei ancora stizzito.
- E’ un tipo in gamba! Ha un accento buffo, mi sta simpatico. Magari stasera a cena potrebbe unirsi a noi! – propose.
Skipper stava già per rifiutare l’offerta, ma il ragazzino fu più svelto di lui.
- Mi sembra un’ottima idea! – esclamò, raggiante.
Il capo del club di Spionaggio gli rivolse un’occhiata sconsolata, ma non si oppose: nonostante non avesse alcuna voglia di fare nuove conoscenze, smorzare l’entusiasmo del più giovane gli dispiaceva.
Si erano presi tutti assieme un caffè alle macchinette in fondo al corridoio, poi Marlene e Julien erano stati nuovamente inglobati dal caos della palestra e gli altri due avevano deciso di tornarsene in camera loro in attesa della cena.
Avevano trascorso un’oretta a chiacchierare del più e del meno, ma Soldato si era accorto che c’era qualcosa che rendeva Skipper vagamente nervoso. La spiegazione era stata che non amava il caos dei nuovi arrivi, e la matricola avrebbe anche potuto crederci se ancora, pochi giorni prima, non si fosse svegliato nel cuore della notte per trovare il letto del suo compagno vuoto e la luce a filtrare dalla porta del bagno chiusa a chiave.
Un’sms da parte di Mort, però, lo aveva distolto da quei cupi pensieri e lo aveva fatto alzare da letto controvoglia.
- Devo passargli dei riassunti, domani ha l’esame di Storia dell’America Latina e credo non abbia studiato una riga… - spiegò a Skipper infilandosi le scarpe con uno sbuffo svogliato. L’unica cosa che lo spingeva a recarsi fino alla stanza del suo compagno era la curiosità nei confronti della scommessa fra Julien e Marlene.
Diede un’occhiata al display del cellulare per controllare l’ora e sbuffò ancora.
- Mi sa che a questo punto ci vediamo direttamente a cena… - commentò.
Skipper gli rivolse un sorriso accondiscendente e annuì.
- Tranquillo, intanto mi faccio una doccia… - annunciò, alzandosi in piedi e andando ad aprirgli cavallerescamente la porta.
- A più tardi, Matricola! –
Soldato rimase qualche istante di troppo imbambolato a fissarlo, poi annuì come uno stupido e, paonazzo, fuggì in corridoio.
Il compagno di stanza rimase un momento a guardarlo, impalato sulla porta finché l’oggetto del suo interesse non ebbe voltato l’angolo alla velocità della luce, poi tornò in camera chiedendosi fra sé e sé cosa diamine gli fosse preso.
Andò dritto in bagno e si sfilò i vestiti velocemente, scivolando sotto il getto della doccia e lasciando che l’acqua calda gli rilassasse i muscoli.
A occhi chiusi si ritrovò a pensare che in effetti, in un certo senso, le cose da Capodanno erano leggermente cambiate fra lui e Soldato. Non che il ragazzino ne fosse causa volontaria, anzi. Se lui stesso si fosse ritratto a quel contatto inaspettato, se avesse tenuto fede alle sue promesse con sé stesso, non avrebbe passato le notti successive ad occhi spalancati chiedendosi come comportarsi in futuro.
La verità era che non era mai stato tanto in conflitto con se stesso come in quei giorni, il cuore a sospingerlo in una direzione e la coscienza, saggia, a tirare le redini dei suoi desideri.
In ogni caso, ormai, le ore trascorse con il compagno di stanza non sembravano mai sufficienti, e quando il ragazzino fuggiva da lui a quel modo aveva sempre la terribile sensazione di essersi esposto troppo, di aver immaginato cose che in realtà non erano mai state suggerite e di essersi messo in ridicolo.
Dopotutto, considerò, non sarebbe stata nemmeno la prima volta.
Un sorriso di disprezzo increspò le sue labbra e il respiro gli mancò dal petto. Boccheggiò, gli occhi di nuovo spalancati.
- No. – disse semplicemente a voce alta, supportato dalla consapevolezza che nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Aveva già avuto il suo attacco di panico qualche giorno prima, non era certo il caso di farsene venire uno a venti minuti dalla cena con gli altri.
Si poggiò con entrambe le mani contro le piastrelle, la schiena sferzata dal getto della doccia, e trasse grandi boccate d’aria.
Non doveva pensarci.
Non sarebbe accaduto di nuovo.
Soldato era diverso, non avrebbe mai…
- Respira, idiota! – sibilò digrignando i denti.
Prese a contare lentamente, un respiro profondo dopo ogni numero, il vapore che ormai aveva appannato interamente il plexiglass.
Raggiunti i ventitré respiri il tremore che aveva preso a scuotergli le mani cessò, il nodo in gola meno stretto di come gli era parso all’inizio.
Ok. Ok. Ce l’aveva fatta.
Finì di lavarsi velocemente cercando di impegnare il cervello nei pensieri più disparati e si vestì di fretta, indossando la giacca e le scarpe e recuperando le chiavi dal comodino.
Quella crisi gli aveva fatto perdere un sacco di tempo, avrebbe dovuto sbrigarsi se avesse voluto arrivare in mensa assieme agli altri e non suscitare occhiate scettiche da parte dei fratelli!
Animato da quel pensiero, allungò il passo e svoltò l’angolo del corridoio e fu quasi per miracolo che scartò prontamente a destra evitando di dare una poderosa facciata contro qualcosa.
O qualcuno, a giudicare dal verso sorpreso simile a un singhiozzo che ebbe in cambio.
- Hey, scusa! Ci è mancato poco, eh? –
La voce, particolarissima nelle sue s ed r così originali, apparteneva ad un tizio che Skipper non credeva di conoscere.
Era di poco più basso di lui, portava un orrido cardigan rosso che emanava un vaghissimo sentore di naftalina e un undercut fuori moda quasi quanto i suoi vestiti.
Gli occhi ambrati, disturbati appena dai capelli scuri, avevano un luccichio scanzonato ai limiti dello sfacciato.
No, quel tizio era certo di non averlo mai visto prima.
- Senti, stavo andando a cena ma credo proprio di essermi perso… non è che potresti darmi una mano? Se non è di disturbo, chiaro! Questi sono i dormitori, vero? – lo mitragliò senza nemmeno lasciargli il tempo di replicare.
Skipper soppresse l’istinto di tirare dritto senza rispondergli, ma a giudicare dall’accento e dal discorso doveva essere uno degli europei e questo lo mosse sufficientemente a compassione da non abbandonarlo in mezzo al corridoio.
- Già, la mensa è nell’edificio centrale, hai completamente sbagliato strada… Sto andando a cena anch’io, ti accompagno. – si offrì in un guizzo di generosità.
Lo sconosciuto gli rivolse un sorriso a trentadue denti che mise in risalto le sue guance paffute e il suo naso sgraziato.
- Fantastico! Comunque io sono Hans, dalla Danimarca! – esclamò porgendogli una mano.
Skipper la strinse senza troppo entusiasmo.
- Skipper, Seattle. – rispose, monosillabico.
Non che quell’Hans gli risultasse antipatico, ma aveva appena soppresso un attacco di panico e si sentiva come se lo avesse travolto una schiacciasassi, un danese esagitato era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Il ragazzo alzò un sopracciglio scuro con aria soddisfatta, quasi avesse vinto alla lotteria.
- Quindi sei tu il famoso Skipper! – commentò, l’angolo destro del labbro superiore alzato a mostrare i denti in un ghignetto.
Il diretto interessato si irrigidì e sperò che l’aria fredda dell’esterno potesse mascherare la sua reazione allo straniero.
- Famoso? – domandò, insospettito da quella strana scelta di vocabolario.
Hans recuperò un cappellino di lana dalla borsa che portava con sé e se lo ficcò in testa.
- Sei il capo del Club di Spionaggio, no? La tua fama ti precede! – scherzò.
- La mia tutor mi ha parlato di te e qualcuno ha nominato il tuo Club oggi pomeriggio. Peccato che non ci foste in palestra, mi sarebbe piaciuto iscrivermi! – aggiunse, forse resosi conto di sembrare un potenziale stalker.
Skipper tornò a rilassarsi e si diede mentalmente del paranoico. Walski aveva ragione, a volte esagerava davvero.
- Il nostro Club è a posto così, troppi membri rischiano di compromettere la segretezza… - commentò distrattamente, senza pensare che tutto sommato quella era proprio la ragione per cui aveva evitato la fiera dei Club.
Intirizzito, si sfregò le mani l’una contro l’altra e accelerò il passo, seguito dal danese che gli trotterellava dietro allegramente.
- E’ divertente questa cosa dei Club! Da noi non usa! E com’è che avete il Club di Spionaggio? Intendo dire, è abbastanza bizzarro, no? Se pensi a roba standard come quelli di Teatro… - commentò.
Quel tizio parlava veramente un sacco.
Skipper gli rivolse una strana occhiata che forse lo mise in soggezione, poi si strinse nelle spalle.
- Storia lunga… - si limitò a replicare, spingendo la porta dell’edificio centrale e salendo le scale.
Fu la voce squillante di Doris ad accoglierli in un’esclamazione che Skipper avrebbe dovuto prevedere.
- Hans! Eccoti qui! Stavo per scriverti un messaggio! – poi si accorse di chi era ad accompagnarlo e un’espressione stupita si fece largo sul suo viso.
- Ah, Skipper! Vi conoscete già? –
- Ci siamo appena incontrati… - tagliò corto, preparandosi a una serata di mal di testa mentre l’altro andava a baciare Doris sulle guance come se si fossero sempre conosciuti.
La ragazza dovette notare il suo scarso entusiasmo, ma fece finta di niente e indicò l’interno della mensa con un cenno della testa.
- Forza, gli altri sono già tutti a tavola! – li esortò, raggiungendo il tavolo seguita a ruota da Hans.
- Sera! – fu il saluto di Skipper.
Rico ricambiò con un sonoro “ciao”, seguito prontamente dalla mano di Marlene e dal sorriso raggiante di Soldato, accanto al quale si sistemò lo studente straniero, Doris accanto a lui a presentarlo agli altri.
- Kowalski? – chiese il gemello di mezzo, non vedendolo da nessuna parte.
- Gli ho scritto, era in biblioteca con Eva, stanno arrivando. – fece Marlene.
Proprio in quel momento i due fecero il loro ingresso e si congedarono con un bacio a fior di labbra, la russa diretta al tavolo del Consiglio Studentesco e il giovane che li raggiunse a passo spedito.
- Scusate, abbiamo perso di vista l’orologio! – si giustificò, in imbarazzo.
Skipper roteò gli occhi e gli fece cenno di sedersi accanto a lui, Doris impegnata a fissare il suo vassoio.
- Risparmiaci i dettagli, per carità! – rise Marlene, Rico e Soldato che si scambiavano un’occhiata divertita, ma Kowalski non si unì all’ilarità e fu proprio l’outsider del tavolo a sbloccare quella strana situazione di imbarazzo che si era inspiegabilmente creata.
- Kowalski! Piacere, io sono Hans, lo scambio di Doris! – si presentò.
Il ragazzo gli strinse la mano con un sorriso distratto e gettò un’ultima occhiata al tavolo di Eva, poi parve dimenticare il pensiero che aveva adombrato i suoi occhi fino a quel momento e, finalmente, il tavolo piombò nella vivace atmosfera che si creava sempre quando c’erano novità.
Hans si dimostrò, a dispetto dei pronostici di Skipper, un buon conversatore. Aveva un buon senso dell’umorismo e un sacco di aneddoti divertenti da raccontare. A parte il buffo accento, che in effetti non faceva che aumentare la simpatia che si provava istintivamente per lui, il suo Inglese era impeccabile.
- In Danimarca lo studiamo fin da bambini, e al liceo ci hanno spedito per due estati in Inghilterra a studiare. Ma mica mi lamento! Dopotutto l’accento britannico è il più sexy del mondo, no? – scherzò in seguito al complimento da parte di Soldato.
Quello ridacchiò fra sé e sé.
- Posso assicurare che da solo l’accento non serve a niente! – fece, le guance appena imporporate.
Skipper distolse lo sguardo, leggermente infastidito, e non notò che il ragazzino aveva fatto saettare rapidamente le iridi in sua direzione.
Chiacchierarono ancora, ognuno desideroso di dire la sua riguardo a qualsiasi argomento tirato in causa, e fu quando Hans chiese se gli altri ragazzi avessero programmi per la settimana a seguire che il gelo si impossessò della tavolata.
- Ho detto qualcosa che non va? – domandò il danese, preoccupato da quella reazione.
Fu Doris a rispondergli, tetra.
- Voi siete ancora in festa. Per noi ci sono gli esami di fine semestre… -
Rico biascicò qualcosa di interpretabile con un “che palle” e fu Soldato a intervenire.
- Durano tutta la settimana, anche se ovviamente non abbiamo esami tutti i giorni. Il problema è che non abbiamo tutti gli stessi corsi, quindi organizzarci per fare qualche uscita di gruppo è un po’ complicato… - spiegò.
Hans annuì con decisione, e il ragazzino stava per chiedergli a quali corsi si fosse iscritto quando un rumore violento li fece voltare tutti quanti, la mensa improvvisamente nel silenzio più totale.
Soldato trattenne il fiato, preoccupato che qualcuno fosse scivolato e si fosse fatto male, ma la voce di Segreto rese immediatamente evidente quale fosse il problema.
- Tutto questo è ridicolo! – tuonò. Era in piedi, le mani sbattute contro la superficie del tavolo e la sedia rovesciata dietro di lui.
Nessuno in tutta la mensa osò muovere un muscolo, persino Miccia e Caporale, seduti uno accanto e uno di fronte al ragazzo, erano immobili.
La replica, inaspettata e disgustata, venne da Eva.
- No, tu sei ridicolo! Hai ventiquattro anni, vedi di crescere! –
La sua voce era alta e indignata, pregna di una rabbia vibrante che nessuno avrebbe mai pensato di poterle attribuire.
Eva, di solito così composta e misurata, era furente.
- Io? Eva, ma fammi il piacere! – ribatté Segreto, altrettanto inedito agli occhi dei presenti.
A quel punto fu il turno della ragazza di alzarsi di scatto.
- Oh no, proprio per niente! Sei tu che hai un problema qui, e vedi di risolverlo da solo perché io non ho alcuna intenzione di dare retta alle tue stronzate! –
Doris strabuzzò gli occhi e scambiò un’occhiata perplessa con Soldato, ma Segreto riportò nuovamente l’attenzione su di sé.
- Sai benissimo che ho ragione, Eva! –
A quel punto Miccia cercò di intervenire e placare i due compagni, ma la ragazza fu più svelta.
- Lo saprò quando ti degnerai di dirmi le cose in faccia! Tira fuori le palle, una volta tanto, invece di dare sempre la colpa agli altri! Non stiamo tutti ad aspettare i tuoi comodi! – ma la voce le si ruppe sul finale e si portò repentinamente una mano alle labbra.
- Ragazzi… - balbettò Miccia, Caporale di fronte a lui ancora congelato.
Eva si voltò di scatto e uscì di corsa dalla mensa: stava piangendo.
Segreto rimase immobile, le mani ancora sul piano del tavolo, poi si sedette lentamente, ammutolito e mortificato da quella reazione. Il silenzio regnò sovrano per ancora una manciata di secondi, poi la mensa tornò caotica e roboante come prima del litigio.
Al tavolo del Club di Spionaggio, però, nessuno ancora osava parlare, tutti gli occhi puntati su Kowalski.
- Allora?! Cosa diamine aspetti? Vai da lei, razza di deficiente! – esclamò Doris all’improvviso, indicando la porta.
Kowalski alzò gli occhi su di lei, la bocca socchiusa forse per dire qualcosa, poi annuì e uscì di corsa.
- Beh, benvenuto, Hans! – commentò Skipper sarcastico.
- Giuro che di solito non siamo così… - cercò di tranquillizzarlo Marlene, vista la sua faccia basita.
- PEGGIO! – gracchiò Rico, facendoli scoppiare a ridere tutti quanti e beccandosi uno scappellotto affettuoso da Soldato.
Quando si salutarono, un’oretta dopo, Kowalski non era ancora tornato, ed era stato Rico a proporsi di andare a vedere che andasse tutto bene.
Doris e Marlene avevano accompagnato Hans al dormitorio degli europei, e Skipper e Soldato si erano trovati nuovamente da soli.
- Hans è davvero un tipo simpatico! – esclamò il più giovane, girando le chiavi nella toppa e spogliandosi velocemente, le mani che tastavano sotto al cuscino in cerca del suo pigiama.
L’altro fece spallucce.
- Parla molto. – commentò senza sbilanciarsi troppo.
Soldato fece spuntare la testa dal colletto e gli rivolse un’occhiata dubbiosa.
- Che hai? – domandò.
- E’ tutta la sera che sei strano. – aggiunse di fronte alla perplessità dell’amico.
Quello si strinse nelle spalle.
- Ho solo detto che Hans parla molto, non c’è niente! – replicò, stranamente acido.
- Che vuoi che ti dica? Sì, è simpatico, ma non so, non mi convince… - continuò, consapevole che il ragazzino non gli avrebbe dato tregua finché non fosse riuscito ad estorcergli una vera opinione.
Soldato lo guardò con tanto d’occhi, poi rise di una risata finta, strana da vedersi sulle sue labbra.
- Skipper! Di cosa hai paura, che sia un agente sotto copertura mandato da Copenhagen per fare controspionaggio? Smettila di essere così sospettoso di tutti! – era palese che scherzasse, ma vi era comunque una sottile nota di rimprovero nella sua voce. Dopotutto lui era stato il primo a doversi guadagnare la sua fiducia con le unghie e con i denti.
Il ragazzo non gradì la battuta e gli rivolse un’occhiata gelida.
- Ho i miei motivi per essere sospettoso, Soldato. – sibilò, stizzito.
Aveva un gran mal di testa e sinceramente non aveva nessuna voglia di commentare il nuovo arrivo. Magari il giorno dopo, ma in quel momento l’unica cosa che desiderava era andarsene a letto ed archiviare la giornata.
Ciò che non si aspettava, però, era che Soldato rispondesse a tono.
- Oh, lo so bene, non ti preoccupare. – fece, risentito.
Skipper serrò le labbra e lanciò camicia e pantaloni sulla sua seggiola, senza premurarsi di piegarli come faceva ogni sera.
- Beh, allora non stupirti ogni volta. Ora me ne vado a dormire, ho mal di testa. – sbottò.
- Bene. Buonanotte. – replicò il ragazzino, filando in bagno a lavarsi i denti.
Quando la luce fu spenta ed entrambi furono al sicuro sotto le coperte, non un’altra parola era stata sprecata.
Soldato si tirò la trapunta fin sopra le orecchie, aggrappato al cuscino con gli occhi che bruciavano dallo sforzo di trattenere le lacrime di rabbia e di tristezza.
Se solo pensava all’euforia che lo aveva colto la sera di Capodanno, adesso gli sembravano trascorsi anni luce.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro nel tentativo di sciogliere il nodo in gola e addormentarsi.
Quando il suo lenzuolo prese ad alzarsi e abbassarsi allo stesso ritmo, Skipper era ancora sveglio.
Lo sarebbe rimasto fino al mattino.
 








 
La caffetteria era praticamente deserta. Tutti gli studenti erano a sostenere gli esami o in biblioteca a studiare, e solo qualche sparuto gruppetto se ne stava ai tavolini a procrastinare in attesa del pranzo.
Soldato si era appropriato di un posto vicino alla finestra e aveva abbandonato i suoi appunti di Letteratura vicino alla tazza vuota di cappuccino, consapevole che non sarebbe riuscito a ripassare nemmeno per scherzo.
Quella mattina, quando era suonata la sveglia, il letto di Skipper era vuoto, del suo compagno di stanza non c’era traccia.
Gli aveva mandato un sms con scritto “ho da fare, ci vediamo dopo” e lui si era limitato a rispondergli con l’emoticon del pollice alzato.
Rico aveva un esame e Kowalski non si era più fatto sentire da quando li aveva mollati tutti per correre dietro ad Eva. Avrebbe potuto andare a cercarlo, ma non era dell’umore adatto per prestare supporto emotivo, quel giorno.
La sua anima era piuttosto in tono con il cielo sopra ai prati gelati: grigia e triste, ancora aggrappata ai ricordi della sera prima.
Avevano litigato, avevano litigato e non avevano chiarito, e questa cosa gli rendeva difficile persino respirare.
Si morse un labbro, ci mancava solo che si mettesse a piangere come un imbecille!
- Giornata tetra, eh? – una voce lo fece trasalire: Hans era apparso alle sue spalle con due bicchieroni di carta e ne stava porgendo uno alla matricola.
- Ho visto la tua faccia da funerale e ci ho fatto mettere dentro una tonnellata di cannella! – gli sorrise.
- Mia nonna diceva sempre che è terapeutica! – aggiunse guardandolo bere un piccolo sorso di latte caldo e prendendo posto di fronte a lui.
Il ragazzino gli sorrise debolmente e lo ringraziò.
- Lo dice anche mia zia, ma dobbiamo stare attenti, mio zio è intollerante, se esageriamo con le dosi si riempie di bolle! – gli raccontò.
Hans esibì un sorriso sghembo.
- Ho presente la scena… - commentò quasi affettuosamente, negli occhi ambrati l’ombra di un ricordo.
- Come sta il tuo amico? Quello carino, dico… Com’è che si chiama? - domandò poi.
Soldato alzò un sopracciglio, confuso.
- Skipper? – azzardò, senza rendersi conto di cosa implicasse la sua risposta.
Hans fece schioccare la lingua contro il palato in segno di vittoria.
- Proprio lui! Ieri quando l’ho beccato ai dormitori aveva un’aria terribile… - spiegò prima di bere un sorso del suo latte e cannella.
La matricola bevve a sua volta e si strinse nelle spalle.
- Credo fosse stanco. E’ un tipo che non si risparmia, e poi ne paga le conseguenze… - spiegò senza riuscire a celare la preoccupazione, fregandosene altamente di star parlando di cose private con uno che in fin dei conti era un perfetto sconosciuto.
Dopotutto con Hans veniva estremamente semplice confidarsi, aveva tutta l’aria di essere un buon ascoltatore e un amico sincero, e a tenersi dentro quell’angoscia sarebbe di certo esploso.
Come a voler confermare i suoi pensieri, il danese si sporse in avanti, preoccupato.
- Ma soffre tipo di attacchi d’ansia? –
- Più o meno… -
Le sopracciglia di Hans si curvarono in un’espressione dispiaciuta.
- Poverino… E’ per questo che hai quest’aria afflitta? Vedrai, passati gli esami passerà anche l’ansia! – cercò di rassicurarlo con un’amichevole pacca sulla spalla per poi lasciarsi cadere nuovamente contro lo schienale della seggiola.
Soldato gli avrebbe volentieri confessato che gli esami erano l’ultimo dei problemi di Skipper, ma lasciò perdere: non voleva sembrare una lagna né abusare della gentilezza del nuovo amico.
Fu a quel punto che Doris e Kowalski fecero il loro ingresso in caffetteria discutendo animatamente, Rico subito dietro di loro.
Hans parve illuminarsi nel vedere la sua tutor e prese a sbracciare in loro direzione.
- Hey ragazzi! C’è posto qui! – esclamò nonostante la maggioranza dei tavoli fosse libera.
Soldato alzò una mano in cenno di saluto e scrutò attentamente Kowalski, incuriosito dal suo silenzio stampa la sera precedente.
- Com’è andata Idraulica? – si informò Hans.
Fu proprio Kowalski a rispondergli, sedendosi accanto a Soldato mentre Rico si appoggiava allo schienale della sua seggiola.
- I problemi erano più semplici del previsto. –
Hans rise alla smorfia di Rico: doveva già aver capito che per Walski tutti gli esami erano più semplici del previsto.
- Ho risposto a tutti i quesiti, speriamo bene… - fece invece Doris, decisamente più modesta.
- E Skipper? – inquisì poi.
Il più giovane del gruppetto fece spallucce.
- Ha detto che aveva da fare… - disse solamente, sperando che l’amica non facesse ulteriori domande.
Fu accontentato, Doris non indagò oltre, ma il suo scarso entusiasmo non dovette sfuggire a Rico.
Il ragazzo abbandonò la sua posizione arroccata alle spalle della matricola e sospirò, infastidito.
- A DOPO. – annunciò semplicemente prima di girare sui tacchi e sparire lungo il corridoio a passo di marcia.
A quel punto, ormai roso dalla curiosità, Soldato si lasciò sfuggire una domanda che forse non avrebbe dovuto porre.
- Eva come sta? –
Kowalski gli scoccò un’occhiata sarcastica da dietro la montatura sottile.
- Sicuramente meglio di ieri sera. – esordì.
- Ci siamo lasciati. – aggiunse poi in spiegazione.
Lo sguardo del ragazzino schizzò inevitabilmente verso Doris, ma quella lo teneva basso, l’aria stranamente contrita. Doveva saperlo già.
- Mi dispiace… - fece Hans, che da quando era stato introdotto al gruppo aveva assistito solamente a un turbinio di scene da soap opera.
Contro ogni previsione, tuttavia, Walski sorrise senza traccia di tristezza, le mani ferme e non a tormentare gli occhiali o a grattare il naso come quando era a disagio.
- Tranquillo, è tutto a posto. Lo abbiamo sempre saputo entrambi che non sarebbe potuta funzionare a lungo… E’ stata una separazione pacifica… -
- Beh, non è stata molto carina a mettersi con te se sapeva di provare dei sentimenti per Segreto. – commentò Doris a bassa voce rendendo chiara anche agli altri la causa della rottura.
Teneva ancora il capo chino e sembrava più dispiaciuta di quanto non lo fosse Kowalski stesso.
Il ragazzo aspettò che lo guardasse negli occhi e le rivolse uno strano sorriso che fece arcuare di sospetto le sopracciglia di Hans.
- Hai ragione, ma non la posso biasimare. –
La giovane non rispose, si limitò a reggere il suo sguardo per secondi che parvero interminabili, e Soldato quasi ebbe l’impressione che entrambi si fossero dimenticati della loro presenza al tavolo.
- Sembra proprio che serva dell’altro latte e cannella, dico bene? – si intromise all’improvviso Hans, spezzando il silenzio che doveva aver fatto sentire fuori luogo anche lui.
Kowalski gli rivolse uno sguardo curioso, Doris sorrise.
- Ah, ma come avete fatto a sopravvivere senza di me? – domandò retorico il ragazzo incamminandosi verso il bancone con uno di quei ghignetti che Soldato aveva ormai capito essere la sua espressione distintiva.
- Ce la cavavamo benissimo anche senza di te, non ti preoccupare! – scherzò Doris, un po’ meno pallida di prima.
Il danese si voltò appena, dedicandole una strana occhiata.
- Ce l’avete nel sangue, eh? – commentò, criptico. La bionda inclinò la testa di lato, in attesa di ulteriori spiegazioni, ma il nuovo amico si era già appoggiato al bancone con i gomiti, l’attenzione tutta dedicata alla barista.
Nel frattempo, nell’ala opposta dell’edificio, Rico camminava con le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni.
Da quando quella storia dello scambio culturale era stata ufficializzata, la preoccupazione che Skipper potesse risentirne in qualche modo era stata costante. Conosceva bene suo fratello, sapeva quali pensieri abitavano i suoi incubi e non aveva alcuna intenzione che dopo tutta la strada percorsa una simile novità potesse rilanciarlo al punto di partenza.
Ne aveva parlato con Kowalski, ma secondo lui non c’era niente da temere, e aveva voluto fidarsi.
Ancora una volta però, l’istinto sembrava averla avuta vinta contro la ragione.
Aveva capito immediatamente dal tono di Soldato che quella mattina era successo qualcosa, ma mettersi a discuterne davanti agli altri era poco saggio, così aveva preferito defilarsi senza alzare polverone. Dopotutto Walski aveva già i suoi di problemi, di quello in particolare avrebbe potuto occuparsene da solo.
Come da pronostico la luce nell’aula del Club era accesa.
Bussò tre volte come facevano sempre per dichiarare che non si trattava di individui esterni venuti a ficcanasare e, quando non ricevette alcuna risposta, entrò.
- SKIPPER! – lo chiamò.
Il ragazzo era seduto al computer e gli dava la schiena.
Non rispose, l’indice sulla rotellina del mouse che tremava appena.
- SKIPPER! – urlò più forte.
A quel punto il gemello sussultò e si voltò di scatto.
Aveva un’aria terribile: il viso era pallido e gli occhi arrossati dalla fatica di leggere per probabilmente più ore di quanto non fosse saggio erano cerchiati di nero.
Rico sospirò e si sedette a cavalcioni di una sedia, sistemandosi accanto a lui.
Gli rivolse uno sguardo lungo e silenzioso prima di trarre un profondo respiro e chiedergli, con una certa difficoltà, se quella notte fosse riuscito a dormire e se ci fosse qualcosa che doveva raccontargli.
- Ho dormito male. – minimizzò quello, ma a un’occhiata severa del fratello si vide costretto a confessare.
- D’accordo, non ho chiuso occhio. Ma sto bene. Sono venuto a fare qualche ricerca. – tacque qualche istante, poi proseguì, indicando il computer con un cenno e fingendo che tutto quello fosse perfettamente normale.
- Non capisco. Dopo l’evasione è come se l’FBI avesse completamente abbandonato il caso. Non si trova nulla, né una menzione, né un accenno, né… - ma Rico lo interruppe, una mano sulla spalla e gli occhi azzurri cupi e quasi inquietanti nella loro serietà.
Il capo del Club di Spionaggio richiuse la bocca ed espirò l’aria dal naso, rilassando i muscoli e curvando appena la schiena.
- Ieri sera ho litigato con Soldato. A proposito di Hans. – spiegò.
- Hans? – riuscì a domandare Rico ad un normale tono di voce.
Non capiva. Hans era simpatico, nemmeno aveva dato segno di aver notato le sue difficoltà di espressione e si era dimostrato un tipo in gamba, che aveva che non andava?
- Non lo so, qualcosa in lui non mi convince. Soldato ha detto che sono un paranoico… - esalò, gli occhi bassi mentre il gemello annuiva per dare ragione alla matricola.
- Soldato vuole… vuole bene… - mormorò Rico.
- Lo so, è un bravo ragazzo, non avrei dovuto parlargli in quel modo… - convenne Skipper, ma ancora una volta fu interrotto.
- NO! – gracchiò l’altro.
- Soldato vuole bene! E tu! Anche tu! – sputò fuori a fatica.
Strinse i pugni, perché ciò che voleva dire a suo fratello era complesso e difficile e le parole non erano mai state dalla sua parte.
Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, che capiva la sua paura, capiva il timore che lo bloccava, ma che iniziava a pensare che forse, dopo tutto quel tempo, le contromisure adottate inizialmente potevano anche essere allentate, che forse, dopo tutti quegli anni, poteva davvero provare a lasciarsi andare senza la consapevolezza che ogni sua azione viaggiasse sul filo di un rasoio ad attanagliargli le viscere.
Rico conosceva il suo gemello nel profondo, e sapeva alla perfezione cosa il suo cuore gli suggerisse la notte, quando il silenzio calava sulla sua stanza e il respiro tranquillo di Soldato proveniva dal letto accanto. Sapeva bene cosa significasse desiderare un amore che per mille ragioni non poteva realizzarsi, ma la differenza fra loro era che Skipper poteva provare, poteva mettersi in gioco, questa volta.
Perché si era rovinato la vita a tal punto, dietro a quella vicenda, che se non si fosse lasciato andare in quel momento, probabilmente, non sarebbe riuscito a farlo mai più, e allora sì che il terrore e il rimorso lo avrebbero divorato.
Meritava di provare ad essere felice.
Avrebbe voluto dirgli tutto quello e molto di più, ma come sempre le parole lo tradivano e non erano che gorgoglii inconsulti a lasciare le sue labbra squarciate e non avrebbe mai potuto essere davvero d’aiuto a suo fratello.
Sospirò, avvilito, poi si alzò in piedi e spense il computer.
- PAUSA – fu il suo verso, sgraziato ma ricolmo di un affetto antico che si insinuò come un pungolo nel cuore del più grande.
- Non è così semplice, Rico. Ma grazie… - sospirò, davvero riconoscente.
Si alzò anche lui e gli batté  una pacca sulla spalla che si trasformò in un rapido abbraccio.
- Ora credo proprio di aver bisogno di un caffè… - commentò, sciogliendo l’abbraccio e recuperando la sua borsa.
Rico annuì e gli rivolse un sorriso più sereno nonostante non fosse riuscito a comunicargli tutto ciò che desiderava.
- NOVITA’! – esclamò, mentre Skipper chiudeva a chiave la porta e lo guardava con tanto d’occhi.
- Kowalski? – inquisì, curioso di sapere cosa fosse successo la sera prima.
Ma il fratello non aggiunse altro e lasciò che la curiosità aumentasse in lui fino alla caffetteria, dove avrebbe scoperto la verità dal diretto interessato.
Quando varcarono la soglia gli altri erano ancora tutti lì, e sul tavolo campeggiava un nuovo giro di tazze e bicchieri di carta.
- Ciao Skipper! Mettiti lì vicino a Soldato, c’è un buco! Vuoi qualcosa? – lo accolse Hans con un grande sorriso, come se non avesse aspettato altro che vederlo arrivare.
Quello ricambiò il saluto, un poco spiazzato da quell’altruismo sfacciato a cui non era particolarmente abituato. Prima che potesse aggiungere altro, però, Rico si incamminò verso il bancone lasciando intendere che ci avrebbe pensato lui e con un cenno della testa intimò al fratello di prendere posto.
Fece come suggerito e raccattò una seggiola da un tavolo vicino, andando a sistemarsi fra il danese e la matricola.
Si accorse che Soldato non lo aveva salutato e che stava accuratamente evitando di guardare in sua direzione. Non era risentito, era in imbarazzo.
Kowalski disse qualcosa che non stette a sentire, troppo concentrato sul ragazzino alla sua destra.
Mentre tutti erano concentrati su ciò che suo fratello aveva da dire, fece scivolare una mano su quella del compagno di stanza, per attirare a sua attenzione.
- Scusami per ieri. – gli sussurrò all’orecchio.
Per un istante sentì la mano del più giovane irrigidirsi sotto la sua, poi gliela strinse appena, dedicandogli un’occhiata fugace ma genuina, priva di ogni rimprovero o stizza.
- Tranquillo. – sussurrò, le guance rosse e le labbra tirate verso l’alto.
Strinse un poco più forte e poi lasciò improvvisamente la presa, raccogliendo un bicchiere dal mucchio abbandonato sul tavolo e bevendo un sorso veloce.
- Ah sì, giusto! Voi non c’eravate! – esclamò poi Hans richiamandolo all’attenzione, Rico che era appena tornato con i due caffè.
- Hans aveva proposto di andare a pattinare sul ghiaccio questo week end, per festeggiare la fine degli esami! – spiegò Doris, elettrizzata dall’idea.
- Potremmo andare a Central Park, non so, forse per voi è troppo turistico? – chiese lo straniero, facendolo sorridere.
- BELLO! – esultò Rico, favorevole a un po’ di divertimento che non prevedesse rimanere bloccati sull’isola dell’Università.
E, come se si fossero sempre conosciuti, presero a parlarsi gli uni sugli altri nella foga dell’organizzazione, scoppiando a ridere alle rettifiche di Kowalski sulle condizioni ottimali del ghiaccio per poter pattinare e auto valutando la propria abilità di scivolare aggraziatamente sui pattini.
Hans era quello che rideva più di tutti, deliziato dall’idea di poter fare qualcosa di familiare con i suoi nuovi amici e a guardarlo così, impegnato in un serrato e scanzonato botta e risposta con Rico come se niente fosse, Skipper si rese conto che quella volta aveva davvero esagerato.
Si unì anche lui alle risate, cercando di non pensare al fatto che, nonostante avesse dato la sua approvazione all’uscita di gruppo, lui a pattinare fosse altamente impedito.
Tutto sommato, però, per una volta avrebbe anche potuto lasciare che la sua più grande preoccupazione fosse quello.
In effetti, considerò riportando istintivamente lo sguardo su Soldato, era vero che aveva i suoi buoni motivi per essere sospettoso, ma questo non significava che dovesse cedere alla paranoia. Forse poteva concedersi una tregua, poteva allentare la tensione e provare a lasciarsi andare anche solo un pochino.
Sarebbe bastato non perdere di vista il suo obbiettivo, continuare a perseguire la giustizia senza tuttavia diventarne uno schiavo, una vittima anche in assenza di delitto.
La sua vita, in tutta onestà, non era mai stata così radiosa come quell’anno.


















 
Note:

Lo avevamo promesso, Until the End sarebbe tornata.
Una minaccia, forse, più che una promessa, ma dopotutto ormai ci conoscete e sapete che razza di pessime autrici siamo.
Prima dei soliti commenti di fine capitolo voglio veramente ringraziare chi con pazienza continua a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti avvengano veramente una volta ogni morte di papa.
Voi siete davvero ciò che porta avanti Until the End e non smetteremo mai di ripetere quanto vi siamo grate. <3
Parlando del capitolo, invece...
Skipper merita tante sberle, ormai lo abbiamo capito.
Con Capodanno si pensava che le cose per lui si fossero un minimo sbloccate e invece per ogni passo in avanti lui e Soldato ne fanno dieci indietro. Aiutateli, vi prego, da soli non ce la possono fare.
Per Skipper ci sta provando Rico, ma poverino, più di tanto non si può combinare quando il proprio gemello è l'essere più cocciuto sulla faccia della terra.
Piccola parentesi: come avrete ormai capito abbiamo una fissa per le relazioni familiari e in particolare quelle fra fratelli. Scrivere la scena fra Skipper e Rico è stato estremamente soddisfacente e dovete tutti amare Rico perchè LA PAZIENZA DI QUEL RAGAZZO.
A proposito di fratelli, Kowalski ed Eva si sono (finalmente coff coff) mollati. Non crediate che la faccenda si sia risolta così facilmente però, gli amici del Vento del Nord non hanno alcuna intenzione di uscire di scena così!
Il vero protagonista del capitolo, tuttavia, è il tanto atteso (almeno da noi e da Doris) studente di scambio.
Scrivere Hans è sempre terribilmente divertente per me, anche se forse, poveretto, non è arrivato a New York nel momento migliore...
Eppure il nostro danese preferito è già riuscito a fare amicizia con il gruppo, e forse la sua allegra presenza riuscirà a smuovere gli equilibri e portare un po' di freschezza nelle giornate dei nostri eroi.
Intanto aspettiamo l'uscita a Central Park... chissà se Skipper riuscirà a nascondere agli altri che non sa pattinare sul ghiaccio? E chissà se le sue misteriose ricerche condotte nella stanza del Club produrranno mai risultati e saranno svelate anche a noi comuni mortali?
Speriamo vivamente che non ci voglia un altro anno per darvi le risposte, ma nel frattempo possiamo dirvi una cosa: godetevi le risate dei ragazzi, perchè questa è esattamente la calma prima della tempesta. 

Un bacione e grazie a chi legge e recensisce, come sempre,

Koome
   
 
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