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Autore: Amantea    09/01/2018    3 recensioni
Un uomo dabbene, una famiglia benestante, una città elegante.
E un tragico fatto di cronaca.
Il presente si sovrappone ai flashback dei ricordi.
Ma chi siamo veramente?
[...] "Socchiuse gli occhi, finse di vedersi dal di fuori.
Vide un uomo di mezza età, i capelli non più del tutto bruni, la barba brizzolata, il maglione sulla camicia, e sotto a quella il torace, e più sotto ancora il cuore che pulsava, e che rallentava, e si perdeva, e il desiderio snidato che risaliva come una macchia di inchiostro, e si spandeva, si spandeva e lo uccideva, lo uccideva lentamente.
Il desiderio di lei, di Sara, di lei che non era più, di lei con quei suoi occhi enormi e tristi, che lo divoravano da dentro lentamente, inesorabilmente, occhi di donna.
Occhi di fiume."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Occhi di fiume


OCCHI DI FIUME




Accettò il caffè.
Accettò senza immaginare.
Accettò senza poter prevedere le mani rapide che gli avrebbero slacciato il cappotto e tirata via la maglia.
Accettò senza poter impedire di ritrovarsela addosso, su quel letto sfatto e ingombro, urgente e decisa, come una scadenza fissata da tempo, prendersi tutto quello che voleva, senza nessuna tenerezza.
Quando alla fine si alzò, nuda, non gli rivolse neanche una parola. Afferrò il maglione e lo infilò. Frugò nel cassetto del comodino, trovò una sigaretta e un accendino, lo usò, chiudendosi alle spalle la porta del bagno. 
L'uomo capì immediatamente cosa fare. Non c'era bisogno che si dicessero alcunché. 
Quando la ragazza uscì, la stanza era vuota. Se n'era andato.
C'erano dei soldi, sul comodino, sotto alla lampada, e un pezzo di carta, scritto a matita: "Per l'affitto". Sul retro, un poco storto, un numero di cellulare.

Non si aspettava quella chiamata.
Era a lavoro, in ufficio. Il collega Paolo era appena rientrato dalla riunione con gli architetti e l'impresario.
- La prossima volta vai tu, Damiano, perchè io proprio non li reggo -, sbuffò, gettando sul tavolo gli incartamenti di una mattinata di incontri, mentre il telefono aveva iniziato a vibrare cupo sulla scrivania.
Paolo lo vide esitare. - Beh, perchè non rispondi? - lo incalzò.
L'altro rispose con un mezzo sorriso di circostanza: - No, non è importante. Richiamerà. Adesso raccontami come è andata -.
Per pranzo Damiano disse di avere un impegno. La telefonata di prima, doveva vedere una persona. Paolo non chiese nulla. Lo conosceva da troppo tempo per fare domande. E poi si sarebbero rivisti in ufficio, tra neanche un'ora.
L'amica di Sara lo aspettava, come d'accordo, fuori dal piccolo Bistrot.
Era la ragazza di quella sera lungo la strada, di notte. Era anche la ragazza con cui Sara divideva l'appartamento dell'anziana affittuaria.
Aveva il viso ancora segnato dal lutto, la pelle tesa.
- Ciao Elisa -.
- Ciao, Dami. Non ho molta fame, ma qui si sta al caldo e si può parlare -.
Aveva parlato velocemente, le mani nervose nascoste nell'incavo delle braccia.
L'uomo annuì, le aprì la porta. La scelta cadde su un piccolo tavolo ad angolo. Una cameriera aveva già appoggiato due menu sorridendo. Damiano sorrise a sua volta, porgendone uno alla ragazza, sapendo bene che non erano lì per consumare alcunché.
- Hai letto il giornale di oggi? -, la sentì esordire, sganciandosi la zip della giacca.
- Solo di sfuggita -.
La ragazza si guardò intorno. Era pieno di gente, avrebbero potuto parlare senza che nessuno si accorgesse di loro. Ne sembrò rincuorata, e proseguì.
- Tu devi dirmi che ci faceva Sara in quel fiume, perché io non me ne faccio ancora una ragione -. Lo fissò con occhi improvvisamente liquidi, senza tuttavia liberare neanche una lacrima. Le labbra erano un'unica linea di matita rosso scuro, tanto erano tirate nello sforzo di controllare l'emozione che sembrava voler spazzare via quel viso da un momento all'altro.
Il fiume... il giornale titolava a caratteri grossi come lividi che i vestiti della ragazza non erano stati ritrovati. Che non c'erano ancora cause certe per quel decesso. Che gli inquirenti non escludevano nessuna ipotesi. Nessuna. Giornalisti con la bava alla bocca aggrappati a un fatto di cronaca terribile come non accadeva da anni in quella tranquilla città di provincia.
- Non era stata con me quella domenica. Non ci eravamo visti. Non come al solito -.
Elisa sprofondò la fronte tra le mani.
- C'è una cosa che non ho mai sopportato di te -, annunciò, quando il volto riemerse dalle dita che lo avevano nascosto fino a qualche istante prima, - ed è questa tua calma del cazzo -.
L'uomo non si scompose.
- Sì, proprio questa. Questo tuo restare impassibile, solido, come se nulla ti sfiorasse, mai. Te ne vai in giro con questa tua bella faccia perbene, e intanto Sara è morta. Tu te la scopavi di brutto, e lei è morta. Forse l'amavi, forse no, e lei è morta -. La voce incrinata in un crescendo drammatico, senza cedere.
- Elisa... -.
La ragazza gli rovesciò addosso uno sguardo denso come la pece.
- Elisa... io non c'entro con la sua... con... -.
Non riuscì a finire la frase, perché la ragazza si era alzata dal tavolo e se n'era andata. Non avrebbe proprio potuto udire quelle parole. Non da lui.
L'uomo restò qualche minuto in silenzio, fissando il posto vuoto di fronte, la sedia rimasta di traverso, la tovaglia increspata nell'angolo in cui Elisa aveva puntato la mano per sollevarsi di scatto.
Questo tuo restare impassibile, solido, come se nulla ti sfiorasse mai.
Si sporse con il busto per raddrizzare la sedia. Lisciò con una mano la tovaglia a quadrettini bianchi e blu, tirandola leggermente dall'angolo opposto. Prese il menu, lo apri.
Te ne vai in giro con questa tua bella faccia perbene, e intanto Sara è morta.
Fece finta di leggere la lista di portate e prezzi, in un bel carattere corsivo, sulla carta spessa, color ghiaccio.
Forse l'amavi, forse no, e lei è morta.
Fece un cenno alla cameriera, quando si accorse che guardava nella sua direzione, con quel bel viso solare e il grembiulino bianco. E ordinò.

- Come fai a essere sempre così calmo? -, gli aveva chiesto Sara una volta.
- Io non sono un tipo calmo -, aveva ribattuto Damiano sorridendo. - Cosa te lo fa credere? -.
- Quello che vedo. Potrebbe venirti addosso una montagna e tu non ti sposteresti di un centimetro -.
- Beh, allora, più che essere un tipo calmo, sarei un tipo idiota -.
La ragazza era scoppiata a ridere. Rideva ancora, mentre lui aveva iniziato ad accarezzarle il viso, con le nocche.
- Mi piace quando mi accarezzi così -.
- Così come? -.
- Così come se avessi paura di farmi male. Così, come se fossi una cosa preziosa-. 
- Lo sei -.
Lo pensava veramente.
- Tu sei preziosa. Neanche te ne accorgi di quanto sei bella. Della forza che hai. Dell'entusiasmo che trasmetti con quel modo tuo di guardare le cose, o di come splendi tutta quando qualcosa che ti appassiona -.
La ragazza aveva continuato a guardarlo, l'aria un po' sospettosa, o semplicemente incredula, come chi sta ascoltando una storia che non gli appartiene.
Gliel'aveva un po' abbozzata, la sua vita complicata. A pezzi, a sguardi, a mezze frasi, buttate là, come sassi contro un vetro, a fare rumore, impressionarlo. E invece lui era rimasto. Ed era tornato, ogni volta. Ogni volta aveva ascoltato, accolto, ciò che lei tirava fuori, quasi a caso, come da un cappello magico rotto. Si era lasciato colpire da quei sassi, ma non frantumare, mai.
- Non c'è niente di così terribile che non si possa sistemare -, le diceva.
Neanche un padre alcolizzato che per poco non aveva mandato all'altro mondo sua madre.
Neanche un fratello perduto lungo la vita, o i soldi che non c'erano mai.
E così le raccontava della depressione in cui era caduta la moglie dopo la prima gravidanza. Di quel neonato che non dormiva mai, del latte che non riusciva a saziarlo né a crescerlo a sufficienza, delle nottate a vegliare il piccolo e poi la madre, in lacrime. Di come la sentisse lontana, assente, spersa in qualche baratro da cui non riusciva a risalire. Di come lavorasse da casa pur di stare loro vicino, e di come, a un certo punto, avessero intravisto l'uscita da quel tunnel infinito. Ne portava appuntato addosso l'orgoglio, quasi fosse una mostrina al valor militare. Lentamente, sottolineava, che in queste cose ci vuole tempo e pazienza, come in battaglia, ma la vittoria sul buio si era fatta via via più reale, la paura si era allontanata, si era fatta piccola, gestibile, e poi infine fosse scomparsa.
Le era stato a fianco, l'aveva sostenuta, era stato presente. Non si era arreso, lui. Neanche di fronte alle ricadute, che, dicevano, erano normali in casi del genere.
E così intendeva fare con lei. Non aveva nulla da temere. Nulla.
Il destino aveva voluto che quella sera incontrasse quelle due ragazze lungo la strada. Al destino ci credeva. Doveva esistere un perché per tutto ciò che accadeva nella vita. 
In fondo, quando credi, ciò in cui credi diventa vero.

- Oggi in Facoltà è venuta la polizia -.
Maurizio continuò a masticare con gusto la pasta che la madre gli aveva messo nel piatto. Infilò con la forchetta quei rigatoni che colavano sugo da ogni parte, abbassando la testa per non sporcarsi, l'altro gomito ben poggiato sul tavolo, e poi alzò gli occhi verso il padre, che la pasta, di sera, non la mangiava mai.
- Mh -. Damiano non riuscì a dire altro.
- Credo per acquisire dei dati su quella ragazza e fare qualche domanda -.
E perché direttamente in Facoltà e non in Questura? -.
Maurizio rimase con la forchetta sospesa tra il piatto e la bocca.
- E io che ne so? -
Il padre sorrise.
- Sei tu l'esperto di tutti quei serial polizieschi, no? -, svicolò con stile.
- Già. Tu sei fermo all'ispettore Colombo, invece -, ridacchiò.
- Non era un ispettore. Era un tenente. Ce lo avrei proprio visto capitare all'Università a fare domande, vi sareste divertiti. Ma oggigiorno... -.
- Magari hanno avuto una soffiata -, proseguì il ragazzo raschiando il fondo della ceramica, fino a farlo tornare bianco.
- Su cosa ... ? -
- Sulla droga che circola all'Università -.

- Voglio che tu sia onesto con me. Non chiedo molto, voglio che tu sia onesto con me -.
Erano andati a fare un passeggiata lungo l'argine, a primavera. Non c'era quasi nessuno a quell'ora. Un paio di biciclette li superò, da un cestino sbucò un cagnolino scuro, il muso dritto. Sara lo seguì con lo sguardo, mormorò qualcosa.
Il verde era fresco, rinnovato dalle prime piogge tiepide. Se l'occhio si spingeva tutto intorno poteva abbracciare la periferia della città, e il cielo sgombro, appeso, là sopra. Poche nuvole sfilacciate e mobili,
trafitte dal vento, parevano attraversate da una incerta, umana inquietudine.
- Sì -, mormorò l'uomo.
Lei allungò il passo, sembrò scrutare l'orizzonte, o forse era semplicemente altrove, inafferrabile a quel punto.
Il fiume scorreva al suo posto, nell'incredibile prodigio di sembrare fermo.
- Tu non sei nata qui -, le disse. - Eppure hai qualcosa di questo fiume e di questo paesaggio -. Quel qualcosa di indecifrabile che hanno le cose quando stanno ferme troppo a lungo.
- Devi essere onesto con me -, ripeté.
- Sì -, ripeté con lei.
Non chiese altro.
Gli parve che sorridesse. Che per un istante quei grandi occhi verdi si fondessero con la tinta dei campi, che frusciassero, al pari delle canne smosse, una melodia d'altri mondi.
Forse era solo il suo cuore di uomo. Il suo cuore che batteva un ritmo non solo suo, non del tutto suo. Come se avesse rubato qualcosa a un altro petto, di nascosto, e nel silenzio li si potesse sentire ancora, entrambi.
La ragazza gli s'accostò d'un tratto. Gli sollevò una manica, si nascose nel suo abbraccio.
- Tienimi qui -.
- Ti tengo -, sorrise, anche se qualcosa di scuro gli attraversò gli occhi. - Non ti lascio andare da nessuna parte senza di me -.
Fu appena un soffio: -Sì -. Mentiva.


***********
Grazie di cuore a chi c'è, legge, commenta, segue, preferisce, ricorda... Grazie di cuore a chi in silenzio mi accompagna.
Un abbraccio
Amantea





 

   
 
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