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Autore: _Lady di inchiostro_    09/01/2018    1 recensioni
“La leggenda narra che l’Universo, non riuscendo a decidere quale razza intelligente dovesse dominare sulle altre, ne creò di diverse, tutte in stretta correlazione tra di loro. Ci facciamo chiamare Cosmonauti e raramente un individuo è simile all’altro.”
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Cosmos era un pianeta antico e fiorente, popolato da individui tutti diversi tra di loro. Si facevano chiamare Cosmonauti.
A causa di una gravissima siccità che prosciugò le loro risorse d’acqua, furono costretti ad abbandonare il loro mondo a bordo di un’enorme navicella, capace di contenere le persone rimaste.
A prendere in mano il potere fu Lucas, che presto divenne un dittatore a tutti gli effetti, sottomettendo gli abitanti con una strana sostanza da lui inventata, in grado di cancellare i ricordi delle persone.
Ben presto, due Cosmonauti entreranno in contatto con Oikawa, a causa di un incidente in cui è coinvolta la sorella, Hoshi.
Quali saranno le intenzioni di Tooru? Vorrà coinvolgere anche Iwaizumi e Haruka in questa missione suicida?
~
[Seguito di “Like an Astronaut”, con vaghi accenni anche alla raccolta di shot] [Questa storia partecipa allo "Sci-Fi Fest” II ED. a cura di Torre di Carta e Fanwriter.it!]
Genere: Angst, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Iniziativa: Questa storia partecipa allo “Sci-Fi Fest” a cura di Torre di Carta e Fanwriter.it!
Numero Parole: 5812
Prompt/Traccia: Balene spaziali (usato al singolare)




 
CAPITOLO SECONDO



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ATTO PRIMO







Era appoggiato alla parete verde pistacchio da… Quanto tempo? Probabilmente da tre ore e trentasei minuti.
Aveva visto le prime luci del mattino filtrare attraverso le piccole finestre, ma non ci aveva prestato molta attenzione, in fondo. Il suo sguardo era concentrato sulle mattonelle bianche che aveva sotto le scarpe. Ogni tanto ne toccava una con la punta della scarpa sinistra, sperando che qualche strambo innesco si azionasse e lo facesse ripiombare nel suo letto, stretto tra le braccia di Iwa-chan. Ma, come aveva potuto costatare da tre ore e trentasette minuti, non sarebbe servito a niente, poiché quella era la realtà. La dannatissima e bruttissima realtà.
«Tooru?» La voce di Iwaizumi che lo chiamava era simile a un sussurro. I suoi occhi verdi erano stanchi, mentre quelli di Oikawa erano rimasti spalancati per tre ore e trentotto minuti, a fissare le mattonelle bianche. «Ti ho preso il tè. Lo volevi con il limone, giusto?»
Il castano annuì quasi per inerzia, afferrando il bicchierone di plastica. Aveva una fascetta verde scuro che lo ricopriva e sopra c’era stampato il logo del bar di fronte all’ospedale. Da quello che ricordava, quello spazio era sempre rimasto vuoto, finché un terrestre non aveva deciso di comprarlo per farci, appunto, un bar. Fissò quel logo come se non l’avesse mai visto in vita sua, sorseggiando poi un po’ del suo tè e tornando a scrutarlo poco dopo.
Iwaizumi non gli aveva mai tolto gli occhi di dosso. «Non ero in questo stesso reparto, vero?» disse, riferendosi a quando era stato ricoverato tanti anni prima per via di un tumore ai polmoni.
Oikawa mugugnò qualcosa che, in teoria, doveva essere un’affermazione, i denti che mordicchiavano il bordo del bicchiere. Hajime poteva percepire il profumo di limone anche da lì.
Abbassò lo sguardo. Non si erano scambiati una parola da quando Oikawa, con voce un po’ rotta, aveva chiamato Matsukawa da dentro la navicella, dicendogli che c’erano dei feriti. E che nessuno di questi era sua sorella. Si trattava di due individui il cui aspetto pareva umanoide, se non fosse che la pelle di uno dei due era grigio chiaro, come le acque di Sibun. Si erano recati in ospedale, in attesa che i due si riprendessero, mentre Matsukawa era rimasto al Centro di Comando, poiché doveva fare rapporto. E in quel lasso di tempo, in quelle tre ore e quarantadue… no, anzi, quarantatre minuti, Oikawa non aveva più spiccicato parola. Iwaizumi sapeva benissimo che cosa gli stesse passando per la testa in quel momento: si stava di certo chiedendo perché ci fossero due individui sconosciuti a pilotare la navicella di sua sorella, dove si trovasse, se stesse bene e fosse ancora viva. Ma soprattutto, si stava sicuramente chiedendo chi diavolo fossero quei due e da dove venissero. Come tutti sul pianeta, da quando la notizia si era diffusa.
Un rumore di passi li riscosse entrambi, voltandosi verso le figure che, piano piano, si stavano avvicinando verso di loro. Riconobbero immediatamente Haruka, in testa al gruppo; di fianco a lei c’era Selene, i capelli biondi completamente sciolti e scompigliati, e dietro c’erano Hinata e Kageyama.
«È vero?» disse subito Haruka, dopo essersi fermata e aver ripreso fiato. «È vero che non c’è alcuna traccia della zia Hoshi?»
Oikawa non rispose. Non aveva neanche il coraggio di guardare negli occhi sua figlia. Fu Iwaizumi a parlare. «Sì…»
«Ed è vero che sono arrivate qui due persone sconosciute?»
«Sì.» Gli occhi verdi di Iwazumi si posarono su quelli celesti di Selene, che sobbalzò. «Pensiamo provengano da un altro pianeta.»
La ragazza abbassò il capo e arricciò le labbra, pensierosa. «Pensate – esitò – pensate che abbiano a che fare con i miei sogni?»
«È quello che mi auguro…»
Tutti spostarono la loro attenzione sulla figura di Oikawa, ancora con il bicchiere di tè quasi pieno. Puntò gli occhi su Selene, che fece un passo indietro mentre lui si avvicinava a lei. A frapporsi fu Kageyama, che fissava con astio il suo ex-senpai.
Tooru si morse l’interno della guancia prima di parlare. «Ti devo delle scuse, Selene…» Fece un pausa. «Le devo a tutti, in realtà.» E il suo sguardo si rivolse alla figlia, cui dedicò un piccolo sorriso. Gli angoli della sua bocca tremavano. Haruka si sentì in colpa per essersi arrabbiata, anche solo per un attimo, con suo padre.
«No-non si deve scusare, Oikawa-san!» disse la ragazza, uscendo dal suo nascondiglio.
Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma non ne ebbe l’occasione. Un’infermiera – anzi, per essere più precisi, la madre di Shouyou – si avvicinò a loro, un’espressione preoccupata a dipingerle il viso.
«I due pazienti si sono svegliati» disse, pacatamente, quasi come se stesse cercando le parole giuste per dire la successiva frase. «E chiedono di poter vedere il fratello di Hoshi-san.»





Quei due conoscevano sua sorella. Non sapeva né come né perché, ma la madre di Hinata aveva riportato le loro esatte parole. L’avevano chiamata Hoshi-san.
Oikawa attraversò il corridoio, diretto verso la stanza dei due pazienti, a grandi passi, seguito da tutti gli altri. Sembrava che quella stanza non dovesse arrivare mai, come se il corridoio si fosse allungato improvvisamente, seguendo un principio fisico di cui non era a conoscenza. Alla fine, però, arrivarono davanti la porta della stanza, l’infermiera che gli disse qualcosa che in verità non riuscì a sentire. La donna si limitò a salutare suo figlio e la sua famiglia e poi tornò alle sue faccende.
Passarono diversi minuti prima che Oikawa avesse il coraggio di aprire la porta. Gli tremavano le mani. Aveva un’espressione simile a un individuo sotto l’effetto di qualche strano farmaco. Fu la voce di Iwaizumi che lo chiamava, come sempre, a dargli la forza di premere il pulsante di apertura.
La stanza era verde pistacchio, esattamente come il corridoio di prima, e quelle quattro mura infondevano una sensazione di pace e tranquillità. Non c’erano troppi macchinari, solo due flebo attaccate al braccio dei due visitatori.
Il tizio con la pelle grigia mugugnò qualcosa. «Tu devi essere il fratello di Hoshi-san, vero? Tooru-san, giusto?»
Aveva una voce profonda, i capelli bianchi che gli ricadevano davanti al viso, gli occhi color ambra. Si era rivolto proprio a Oikawa, le cui labbra erano diventate una linea sottile.
«Sì» affermò, anche se la sua voce aveva assunto una sfumatura diversa. Sembrava come se qualche corda vocale si fosse rotta e, adesso, gli facesse produrre un verso strano. «Posso sapere i vostri nomi, invece?»
L’uomo strinse le palpebre e cercò di mettersi seduto, seppur con fatica. Fu Selene a intervenire e a dargli una mano. «Non dovrebbe sforzarsi…»
Le fece un piccolo sorriso e la ragazza arrossì, ma non si ritrasse.
Poi, finalmente, l’uomo parlò, a nome suo e del ragazzo disteso di fianco a lui, che aveva assistito all’intera scena in completo silenzio. «I nostri nomi sono Griseo – indicò la sua persona – e Horus. Siamo venuti qui usando la navicella di sua sorella.»
«Questo lo so… Voglio sapere come ve la siete procurata e come diamine fate a conoscere mia sorella!»
«Perché si trova su Cosmos.» Tutti si voltarono verso il ragazzo disteso sul lettino. Aveva un braccio fasciato, probabilmente per via di una ferita che si era procurato durante l’atterraggio, e gli occhi di una forma strana. A Iwaizumi ricordavano gli occhi di un falco che, quando era bambino, aveva visto dietro il vetro di uno zoo. «Il posto da cui noi proveniamo.»
«Cosmos…?» Haruka inclinò appena la testa di lato. «Si tratta di un pianeta?»
«Lo era» disse Griseo. «Hoshi-san si trova sulla navicella che riporta il nome del nostro pianeta natio, dopo che l’abbiamo abbandonato.»
Un’immagine, un flash. Qualcosa che Selene credeva di aver cancellato, ma che invece era ancora ben nitida nella sua mente. Doveva solo cacciarla fuori dal suo subconscio. Una marea di persone, tutte diverse tra di loro, salivano su una navicella enorme, mentre il terreno attorno e sotto i loro piedi era arido come il deserto. Una voce lontana, che prima non era riuscita a registrare, le rimbombava dentro le orecchie. E si accorse, con enorme stupore, che quella era la voce di Griseo.
«Questa è la nostra storia, Hoshi-san.»
Tornò a respirare, come se fosse stata in apnea per troppo tempo, e Kageyama la tenne ben salda in piedi, prima che crollasse a terra. «Selene, che ti succede?»
La testa le vorticava, le immagini di prima che adesso le passavano veloci davanti agli occhi. Dovette deglutire un paio di volte prima di parlare. «Avete abbandonato il vostro pianeta perché… Non c’era più acqua, esatto?»
I due abitanti di Cosmos spalancarono gli occhi, scambiandosi poi una lunga occhiata. «Esatto» rispose Griseo. «Secoli fa, una forte ondata di siccità si è abbattuta sul nostro pianeta, costringendoci ad abbandonarlo…»
«È questo quello che avete raccontato a Hoshi-san, giusto?» Non aspettò alcuna risposta, semplicemente spostò lo sguardo sugli occhi colmi di stupore di Oikawa. Anche lui la stava guardando, il fiato corto e il respiro accelerato. «Mi dispiace tanto, Oikawa-san… L’ho ricordato soltanto adesso…»
Ci fu un attimo in cui nessuno fiatò all’interno della stanza. L’unico rumore percepibile era il respiro pesante di Tooru, che concentrò il suo sguardo su quei due individui che gli stavano davanti. Sentiva la mano di Iwaizumi che gli stringeva il polso, una presa salda che l’abbandonò non appena si avvicinò ancora di più ai lettini dei due pazienti. Le mani erano sulla ringhiera del letto.
«Dov’è mia sorella?» disse, i denti che strisciavano l’uno contro l’altro.
«Le abbiamo già risposto, Tooru-san» disse Griseo, non lasciandosi intimorire da quello sguardo.
«Vedete quella ragazza? – indicò Selene – È una terrestre, ma probabilmente ha delle origini Sibuiane. E se avete veramente parlato con mia sorella, allora dovreste sapere-»
«Che siete in grado di percepire se un’intera popolazione soffre e ha bisogno di aiuto.» Griseo fece un piccolo sorriso, spostando lo sguardo sugli individui dietro le spalle di Oikawa. «Hoshi-san ci ha anche detto che alcuni di voi stabiliscono un legame speciale e che il dolore dell’altro si ripercuote sulle vostre condizioni fisiche.»
«È per questo che siamo qui!» esclamò Horus. «Volevamo liberarla, ma lei ci ha detto di venire qui, su Sibun! Ha detto che sicuramente qualcuno aveva recepito il loro messaggio!»
«Liberarla…?» Oikawa si sentì mancare il respiro. «Liberarla da chi?»
I due si guardarono nuovamente negli occhi, poi Griseo tornò a parlare. «Se volete avere delle risposte, allora è meglio se prima vi spieghiamo come stanno le cose.» Si prese un attimo di pausa, giusto il tempo di osservare gli occhi lucidi di Oikawa, che annuì appena. «Si dice che il nostro pianeta fosse il più antico tra tutti quelli dove adesso c’è vita, compresa la Terra. La leggenda narra che l’Universo, non riuscendo a decidere quale razza intelligente dovesse dominare sulle altre, ne creò di diverse, tutte in stretta correlazione tra di loro. Ci facciamo chiamare Cosmonauti e raramente un individuo è simile all’altro.»
«Questo spiega perché tu, nei tuoi sogni, vedessi delle persone diverse l’una dall’altra, Selene» disse Hajime, le braccia incrociate e lo sguardo serio.
Griseo annuì, per poi continuare il suo racconto. «Su Cosmos l’acqua contava più di qualsiasi cosa. Eravamo tanti, abitavamo in un territorio forse troppo piccolo per contenerci tutti, ma ci sentivamo benedetti dall’enorme quantità di acqua che possedevamo. Finché non cominciò a mancare…» Abbassò il capo e lo stesso fece Horus. «Fummo costretti ad abbandonare il pianeta e a stabilirci su una navicella che prese lo stesso nome. La popolazione si era già dimezzata, ma si ridusse ancora di più dopo una sanguinosissima guerra…»
«Una guerra?» chiese Haruka.
«Una guerra per decidere come doveva essere razionata la poca acqua che c’era rimasta.» Gli occhi di Horus si posarono sulla figura snella della giovane. «Alla fine fu Lucas, l’attuale regnante, ad avere la meglio.»
Sembrava che la storia fosse finita lì, ma la mente di Oikawa fu attraversata da un’idea agghiacciante, da un sospetto che avrebbe voluto cancellare con tutto se stesso. Sentiva degli spilli roventi lungo la gola ogni volta che deglutiva. «Vi prego, ditemi che mia sorella non è sua prigioniera…»
Bastarono le loro espressioni di profondo rammarico per avere la conferma che, sì, Hoshi era la prigioniera di questo presunto Lucas, regnante di un luogo fino ad allora sconosciuto.
Si sentiva morire. Si sentiva come se l’avessero sventrato e gli avessero strappato via gli organi pezzo per pezzo. Avrebbe voluto rigettare quel poco che aveva immesso in corpo, ma si impose di rimanere lucido e composto.
«Siamo mortificati, Tooru-san» disse Griseo. «I vostri Ricercatori sono arrivati uno dopo l’altro su Cosmos e noi non siamo riusciti a placare il desiderio di dominio di Lucas.»
«Sta forse dicendo che anche gli altri Ricercatori sono suoi prigionieri?» domandò Hinata.
«Perché…?» esalò Oikawa, senza dare il tempo di rispondere alla precedente domanda. Aveva gli angoli degli occhi bagnati.
«Lucas è uno scienziato e ha un inventato una sostanza bluastra, simile al colore del nostro oceano su Cosmos, che gli è stata utile per prendere il potere…»
«Questa sostanza annulla completamente la persona, facendole credere di vivere in assoluta felicità, senza più alcuna preoccupazione. Non sanno più chi sono i loro cari, non sanno più nulla del loro passato, sono solo asserviti a Lucas.» proseguì Horus. «Da quando è riuscito a diffondere questa sostanza tra la gente e a ricevere il consenso di tutti, ogni mese la popolazione si sottopone a un’immersione generale nella Vasca della Vita, ricolma di questa sostanza.»
«A meno che tu non sia un prigioniero, perché in quel caso vengono sottoposti all’immersione ogni giorno.» Griseo spostò gli occhi color ambra su quelli color cioccolato di Oikawa. «Ed è questo quello che stanno facendo ai vostri Ricercatori… Compresa Hoshi-san.»
Oikawa cominciò a percepire il freddo della morte fin dentro le ossa. Dovette sedersi sull’unica poltrona disponibile, la testa tenuta dalle mani, il volto coperto da quei ciuffi castani. Iwaizumi si era seduto sui talloni, accanto a lui, carezzandogli appena la cute.
«Io avrei una domanda – intervenne Kageyama – se è vero che questa sostanza controlla le menti delle persone, come mai voi non ne siete succubi? Perché dovremmo fidarci di voi?»
«Prendi un ricordo e tienitelo stretto» disse Horus, dopo aver preso un bel respiro. «Me l’ha detto Hoshi-san…»
Tooru alzò il capo, incontrando l’espressione seria del ragazzo, che continuò a parlare. «Lei è riuscita a resistere a questa sostanza. Ha continuato a parlarci, in modo che qualche nostro ricordo riaffiorasse e ci facesse tornare lucidi. E ce l’ha fatta. Per questo siamo qui.»
«Tua sorella ci ha raccontato quello che hai fatto per salvare più terresti possibili» disse Griseo. «Ci ha detto che tu eri l’unico che potevi aiutarci.»
«Aiutarvi…?» La voce di Oikawa era strozzata da un pianto imminente. «Aiutarvi a fare che cosa?»
«A fermare Lucas.»




*






«In poche parole, puoi dirci che cosa ti hanno raccontato esattamente questi stranieri, Oikawa-kun?»
Il ragazzo si mise in piedi, la divisa tipica dei membri del Consiglio che svolazzò lievemente. Dopo aver parlato con Griseo e Horus, aveva fatto convocare una riunione speciale dove sarebbe stata presente l’intera popolazione di Sibun, in modo da informarli su quanto gli era stato riferito. Sospirò, facendo vagare lo sguardo dalla forma semicircolare della Sala Rossa, ai membri del Consiglio seduti al tavolo. Il nuovo Presidente era stato un Ricercatore molto amato e stimato. Aveva un sorriso rassicurante.
«Lucas ha catturato i nostri uomini e ora gli sta facendo il lavaggio del cervello, in modo che siano sottomessi a lui.» disse. «Non è ancora riuscito a farsi dire le coordinate del nostro pianeta, ma se ci riuscisse allora sarebbe la fine.»
Alcuni membri del Consiglio si lanciarono lunghe occhiate, mentre i mormorii si fecero sempre più insistenti.
«Vuole conquistarci. Vuole sottometterci al suo volere. Ecco perché sta manipolando i nostri Ricercatori.» Cercò di essere convincente con le parole, cercò di crederci lui stesso in quello che diceva. Non sapeva se fidarsi. Tuttavia, l’idea che sua sorella, in quel momento, stesse subendo delle torture indicibili lo faceva rabbrividire.
Era stata lei stessa a dire a quei due di scappare con la sua navicella. Era stata lei stessa a dirgli di lasciarla lì, di cercare suo fratello. Era stata lei stessa a raccontargli di come si fosse imposto per salvare i terrestri. Eppure, non ci sarebbe mai riuscito senza il suo aiuto.
«Silenzio!» Il Presidente sbatté un martelletto di legno sul marmo, lì dove il tempo aveva lasciato qualche solco, placando così le crescenti voci. «Sappiamo quello che Oikawa-kun ha fatto per la nostra comunità. Se lui si fida di loro, non vedo perché noi non dovremmo fidarci. Inoltre, i nostri avi sarebbero di certo intervenuti dinanzi a un popolo che chiede aiuto.»
Alcuni disapprovarono quanto detto dal Presidente, ma a bassa voce, per non farsi sentire. Molti di quelli provavano ancora rancore per quello che Tooru aveva fatto diversi anni prima, incastrando i vecchi membri del Consiglio.
«Non si tratta solo di un altro popolo. Si tratta anche dei nostri concittadini» intervenne il membro che gestiva il Dipartimento della Difesa. «E tra di questi c’è anche Hoshi, il capo del Dipartimento dei Ricercatori.»
«Vorremo evitare di mandare un intero manipolo di soldati» continuò il Presidente. «Altrimenti, sarebbe come dichiarare guerra a questi Cosmonauti. Per cui, come vuole la tradizione di Sibun, sorteggeremo gli uomini che accompagneranno Oikawa-kun in questo viaggio.»
I mormorii divennero ben presto urla, voci diverse che si innalzarono contro il castano. “Possibile che ci sia sempre tu di mezzo?”, “Porti solo guai!”, “Spero di non vederti tornare vivo!”.
«Lo so che molti di voi mi odiano!» La voce di Oikawa sovrastò quella del Presidente – che tentava di calmare la folla –, facendo zittire tutti. «So che molti di voi non hanno ancora accettato il cambiamento, ma vi chiedo… vi chiedo di darmi la possibilità di salvare mia sorella.»
Nessuno emise un fiato, alcuni individui delle prime file che abbassarono il capo e infossarono il collo, come se fossero dispiaciuti dalla faccenda. Tooru individuò anche le famiglie degli altri Ricercatori scomparsi. Lo stavano ringraziando con lo sguardo. Avevano tutti gli occhi lucidi. Loro non avevano avuto il suo stesso coraggio di offrirsi volontari per la partenza.
Il Presidente si mise in piedi. «Se nessuno ha nient’altro da obiettare, allora procediamo con l’estrazione!»
Fu portata al centro della sala, dove di solito si trovavano gli imputati durante un processo, un’enorme coppa di un materiale che sembrava ferro. Conteneva tutti i nomi degli abitanti di Sibun in grado di poter aiutare Oikawa con la sua missione. Quest’ultimo si sedette, mentre il Presidente procedeva ad estrarre il primo nome. Uscì Sugawara Koushi. Fece un piccolo cenno col capo e un sorriso all’indirizzo di Oikawa, che ricambiò. Era capitato che Haruka, quando era molto piccola, si fosse ritrovata a giocare con lui, ma il castano ci aveva scambiato giusto due parole.
In seguito furono selezionati Hinata, Kuroo e Bokuto; anche il nome di Kageyama fu pescato, sotto lo stupore di Selene, gli occhi sgranati.
Mancava solo l’ultimo nome. Il Presidente tenne il bigliettino stretto tra l’indice e il pollice, lo lesse con gli occhi e lanciò un’occhiata a Tooru. Gli mancò subito l’aria.
No... Non può essere...
«Iwaizumi Hajime.»



Oikawa sperava che Hajime non partisse. Lui doveva stare con Haruka, doveva tenerla al sicuro. Se non ce l’avesse fatta, almeno sapeva che loro se la sarebbero cavata.
Ma adesso Haruka era sola. Il nome di Iwaizumi era stato estratto, poco importava se in realtà era un terrestre. L’integrazione di questa gente prevedeva che facessero parte anche di questi rituali.
Oikawa aveva chiesto al Presidente di poter partecipare alla missione, anche se questo andava contro il regolamento di Sibun. I volontari, su questo pianeta, non esistevano.
Finita la riunione, lo pregò di non fare partire Iwaizumi, ma non poteva farlo, aveva già trasgredito una regola.
Non si poteva tornare più indietro.
Sarebbero partiti entrambi o non sarebbe partito nessuno dei due. In ogni caso, qualsiasi scelta fosse stata presa, avrebbe fatto sempre male.




 
ATTO SECONDO







«Avete... avete preso tutto?»
Ad Iwaizumi, la voce della figlia arrivò ovattata, lontana, mentre chiudeva la cerniera del piccolo zainetto che si stava portando dietro.
«Tutto il necessario, grazie» disse, voltandosi. Sorrise debolmente alla figlia, la cui testa era piegata verso il basso. Il mento sbatteva contro lo sterno. Lo faceva anche quando era piccola, per trattenere le lacrime.
Le si avvicinò, arruffandole appena i capelli e dandole un bacio sulla cute. Aveva gli occhi lucidi.
«Io e Oikawa faremo di tutto per tornare sani e salvi. Non ti lasceremo sola» le sussurrò dolcemente.
Haruka l’abbracciò, la tempia premuta contro il suo petto. Strinse tra le dita il tessuto della tuta da Ricercatore, tirando su col naso. Nessuno dei due disse niente, neanche quando arrivò Oikawa a spezzare quell’ultimo saluto. Deglutì. Era come se il senso di colpa si fosse concretizzato e fosse diventato un pugnale che gli bloccava la gola.
«Iwa-chan...» mormorò a fatica, deglutendo ancora. «Dobbiamo andare...»
Haruka guardò entrambi i propri genitori, prima di gettarsi tra le braccia di Tooru. La strinse forte, i suoi lunghi capelli che gli solleticavano il viso.
«Io e Hajime ti vogliamo bene, non dimenticarlo questo, capito?» le disse, la voce rotta dal pianto. Lei annuì, mugugnò qualcosa e si allontanò da entrambi, diretta verso la sua camera da letto. Probabilmente, non se la sentiva di andare alla cerimonia di partenza.
Quanto faceva male dover abbandonare un figlio con la consapevolezza che questo rimarrà da solo contro le avversità del mondo?
Troppo. E Oikawa non poteva fare a meno di sentirsi un autentico egoista in quel momento.
Avrebbe voluto il bene di tutti, ma non stava facendo il bene di nessuno.
Si diressero verso la Base Aerea, dove era già stata allestita una OIKS, pronta per il decollo. Furono gli ultimi ad arrivare e non poterono fare a meno di accorgersi dell’espressioni cupe di Hinata e Kageyama. Neanche Selene era venuta.
Oikawa intravide sua madre, la famiglia di Hoshi, il padre di Iwazumi e la famiglia Murakami. Persino Jun era venuto: lo salutò con debole sorriso e un cenno della mano. Oikawa non poté fare a meno di posargli una mano sulla spalla, stringendola con forza. Era cresciuto parecchio in quegli anni. Tooru gli aveva dato quello che Rokuro non aveva mai dato a lui.
Abbracciò sua madre, le sue deboli mani che passavano sul tessuto squamoso della tuta. Chiuse le palpebre. «Ti prometto-»
«Non promettere» disse la donna, seria. «Preferisco che tu non lo faccia.»
Si guardarono negli occhi, le sue dita che gli carezzarono il viso. Tooru sorrise debolmente. «Sei sempre stato il mio orgoglio» disse la donna e Oikawa le diede un bacio sulla fronte.
«Ti voglio bene.» Represse un singhiozzo. «Ti prego, fa che ad Haruka non manchi mai nulla.»
«Lo farò!»
Fu Kuroo ad uscire dalla navicella e ad avvertire tutti dell’imminente partenza. E quando il portellone si richiuse alle sue spalle, Tooru poté finalmente piangere in silenzio, una mano posata sul viso e i denti che battevano frenetici. La mano di Iwaizumi si posò sulla sua spalla, non solo per riscuoterlo e avvertirlo che dovevano sedersi, ma anche per dirgli che non era solo. Anche lui stava piangendo. Anche lui aveva pianto tra le braccia di suo padre, della famiglia di Murakami Haruka, quelle persone che l’avevano visto crescere e l’avevano assistito nel suo periodo di malattia.
Gli diede un bacio sull’angolo della bocca, gli zigomi arrossati, prima di prenderlo per mano e trascinarlo verso i sedili. La navicella si alzò in aria proprio mentre Tooru stava cercando di fermare le sue lacrime.







A guidare la navicella erano Bokuto e Kuroo. Il decollo fu un po’ turbolento, tanto che Kuroo insultò diverse volte l’ex pilota della Fukurodani, che gli rispose a tono. In un’altra occasione, avrebbero tutti quanti riso di fronte a quella scena, ma non in quel caso.
Nessuno aveva voglia di ridere o di scherzare. Sembrava che li avessero privati della loro gioia, della loro stessa essenza vitale.
Fortunatamente, non ci fu alcun problema collaterale e, nel giro di qualche minuto, la OIKS si stagliava contro il cielo stellato.
«Bene, e adesso?» disse Kageyama, togliendosi di dosso la leva di protezione che veniva usata solo durante l’atterraggio e il decollo.
«Adesso dovremmo incontrare Bastet, colei che dirige la ribellione. Sarà lei a trovarci» spiegò Griseo. «Hoshi-san è riuscita a liberare diverse persone, ma non sono ancora abbastanza.»
I suoi occhi color ambra si posarono sulla figura di Oikawa. Non aveva ancora tolto la leva e il capo era chino, rivolto al pavimento. Proprio come in ospedale, continuava a fissare la punta delle sue scarpe.
«Horus, mi stavi spiegando la tua abilità!» sbottò poi Sugawara, interrompendo quel silenzio opprimente.
Il ragazzo avvampò, gli occhi spalancati. «Non è niente di che…» Congiunse gli indici.
«È un’abilità straordinaria, invece, per questo Lucas lo teneva sotto le sue dipendenze» disse Griseo, arruffando i capelli del ragazzo, che strinse gli occhi. «Horus riesce a vedere oltre ogni vostra immaginazione. Lucas lo usava per visionare il perimetro di Cosmos e vedere cosa facesse la gente, in modo da eliminare eventuali ribelli o “impuri”.»
«Ma essendosi liberato dal suo controllo…»
«Tecnicamente, questo lui non lo sa.» Koushi spalancò gli occhi. «Gli abbiamo fatto credere che Horus fosse ancora sotto il controllo della sostanza e che l’avessimo fatto nostro prigioniero.»
«A quale scopo?» chiese Iwaizumi, le braccia incrociate al petto.
«Lucas tiene molto a me» ammise Horus. «Di conseguenza, chiunque mi riporterà vivo a lui, sarà trattato con tutti gli onori possibili.»
«Ma questo ve lo spiegherà meglio il Grande Capo – Griseo indicò il vetro – Siamo arrivati!»
Tutti si alzarono in piedi, persino Oikawa si era tolto la leva e osservava lo spettacolo per cui tutti erano rimasti senza fiato. Un essere enorme e bianco apparve davanti ai loro occhi, come se fino ad allora fosse stato invisibile e adesso si stesse materializzando piano piano. Mosse la lunga coda e le pinne, mentre la bocca si spalancava, mostrando i suoi denti.
«Dovete entrare lì dentro» disse Griseo, indicando proprio la bocca.
«Sei matto? Io non entro lì dentro!» protestò Bokuto.
«Sembra una balena…» disse Iwaizumi, facendo voltare tutti verso la sua direzione. Aveva la bocca appena aperta, gli occhi che brillavano. Le aveva sempre viste sulle riviste scientifiche o nei documentari che trasmettevano in televisione. Le aveva viste nei telegiornali, distese sulle spiagge, morte e punzecchiate dai gabbiani. Quello era stato l’inizio dell’apocalisse, l’avvertimento che la Terra voleva dare ai suoi abitanti. “Sto morendo, salvatemi!”. Ma nessuno le prestò abbastanza attenzione.
Iwaizumi non ne aveva mia vista una così da vicino. E soprattutto, non credeva che una balena potesse muoversi nello spazio sconfinato.
Griseo fece un debole sorriso. «Anche voi avevate animali del genere sulla Terra, uh?» Non attese una risposta. «Non è un animale in carne ed ossa, anche se la navicella è stata costruita in modo tale che ci assomigliasse. Dentro vi spiegheremo tutto.»
Griseo guardò sia Bokuto sia Kuroo, che si lanciarono una lunga occhiata. Alla fine, con un sospiro, mossero la navicella verso le fauci dell’animale.
«Più infondo» suggerì il Cosmonauta, la bocca dell’animale che si richiudeva dietro di loro, lasciandoli al buio.
«Più infondo dove? Non si vede un tubo!» esclamò Bokuto.
«Fidatevi di me! Tra poco scorgerete una luce!»
La navicella continuò a proseguire per quelli che parvero chilometri, mentre in realtà si trattava solo di qualche metro. La luce di cui parlava Griseo arrivò poco dopo.
Era gialla e confortevole, si sposava bene con le pareti rosate di quello che – se fosse stato un vero animale – sarebbe stato lo stomaco. Ma non era un vero animale, Griseo non stava mentendo. Il pavimento era rosso sangue e lucido, ci si poteva quasi specchiare.
L’uomo suggerì ai due piloti di atterrare in uno spiazzo lasciato libero e in un attimo furono fuori dalla navicella, a sgranchirsi.
Nessuno venne ad accoglierli. Tranne una bestiolina piccola e nera, che li osservava con la coda che spazzolava per terra e facendo le fusa. Kuroo osservò il gatto che aveva davanti con il braccio ancora stirato verso l’alto, sbattendo le palpebre. I gatti erano animali rari su Sibun, era difficile che si facessero vedere. Una volta aveva raccontato a tutti di averne visto una nella Zona Verde, ma nessuno gli aveva creduto. Aveva solo sei anni, del resto, a quell’età i bambini raccontano tante sciocchezze, eppure Kuroo non si era sbagliato. Aveva sentito veramente il pelo di quel gatto insinuarsi tra le sue dita, non era stata solo una sua fantasia. Come avvertì lo strofinio di quel gatto contro la pelle della sua tuta. Sorrise debolmente, prendendolo in braccio.
«Kuroo, ti sembra questo il momento di metterti a giocare con un gatto?» disse Sugawara, guardandolo con un’espressione sconcertata in viso.
«Oh, andiamo, ho guidato per miglia e miglia! Lasciami divertire!» protestò, continuando a fare i grattini sullo stomaco del gatto. Quella palla di pelo, intanto, non la smetteva di fare le fusa.
Oikawa, che era stato l’unico a rimanere in silenzio per tutto il tragitto, si guardò attorno, rendendosi conto che non c’era nessuna finestra in giro. Avevano costruito quella navicella in modo che sembrasse in tutto e per tutto un animale che sorvola il cielo stellato.
Com’è che l’aveva chiamato Iwa-chan?
Ecco, sì, balena. Ad una balena spaziale.
«Benvenuti!» Una figura si avvicinò verso di loro e i giovani abitanti di Sibun sobbalzarono all’istante. Quell’individuo aveva un aspetto umanoide, non c’era alcun dubbio su questo. L’unico problema era che aveva il muso di un cane, la punta del naso allungata verso l’esterno. Griseo e Horus si avvicinarono a lui, abbracciandolo, l’omone che passò ad entrambi una mano sulla schiena. «Spero che il viaggio sia andato bene! Siete approdati su Moby, la nostra perla che ci permette di sfuggire dalle grinfie di Lucas!»
L’uomo/cane parlò come se fosse un oratore che stava spiegando le leggi che regolavano il mondo, le braccia allargate e il muso rivolto verso l’alto. «Mi chiamo Anubi. É un piacere conoscervi. Ed è un piacere conoscere il fratello della nostra benefattrice!» disse, facendo un inchino verso Oikawa, che ricambiò appena.
«Pensavo che ad accoglierci sarebbe stata Bastet...» disse Iwaizumi, provocando un moto di risa da parte di Anubi. Rideva in un modo strano, sembrava quasi l’abbaiare di un cane.
All’improvviso, il gatto che Kuroo teneva ancora in braccio decise che era arrivato il momento di scendere, leccandosi poi una zampina non appena toccò il terreno. Mai avrebbero immaginato che, in un battibaleno, quel gatto si trasformasse in un essere umano; o meglio, in una donna dai lunghi capelli neri e il fisico slanciato.
Si mordicchiò un’unghia, lunga e bianca come un artiglio, prima di voltarsi verso Kuroo. «Grazie per le coccole!» disse, facendogli l’occhiolino. L’ex pilota della Nekoma avvampò.
«Sei sempre la solita, Bastet!» disse Griseo, alzando gli occhi al cielo.
Da come parlavano tra di loro e da come quei due avevano abbracciato Anubi era quasi logico pensare che si conoscessero da molto tempo. Forse lavoravano tutti alle dipendenze di Lucas, come Griseo e Horus. O forse avevano ricordato il tempo che avevano trascorso assieme e che Lucas gli aveva portato via.
«Ma è così divertente trasformarsi in un gatto e farsi fare le coccole!» esclamò, facendo un ennesimo occhiolino a Kuroo, che rabbrividì. Sia Bokuto che Sugawara stavano cercando di non scoppiare a ridere.
L’uomo alzò nuovamente gli occhi al cielo, ma sorrise. La giovane donna – che probabilmente aveva anche lei una trentina d’anni – si girò verso il gruppo, battendo le mani. «Ben atterrati sulla navicella dei Cosmonauti Ribelli! Io sono Bastet. Ero uno dei tenenti alle dipendenze di Lucas, mentre adesso dirigo la ribellione.» I suoi occhi sottili come quelli di un gatto si posarono su Oikawa. Poi, sotto lo sguardo sorpreso del ragazzo, inclinò il busto davanti. «Mi era stato affidato il compito di sorvegliare la cella di Hoshi-san. Lei... volevo salvarla. Mi dispiace...»
Tooru non seppe che cosa rispondere, lo sguardo totalmente assente. Aveva lasciato la mente e il cuore su Sibun. Era diviso tra il voler salvare sua sorella e il voler tornare a casa da sua figlia. Era quasi stanco di sentir parlare di Hoshi in quel modo. Sapeva già da sé che sua sorella era eccezionale.
Fece comunque un debole sorriso. «Mia sorella... ti considera sua amica, vero?»
La ragazza annuì, ancora piegata in avanti.
«Fa sempre così.» La risata successiva fu amara, Iwaizumi la sentì vibrare sotto la pelle e provò una sensazione di freddo. «Ti prego, alzati!»
La ragazza ubbidì, prendendo un profondo respiro, prima di tornare a parlare. Aveva ancora gli occhi lucidi. «Disponiamo di un esercito di cinquanta uomini. Sono pochi, ma non avremmo mai immaginato che esistessero altri impuri, oltre a noi. Sono tutte persone che sono riuscite a prendere un ricordo e a tenerselo stretto. Si sono riuniti sotto un’unica navicella, costruita dal padre di Horus.»
Accarezzò la testa del ragazzo, che aveva abbassato gli occhi. Probabilmente quell’uomo aveva dato la sua stessa vita pur di permettere a quelle persone di fuggire su quella bizzarra creazione.
«Siamo disposti a tutto per salvare Hoshi-san e fermare quel figlio di una cagna di Lucas!» ringhiò Anubi.
«Griseo ci ha detto che avevate in mente un piano… » disse Kageyama.
«Essendo che Horus veniva usato per effettuare i controlli cittadini, è fondamentale per Lucas. Di conseguenza, chiunque glielo riporterà, sarà trattato con estrema gentilezza. Ed è qui che entrate in gioco voi.» Fece un sorriso un po’ sghembo. Aveva i canini appuntiti. «Gli farete credere che Horus è riuscito a scappare e che si è rifugiato sul vostro pianta. Nel frattempo, qualcuno di noi preleverà Hoshi-san dalla zona in cui la tengono prigioniera. Altri guideranno i Volatili, in modo da avere una via di fuga sicura a missione compiuta.»
«Dei volatili...?» chiese Bokuto, non ottenendo risposta.
«C’è solo un problema...»
«Quale?» chiese Hinata.
«Lucas ha un debole per le belle ragazze. Ha dei sensi molto sviluppati e quando è particolarmente concentrato riesce persino a percepire il pericolo a distanza. Se aveste portato con voi una ragazza sarebbe stato tutto più facile...» spiegò Bastet. «Non posso farlo io, perché sono una ricerca-»
Si fermò di botto, fissando con insistenza la OIKS. Tutti si lanciarono una rapida occhiata, prima che la ragazza tirasse fuori un oggetto cilindrico dalla tasca della sua tuta. Premette un pulsante al centro dell’oggetto e in un attimo questo divenne un bastone. Si mise a correre verso l’entrata, il bastone tenuto dietro di sè, mentre un’ombra veniva fuori dal suo nascondiglio. Bastet tentò di colpirla con la punta del bastone, da cui uscì una lama appuntita, ma la figura si abbassò, spiccando nella direzione opposta e rotolando per terra. Non fu difficile per Bastet stenderla del tutto, la lama che premeva contro la nuca della ragazza.
«Chi sei?» soffiò la donna, proprio come se fosse un gatto.
Furono le voci di Oikawa e Iwaizumi a illuminare Bastet sull’identità della ragazza. «Haruka?»
«Ciao papà...»



 
____

 
Domande?
Okay, vi giuro che non sono morta (lo sono un po’ dentro per via di tutte le schifezze che ho mangiato), ma purtroppo è stato un periodo un po’ brutto per la mia beta e non volevo assillarla con la storia che doveva betarmi per forza il capitolo. Vi prego, è una santa, già sgobba un sacco per me.
Also, non sono riuscita a finire la storia per il contest, ma questo già ve l’avevo accennato nello scorso capitolo, tuttavia continuerò a utilizzare i prompt. Insomma, ho fatto in modo che tutto coincidesse, tanto vale utilizzarli :’’)
Detto questo: BUON 2018 A TUTTI!
Spero che l’anno sia iniziato bene per voi, perché io sono indietro con lo studio, yay!
(maledetto libro)
(maledetti Aoi e Isamu)
(non è vero, voglio bene ai miei bimbi gay)
(sto pensando alla mia kohai Gaia in questo momento, love u <3)

Bando alle ciance, passiamo alle domande serie:
Potresti rispiegare la storia di Cosmos? Nella mia mente, Cosmos era un pianeta con una grossa percentuale di acqua, forse più di quella della Terra, che però si è prosciugata a causa di un'enorme ondata di siccità. Ve la faccio breve, come la Terra in Like an Astronaut stava morendo, così anche Cosmos stava morendo. Per cui, la gente è stata costretta ad andarsene su un enorme navicella in grado di contenerli tutti. La caratteristica di tutti questi abitanti è che sono diversi tra di loro e hanno tutti un’abilità diversa.
Quali sono gli effetti della sostanza di Lucas? In poche parole, essendo che l’acqua potabile rimasta era davvero poca, alcuni individui hanno cominciato a discutere tra di loro per scegliere come doveva essere razionata. Finirono per farsi la guerra, ovviamente. Ad avere la meglio fu Lucas, che ovviamente utilizzò la sua mirabolante sostanza per sottomettere tutti. Funziona un po’ come i fiori di loto nella mitologia greca: ne sei talmente assuefatto, che dimentichi persino chi sei. Tenete a mente che, però, l’immersione viene fatta una volta al mese, ci servirà per dopo.
Perché bisogna mantenere vivo un ricordo? La caratteristica di questa sostanza è, appunto, quella di cancellare tutti i ricordi. Per sconfiggerla, basta focalizzarsi su un ricordo, non importa quale sia, in modo da rimanere lucidi.
Come funziona la scelta dei volontari su Sibun? In pratica, non esistono volontari. Vengono estratti i nomi in quest’enorme coppa e chi viene scelto deve partire. Ora, essendo che Tooru ha esplicitamente chiesto di partire, ha trasgredito una regola, di conseguenza non può chiedere di non fare partire Iwaizumi. Il Presidente poteva passare sopra una trasgressione, ma su Sibun sono molto rispettosi della legge, quindi… (sorry)
Come mai Bastet e gli altri si conoscono? Qual è la loro storia? Allora, erano tutti uomini alle dipendenze di Lucas. Horus, appunto, ha una vista talmente potente da permettergli di scansionare il territorio, un po’ come Violet in One Piece (qui per chi non ne fosse a conoscenza), mentre gli altri lavoravano come soldati a guardia delle segrete. Per questa ragione sono venuti in contatto con Hoshi, che è riuscita a parlargli e a farli ritornare lucidi. Sono riusciti a non farsi scoprire solo perché manomettevano le telecamere, mandando un’immagine diversa da quella reale. Also, la balena spaziale già esisteva, ma è stata utilizzata per far scappare alcuni impuri.
Oh, vi dico come mai ho scelto questi nomi così bizzarri: Lucas prende il nome da un personaggio di Resident Evil VII, a cui non ho giocato, ma ho visto diversi gameplay (qui), e niente è psicopatico come il nostro Lucas; Bastet è il nome della dea gatto egiziana, Horus il nome del dio falco e Anubi del dio sciacallo; Griseo è la traduzione latina di grigio.
Che dire, la smetto qua con queste note che sono diventate un’epopea. Sappiate che il terzo capitolo è già pronto, deve solo essere betato :’D
Vi aspetta l’angst,
_Lady di inchiostro_

L’uccellino cinguetta
  
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