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Autore: queenjane    09/01/2018    0 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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12 giugno 1917, una pietra miliare la definì Olga, ridendo, in seguito. Una tragicomica, rilevavo, io, che sul momento mi divertivo molto poco. Una tradizione, che le cose le combinate sempre insieme, la sentenza di Tanik, una barzelletta, la pronuncia di Andres, che avrebbe voluto strozzarmi  quando si trovò nel parapiglia, prevedendo che suo figlio sarebbe stato un campione a fare tutto a modo suo. Come la madre, ovvero io ..
“Olga, rimettiti.. quando partorisco, mi devi aiutare” “Come no” “Scommettiamo un abbraccio che avrò bisogno di te” pensavo a quei frammenti di dialogo, di alcuni mesi prima, quindi risi, una breve pausa
“Non mi lasciare” ansimai “Deciditi, o sto con te o chiamo i dottori e il diretto responsabile delle tue attuali condizioni”  mi asciugò il sudore dal viso con la manica, ridacchiai per quella definizione di Andres, il mio Fuentes “Fossi in te non mi fiderei, a contare solo su di me, di parti ne ho visto solo uno” “E come è finita?” risi, isterica, di nuovo, una pausa dai dolori, annotai il suo viso madido, rovesciando la testa, serrandola per la vita “Che ne so, è il tuo, la teoria mi serve a poco, anche se ho passato il corso speciale per infermiera ostetrica con ottimi voti, la migliore del corso” sarebbe stato strano che qualcuno la superasse, riflettei e vi era poco da fare, eravamo in .. ballo, almeno io non potevo scappare, io che ero una maestra nelle fughe e negli abbandoni“Olga.. anche io di parti ne ho sperimentato solo uno, il mio” respirai, non ne potevo più “Se dovesse succedere qualcosa mio figlio ha la precedenza, lo sai” “NO. Catherine, No” “Invece sì, ahora..” smozzicai la prima parola del motto dei Fuentes tranne che il dolore ai reni mi percosse di nuovo, cacciai il fazzoletto tra i denti per non urlare a squarciagola, avevo perso il tempo, quanto passava tra uno spasimo e l’altro? Il ventre duro come un sasso, le gonne impregnate di sangue e liquido amniotico, il mio corpo che lavorava per conto suo, a prescindere dalla mia volontà “ Y por siempre, Catherine, io per te, te per me” Olga scostò il busto, leggera dal mio, mi accarezzò la nuca “Non devi avere paura” “ Ho paura, ” una pausa “Non ho mai partorito, sai, questo è il primo tentativo “ironizzavo come difesa estrema “Stupida.. Mi molli o no?”ridacchiò “NO. “ altra pausa “ Le guardie sono sparite..?” “Zitta.. “ si terse il sudore dalla fronte, i capelli chiari appiccicati per il caldo e la tensione “Tu i dolori li avevi da un pezzo” “Dal compleanno di Tata, qual cosina alla schiena, a intervalli” serrò le labbra, cercò l’orologio “Sono passati quattro minuti”  “Ma proprio oggi non dovevi uscire nel parco? “ “E tu proprio oggi hai deciso di non uscire, e riportarmi il libro” una vampata di rabbia “Sono una mongolfiera, faccio tre passi e ho il fiatone, dove vuoi che vada..” Feci un segno disperato con le mani, il dolore ai reni e la vista che si appannava mi avevano spinto all’angolo, nella mia  spensierata inesperienza ritenevo che non fosse ancora il caso di avvisare. Il Dr Botkin mi aveva avvertito che qualche fitta e dolore alla schiena è di prassi nelle ultime settimane, mi aveva visitato e, in linea di massima, avrei dovuto partorire dopo la metà di giugno. Peccato che il bambino fosse di diverso avviso. Già. Me ne ero accorta “Ma il travaglio per un primo figlio non dovrebbe durare tante ore?” “OLGA!!” “Mia madre mi ha partorito dopo circa venti ore ..e hanno usato il forcipe” “Idem la mia.. tante ore, il forcipe no..” Pensai a mia madre Ella e mi venne da piangere. “Che in teoria..” mi ricacciai il fazzoletto in bocca, spingi e respira, respira e spingi, era l’istinto, forse, che ne so, in quella situazione non avevo alcun controllo diretto “In teoria che..?” ansimai, sudata e logora come un fazzoletto troppo stropicciato“Sono le dodici, tra circa un’ora vi è il rientro e.. “ “ …”  “Maledetta cretina che sei, sempre a modo tuo.. sempre” esasperata e non si mise a piangere che ero vicina al tracollo e una rapida occhiata sotto le mie gonne la ridusse al silenzio “Che c’è?” una pausa “Olga..” di nuovo “OLGA” alzando il tono, e mica rispose, si alzò in piedi, che le era venuto in mente?. Fece un minuscolo cerchio con le mani, poi le aprì fino a formare la grandezza di una ipotetica, piccola anguria, la vidi deglutire “Olga..” E capii.
“OLGAAA” Tutte quelle malefiche spinte servivano a preparare la strada per la testa del neonato, che aveva la grandezza di una piccola anguria, in genere, che doveva uscire.. Sarebbe poi seguito il suo corpicino,  l’approccio era arduo. Oddio, volevo l’etere, il cloroformio, volevo fare un parto cesareo, avevo ancora più paura.  Conoscevo la teoria, eh, tranne che la pratica applicata non era stato oggetto di approfondite verifiche e riflessioni da parte mia. Mi sarei messa a prendere il muro a testate, opzione che magari considerò pure lei, fosse stata utile.
“Tre minuti, non ti muovere, è un ordine, spingi eh, se arriva qualcosa” Imperiale e definitivo, percepii che sbraitava qualcosa in corridoio, acchiappando una guardia, per una volta erano utili.
“Cat” sussurrò, mi accasciai contro la sua spalla “Siamo due cretine.. “ mi raccontò “Una sorta di prescienza, mi pareva che avessi bisogno di me” la fissai, con lo sguardo sbarrato, non era folle come riteneva  “Quando sono iniziati i dolori veri … ho pensato due nomi, il tuo e quello di Andres” “Ora viene, Andres. Penso “ “Figuriamoci se vuole perdersi lo spettacolo, che nemesi..” Straparlavo, ormai ero uscita dalla tangente, solo le doglie mi inducevano al silenzio “Cioè?” glielo raccontai, in breve sintesi, del nostro primo e romantico rendezvous nel settembre 1915, un calcio ai genitali da parte mia, che avevamo fatto a botte, tentava di dissuadermi dal continuare come agente segreto, con la violenza “Molto efficace.. chi disprezza poi compra, sai” aveva le lacrime da quanto rideva “Cat, cosa posso fare per te? “ “Voglio l’etere, voglio la morfina.. sono stanca, non resisto più..” “No”deglutì “Te li darei, tranne sei troppo avanti, non ti servirebbero” “Fortuna spagnola, eh.. anche se ..” una nuova spinta mi ridusse in silenzio.
.. in teoria un primo parto dura svariate ore, nel mio caso, il travaglio era (pareva)  breve, dalle dieci e tre quarti, intorno a mezzogiorno e dieci eravamo in piena fase ..di travaglio, appunto. Oddio.. ANDRES, Fuentes malefico, me la avresti pagata.
“Si vede la testa, bravo Andres, se è in queste condizioni è colpa tua” mio marito ebbe la gentile ed esasperata accoglienza di cui sopra. Comprese all’impronta, lo percepii vicino a me.
“Spingi”
“Non ci riesco..” sussurrai. “Sono esausta”
“Hai le sigarette, Andres?”
“Fumi?”
“Volete fumare adesso, Altezza?”
“Ma siete rimbecilliti, tra tutti e due? Farà come le spezie, ti farà stranutire .. E spingere” mi toccò la pancia, tesa e dura come un sasso, una carezza di conforto.
L’idea era ottima.
Andres si tolse la giacca, rimase in maniche di camicia, che si arrotolò, senza badare ad altro che a me.
Olga vide i tatuaggi, gli occhi le si spalancarono in tripla misura, evento quasi impossibile.
Mi buttarono il tabacco addosso, starnutii e rispettai la previsione di cui sopra.
Non riuscivo a trattenermi più.
Urlai.
Una volta. Due, tre..
 
I vetri vibrarono, ma quanto fiato avevi ancora in gola, moglie? Le tue urla erano l’eco di una disperazione antica, a cui si aggiunse un pianto acuto e infantile, di chi si disperava per un esilio da un posto caldo e protetto. E i polmoni erano buoni, mi feci il segno della croce. Finalmente, Dio ti ringrazio, un figlio sano che vivrà, sarà il principe dell’estate, il tuo bambino.
FELIPE..
 
FELIPE.
 
Il suo nome, un ruggito.
 
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mi spaccasti i timpani, accidenti a te, quindi tutto si svolse in modo veloce, senza ulteriori dilazioni. Ricorderò sempre come Andres pareva un gufo, attonito, felice e entusiasta, rideva e piangeva, la sua camicia era stata riutilizzata e convertita come coperta, in quel bailamme chi si ricordava del corredo che avevamo preparato. Tralasciando che è una tradizione russa avvolgere un bimbo appena nato nella camicia del padre e..che giornata, me la ricorderò di sicuro”
“Cosa è?” tirai su il collo, i tendini in rilievo, meravigliata di riuscire a sussurrare qualcosa dopo le grida  di poco prima. E urlava a pieni polmoni, una testolina scura tra le braccia di Andres, movimenti frenetici delle minuscole mani.
“FELIPE…chi vuoi che sia’” Olga, sorridendo, le braccia intorno alle mie spalle, mi abbracciava, mi riempiva il viso di baci “Sono fiera di te, è perfetto..”
“Lo abbiamo fatto insieme Olga”
“Sì e no, ragazze, anche io ho dato il mio contributo” rise Andres, un buffo inchino, prese Olga per mano, improvvisarono una piroetta, un ballo di gioia.
“Dieci dita alle mani e ai piedi, uno splendido maschietto…”mi tesi, annotando che era un esemplare maschile, appunto, con tutti gli attributi, contai per mia sicurezza e .. “Dammelo”era stato nove mesi dentro di me, era uscito da pochi minuti  e già mi mancava “E’ MIO”
“Prova ad accostarlo al seno”Andres, splendeva di entusiasmo, già, l’onere per nove mesi era stato il mio, lui a mettermi incinta si era “divertito”.. Insomma, ero stordita, dolorante e.. curiosa.
“Che strilli, ciao amore..” sussurrai una barcata di scemenze e tenerezze in spagnolo, allibita che fosse tutto ..intero.  Così sano.  Era buffo, grinzoso, la cosa più squisita che avessi mai visto.
Istinto, rilevo dalla distanza, me lo accostai al petto e slacciai la camicetta, inclinando il gomito, i vagiti si placarono e iniziò a succhiare, il capezzolo stretto tra le gengive sdentate, o ricordavo mia madre quando allattava Sasha. Avvertii dei crampi all’utero e ancora altro “Ottimo, per far uscire la placenta, prima lo attacchi meglio è”e non mollava il capezzolo, a pochi minuti di vita aveva già capito che il nutrimento dipendeva da lì e non si staccava. “E credo che si rassicuri, alcuni bambini poco dopo dormono, altri si attaccano, altri ancora spaccano i timpani”  e nostro figlio era già furbo da subito, mangiava eh, Fuentes, oppure riconosceva il mio odore, ME, me lo ero portato dentro per nove suntuosi mesi, logico che fossimo abituati, lui a me, io a lui. Che ne so. Fu un momento magico, una pietra miliare.
“Ora ti sei laureato in ostetricia e ginecologia, Andres?” Olga, pungente, segno che si stava riprendendo dagli ultimi avvenimenti. Ed era curioso che un uomo conoscesse quei misteri femminili, se non era un medico o che.
“No.. tranne che cinque anni fa mia sorella Marianna partorì in anticipo di un mese, unico aiuto si fa per dire io, quindi una certa cultura me la sono fatta, pur non volendo” arrossì come un ragazzino “Ce la saremmo risparmiata entrambi e non potevo mollarla lì, era al quinto parto”
Olga si mise a ridere, era un pezzo che non era così allegra.  “Te la senti di metterti in piedi, Catherine? Per lavarvi.. “
Annuii, stordita.
Nel giro di una mattina ero diventata MAMMA.
Diciamo che la mia vita era cambiata, senza revisione, ora c’era una persona che dipendeva in tutto e per tutto da me. Sarei stata in grado di non combinare troppi guai, di non deluderlo?
La fronte alta, i capelli folti e scuri, i lineamenti fini, le palpebre minuscole sopra due iridi chiare, color ardesia, era squisito. Tre chili e ottocento grammi, polmoni perfettamente sani, dalla prima visita medica pareva tutto a posto, era nato a termine. Il breve parto non lo aveva fatto gonfiare, era sgusciato svelto come “un topolino”.. Insomma. Ero giovane, scattante e tonica, le lunghe cavalcate e camminate mi avevano lasciato in ottima forma, e tanto era stato .. intenso.  Travagliante, appunto.
 “Posso, possiamo?” Spuntarono quattro teste, bionde e castane, Tata, che guidava la delegazione,  lo raccolse con gentilezza, timida “Visto, arrivato più o meno per il tuo compleanno..” Le iridi grigie scintillarono di pura gioia, una seta cangiante e preziosa, quindi lo prese Marie e poi Anastasia. “Il mio regalo TATA”         Lo scalpiccio dei passi, risatine gioiose, la camera ora aveva una piccola culla di vimini, semplice, con delle lenzuola di lino. Ero stata tassativa, avrebbe dormito con me, ci avrei pensato io, niente nurse o che.. Gli ameni soldati, constatando quella spartana frugalità, nulla eccepirono, anzi quel pomeriggio finsero di non vedere tutto il corteo che vi era. Andres era a brindare, credo, e tanto di bambini piccoli ne sapeva più di me, manovrava suo figlio con una sicurezza portentosa, senza ansie, la sua testa scura compariva a rate dalla porta, gemella di quella più piccola oggetto di adorazione.
 “Vieni, Alessio, lo vuoi vedere”
“E’ carino” imbarazzato, non sapeva che dire “Ma è tanto piccolo” gli strinse un piedino.
“E’ bellissimo, cosa dici.. Perfetto” intervenne Tata, già, le avevo pronosticato che sarebbe giunto poco dopo il suo compleanno, era nata il 10 giugno, lui il 12, magari non vedevano l’ora di fare la reciproca conoscenza, era il più bel regalo che mai avesse mai avuto, almeno da parte mia.
“Fidati, più grosso era anche peggio” mi ero lavata, data una spazzolata ai capelli, rispetto ad un’ora prima che grondavo per gli starnuti e il dolore, madida di sangue, i vestiti intrisi di umori, io isterica e Olga disperata, ero presentabile, quasi, credo. Mi adagiai sui cuscini, con un sospiro di sollievo, la fresca morbidezza del lino era un conforto. Le sue sorelle erano prese da mio figlio,  lo zarevic rimase sui margini, non gli tornava, enunciò solo “Cat, bravissima”
“Dammi un bacio, Aleksey” mi sfiorò la guancia “E’ tutto a posto, sto bene, tranquillo” lo strinsi contro il busto, un movimento leggero e breve, lui appoggiò la fronte contro la mia”Abbiamo sentito le urla in giardino, mi sono spaventato, come tutti, quanto gridavi” e mi ero trattenuta, poverini tutti se sentivamo tutto il festival.
“Ora è tutto a posto”  un momento “Sto bene, fidati, mi spiace averti spaventato, sono sicura sicura “ sorrise “Non mi prendere in giro, non mi rifare il verso, di quando ho l’ansia” mi carezzò una guancia “Sono grande, che credi”
“Lo so, tesoro”
“Ho brindato anche io, un poco di champagne”  ora lo reggeva, anni prima, aventi a Spala, ne aveva sgraffignato una coppa e aveva tenuto concione per tutto il pomeriggio, incantando le dame presenti, lamentando comunque che lo stomaco brontolava. E ancora, una volta, ad Yalta, mentre cercava i regali più graditi per i grandi ad un bazar di beneficenza aveva enunciato che lo champagne era una prelibatezza, che le bottiglie erano sì pesanti, prima che venissero bevute, avevo riso fino alle lacrime “Anche tre goccetti, eh, Aleksey”
“Veramente erano due coppe”
“Alessio” divertita, scandalizzata.
Ero così  eccitata che non sentivo stanchezza o dolore, solo una gioia immensa, guardai di nuovo Andres, lui mi fece un piccolo cenno, ricambiai “Ve la sentite di tenerlo dieci minuti, vorrei dare un presente a mia moglie, grazie Tatiana Nicolaeva” Si innamorata di Felipe nel giro di poco, vederla così sorridente era portentoso ..Tenera, senza la perenne ruga di concentrazione che le attraversava la fronte. Lei ha desiderato un figlio più di te, Andres e Felipe ti sono capitati tra le braccia solo per un gioco della sorte, Catalina Fuentes, cerca di non essere troppo egoista. E mi declinai alla spagnola, la Spagna era la mia nuova casa, il mio posto magico, un riparo.
“Per te…”mi sfiorò le labbra con un bacio, percepii le bollicine di champagne, il suo respiro tra i capelli, chiusi gli occhi, ecco una scatola tra le mani “Apri, da parte mia e di Felipe”un bracciale d’oro bianco, con topazi e onici, il fermaglio era una “F” con diamanti “Questo è da parte mia, invece”  Una collana, con topazi e onici, ecco la parure. “Ti amo”   “Da sempre e per sempre, Catherine, mi amor, mi querida”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mamma annotò che era un bambino splendido e non fece un fiato di quello che avevo “combinato”, come se averti aiutato fosse una cosa indecorosa, vide il duro cipiglio nel  mio sguardo, aveva già aperto bocca per sparare uno dei suoi santi assiomi, lei in teoria era sempre perfetta, in pratica..Lasciamo perdere, comprese che era una battaglia persa, una guerra che non avrebbe vinto. Rilevò, invece,  che era il ritratto di tuo marito, che era comune che i neonati avessero gli occhi color ardesia, ma era indefinita. Osservava Papa, definirlo commosso e orgoglioso era una perifrasi, che le tue sporadiche urla finali si erano sentite fino alla parte di giardino dove lavoravano, raggelando i presenti. Avevi urlato a squarciagola, solo nel finale non ti eri trattenuta, parevi una vittima sacrificale, da scannare. E tuo marito aveva mollato la vanga senza spiegazioni, correndo come una scheggia.  Tata era entrata in modalità adorante di tuo figlio meno di tre minuti dopo averlo visto, in concorrenza con Marie,  chi avrebbe indovinato che la mia seconda, riservata sorella,  chiamata la “Governante” fosse così.. dolce. Quello era un tipico tratto di Marie, lei sognava la maternità e tanti figli, Tata era a tenuta stagna, ben raro che esternasse qualcosa .. Io, dopo quel bailamme, ero lieta che fosse andato tutto a posto, Anastasia rilevò che ne sarebbe passato di tempo prima che fosse in grado di correre. E saltare. Alessio si limitò a un sorriso timido, forse andava realizzando allora  che era un bambino vero, in carne e ossa, non il misterioso “bignè” che avevi ospitato nel ventre per nove lunghi mesi, che avrebbe occupato tutto il tuo tempo e le tue attenzioni. Non che fosse ingenuo o altro, per alcune cose era anche troppo sveglio ( ma come lo sopportavi quando era petulante ?) solo che non ci aveva mai pensato, non gli era mai capitato. E alle nove di sera eri già collassata a dormire, Felipe a poca distanza. E tuo marito non brontolava, anzi, per alcune cose era davvero moderno, dicevi che Alessio era sempre stato viziatissimo, tu iniziavi da subito,a viziare tuo figlio,  in barba a ogni tradizione o norma educativa.  Nelle famiglie altolocate non usava affatto, in genere, che una madre allattasse di persona, non era comme au fait, mia madre, per averlo fatto, aveva ricevuto critiche su critiche, e nemmeno a lei era passata per la mente quella totale dedizione, tate e nurses primeggiavano. Uso spagnolo, diceva Andres, e tanto ho il (fondato) sospetto che era la scusa che tirava fuori dal cilindro ogni qual volta ne inventavate una, per non passare da originali. Quien sabe e chi lo sa. E tanto era figlio vostro, mica di altri, decidevate voi due
“Sono ansioso, è diverso” le  raccontò invece lui, la confidenza che si era creata dopo il mio parto era quella tra due amici, ogni traccia di imbarazzo e timidezza era caduta,  due camerati, due compagni di avventura.
“Penso di sapere, forse, il motivo, mi spiace”
“Già,” si riferiva ad Isabel e Xavier, le sue perdite irreparabili, un senso di colpa che lo aveva quasi ammazzato, si era imposto un esilio semi volontario dalla Spagna, finendo in Russia da mio zio R-R, era diventato un eroe, un picador, di tante per non essere di nessuna, guarendo dopo anni, o quasi, dal quel tormento.
“Mi spiace, Andres, per quello che hai passato” glielo avevo raccontato io a rate, era presente quando sua madre aveva appurato che un’ala del novello ospedale fondato ad Ahumada, Empratriz Alejandra, in onora di Alix, era stata intitolata a Xavier Fuentes “.. non per intenti celebrativi del nostro nome, quanto in onore e ricordo di un bambino che è stato e non è più..”
“L’avevo chiamato Xavier come mio padre, Xavier dei Fuentes, era il 1901, se fosse nato nei tempi giusti avrebbe compiuto sedici anni prima dell’estate. Mia moglie Isabel aveva scelto lui” si passò una mano sulle tempie “E anche Catherine, se si metteva male, avrebbe scelto il bambino..” Lei annuì con la testa “Dopo che successe, Altezza Imperiale, me ne sono andato che quel dolore era troppo grande e la mia casa troppo piccola, volevo morire e non mi è riuscito”
“Come lei” ovvero me, quando avevo perso Luois e il mondo mi era crollato addosso, me la ero svignata in grande stile. Andres abbozzò un sorriso, tornò al discorso di prima “Stanotte mi sono svegliato almeno sei volte, per essere sicuro, in sincronia con mia moglie.. “
“E lei ai tempi non voleva un marito, una famiglia, invece.. “ avevo paura, Andres, di essere inadeguata, non volevo soffrire.. E tu, prima di rimetterti in gioco, quanto avevi aspettato..  Quindici anni, una vita intera..
“Never say never. Thank you again, Cat’s worried about her scars, you know, on her back and on her arms, you’ve preserved my wife from a great stress” Giusto, Olga sapeva dell’armamentario che mi portavo dietro sulla schiena e le braccia, mi aveva evitato una ulteriore agitazione, la sua replica fu tagliente“Ho visto i tatuaggi, comunque, sono belli, vi sono anche dei nomi... “
“Non vi sfugge nulla, eh..E per lei, questo e altro, per Catherine andreste dritta in un pozzo, al diavolo se non vi fossero uscite e viceversa”
“Non occorre una grande intelligenza, mio fratello una volta mi ha raccontato di un cavaliere con le braccia tatuate. Era la primavera scorsa e mi raccontava di un leone rampante tiene tra le zampe una rosa, è il blasone di un giovane ragazzo che ha un coraggio immenso e combatte tante battaglie. Il coraggio di un leone, sa essere misericordioso, amare il mondo e le sue bellezze.. la rosa ricorda quello”Pausa “ E se lo è tatuato su un braccio per ricordarsene..Vi è molto affezionato “ Andres annuì, gli voleva molto bene anche lui. Glissarono che Olga, per me, sarebbe andata all’inferno, e viceversa, lamentando che non era tanto caldo.
“Già, e una torre una conchiglia, simboli araldici della mia casata, un omaggio .. e vari aggiornamenti”  Ovvero, una rosa bianca, di squisita perfezione, sull’avambraccio destro, ove era scritto  “Catherine”, che la sua rosa invernale ero io. E sotto il fiore tenuto dal leone rampante, l’elenco era stato aggiornato, vi era Xavier 1901, poi Sophie 1912 e Felipe 1917, i nomi che lei aveva osservato.  I suoi figli, che avrebbe sempre portato con sé. E andava bene in quel modo, lo capì anche Olga, chinò la testa e sorrise, Andres le baciò la mano e scemarono nel silenzio.
Il bailamme del mio parto, la discrezione, permettevano quegli intermezzi, Felipe aveva catalizzato tutta l’attenzione, in positivo. La maternità mi assorbì e prosciugò quasi ogni attenzione che non fosse per Felipe, appunto,  ero totalmente concentrata su lui e Andres, in linea generale, felice come una Pasqua, mi pareva un miracolo giornaliero.
 
FELIPE ALEJO ALEXANDER FUENTES:
   
 
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