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Autore: lady lina 77    10/01/2018    2 recensioni
Elke abbassò lo sguardo sulla sua mano, sul suo polso che ancora Mattheus stringeva. Era un uomo a volte duro, a volte irriverente, il più delle volte strafottente, ma una cosa l'aveva colpita fin dal primo istante in cui lui aveva sfiorato la sua mano dieci giorni prima, fermandola quando stava per scoccare una freccia contro i sei arcieri del villaggio che l'avevano attaccata: il tocco di Mattheus era delicato, gentile, buono; non vi era traccia di possesso, forza o prepotenza ed era opposto al suo modo di fare tanto scontroso e cinico. Mani gentili, ma di una persona che per la maggior parte del tempo si faceva beffe del suo prossimo. Eppure, quando era serio, Mattheus sembrava quasi un'altra persona, saggia e, sotto un'apparente durezza, gentile. Scosse la testa, turbata, rendendosi conto forse per la prima volta che sarebbe stato difficile conoscere per davvero quello stregone. Sotto la sua scorza tanto dura, doveva nascondersi un mondo ben più complesso e sconfinato di quel che appariva. Spesso la prendeva in giro, ma anche in quegli istanti, se si stava bene a ragionare sulle sue parole, Mattheus non faceva che darle insegnamenti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le notti insonni, dicono, passano lentamente e sembra che il mattino non debba arrivare mai. In realtà ad Elke questa sembrava una di quelle dicerie senza senso perché la notte per lei era volata via in un attimo da quando aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata davanti Mattheus Hansele, ricomparso come per magia dal suo passato e dai suoi ricordi in modo talmente imprevedibile ed inspiegabile che ancora faticava a credere fosse stato reale.

Era stato qualcosa di talmente inaspettato che si era sentita scossa ed inerme davanti a lui, sicuro e schietto come lo ricordava, per nulla turbato dal fatto di ritrovarsi faccia a faccia dopo tre anni, tanto lontani da Pennes. Del resto non capiva come mai fosse tanto stupida: Mattheus era sempre stato così, sfuggente e solitario, uno che non si scomponeva davanti a niente, imperturbabile davanti a ogni sorpresa che la vita gli riservava. Per lei invece non era stato così, tanto che per un attimo, appena riaperti gli occhi, era stato come se il tempo e il luogo in cui si trovava perdessero consistenza e si confondessero col suo passato, tanto da non farle comprendere più nulla. Era stata felice di vederlo? Turbata? O spaventata, come aveva sostenuto lui? Forse era stata un concentrato di tutte queste sensazioni messe insieme perché in fondo al suo cuore aveva sempre desiderato rivederlo, ma Mattheus era tante cose, tanti ricordi, alcuni dei quali per nulla piacevoli. Aveva desiderato un suo abbraccio, silenziosamente, ogni singolo giorno di quegli ultimi tre anni, ma allo stesso tempo aveva voluto con tutta se stessa non rivederlo mai più: il ricordo dei loro ultimi istanti insieme bruciava ancora e le faceva male accettare che affezionarsi a lui era stato probabilmente un grosso errore.

Con un sospiro spinse la porta del convento, entrando con passo felpato mentre fuori albeggiava. Dormivano ancora tutti e nei corridoi regnava il silenzio. Aveva molte cose da fare, doveva sbrigarsi, ma prima di tutto voleva andare nella sua stanza per pulirsi dalla sporcizia della notte passata in piazza e soprattutto accertarsi che Helena stesse bene dopo il confronto con suor Faustine.

Raggiunse la stanza ed entrò piano, per non svegliare l’amica e con sua sorpresa scoprì che Helena non era sola: si accigliò, strano che dopo quanto accaduto il giorno prima suor Faustine avesse permesso alla ragazza di tenere con se la piccola Anna. La bimba dormiva nel letto, rannicchiata contro il petto della madre. Il suo respiro era affannoso e le sue guance color porpora.

Helena”. Si inginocchiò accanto al letto dell’amica, scuotendola lievemente per le spalle.

Helena aprì gli occhi. Erano stanchi, solcati da lunghe e scure occhiaie, pieni di preoccupazione. “Elke, sei tornata per fortuna”.

Come mai Anna è quì?”.

Helena si voltò verso la figlia, accarezzandole i boccoli biondi. “Non è stato un regalo di suor Faustine, figurati! Ieri pomeriggio mi ha dato talmente tanti schiaffi che avrò male alle guance fino all’estate. Sai com’è fatta…”.

Elke alzò gli occhi al cielo. Sì, sapeva com’era fatta quella donna, più che bene! “E allora perché?”.

Helena scosse la testa. “Ha la febbre altissima da ieri sera, di nuovo. Me l’hanno portata perché non infettasse gli altri bambini. Le ho tenuto la pezza bagnata sulla fronte per ore ma è ancora bollente e fatica a respirare. Ho paura Elke, non l’ho mai vista stare così male”.

Elke posò la mano sulla fronte della bambina e la sua espressione si incupì. La piccola stava andando letteralmente a fuoco. “Avete chiamato un dottore?”.

Suor Faustine dice che ci penseranno le preghiere e la fede a guarirla”.

Elke sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Si certo, la fede… Ma magari potremmo fare anche qualcosa di più terreno per aiutare il Signore e la fede a guarirla, come ad esempio cercare delle medicine”.

Helena scosse la testa. “E’ la figlia di una poco di buono, pensi che spenderebbero soldi per chiamare un dottore? Anna è solo... Anna. Non è una principessa o la figlia di un nobile”. Si buttò sul letto senza forze, abbracciando la figlia, rassegnata. “Cambiando discorso, a te com’è andata? Mi spiace così tanto, è solo colpa mia quello che è successo”.

Elke sorrise. “Tranquilla, non è male passare la notte in piazza coi senza tetto, ormai siamo amici. E’ andata abbastanza bene”.

Si gelava stanotte!” – obiettò Helena.

Ci sono abituata”. Non aveva voglia di raccontarle quanto successo quella notte, di Mattheus, della sua storia assieme a lui, di cosa aveva significato rincontralo. Helena non lo conosceva e aveva ben altre preoccupazioni per la testa in quel momento, per pensare a lei. Però, ora che ci pensava, lo stregone aveva detto che era a Bozen per lavorare e lei sapeva bene quale fosse la sua fonte di guadagno principale. “L’acqua…”. Guardò Helena, sorpresa di se stessa per non averci pensato prima. “L’acqua del lago!” – ripeté.

Elke, stai bene?”.

La ragazza sorrise. “Sì! E so come curare Anna. Sta con lei ed aspettami, cercherò di tornare il prima possibile”.

Helena impallidì. “Elke, non è una buona idea, hai del lavoro da svolgere, dove vuoi andare, cosa vuoi fare? Non tirare troppo la corda con suor Faustine o…”.

Al diavolo suor Faustine, Anna è più importante! Se sarò fortunata comunque, sarò di ritorno prima che si accorga della mia assenza. Aspettami qui e sta vicino alla tua bambina, ha bisogno di cure”. Non le diede tempo di rispondere, presa da un’improvvisa forza che sembrava darle energia per ribaltare il mondo. Avrebbe cercato Mattheus e con la sua acqua avrebbe potuto curare Anna. Non le importava di come avrebbe reagito, di cosa le avrebbe detto o altro, le importava solo dell'acqua.

Corse per i corridoi, verso l'uscita, incurante del fatto che qualcuno potesse svegliarsi; stava rischiando molto disubbidendo e le conseguenze potevano essere molto gravi, ma in gioco c'era la vita di Anna e questo era più importante di tutto.

Appena giunta nella strada ancora deserta si strinse nelle braccia per ripararsi dal freddo, pensando a cosa fare: Mattheus aveva detto che era in città per lavoro, ma come trovarlo? Bozen era grande e loro si erano rincontrati per puro caso, difficilmente sarebbe stata così fortunata una seconda volta. Per trovarlo doveva usare il cervello: la via dove Mattheus aveva svoltato quella notte dopo aver lasciato la piazza era elegante, piena di locande di prima scelta dove di solito soggiornavano ricchi viandanti e nobili. Il resto di Bozen non era così, era formato solo da ammassi di baracche e case diroccate che ospitavano taverne di pessima qualità, non erano posti che Mattheus avrebbe potuto frequentare. Lui aveva sempre un'ampia disponibilità di denaro, odiava chiasso e schiamazzi e amava la comodità, soprattutto la sua. Aveva scelto di certo la locanda più accogliente e calda della città e poteva trovarla solo nella strada dove l'aveva visto l'ultima volta. Pregò di non sbagliarsi, che non avesse cambiato le sue abitudini in quegli ultimi tre anni o avrebbe perso tempo prezioso inutilmente.

A passo spedito, mentre si avviava verso la piazza, un pensiero le trafisse la mente: il suo incontro con Mattheus non era stato né amichevole né piacevole e non era così convinta che lui sarebbe stato felice di aiutarla. Non doveva, non poteva presentarsi a lui come Elke, la sua vecchia assistente, doveva diventare un suo cliente se voleva ottenere qualcosa, giocare con lui e contrattare come facevano tutti gli altri, Mattheus amava il denaro e avrebbe messo da parte tutto il resto per il guadagno. Il problema però era che per comprare l'acqua come chiunque altro Mattheus chiedeva dei soldi che lei non aveva. Sospirò. Era così maledettamente seccante essere povera! Ma forse, con un po’ di fortuna, altri poveri come lei, se si mettevano tutti insieme, potevano aiutarla. Corse verso la piazza, decisa a chiedere aiuto ai suoi amici senza tetto che grazie alla carità dei passanti avevano sempre qualche spicciolo in tasca. Mattheus non sarebbe stato felice di rivederla ma di certo non si sarebbe irritato per la mancanza di soldi per un servizio che gli richiedeva.

Quando giunse in piazza i primi commercianti delle bancarelle dei mercatini di Natale stavano iniziando ad esporre e sistemare la loro merce e pian piano il centro tornava alla vita. "Rudolph". Chiamò il suo amico che, sonnacchioso, si stava stiracchiando sotto i portici.

"Elke, che ci fai ancora quì? La vecchia strega ne avrà a male".

Elke sorrise. "Sì, probabilmente si infurierà, ma non importa. Rudolph, ho bisogno del vostro aiuto. E' per la piccola Anna".

"Oh, la bimba di Helena?".

Elke annuì. "E' malata, ha una febbre altissima che non scende. Ho bisogno di portarle delle cure e so da chi potrei trovarle ma mi servono soldi che non ho. Tu e i tuoi amici riuscireste a racimolare tre monete di rame? So di chiedervi molto, non avete da mangiare, ma...".

Rudolph la bloccò, passandole l'indice sulla labbra. "Shhh, non dire altro. Aspettami qui! Io e quei poco di buono dei miei scalcinati amici possiamo fare a meno della birra per oggi, se è per il bene di Anna. Ti servono solo tre monete di rame?".

"Sì, solo tre monete". Era quello il prezzo che Mattheus chiedeva per un'ampolla dell'acqua del lago, lo ricordava bene. Fra se e se sperò che nei tre anni di lontananza non avesse alzato i prezzi... Da lui poteva aspettarsi di tutto.

Aspettò poco, giusto una manciata di minuti. Rudolph, accompagnato da un bambinetto di strada sporco e spettinato, le ricomparve davanti con un piccolo sacchetto di pelle sgualcito. "Tieni Elke, sono tutti gli spiccioli che sono riuscito a racimolare. Credo che, sommati, siano più o meno la somma di cui hai bisogno" – disse, tirando su col naso.

Elke prese la sacca fra le mani mentre le monetine al suo interno tintinnavano cozzando fra loro. "Grazie, vi sarò per sempre debitrice".

"Su, non perdere tempo e vai a prendere questa medicina".

"Certo". Con un cenno veloce di saluto corse via dalla piazza, immettendosi nella via dove aveva visto Mattheus per l'ultima volta. Fece mente locale sulle sue abitudini, sfilando davanti alle eleganti locande che sorpassava, attenta a ogni movimento dei loro clienti. La strada era ancora deserta, era mattina presto, la luce del giorno era fioca e la maggior parte delle persone probabilmente stava ancora poltrendo sotto le coperte. Mattheus invece no, lo ricordava molto mattiniero, si alzava prestissimo per lavorare e spesso, quando lei e i nani si svegliavano, lui era attivo già da ore. A quei pensieri, quei ricordi, una fitta le trafisse lo stomaco, tanto che fu costretta ad appoggiarsi al muro. Le mancavano quei momenti, quell'intimità famigliare che si era creata in quella casa di Pennes con Falko, Drago e Mattheus, il loro modo di stare insieme, il sentirsi per la prima volta in vita sua a casa. Ricordava quanto Mattheus la prendesse in giro ogni mattina perché non sapeva cucinare e di come le avesse vietato di avvicinarsi alla cucina per paura che incendiasse la casa nel tentativo di cuocere qualcosa, il modo sbarazzino ma allo stesso tempo dolce che usava quando scherzava con lei e anche le serate tranquille in cui, soli loro due, le insegnava a leggere e scrivere.

Ricacciò indietro una lacrima. Quella era stata la sua casa, Mattheus e i gemelli la sua famiglia e, anche se per poco tempo, si era sentita amata e al sicuro.

Improvvisamente la porta della locanda della signora Hermann, la più lussuosa della città, si aprì e frettolosamente un uomo scese gli scalini di pietra stretto nel suo mantello. Elke trattenne il fiato, ringraziando tutti gli angeli del paradiso. Era stata fortunata, era lui! Quelli come Mattheus non cambiano le proprie abitudini, mai.

Deglutì, in un misto fra tensione e imbarazzo, avvicinandosi a lui. Mattheus, a passo svelto, si stava avviando verso i palazzi della piazza e le fu difficile accodarsi a lui, da quanto camminava veloce. "Mattheus Hansele, aspetta!" - urlò, appena fu a pochi metri di distanza.

L'uomo si fermò di colpo, voltandosi lentamente verso di lei. La squadrò per un lungo istante, l'espressione immobile e accigliata. "Cosa ci fai quì?" - chiese infine, con freddezza.

"Avevo bisogno di parlare con te!".

Mattheus si avvicinò di alcuni passi non togliendole gli occhi di dosso. "E come hai fatto a trovarmi? Mi stai per caso pedinando?".

Elke sostenne il suo sguardo, decisa a non farsi intimidire da lui. Era un orso, lo era da sempre, ma dopo tutto non aveva torto a chiedere come lo avesse trovato. "Non è necessario pedinarti, conosco benissimo le tue abitudini. Mattiniero e amante dei posti comodi e lussuosi, non bisogna certo essere dei geni per trovarti".

Di tutta risposta, con aria sospettosa, Mattheus incrociò le braccia al petto. "Cosa vuoi? Non mi pare di averti dato da intendere in nessun modo che ho piacere di parlare con te".

"Non voglio parlare, sono qui per concludere un affare".

Non seppe se la cosa lo interessasse, ma di certo la sua espressione fu di stupore e curiosità. "Concludere un affare? Noi due?".

Elke annuì, togliendo dalla tasca tutte le monete di rame che era riuscita a raccogliere. "Ho bisogno della tua acqua".

"Dove hai trovato quei soldi?".

Elke alzò le spalle. "I miei amici della piazza, i senza tetto. Sai, è incredibile l'altruismo delle persone che non hanno nulla, soprattutto se paragonato all'egoismo di chi ha tutto".

Mattheus finse di non sentirla, osservò di sfuggita la sacca di monete e poi lei. "La mia acqua è molto cara e tu non puoi permettertela".

"Tre monete di rame ad ampolla, giusto? Questo era il suo prezzo, se non ricordo male".

Mattheus chiuse per un attimo gli occhi, come indeciso sul da farsi. E questo le parve talmente strano che stentava quasi a riconoscerlo. "Soldi Mattheus, sono sicura che sai cosa sono, vero? Difficilmente rinunceresti ad un guadagno quindi fa finta che non ci sia io qui davanti a te e fingi che ci sia un acquirente qualsiasi. Tu mi dai l'ampolla e io i soldi e finisce tutto qui".

"Una moneta d'oro Elke! E' questo il prezzo dell'acqua per te. Se ce l'hai bene, affare fatto! Se non ce l'hai...".

Per un attimo rimase attonita, ammutolita. Il tono di voce di Mattheus era freddo, provocatorio, quasi strafottente. La stava provocando e non ne capiva il motivo. "La tua acqua non costa così tanto".

"Il prezzo lo decido io in base al mio umore, al tempo e a chi ho davanti. Vuoi un'ampolla d'acqua e io te la darò ma SOLAMENTE se mi pagherai il giusto prezzo".

Scosse la testa, incredula, indietreggiando di alcuni passi. "Non ho una cifra del genere e tu lo sai".

"Non è un problema mio. Chiedi di nuovo ai tuoi amichetti della piazza, sembrano tanto bendisposti verso di te. Magari se coinvolgerai tutti i senzatetto di Bozen riuscirai a racimolare abbastanza soldi per l'acqua. Di disperati ne è piena questa città, dopo tutto. E visto che mi dici che son tanto altruisti, magari potresti farcela a trovare il denaro che ti serve".

Fu troppo, per sopportare ancora. Non capiva, non riusciva a comprendere il gioco che stava facendo Mattheus e nemmeno chi avesse davanti. Non lo riconosceva più! Chi era Mattheus Hansele? Quello che l'aveva abbracciata e sorretta la notte di Natale di tre anni prima o la persona fredda e sprezzante che aveva davanti? Decise che non le importava, non più almeno. "Non parlare a questo modo di quelle persone, sono infinitamente migliori di...".

"Di chi?".

Sorrise, freddamente. Se Mattheus aveva desiderato ferirla, ci era riuscito. E ora avrebbe ricevuto lo stesso trattamento. "Di te".

Lo guardò negli occhi e lui sostenne il suo sguardo. C'era furore in lui, un qualcosa che sembrava rabbia a prima vista, ma c'era anche altro, qualcosa che ancora le sfuggiva... I suoi occhi le sembravano così cupi, vuoti e spersi, nonostante i modi di fare così decisi che stava adottando con lei. "Bene, vattene allora! Niente soldi, niente acqua. La faccenda finisce qui per me".

"Anche per me". Gli voltò le spalle, fece per andarsene ma poi si fermò. Se quello era un addio, avrebbe fatto in modo che fosse definitivo. "Sai Mattheus, io sono una dannata stupida perché ti ho creduto, per tanto tempo. E ho avuto fiducia in te, talmente tanto che ti avrei affidato la mia vita ad occhi chiusi. Ti ho anche voluto bene, per me eri una famiglia, eri qualcuno che, da solo, sapeva farmi sentire a casa e al sicuro. In fondo non ho smesso di credere in te nemmeno quando me ne sono andata da Pennes, anche se ci ho provato ad odiarti, te lo giuro, non ci sono mai riuscita. Non è stato facile cercarti, oggi. E non è facile nemmeno essere qui a parlare con te, preferirei la compagnia di mio padre alla tua, in questo momento! Ti ho cercato perché l'acqua mi serve per una bambina che sta molto male e tu eri l'unica opportunità che avevo per salvarla. Non la volevo per me, non era un capriccio".

"Lo sai bene come funziona l'acqua del lago, lo sai che non può evitare la morte alle persone che vi sono destinate. Credevo che questo lo avessi imparato, nei mesi in cui hai vissuto con me".

"Lei non morirà e ora lascia perdere tutti questi discorsi, non voglio più stare a sentirti e mi stai solo facendo perdere tempo. Sono solo curiosa di sapere perché mi odi così tanto, ma credo che potrò continuare a vivere tranquillamente anche senza saperlo".

"Elke!".

Gli voltò le spalle, decisa ad andarsene. "Non ho più niente da dirti".

"Fermati un attimo!".

"No!". Corse, convinta di averlo lasciato indietro. Non sapeva cosa provasse davvero, se rabbia o delusione. O entrambe. In realtà il sentimento che più avvertiva in se e che soffocava tutti gli altri era il dolore, tanto forte e lacerante che le faceva mancare il fiato. Erano sempre state bugie, ogni sua parola, ogni suo gesto, ogni suo sorriso e ogni suo abbraccio. Tutto finto, quel Mattheus non esisteva e ora che ci aveva sbattuto il muso per la seconda volta lo aveva finalmente capito. Voleva piangere ma decise che non lo avrebbe fatto, non avrebbe sprecato altre lacrime per lui. No, c'era un altro modo per buttare fuori tutta la rabbia e la disperazione che avvertiva dentro di se ed era stato lo stesso Mattheus ad insegnarglielo. Rallentò, per poi fermarsi in un piccolo vicolo deserto. E poi, con tutta la forza che aveva, sferrò un pugno contro il muro, seguito subito da un altro ancora più violento.

E a quel punto una mano sconosciuta le afferrò il braccio, bloccandola. Irritata si voltò, trovandosi davanti ancora Mattheus che evidentemente l'aveva seguita senza che se ne accorgesse. "Lasciami" – intimò, rabbiosa.

Lo stregone scosse la testa, stringendole il braccio ancora più forte. "Ti lascerò quando lo deciderò io! E la nostra conversazione finirà allo stesso modo, quando lo deciderò io. Tu mi hai cercato e ora ascolterai quello che ho da dire, che ti piaccia o no".

Elke cercò di strattonarlo e di liberarsi dalla sua presa ma Mattheus non si mosse di un centimetro. Era tutto uguale, in modo inquietante, a quanto successo tre anni prima. "Cosa vuoi da me? Dannazione, lasciami".

"No". Con la mano libera, dalla tasca, Mattheus tolse un'ampolla contenente l'acqua del lago e la sollevò, fino a portarla davanti al suo volto. "La vedi, Elke? E' questo che volevi, giusto?".

"Sì. Ma tanto non me la darai e quindi è perfettamente inutile stare a parlarne".

"E' vero, non te la darò. Perché sai, anche se tu riuscissi per miracolo a trovare i soldi che ti ho chiesto, io raddoppierei poi il prezzo".

Elke sorrise, freddamente. "Lo immaginavo".

"E sai perché lo farei?".

Elke alzò le spalle, sfinita ma nonostante tutto decisa a tenergli testa. "Non lo so e non mi importa".

"Sì che ti importa, invece". Mattheus le lasciò il polso e poi con un gesto veloce le prese dalla tasca la sacca di monete che gli aveva offerto poco prima. "Prima hai detto che non sai perché ti odio così tanto ma la verità è che non è così, non ti odio. Se tu fossi venuta da me e mi avessi semplicemente chiesto aiuto io ti avrei dato tutta l'acqua che volevi, senza chiederti un centesimo. Lo avrei fatto senza chiedertene il motivo perché ti conosco e so che ne avresti fatto un buon uso. Ti sarebbe bastato poco, semplicemente meno arroganza e più gentilezza. Come facevi una volta, ricordi?".

Elke spalancò gli occhi, sorpresa, mentre uno strano senso di vergogna e colpa prendeva possesso di lei. "Cosa?".

Mattheus per un attimo abbassò lo sguardo, allontanandosi lievemente da lei. Ora non sembrava rabbioso ma al contrario... ferito?

"E' questo che sono per te? Un approfittatore delle disgrazie altrui, uno interessato solo al denaro, che ti dà retta unicamente se può trarne profitto? Credevo che avessi imparato a conoscermi, che...". Strinse la sacca di monete fra le mani e poi la gettò a terra con violenza. "Non ha importanza in fondo stare a parlarne, hai ragione! Non voglio i tuoi soldi e non voglio niente da te".

In quel momento, forse per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Mattheus gli parve vulnerabile. Si sentì in colpa, mentre la rabbia di poco prima scemava dal suo corpo, evaporando nell'aria fredda. Capiva, meglio di quanto lui credesse. Offrendogli quel denaro aveva rinnegato tutto quello che loro due erano stati. "Io...".

"Fine del discorso, ti ho detto tutto quello che dovevo". Lentamente lasciò la presa sull'ampolla d'acqua, facendola cadere a terra. Il vetro si ruppe in mille frammenti, disperdendosi fra la neve e il fango della via mentre l'acqua che conteneva scivolava in ogni direzione possibile. "Ora si che te ne puoi andare, ragazzina! Non voglio vederti mai più".

"Mattheus, aspetta!".

Ma lui non aspettò e d'altronde non si aspettava che lo facesse. Aveva sempre fatto di testa sua, Mattheus, e di certo non l'avrebbe assecondata in quel momento. La guardò, per un lungo istante, in silenzio. Poi tirò su il cappuccio del mantello, gli voltò le spalle e sparì a sua volta fra i dedali di vie del centro.

Per un breve istante rimase incerta sul da farsi e se seguirlo o meno. Lo aveva ferito, anche se non di proposito, ma non aveva tempo di seguirlo, chiarirsi e cercare di sistemare le cose. Mattheus aveva detto no alla sua richiesta di dargli l'acqua del lago di Valdurna e lei aveva il disperato bisogno di trovare una cura per la piccola Anna e se non poteva usare l'acqua magica dello stregone c'era solo un'altra strada da percorrere. Sapeva usare le erbe, ne conosceva le proprietà curative e molte cose era stato lo stesso Mattheus ad insegnargliele. Sospirò, persuasa dal fatto che non avrebbe fatto ritorno al convento troppo presto e avrebbe passato dei guai per questo, ma non c'era altro da fare.

Corse come una forsennata verso la periferia sorpassando la piazza, le vie del centro e via via i vicoli fangosi della zona esterna che portavano alla campagna e ai monti che dominavano la città. Si fermò quando non aveva più fiato, lontana dalle mura di Bozen, in un prato ricoperto di brina e nevischio da cui si dominava il paese.

Si avvicinò a una piccola scarpata, scivolando al suo interno. "Artemisia, devo trovare l'artemisia!". Di quella pianta ce n'era molta da quelle parti e sapeva che, pestata, resa poltiglia e poi cotta in infuso, era un ottimo rimedio per la febbre e le infezioni della gola.

Trovò i ciuffetti della pianta che crescevano qua e là nella scarpata e li raccolse in fretta, fino ad ottenerne un grosso mazzo. Poi con un sasso li batté e sbriciolò, riducendoli in poltiglia. Fece in fretta, più che poteva, ma nonostante questo, quando udì in lontananza le campane di Bozen che rintoccavano il mezzogiorno, non era che a metà del lavoro. Aveva bisogno di tempo e di calma per fare le cose al meglio, ma non ne aveva: Anna aveva bisogno urgentemente di una medicina e lei era sufficientemente in ritardo per cacciarsi nei guai. Suor Faustine si era di certo accorta della sua assenza e la sua reazione sarebbe stata sicuramente poco amichevole. Per un attimo si fermò guardandosi attorno, perdendosi nel silenzio dei boschi e della campagna; Quello era stato il suo mondo fino a tre anni prima e spesso aveva desiderato tornarvi, anche in quel momento non sognava che quello. Ma non poteva e il pensiero di Helena e Anna la riportò alla realtà. Doveva fare in fretta, tornare e smettere di sognare qualcosa che non avrebbe mai più avuto.

Finì che ormai era pomeriggio e poi tornò verso Bozen a passo veloce. Era stanca, stravolta, non mangiava dal giorno prima, non aveva riposato e mille sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lei. Preoccupazione per Anna, paura della punizione che l'attendeva una volta rientrata in convento e rabbia e senso di colpa verso Mattheus. Forse sarebbe davvero stato meglio rimanere in montagna, lontana da tutto, come faceva da bambina quando correva fra gli abeti con Maike, ma ora non era più una bambina, la sua lupa era morta e la sua vita era a Bozen, non c'era altro per lei la fuori.

Giunse al convento che ormai imbruniva. Entrò di soppiatto, approfittando del fatto che a quell'ora le suore cenavano e quindi i corridoi erano per lo più deserti. Attenta a non farsi scoprire corse fino alla sua camera, sgattaiolandoci dentro come una ladra.

"Elke!".

"Helena!". Sospirò, rinfrancata dal vedere l'amica in stanza, accanto alla figlia che dormiva nel suo letto. "Come va?".

Di tutta risposta Helena si alzò dal letto, scagliandosi contro di lei. "Dove diavolo sei stata tutto oggi? Santo cielo, mi hai fatta preoccupare! Suor Amelia ti ha cercata tutto il giorno, avevi un sacco di lavoro da svolgere e nessuno sapeva dov'eri! Ha informato suor Faustine della tua assenza e mi hanno fatto mille domande su di te. Suor Faustine è furiosa, non l'ho mai vista così. Elke, dove diavolo eri finita? Mi avevi detto che saresti tornata subito".

Di tutta risposta Elke prese dalla tasca del vestito il fazzoletto dove aveva riposto le erbe schiacciate, lasciandolo scivolare nelle sue mani. "Helena, sono erbe che servono a far calare la febbre. Trova dell'acqua calda, fanne un infuso e fallo bere ad Anna. Starà meglio".

Helena osservò il piccolo fagotto che gli aveva messo fra le mani e poi lei. "Oh Elke... Ti sei cacciata di nuovo nei guai a causa mia".

"Non pensarci". Si avvicinò alla porta, tirando giù la maniglia per aprirla. "Occupati di Anna invece".

"E tu dove vai di nuovo?".

Elke sospirò. "Da suor Faustine a ricevere il mio castigo. Tanto vale farlo subito e togliersi il pensiero, giusto?".

"Ti massacrerà".

Elke le strizzò l'occhio. Era terrorizzata ma non era il caso di far preoccupare ulteriormente Helena. "Ci sono abituata, ho le spalle larghe ormai".

"Scappa".

"Non saprei dove andare. In fondo non sarà così terribile, sarà questione di pochi minuti come al solito".

Helena sospirò, poco convinta. "Buona fortuna".

"Anche a voi" – rispose, lanciando ad Anna un'ultima occhiata. Poi chiuse la porta e si avviò verso il refettorio. Conosceva suor Faustine, i suoi modi duri, il suo rancore verso di lei, il suo essere convinta di avere a che fare con un essere demoniaco da addomesticare, conosceva il bruciore dei suoi schiaffi e la furia delle sue parole. Sapeva cosa l'aspettava e nonostante poco prima si fosse dimostrata tranquilla con Helena, in realtà aveva paura.

Passò davanti alla porta del refettorio e vedendo le suore ancora intente a cenare, si trascinò stancamente fino al corridoio dove si trovava la porta della stanza e dello studio di suor Faustine. Si sedette a terra, appoggiando le ginocchia al mento ed aspettando.

C'era silenzio attorno a lei, ovattato e quasi rilassante, tanto che per un istante la stanchezza ebbe la meglio facendola addormentare. Ma appunto, fu solo un attimo.

Aprì gli occhi di scatto, mentre un'ombra troneggiava su di lei. "Suor Faustine..." - mormorò deglutendo, trovandosela davanti. Era una donna appesantita dagli anni e dalla corporatura robusta, ma sapeva camminare con la leggerezza di una piuma.

La suora la squadrò accigliata per alcuni istanti, la sua espressione neutra e incolore. "Ebbene, eccoti qui. Ti credevo in fuga, lontana, devo ammettere che riesci sempre a stupirmi".

"Helena mi ha detto che mi cercavate oggi e che siete adirata con me".

Con un cenno della mano la suora le fece segno di alzarsi, poi aprì la porta del suo studio e la spinse all'interno, chiudendo l'uscio dietro di loro. "Adirata? Ne avrei motivo, giusto Elke?".

La ragazza si guardò attorno, osservando quell'ambiente spoglio e semplice composto da un letto, una scrivania e un grosso crocifisso che dominava tutto e tutti dall'alto della parete. "Suppongo di sì, vi ho disubbidito e ora merito di essere punita. Sono qui, facciamo in fretta e togliamoci il pensiero".

"Non così in fretta, Elke. Siediti" – le ordinò la suora, indicandole la sedia davanti alla sua scrivania.

Elke si sedette, stringendo fra le mani la stoffa del suo abito. Si sentiva terribilmente a disagio e suor Faustine si stava comportando il maniera anomala e diversa dal solito. E questo non era un bene, le suggeriva il suo istinto.

"E allora ragazza, dove sei stata tutto oggi? Cos'avevi di tanto importante da fare che ti ha sottratto ai tuoi doveri?".

Elke si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Se avesse raccontato a suor Faustine la verità, cioè che era stata a cercare delle erbe per curare Anna, le avrebbe offerto su un piatto d'argento la possibilità di incriminarla per stregoneria. Viveva a Bozen da abbastanza tempo e aveva imparato che le donne che usavano erbe per curare le malattie venivano poi perseguitate dall'Inquisizione e a volte finivano sul rogo. Suor Faustine glielo aveva insegnato, suo malgrado, due anni prima quando l'aveva costretta ad assistere al rogo di una strega in piazza. Sentiva ancora dentro di se le urla e lo strazio di quella donna consumata dalle fiamme e il terrore di essere lì davanti a lei, inerme e impossibilitata ad aiutarla.

"Questo è quello che succede alle streghe come te, se non abbracciano Dio".

Questo le aveva detto suor Faustine quella volta e lei lo aveva tenuto ben a mente. Sospirò, optando quindi per una bugia a cui la suora avrebbe creduto senza problemi. "Stanotte ho dormito poco e male in piazza e oggi non avevo voglia di lavorare. Mi sono rintanata in un vicolo e ho dormito tutto il giorno".

La suora le passo davanti più volte, passeggiando per la stanza. "Ti devo riconoscere un certo fegato ad ammettere le tue mancanze senza accampare scuse e d'altronde sappiamo tutti quanto tu sia maldestra e poco portata per il lavoro fisico. Però, nonostante apprezzi la tua sincerità, questo non ti aiuterà di certo perché mi hai comunque disubbidito e hai mancato ai tuoi doveri, rischiando di compromettere la pacifica vita e l'organizzazione del convento". Si fermò d'improvviso, guardandola negli occhi con una strana espressione furiosa. "Cosa dovrei fare ora con te, Elke? Come posso punirti in modo che tu possa capire i tuoi errori ed evitare che ti venga la tentazione, in futuro, di perseverare nel peccato?".

Elke trattenne il fiato. Quella suora le stava chiedendo come voleva essere punita, picchiata e umiliata? "Non lo so, signora".

"Ho provato con gli schiaffi, a privarti del cibo, di un tetto sulla testa e a caricarti di lavoro pesante. Ma non è servito! Passiamo alle maniere forti, ragazza, non mi lasci scelta, ma d'altronde lo sapevo che con te sarebbe stata una lotta dura". La suora si avvicino al piccolo armadio dietro la scrivania, tirandone fuori una cinta di cuoio. "Alzati in piedi e appoggia le mani sul tavolo".

"No...". Indietreggiò, terrorizzata, capendo le intenzioni di suor Faustine fin troppo bene. No, non poteva succederle di nuovo, non poteva essere! Era un incubo, non c'erano altre spiegazioni. Aveva già provato da bambina il sapore delle frustate sulla pelle, il senso di sopraffazione, il dolore atroce della carne che si lacera e quella sensazione terribile di soffocare per il male. "No, vi prego".

Suor Faustine finse di non sentirla. "Appoggia le mani al tavolo" – ripeté, stranamente calma.

"No. Tutto ma non questo, per favore".

Suor Faustine si avventò su di lei, prendendola per i capelli e spingendola contro la scrivania. "Appoggia quelle mani sul tavolo o ti costringerò a farlo con la forza e soffrirai doppiamente".

"No" – singhiozzò, fra le lacrime. Tentò di divincolarsi, di cercare una via di fuga ma d'improvviso l'aria attorno a lei vibrò e poi, con violenza, una frustata la colpì da dietro, sulla schiena. E poi un'altra e un'altra ancora, sempre più forti. Suor Faustine e il suo braccio sembravano posseduti da una forza sovrumana che si abbatteva su di lei senza pietà. Sentì gli abiti lacerarsi e poi la sua pelle nuda martellata da decine di colpi incessanti.

"Le mani, appoggia quelle mani sul tavolo o non la smetterò" – urlò la suora, nel suo orecchio.

Strinse i denti per non gridare, per non svenire, per cercare di resistere quanto più possibile. Il male era atroce, sentiva il sangue colarle giù per la schiena e non riusciva più a muoversi. Cercò di rifugiarsi in un pensiero felice che isolasse la sua mente da quell'inferno e tutto quello che le venne in mente fu la sua lupa, Maike, le loro corse, i giochi da bambina che aveva fatto in sua compagnia e a come l'avrebbe protetta se in quel momento fosse stata al suo fianco. Per un attimo, persa in quel pensiero fugace, si ricordò della statuetta in legno che qualcuno le aveva regalato pochi giorni prima e che tanto le ricordava Maike. Non aveva mai scoperto chi gliel'avesse donata ma le venne in mente che solo a Mattheus aveva parlato di quella lupa. Che fosse stato lui? Percorsa dalle frustate scosse la testa, mentre le lacrime le rigavano il viso. No, non poteva essere stato lui, Mattheus non era un tipo da regali e di certo non ne avrebbe fatti a lei.

Una frustata più forte la fece stramazzare a terra. Le mancava il fiato, le forze la stavano abbandonando, il dolore alla schiena era diventato talmente intenso da stordirla e si stava avvicinando al punto di diventare insopportabile.

"Appoggia le mani sul tavolo" – le intimò, col fiato corto, di nuovo, suor Faustine.

"Perché?".

La suora la prese per il colletto del vestito, tirandola su con uno strattone. "Perché da domani tu avrai talmente tanto lavoro da non poter respirare e voglio che qualsiasi cosa tu faccia, ogni volta che muovi le dita e le mani, senta talmente tanto dolore da impedirti di dimenticare quello che sta succedendo qui. Appoggia le mani su quel tavolo Elke o io continuerò a frustarti finché non avrai più carne sulla schiena. E poi passerò alle gambe".

Ricacciò indietro le lacrime, in un ultimo vano tentativo di essere forte. Una volta Mattheus le aveva detto di non accettare il male che le veniva fatto, di combatterlo, di resistere. E probabilmente, vedendola cedere, sarebbe rimasto deluso da lei. Ma non ce la faceva più a sopportare, non era così forte e in fondo a Mattheus non interessava nulla di lei per cui non aveva niente da dimostrargli.

Chinò il capo, sottomettendosi alla volontà della suora. Tremante appoggiò le mani al tavolo, chiudendo gli occhi e preparandosi a venire nuovamente frustata.

La suora iniziò a colpirla di nuovo sulle dita, sui polsi, sulle mani, con una forza ancora maggiore. Urlava parole crudeli al suo indirizzo ma la sua voce le appariva ovattata e confusa, tanto che per un attimo le sembrò di avere accanto suo padre, col suo disprezzo e la sua violenza esplosa a suon di frustate una sera di Natale di tanti anni prima.

"Figlia del diavolo...".

Fu un pensiero fugace, che le attraversò la mente con la stessa velocità delle frustate che le venivano inferte e che mai avrebbe pensato di poter formulare. In fondo non sarebbe stato così brutto essere davvero la figlia del demonio, avrebbe potuto difendersi, combattere, restituire la violenza che subiva e suo padre, il diavolo, l'avrebbe aiutata in questo. Se tutti la credevano la figlia del diavolo, tanto valeva diventarlo davvero, pensò prima che un'ultima frustata, più forte delle altre, le lacerasse la mani e la facesse cadere a terra priva di sensi.

Il mondo divenne un posto buio, quel buio in cui avrebbe voluto perdersi e nascondersi per sempre.





  
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