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Autore: Ciulla    10/01/2018    2 recensioni
Storia scritta per il contest "L'amore è bestia, l'amore è poeta" indetto da _Freya Crescent_ sul forum di EFP.
L’immagine di Gellert nello specchio sembrava sbeffeggiarlo, con quel cipiglio divertito che mai lo aveva abbandonato. I suoi occhi azzurri lo trascinavano nei ricordi di una giovinezza perduta, in mezzo a desideri che un tempo aveva sperato di dimenticare; eppure anche allora, giovane e ingenuo, avrebbe dovuto sapere che non ci sarebbe mai riuscito. In fondo, chi può sopravvivere ai sogni? Sono loro ad avere il controllo su di te, a condurti lentamente alla tua fine, ed è solo nella morte che essi si acquietano.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Gellert Grindelwald, Harry Potter | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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​UN AMORE RIMASTO NEI SOGNI


Quella mattina il giovane Albus Silente era di pessimo umore.
Non che in genere fosse particolarmente gioviale, rifletté Gellert Grindelwald, scrutando preoccupato il cipiglio affranto sul volto dell’amico. La sua particolare situazione familiare, che lo costringeva in casa a badare ad una sorella problematica e ad un fratello quantomeno strano, era spesso motivo di afflizione per il mago più giovane. Il suo potere e le sue conoscenze erano talmente avanzate che gli avrebbero permesso in qualunque momento volesse di imporre la sua presenza sul mondo, di diventare qualcuno, e invece se ne stava sempre lì, a rimuginare su un passato sfortunato, un presente deludente ed un futuro sfortunatamente anonimo.
Appoggiandogli una mano sulla spalla, Gellert attirò la sua attenzione e gli sorrise teneramente.
“Cosa ti turba, amico mio? Nemmeno oggi, alla vigilia di Natale, puoi essere più lieto?”
A quel gesto, Albus si riscosse dai suoi pensieri e pacatamente raggiunse la mano di Gellert con la propria, stringendola piano in cerca di conforto.
“Sto bene”, mormorò esitante, assicurandosi di mantenere la voce mesta quasi per far sì che l’altro non credesse alle sue parole.
Gellert sorrise, riconoscendo l’espressione che l’amico, solitamente, tratteneva qualche istante sul volto prima di confidarsi con lui in un incessante fiume di parole, stringendogli le mani come a voler sfogare la sua rabbia in quella presa forte ed occasionalmente dolorosa. Si sedette accanto a lui e seguì con gli occhi la direzione del suo sguardo, incontrando la vista di una capra che brucava pacifica poco più in là.
La fissò silenziosamente per qualche istante, prima che l’altro cominciasse a parlare.
“Quella stronza mi ha mangiato i calzini”, borbottò.
Gellert trattenne a fatica uno scoppio di risa, nonostante la frase dell’amico lo giustificasse pienamente, ed attese pazientemente che Albus riprendesse il discorso.
“Ariana ha avuto un’altra crisi stamattina. Avevo appena finito di sgridare Aberforth perché continua a portare capre in camera nostra e lei si è accasciata a terra e ha iniziato a urlare e distruggere tutto… Abe ha dato la colpa a me, ha detto che l’ho fatta agitare io con le mie urla. Io… Temo avesse ragione. Abbiamo tentato di calmarla, dopo mezz’ora è crollata addormentata e Aberforth ha ricominciato ad inveire contro di me. Sono corso a chiudermi in camera per non sentirlo più e, a coronare la bellissima esperienza, c’era quella bestia che brucava pacifica nel mio cassetto della biancheria”.
“E ti ha mangiato i calzini”, concluse Gellert con uno sguardo comprensivo al volto dell’amico. Così giovane, così fragile, e così tanti pesi sulle spalle... Grindelwald, al suo posto, non ce l’avrebbe mai fatta, avrebbe già abbandonato egoisticamente tutti per il proprio bene. Ma in fondo, era anche per questo che Albus era così straordinario.
“Erano i miei calzini preferiti”, brontolò quello innervosito, passandosi una mano sulla barba che da poco aveva iniziato a farsi crescere. “Di lana, sai. Perfetti per la stagione”. Sospirò piano, guardando Gellert negli occhi. “Temo di averli persi per sempre, ormai”, mormorò, e l’amico sapeva che non stava parlando dei calzini.
Sospirando, lo abbracciò. Non sapeva in che altro modo confortarlo, perché le parole che gli venivano spontanee avrebbero sortito l’effetto opposto.
Avrebbe voluto dirgli che due fratelli così erano solo un peso, che era meglio perderli che trovarli.
Avrebbe voluto dirgli che se li avesse persi sarebbe stato libero, libero di andare con lui e fare quello per cui era venuto al mondo.
Avrebbe voluto dirgli che voleva essere l’unico a contare veramente per lui.
Albus si acquietò fra le sue braccia, sorridendo nel sogno di una vita perfetta in cui lui e Gellert erano tutto ciò che contava. Dovette farsi forza per sopprimere l’impulso di rivelargli che lo amava, che ad un suo ordine sarebbe partito con lui lasciandosi tutto e tutti alle spalle.
E mentre il caos riempiva di voci le loro teste, entrambi rimasero in silenzio, avvolti in quell’abbraccio che sapeva di tante cose taciute.
 

La mattina dopo era Natale. Albus trovò tre pacchetti abbandonati ai piedi del letto e sospirando li scartò, certo che nulla di quello che vi avrebbe trovato avrebbe potuto migliorare il suo umore.
Scoprì di sbagliarsi.
Il primo pacchetto conteneva un libro pieno di disegni fatti da Ariana. Sorridendo sfogliò le pagine ricche di eventi sperati e raramente avvenuti: riconobbe se stesso ed Aberforth mano nella mano, si vide intento ad abbracciare Ariana, a darle il bacio della buonanotte, ad accarezzarle i capelli. Si rese conto di essere stato davvero un fratello terribile, per lei, e con un groppo in gola si chiese se fosse troppo tardi per cambiare.
Aprì poi il pacchetto di Aberforth. Conteneva un grosso libro dalla copertina scura e completamente intonsa. Curioso, Albus aprì la prima pagina e involontariamente scoppiò a ridere leggendo il titolo che spiccava a caratteri cubitali.
Come vivere serenamente con una capra in casa.
Doveva leggerlo al più presto, o sarebbe veramente impazzito. L’eco della sua risata che svaniva svegliò Aberforth, steso nel letto accanto al suo, che sorrise quasi teneramente al motivo dell’ilarità del fratello.
Infine, Silente prese il regalo di Gellert, accompagnato da un piccolo biglietto che il mago dischiuse con un timore quasi reverenziale.
Caro Albus, fino a ieri volevo regalarti un libro di incantesimi avanzati, ma lo conserverò per un’altra occasione. A presto.
Scartando il pacchetto, Albus vi trovò dentro un grosso paio di calzini di lana.
 
 
 
Per pochi, magnifici mesi Albus tornò il ragazzo spensierato di sempre. Aveva avuto la conferma che in quella sua complicata vita era circondato da persone che, per quanto strane, gli volevano sinceramente bene.
Forse si stava illudendo, ma era sicuro che in qualche modo la situazione si sarebbe risolta senza che nessuno soffrisse.
Forse quel pensiero era una mera utopia, ma il giovane non riusciva a smettere di crederci. Ci si aggrappava con tutte le sue forze, rifiutandosi di abbracciare la consapevolezza che per poter essere veramente un bravo fratello avrebbe dovuto dire addio a quella parte della sua vita che più amava.
Mai avrebbe immaginato che il suo folle inseguimento di un sogno l’avrebbe portato a perdere interamente la vita che conosceva.
 


Accadde pochi mesi dopo, quando Gellert lo abbandonò.
C’era stato un conflitto, uno scontro, e Ariana era morta.
Lui e Aberforth erano rimasti soli, pieni di dolore, incertezze e responsabilità. Grindelwald era fuggito, lasciandosi alle spalle una famiglia spezzata e un cuore ancora più in frantumi.
In fondo, Silente era grato che quel giovane uomo, entrato nella sua vita per darle un senso e insieme rovinarla, se ne fosse andato. L’aveva amato, è vero, ma aveva quasi perso se stesso.
Non lo rivide più se non decenni dopo, ormai vecchio, per scontrarsi con lui con la bacchetta in mano ed un macigno sul cuore.
Cercò di non pensare più a quell’amore perduto, a quell’amicizia ormai gettata al fuoco.
Eppure, diversi anni dopo, arrivò ad Hogwarts lo specchio delle brame ed Albus non poté fare a meno di guardarci dentro, già consapevole di cosa l’artefatto magico gli avrebbe mostrato.
Gli si strinse il cuore nel vedersi insieme alla sua famiglia, con Gellert accanto a lui, felice come non era mai potuto essere in quel periodo. Trascorse intere notti a fissare quel suo desiderio proibito e cercare allo stesso tempo di sfuggirgli, ripetendosi disperatamente che non serviva a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere. Albus era abbastanza vecchio da saperlo, ma era anche troppo vecchio per illudersi che prima o poi il suo inconscio desiderio di tornare indietro sarebbe passato.
L’immagine di Gellert nello specchio sembrava sbeffeggiarlo, con quel cipiglio divertito che mai lo aveva abbandonato. I suoi occhi azzurri lo trascinavano nei ricordi di una giovinezza perduta, in mezzo a desideri che un tempo aveva sperato di dimenticare; eppure anche allora, giovane e ingenuo, avrebbe dovuto sapere che non ci sarebbe mai riuscito. In fondo, chi può sopravvivere ai sogni? Sono loro ad avere il controllo su di te, a condurti lentamente alla tua fine, ed è solo nella morte che essi si acquietano.
Albus fu quasi felice quando incontrò qualcuno che, nella sua giovinezza, condivideva un peso di simile grandezza; per questo si limitò a sorridere quando un ragazzino vivace e curioso lo fissò intensamente con penetranti occhi verdi e volle mettere a nudo la sua anima.
“Professore, lei cosa vede quando guarda nello specchio delle brame?”
“Io? Oh, io mi vedo con in mano un grosso paio di calzini di lana”
.

 
   
 
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