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Autore: Miky30    11/01/2018    3 recensioni
L'ultimo dell'anno a Parigi, una festa, la neve. Questa storia deve tutto ad Aliseia, senza la quale non l'avrei scritta. Se non mi avesse scritto la prima parte con una grazia e una delicatezza che pochi al mondo possono vantare, mi ha preso per mano e ispirato a scrivere il resto. E' una storia scritta a quattro mani, o come direbbero i nostri mostrini a otto mani. E' un momento particolare e richiama altre storie di Aliseia che si intrecciano con il canon della serie tv. (Vi consiglio di leggere TUTTE le storie di Aliseia, e vi si aprirà un mondo)
Dedica: Ad Aliseia. Madame, senza di te niente avrebbe senso. Quello che mi fai è un onore più grande di quello che può sembrare.
Ad Abby: loro si ritroveranno. Sempre.
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a Lisa Jane Smith, Julie Plec, Michael Narducci, Diane Ademou-John, nonché agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Tristan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Snowflake in Paris
Non c’è verso di fermarlo e non vuole, se non per farlo voltare e godere ancora un po’ della sua rabbia. Di quella luce di temporale che gli accende gli occhi quando comincia a discutere.
«Io – enfasi della voce  e ampio gesto elegante della mano nell’aria – ho praticamente cacciato mia sorella dalla nostra casa. Mentre tuo fratello è ancora lì con quella donna… l’ennesimo errore della sua vita… e quella mansarda si è trasformata in un covo di ubriaconi e di musicisti jazz! »
L’uomo che cammina dietro, un bruno elegante dalla mascella decisa, si ferma e inalbera un sorrisino obliquo. «E quale categoria giudichi disdicevole per il decoro della nostra casa, Milord? Gli ubriaconi? I musicisti jazz? Niklaus?»
Il giovane davanti a lui si volta di scatto, lo affronta con il mento alto e le mani in tasca. Vorrebbe sembrare freddo e calmo, sprezzante e autorevole, ma il vento gelido solleva i suoi delicati capelli in certi riccioli impertinenti, rovinando l’effetto della sua postura indignata.
A Parigi nevica, e anche di questo, e del proprio abbigliamento inadeguato, vorrebbe rimproverare Elijah.
Poiché è decisamente inopportuno percorrere gli Champs Elysees sotto la tempesta, con scarpe troppo lucide e troppo leggere, stretto in un corto cappotto nero esageratamente elegante e non abbastanza caldo.
Con Elijah dietro che cammina lento, indifferente alla neve e alle sue proteste.
Non che questo possa fermare le sue incessanti lamentele. «Ma no.  – prosegue ignorando la provocazione precedente – Klaus non ne ha colpa! È mia sorella che deve ripartire!»
« È stata una sua scelta – replica Elijah tranquillo – Siamo qui perché non voleva viaggiare da sola.» “E perché è riuscita  a litigare anche con Paul” aggiunge ma solo nella propria mente.
«Ovviamente – le labbra di Tristan impallidiscono in una smorfia tirata – Non poteva tollerare…»
«Che cosa? – replica Elijah sornione – Gli ubriaconi? I jazzisti? Le ragazze di Klaus?»
Il ragazzo tira ancora le labbra in un sorrisetto ironico. «Che cosa vi fa credere, a voi Mikaelson, di essere tanto irresistibili?» Il vento crudele arruffa ancora senza pietà i corti riccioli di un biondo cenere, colpendo il suo viso accende di rose le guance pallide, mentre gli occhi enormi per difendersi si fanno più lucidi, e ancora più vivido l’azzurro delle loro iridi.
Elijah inclina la testa. “TU sei irresistibile” pensa distrattamente mentre si prepara a una risposta caustica.
Ma Tristan continua: «E prima o poi pagherete questa vostra arroganza.» dichiara con una solennità sproporzionata alla situazione.
«Ah sì? – sbuffa Elijah – E chi ci metterà all’angolo?» Nonostante il tono leggero è già sulle difensive.
Tristan accentua il broncio e avanza di un passo nella sua direzione, gli occhi ridotti a due fessure blu. «Io.» risponde deciso. E prima che l’altro possa reagire l’ha già spinto contro il fusto nero di un albero, ha già preso, tra le mani tenute a coppa, quel bel volto impassibile. Le labbra del Sire sono serrate ma il velo bruno di barba sulle sue guance è così caldo… Tristan preme le labbra contro quelle di Elijah, azzarda un bacio più profondo. Poi senza parole si stacca e si sottrae alle sue braccia.
Elijah stupito l’ha lasciato fare. E poi è rimasto così, fermo e imbambolato, solo le mani che annaspano per un momento nel vuoto. Quasi volesse afferrare quei ridicoli, insolenti fiocchi di neve. «E questo cos’era? Una minaccia?» è beffardo ma anche leggermente risentito, poiché l’altro ha allungato il passo e sta per sfuggire anche alla sua vista. Riesce ancora a catturarne con lo sguardo la fragile figura vestita di nero, le mani in tasca. I fiocchi in un’aura chiara si affollano e s’incastrano tra i riccioli birichini, intorno alla sua testa.
«Nessuna minaccia! – sibila Tristan senza voltarsi – Sono stanco, ho freddo e meritavo un risarcimento!»
Elijah allarga le braccia.
 
 
 
 
 
È ancora appoggiato all’albero, imbambolato, incredulo. Perché dev’essere sempre tutto così difficile, perché dev’essere sempre così testardo?
Forse, a ben pensarci, è così perché lui stesso ha fatto in modo che sia così. D’altronde sono proprio uguali, loro due, capoccioni e testardi. Ma guai a farlo notare al suo piccolo Conte, che si allontana a passo svelto, imbronciato e infreddolito, le mani in tasca.  Deve porre rimedio ad entrambe le cose, non c’è da indugiare oltre o gliela farà pagare fin troppo cara. Ma poi, che colpa ne ha lui se i loro rispettivi fratello e sorella sono due combinaguai che non riescono a stare nella stessa stanza per più di qualche ora senza dare in escandescenze?
Si stacca dall’albero a cui è appoggiato e affretta il passo per raggiungere Tristan. In pochi minuti gli è alle spalle, lo afferra per un braccio e lo costringe a voltarsi, facendogli fare una mezza piroetta, facendolo quasi cadere sul selciato scivoloso. Tristan sgrana gli occhioni per la sorpresa e per la quasi caduta, evitata soltanto perché due braccia grandi e forti l’hanno trattenuto. I suoi occhi in tempesta, ancora più grandi e luminosi del solito fanno mozzare il respiro di Elijah, che per un lungo istante si dimentica di tutto, perso com’è in quelle iridi dell’azzurro più incredibile che abbia mai visto in tutta la sua millenaria vita.
Sbatte gli occhi e riprende un briciolo di controllo.
“Ora tu vieni con me, signorino. Non ho intenzione di lasciarti continuare questa farsa a lungo”.
Tristan sta per protestare, ma lo sguardo ardente di Elijah lo fa desistere. Non per la minaccia, nè tantomeno per la voglia di obbedire, ma piuttosto perché specchiarsi in quegli occhi neri gli fa perdere tutta la voglia di essere arrabbiato e in ogni caso fa troppo freddo e lui, il suo Sire, è così caldo.
Si avviano verso l’hotel, Elijah che lo tiene ancora per il braccio, il passo deciso e una ruga di concentrazione tra gli occhi. “Chissà a che pensa?” Si domanda Tristan, ma non dice nulla, non sa se è troppo arrabbiato, infreddolito o stanco. Sceglie la inusuale via del silenzio.
Elijah lancia occhiate in tralice al suo Milord, lo osserva, stranamente silenzioso e ancora troppo imbronciato. Cerca di mantenersi serio, ma l’espressione di Tristan è così comica che deve fare uno sforzo per rimanere concentrato.
Attraversata la strada si trovano di fronte all’ingresso dell’hotel, entrano nel caldo della hall, le guance arrossate dal vento e le labbra livide. Elijah lascia finalmente il braccio di Tristan e gli sussurra all’orecchio “aspettami in camera”, una cosa a metà fra una minaccia e una lusinga. E si avvia verso la reception, lasciando il conte lì, in mezzo alla hall, un po’ imbambolato e stizzito. Si avvia all’ascensore borbottando fra sè: “ma che si crede, che sia un moccioso?”
Entra in camera, sbatte la porta un tantino troppo veementemente segno che è sempre troppo nervoso e, certo, essere spedito in camera come un bambino monello non aiuta.
È intirizzito dal freddo e l’unica cosa sensata a cui riesce a pensare è una doccia bollente. Si spoglia degli abiti fradici e si infila nella doccia. Almeno quella lo farà stare bene.
Non si accorge, sotto lo scrosciare dell’acqua, che l’originale è rientrato e lo raggiunge sotto la doccia. “Credi di cavartela così?” Lo blocca mentre il conte fa per uscire.
Lo spinge piano, sotto il getto dell’acqua e inizia a baciarlo, dimenticandosi perfino di respirare, assaggiando a più riprese quella pelle candida e soffice come la neve, arruffando i riccioli ribelli e facendo suo ogni centimetro di pelle.
Escono fuori dalla doccia, si avvolgono negli accappatoi caldi. “Ma come ci sono finiti questi sul termosifone?” Elijah accenna un sorriso obliquo “magia, no?” Lo prende in giro, solo un po’.
Tristan adora essere al centro dell’attenzione ed Elijah fa in modo di farcelo stare vita natural durante, anche se si concede di  canzonarlo di tanto in tanto.
Nel salottino della suite li aspetta un vassoio enorme con due tazze giganti di cioccolata calda, fumante, al peperoncino e una quantità assurda di bignè e madeleines.
Un bel sorriso illumina il volto di Tristan, la gola è uno dei suoi punti deboli ed Elijah lo sa benissimo.
“Dunque – con la bocca già mezza piena di madeleines e cioccolata - pensi di farti perdonare con la cioccolata calda?”
Il Sire si avvicina, lo bacia di nuovo, assaggiando cioccolato e conte allo stesso tempo, dopodiché gli risponde “no, perché non ho niente da farmi perdonare, ma è un ottimo modo per farti passare l’arrabbiatura.”
“Chi ti dice che mi sia passata?”
“Stai sorridendo, hai i baffi di cioccolata e le guance piene di madeleines...e non parlare con la bocca piena!”
Tristan rotea gli occhi, la bocca troppo piena per sbuffare. Lo sguardo più eloquente delle parole. Elijah si butta sulla difensiva:
“Non è colpa mia se ti devo sgridare come un bambino!”
Il conte si alza dalla poltrona su cui si era elegantemente seduto, si avvicina ad Elijah, gli prende il viso fra le mani e, per la seconda volta nello stesso giorno (una specie di primato), lo bacia per primo. Con passione. Con Amore.
I ricci scompigliati vanno a solleticare il naso di Elijah, lo arriccia, in modo delizioso, ma non si muove di un millimetro, solo le mani, lo afferrano per la vita e lo tirano sopra di lui, si insinuano sotto l’accappatoio e si muovono accarezzando la pelle calda e delicata, morbida al tatto.
Si stupisce ogni volta della felicità che gli si irradia dal centro del petto, come un calore benefico, quando il suo piccolo tiranno capriccioso lo bacia in quel modo. “Allora è questo quello che si prova ad essere felici - gli sussurra sulle labbra - non l’avevo mai provato prima”
“Ti devo insegnare proprio tutto, mio bel barbaro” ma la dolcezza e la voce un po’ spezzata tradiscono l’emozione di Tristan.
 
La mattina seguente Parigi si sveglia con una pioggia incessante che ha lavato via tutta la neve del giorno prima.
Le luci degli addobbi natalizi scintillano per le strade Parigine accogliendo l’ultimo giorno dell’anno in una frenesia per gli ultimi preparativi.
Fra le calde coperte candide della suite si intravede un Conte profondamente addormentato, riccioli scomposti, un sorriso sereno sulle labbra rosee, una mano stretta nella grande mano del bruno che, sdraiato accanto a lui, lo osserva, un occhio chiuso, uno aperto, mentre si gode il tepore delle coperte e la vista più spettacolare dell’universo.
 
Gli ha promesso una festa degna di un nobiluomo ed è quello che otterrà. Un party coi fiocchi, dove spiccheranno fra tutti gli invitati per la loro eleganza e di sicuro non passerà inosservato Tristan, con quegli occhi che brillano di luce propria. Catalizzerà l’attenzione di tutti, uomini e donne… una fitta di gelosia lo pervade solo per un attimo. Scuote la testa, no, non può essere geloso.
 
Indossano i loro tuxedos identici e si preparano ad uscire. Eleganti e bellissimi.
Arrivati alla festa in un elegantissimo castello alla periferia di Parigi si rendono conto che sarà più difficile del previsto passare inosservati: tutti sanno chi sono, metà dei vampiri in quella sala li conoscono bene, l’altra metà almeno per fama.
Il tempo di un aperitivo e già sono diventati le star della serata, non esattamente quello che Elijah aveva progettato, ma deve improvvisare se non vuole ritrovarsi con un Tristan ancor più imbronciato del giorno precedente. L’arte della lamentela, infatti, è una peculiarità del conte de Martel e, data una rapida occhiata al suo nobile compagno,  Elijah si rende conto che la sfuriata non tarderà ad arrivare se non vi pone rimedio in fretta.
Non ha il tempo però di pensare alla mossa da effettuare perché il suo sguardo incrocia quello di un bruno dagli occhi a mandorla. “Ma com’è possibile, non l’ho eliminato anni fa?” Pensa fra sé l’originale, ma il turbamento è evidente, tanto che Tristan, ignaro chiede che cosa gli stia succedendo, avendolo visto impallidire d’un tratto.
Elijah si rammenta, in una frazione di secondo, di un’altra festa, due uomini in tuxedo, belli e feroci, che si scambiavano delle effusioni in una saletta appartata, ricorda fin troppo bene. E  sbianca, una fitta di gelosia che gli contorce le viscere.
“Niente, ho solo bisogno di una boccata d’aria.” Così dicendo si avvia verso la prima porta che vede.
Escono all’aperto, senza i soprabiti, l’aria pungente di dicembre si addensa in nuvolette di fumo ad ogni respiro.
Elijah ha ancora in mente quegli occhi che lo scrutano, che probabilmente lo stanno scrutando anche in quel momento, magari nascosti dietro un tendaggio. Incurante degli sguardi che nonostante tutto si è attirato dietro, incurante del fatto che siano fuori a fine dicembre con indosso soltanto camicia e giacca, incurante dello sguardo allarmato di Tristan fa l’unica cosa a cui riesce a pensare.
Una mano afferra la nuca, forte e prepotente, l’altra se lo attira addosso, dando vita ad uno scontro di labbra, denti e lingue. Un bacio di passione, di possesso. Un bacio che dice: tu sei mio. Non dimenticarlo.
L’altro, il bruno dagli occhi a mandorla, osserva la scena, non visto, da una posizione privilegiata, può sentire il respiro ansante, i cuori dal ritmo accelerato che battono all’unisono, può percepire il calore che emanano i loro corpi.
Certo ricorda perfettamente quanto il corpo del conte De Martel sia eccitante e quasi invidia Elijah Mikaelson, che stringe quel corpo come se fosse suo. E probabilmente lo è. No, sicuramente lo è.  Lo era sempre stato, anche quando era lui a farlo ansimare a quel modo.
Così, anche solo per dispetto, decide che è il momento di uscire dal nascondiglio.
“Guarda chi ci degna della sua presenza! Il nostro Sire e il nostro Lord, ma che piacere vedervi, benvenuti nella mia umile dimora.” Si presenta il famoso Shen Min.
Elijah tende la mano e la stringe con vigore. Tristan saluta il suo vecchio amico con una stretta di mano e una pacca sulla spalla, un bel sorriso ad illuminargli il volto e gli occhi accesi.
L’originale si costringe a sorridere e ad essere il più cortese possibile, per quanto voglia strappare il cuore dal petto di Shen Min una volta e per tutte. Ma quella non è proprio l’occasione giusta, senza contare il fatto che il suo compagno si infurierebbe. Non che non si diverta a vederlo in collera, con gli occhi che mandano lampi e quell’aria tra il monello dispettoso e l’arrogante signorino. Ma quello sarebbe troppo.
I suoi propositi di vendetta vengono interrotti da Tristan che lo scuote piano, intento com’è ad attirare la sua attenzione, o per lo meno a farlo ritornare fra loro, visto che evidentemente non ha prestato attenzione alla conversazione che gli altri due trovavano palesemente divertente.
“Elijah ed io siamo in città solo per qualche giorno, no, non ci possiamo trattenere oltre.” Tristan sta declinando un invito e lo guarda in modo eloquente affinché confermi la sua affermazione. “Certo - annuisce Elijah - ripartiremo domani stesso”  il tono piatto e l’espressione distante, perso nel pensiero di smembrare Shen Min pezzo dopo pezzo.
Il vampiro dagli occhi a mandorla si congeda, lasciando che i suoi ospiti si godano la festa, del resto quella conversazione finirà presto male se non si allontanerà in fretta: non è un codardo, ma non è nè il momento, nè il luogo adatto per una rissa da bar di periferia.
Il conte cambia espressione e la cosa non passa inosservata all’originale che comincia a sentirsi a disagio.
“Adesso noi ce ne andiamo. Non ho intenzione di rimanere qui nemmeno un secondo di più”
“Lo sapevo. Sei geloso, oltre che maleducato!”
“Prego?”
“Prego?! Ma ti sei visto? Credevo gli avresti strappato il cuore... mi spieghi che t’ha fatto?”
“Quello che ha fatto a te, piuttosto!”
Tristan rimane spiazzato, poi d’un tratto, come se qualcosa lo colpisse allo stomaco, sgrana gli occhi in un’espressione buffa e risentita allo stesso tempo:
“Tu! Ipocrita, arrogante! Come osi! Ti vorrei rammentare che tu all’epoca ti sbattevi la madre di tua nipote che era sposata con un altro! Non azzardarti a giudicare me.”
Di nuovo la collera accende quelle iridi, il colore indefinito e magico della tempesta ha il potere di eccitarlo, di farlo sentire vivo, è come una droga. Non trova nulla da ribattere, non perché non sappia che dire, ma piuttosto perché godersi quello spettacolo è tutto quello che desidera, a parte baciarlo fino a sfinirlo. Non aspetterà la mezzanotte in quel castello, se lo porterà via ora, volente o nolente.
“Fantastico. Stiamo parlando di me, ora? Ascoltami bene, io non rimango qui un minuto di più, tu vieni con me o rimani qui col tuo amichetto? - gli occhi neri, che bruciano di passione, collera e gelosia allo stesso tempo, sono lucidi all’inverosimile - ma pensa bene alla tua risposta”
“Sei ingiusto, EliJah - l’enfasi sulla J a dimostrazione del fatto che vuole ottenere qualcosa - io non ho intenzione di rimanere qui da solo, però possiamo almeno aspettare la mezzanotte? Poi ce ne andiamo a festeggiare dove vuoi tu”
Una vittoria mascherata da resa, ogni volta la stessa storia. Elijah acconsente. “Me la pagherai.” Lo soffia sulle labbra del conte, mordendo piano il labbro inferiore di Tristan, una mano che gli cinge la vita, l’altra dietro la nuca. Non aspetterà la mezzanotte per baciarlo e l’altro, di lì a breve, lo implorerà di andare via dal castello.
Rientrano nella sala principale giusto in tempo per brindare al nuovo anno con un flûte di Champagne per poi congedarsi dalla festa.
Riprendono i soprabiti e s’incamminano verso il loro hotel, le dita intrecciate e nel cuore la magia di un nuovo anno tutto da vivere insieme, fianco a fianco.
 
   
 
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