Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |      
Autore: Plateja13    12/01/2018    2 recensioni
Dopo i fatti di Sherrinford Sherlock e John cercano di ricostruire le loro vite. Ma i muri che hanno innalzato sono difficili da superare. E dopo un nuovo incontro fatto di silenzi e di verità non dette, Sherlock scompare.
Un vero giallo, una vera indagine che servirà a risolvere tanti misteri , dentro e fuori le vite dei nostri protagonisti
Genere: Angst, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: I personaggi e tutto il meraviglioso mondo di Baker Street appartengono ai preziosi Moffat e  Gatiss e a  Sir. Conan Doyle

 

Il Mind Palace è un Castello dalle stanze infinite e dai corridoi tortuosi: scale che scendono all’inferno e finestre che si spalancano sul settimo paradiso.

Angoli in cui rintanarsi quando il mondo è una follia, a custodire i desideri, conservare ogni attimo, ogni deduzione.

Indagini, indizi, segreti  oscuri.

Il Mind Palace di Sherlock era grande e contorto, come il suo cuore.

Porte opache da cui trapelavano luci fredde, altre color pastello dal profumo di miele.

Certe chiuse da pesanti chiavistelli, altre sfondate.

E c’era quella massiccia, di quercia intagliata, odorosa di resina e appena lucidata che  finalmente si era aperta.

Per tanti anni della sua vita gli era passato d’avanti, senza fermarsi, senza riconoscerla. Ora, dopo il dolore abominevole di Sherrinford, come in un parto, si era spalancata. E aveva dato accesso ad una stanza piena di luce, con dei bimbi che giocavano sulla riva del mare.

Un’ oasi di fresca pace, dove ogni tanto andava a riposare, accanto a se stesso bambino, a vederlo giocare con Victor, ormai lì, per sempre, al suo fianco.

Stanze che conservavano reperti di indagini lontane, altre di momenti rubati al flusso della vita e lì depositati per testimonianza dei giorni andati e perduti per sempre.

Ogni volta che il desiderio o il bisogno lo portava in quel luogo, Sherlock si aggirava tra le stanze, qui riconoscendo e là ricordando.

C’era però un angolo nascosto dal buio, in quel palazzo mentale. Celato alla luce e occultato dietro colonne di speculazioni scientifiche. Una porta che si confondeva con i pannelli di legno che adornavano il corridoio, e solo un occhio attento avrebbe percepito i segni della sua esistenza.

Sherlock vi passava di corsa, percependone il richiamo ma ignorandolo con coraggio determinato.

Rabbrividiva al suo pensiero e lo dimenticava ogni volta che passava oltre.

Eppure un giorno avrebbe dovuto fare i conti con il mistero celato dietro la porta nascosta.

 

Baker Street era immersa nella penombra, a malapena illuminata dalla luce del camino.

Sherlock, nella sua poltrona preferita, scrutava le fiamme e in esse rivedeva – illogico, certo, ma così ingannevolmente vero – il volto di Eurus.

Era passato un mese, ormai.

Il suo ultimo viaggio a Sherrinford.

Era arrivato spazzandosi via le gocce di pioggia dal cappotto  e Eurus l’aspettava, con lo Stradivari  tra le mani e uno sguardo nuovo negli occhi.

Appena lo aveva visto entrare nella cella si era messa a suonare, senza nemmeno aspettare che lui prendesse il suo violino.

Era una musica nuova, una celebrazione, un inno.

Dopo i primi movimenti aveva percepito uno strano gelo nella schiena.

Perché quella musica aveva un sottofondo dolce e straziante.

Perché quella musica era un grazie ed un addio.

Sherlock aveva cercato gli occhi di sua sorella e vi aveva visto una gioia sovrannaturale.

E così si era accasciata al suolo, lasciando la vita dietro di sé.

L’autopsia non aveva saputo individuare nulla di strano, nel suo corpo. Solo d’un tratto il suo cuore aveva smesso di battere, i polmoni di assorbire aria, il sangue di correre nelle vene.

Per una mente come la sua,  fermare le proprie funzioni vitali doveva essere stato un gioco.

Era stata una sua scelta, il volersi liberare di un fardello ormai troppo gravoso come la vita.

E forse anche per questo la famiglia aveva retto bene all’ennesimo colpo.

Eurus poteva essere ormai libera, da se stessa prima di tutto.

Eppure ogni tanto, guardando le fiamme del camino, Sherlock  come uno sciocco romantico la rivedeva, e se la sentiva vicina.

Dalla strada percepì il rumore di una frenata. La tipica frenata di un taxi.

Ora tarda, fretta di ripartire, probabilmente ultima corsa della giornata…

Passi nel silenzio della strada deserta.

Il portoncino, giù dalle scale che si apriva e chiudeva.

La signora Hudson  era da sua sorella, nel Galles.

Solo un’altra  persona aveva la chiave.

Sherlock spostò gli occhi dalle fiamme alla porta della stanza.

Cercava di mantenerli freddi e impassibili, ma dentro di sé un’onda emozionale cercava disperatamente di farsi strada, dallo stomaco al cuore allo sguardo.

Passi sulle scale, dapprima veloci, poi sempre più lenti. Imbarazzati.

Sherlock incrociò le dita sotto il mento e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, sporgendosi un po’ in avanti.

 

Ci aveva pensato a lungo:  quando era uscito dall’ambulatorio la cosa gli era sembrata logica e addirittura simpatica, ma una volta arrivato di fronte al 221 B  tutto aveva  cambiato aspetto, e già sulle scale gli era venuto un irrefrenabile desiderio di scappare via.

Ma era stato un istante: si stava comportando come un ragazzino. No meglio, come una ragazzina alla sua prima, non corrisposta cotta.

L’ironia  della cosa lo rilassò un poco, e affrontò gli ultimi gradini più rilassato.

“Se solo mi avesse chiesto di tornare…” Il pensiero risentito gli attraversò velocemente il cuore, e prima che la mente potesse afferrare era  già scappato via, lasciando solo un profumo di amaro.

Stava per calcare l’ultimo scalino della rampa quando la voce potente del   suo ex coinquilino lo raggiunse.

“Allora John, a cosa devo il piacere della tua visita?” Il tono era a metà tra lo svagato e il curioso.

Nel sentirla uno strano  calore cominciò a salirgli dallo stomaco al petto, e sorrise.

“Solo una visita, Sherlock. Mica ci deve essere sempre un motivo, no? “ rispose. Una pausa, poi sussurrò: “Non ci vediamo dal funerale. Volevo vedere come stai…”

Durante la cerimonia era restato in un angolo, scrutando i sentimenti celati dietro i volti impassibili degli uomini della famiglia Holmes. Solo la madre aveva gli occhi colmi di lacrime, ma lui l’aveva sentita sussurrare che forse era meglio così, in qualche modo la sua sventurata figlia  aveva trovato la pace.

Sherlock aveva seguito sul volto di John il susseguirsi dei pensieri e delle emozioni.

“Aveva ragione mia madre, John. In un modo o nell’altro adesso Eurus è in pace, la sua mente non la farà soffrire mai più.”

Watson fece due passi annuendo, e si avvicinò alla sua vecchia poltrona, che era tornata al suo posto di fronte a quella di Sherlock.

Ma non si sedette.

Restarono per un po’ in silenzio a guardarsi, imbarazzati.

“Su cosa stai lavorando, in questo periodo?” chiese d’un tatto John.

Sherlock agitò una mano nell’aria, facendo un gesto vago.

“Oh  niente di veramente importante. Lestrade mi ha convinto ad occuparmi di un sei: la scomparsa della commessa di un Charity Shop.  L’ho accettato perché… “ un sospiro. “Perché per lui era un dieci, e non me la sono sentita di lasciarlo in difficoltà .”

John annuì. Dopo i fatti della fortezza di Sherrinford, Sherlock aveva imparato a rispettare di più l’amico Lestrade, e di questo glie ne doveva dare atto.

“Già. Non si lascia solo un amico.” Disse amaramente, prima di pentirsene.

Sherlock annuì, poi tornò a guardare le fiamme del camino.

“E come sta Rosie?” chiese

John chiuse la mano in un pugno stretto. Se gli avesse chiesto di tornare a vivere con lui in Baker Street  lo avrebbe saputo, anzi sarebbe stato parte della vita di Rosie.

Se.

“La casa famiglia di Miss Gwen Tharkey  è veramente un luogo delizioso, per lei. Non smetterò mai di ringraziare Mycroft per avermi aiutato a farla entrare.  Rosie sta con loro durante il giorno e anche le notti se sono impegnato con i turni, e sta con me quando sono libero. E’ stata la soluzione migliore: lei vive tutto con tranquillità, sta con me e nello stesso tempo vive una situazione familiare normale,  ed io posso lavorare senza avere la testa da un’altra parte.”

Era una bugia.

Con la bambina al sicuro in una casa amorevole di buone e fidate persone la sua mente era fissa da un’altra parte, in un’altra casa. Dove lui avrebbe voluto tornare ma dove nessuno lo aveva richiamato.

Sherlock annui.

“I Tharkey  sono amici della mia famiglia da generazioni e sono sempre stati fidati e amorevoli. Anche io e Mycroft siamo stati ospiti della casa… “ una pausa. “Subito dopo l’incendio di Musgrave.” Aggiunse.

Il silenzio cadde di nuove, interrotto a tratti dal crepitio del fuoco del camino.

John, sempre in piedi dietro la sua vecchia poltrona cominciava a sentirsi un cretino

“Senti Sherlock” sbottò, raccogliendo tutto il suo coraggio. “Devo fare un corso di aggiornamento sui veleni, tutto spesato da una casa Farmaceutica che rifornisce l’Ambulatorio. Due settimane in Francia, ad Aix-en Provence. Se vuoi puoi seguire il corso con me e poi la sera ci possiamo rilassare. Partenza tra quindici giorni…” si fermò, temendo di aver parlato troppo.

Sherlock sentì il cuore balzargli nel petto.

Per un attimo la sua mente era corsa in Provenza, e gli pareva di sentire il profumo dei suoi fiori.

Essere lì con John, studiare insieme a lui, e poi la sera…

La sua mente razionale scacciò ogni pensiero strano ed ogni desiderio, ed il profumo dei fiori svanì dalla sua mente.

Doveva mascherarsi, doveva nascondere dietro un muro ogni sentimento.

“Ah no, grazie John. E’ gentile da parte tua, ma come ti ho detto ho un caso che mi ha affidato Greg, ed è abbastanza impegnativo sai … “ lasciò la frase in sospeso, a morire nel silenzio.

Watson annuì.

“Sherlock  ha imparato l’arte della diplomazia, almeno “ fu il suo sconsolato pensiero.

Era un semplice caso da 6 : nei quindici giorni che mancavano alla partenza avrebbe potuto risolverlo mille volte,  o al limite avrebbe potuto far aspettare  Lestrade ancora un po’ .

O avrebbero potuto esaminarlo insieme, al loro ritorno…

Gli mancò il fiato, poi squadrò le spalle e sorrise forzatamente.

“Ah sì giusto. Scusa non ci pensavo.”

“E come fai con la bambina? La lasci da Miss Tharkey ?” chiese Sherlock.

John si riscosse dai suoi pensieri.

“Eh? No, no. Visto che ho sempre un posto libero, dato che tu non puoi” e sottolineò  l’ultima frase. ”Chiederò a Emily se le va di venire con me e di badare a Rosie…”

Concluse, vago.

“Emily?” chiese immediatamente Sherlock, la voce  di un tono più alto del solito.

“Sì dai Emily, devo avertene parlato. E’ una delle infermiere dell’ambulatorio . E’ un’amica, ci vediamo qualche volta anche fuori dall’Ambulatorio …” disse fingendo noncuranza.

Cercando una reazione nell’altro.

Nulla.

“Ah va bene allora. Se può prendersi cura di te e della bambina direi che è perfetto.” Esclamò in modo forzatamente gioioso Sherlock , alzandosi in piedi e cercando disperatamente con lo sguardo il suo violino.

Chissà dove  lo aveva messo la signora Hudson, dopo l’ultima tornata, forzata, di pulizie.

Emily in realtà era la decana delle infermiere, quasi in pensione e più volte nonna e lui la vedeva solo quando qualche volta portava Rosie a giocare con i suoi nipotini.

Il viaggio in Provenza sarebbe stato per lei un bel regalo.

John provò vergogna di sé stesso: cosa aveva sperato, con quella piccola menzogna? Che Sherlock si dimostrasse un po’ geloso?

Quella parola lo fece avvampare, perché portava con sé il succo dolce della speranza.

Che per lui era fiele, in quel momento.

Sherlock nel frattempo aveva trovato il violino e si era piazzato vicino al leggio, dandogli le spalle.

“Buon viaggio allora, e divertitevi” disse, appoggiando l’archetto sulle corde e cominciando a creare alcune note.

John annuì.

Si umettò le labbra secche e disse, cercando di dare un tono leggero alla voce: “Grazie. Buona indagine allora. Ci vediamo quando torno.”

Non aspettò la risposta e corse via, seguito dallo straziato suono del violino.

 

Mycroft Holmes era immerso da ore nello studio di un rapporto segretissimo scritto in coreano. Era tornato da un lungo viaggio diplomatico in Cina e se ne preparava un altro in Thailandia da lì a qualche giorno. La politica orientale lo aveva assorbito del tutto e certe volte si ritrovava a pensare ora in uno ora in un altro idioma.

Rischi del mestiere, si era detto.

Un colpo di tosse, discreto, lo fece sobbalzare  e alzando di scatto la testa si trovò di fronte un imbarazzato, e stanco Lestrade.

Sgranò gli occhi ,e per fortuna era stato abituato a mantenere il sangue freddo in tutte le occasioni più gravi, altrimenti sarebbe arrossito come un’educanda.

“Lestrade! Chi l’ha fatta entrare?” chiese di getto, odiandosi immediatamente dopo.

L’altro accusò il colpo e si passò una mano sui capelli d’argento.

“Mi scusi  per il disturbo Signor Holmes,  ma ho spiegato ad Anthea che non era una  cosa importante. Spero di no, almeno. Mi ha fatto entrare lo stesso, ma  se è un momento sbagliato torno fuori e l’aspetto…

Greg non riusciva a capire perché si sentiva così imbarazzato. In fin dei conti era un ufficiale di Scotland Yard, nel pieno svolgimento delle sue funzioni. Presunto, almeno.

Perché sentiva le gambe molli e la bocca secca?

Mycroft si era alzato di scatto, un sorriso gentile sulle labbra sottili.

“Ma no, scusi lei Lestrade, sono stato sgradevole e veramente me ne scuso. Mi dica pure, in cosa posso esserle utile?” Non era da lui ostentare tanta gentilezza , ma gli veniva spontanea e non aveva nessuna intenzione di nasconderla.

Indicò a Lestrade il salottino adiacente al suo ufficio.

“Si accomodi pure. Farò portare del te e qualche tramezzino. Io ho bisogno di una pausa e lei anche. E potrà dirmi la natura del problema.”

A Greg sembrò che la stanza tutt’attorno fosse diventata un giardino incantato e avrebbe giurato che ci fosse anche il canto degli uccellini.

Contenne il sorriso e seguì Mycroft.

Dopo essersi accomodati nelle due eleganti poltrone Mycroft guardò il detective cercando di non soffermarsi troppo sui suoi occhi grandi e dolci e disse in tono professionale: “ Allora, mi dica come posso aiutarla.”

“Ecco… ha notizie di Sherlock? Mi aveva dato appuntamento per un caso, ma poi non l’ho più visto né sentito. Non dico che di essere  preoccupato perché trattandosi di lui sarebbe fatica sprecata ma… Sono passati troppi giorni, ecco, diciamo che sono leggermente inquieto.”

Mycroft aggrottò le sopracciglia, perplesso.

“Mio fratello? Strano, non sapevo stesse seguendo un caso.  A quanto mi ha detto al telefono è andato ad  Aix-en Provence a trovare il Dottor  Watson che è lì per un corso di aggiornamento.”

Il suo tono voleva sembrare tranquillo, ma già la mente aveva iniziato a lavorare alacremente su tutti gli indizi che potevano essergli sfuggiti l’ultima volta che aveva sentito Sherlock.

Greg  era impallidito.

“Oh no, proprio no. Ho telefonato  a John ieri: e lui sì è in Francia, ma  con una vecchia infermiera dell’ambulatorio e con Rosie. Mi ha anche detto Sherlock non aveva voluto andarci e che si stava perdendo una bella vacanza gratis. Ho preferito non dirgli niente per non farlo preoccupare.” la sua voce si era fatta sottile.

Mycroft si mise la mano sugli occhi.

“E il mio dannato fratello  è riuscito ad evitare la mia sorveglianza con la storia del viaggio in Francia. Perché riesce sempre ad imbrogliarmi? ”  aggiunse con durezza.

“Ma è da un po’ che è pulito, no? Non ho più sentito nulla sul suo conto.” Chiese imbarazzato Greg.

Mycroft si alzò nervosamente dalla poltrona, e raggiunse l’interfono.

“Non si può mai sapere.” Sussurrò, lugubre, prima di chiamare Anthea.

 

 

Il volo di ritorno dalla Francia era stato perfetto, a coronamento di due settimane rilassanti e interessanti dal punto di vista lavorativo. Emily si era presa cura di Rosie, portandola a passeggio per l’incantevole Aix-en Provence, mentre lui aveva seguito le lezioni con attenzione e anche con piacere.

Si era imposto di non pensare nemmeno per un istante a Sherlock, e a quanto sarebbe stato bello averlo lì, con  lui e la bambina.

Dopo aver accompagnato Emily a casa, John aveva portato Rosie da Miss Tharkey : la bambina non vedeva l’ora di raccontare alla sua tata tutte le cose meravigliose che aveva visto durante il viaggio.

Uscendo dall’edificio vittoriano, con ancora sulle guance il profumo della sua piccola, John alzò gli occhi in cerca di un taxi, ma vedendo l’austera auto nera priva di ogni contrassegno e dai vetri oscurati sentì il fiato fermarsi.

Avvicinandosi cominciò a ripetersi come una litania “Non è successo niente, non può essere successo niente. Non deve essere successo niente.”

Mycroft poteva essere solo lì di passaggio, in fin dei conti i Tharkey  erano amici di famiglia.

Nei pochi passi che ancora lo separavano dall’auto fece appello a tutto il coraggio, a tutta la speranza che ancora aveva nel cuore.

La portiera si aprì senza rumore, e il viso gelido e  pallido di Mycroft infranse  tutte le sue speranze.

“Holmes. Santo cielo, cosa ha combinato adesso?” e non c’era bisogno di dire a chi si riferisse.

Il politico serrò le labbra, facendogli un cenno per invitarlo a salire.

Il sedile dell’elegante auto era comodo e profumava di cuoio e di cera, e John vi si accasciò, pronto al peggio..

“E’ scomparso. Mi ha fatto credere di essere  venuto da  lei in  Francia ed io mi sono fidato. E  adesso nessuno sa dove sia.” Il suo tono era di pietra.

John si coprì gli occhi con le mani.

“Potrebbe essere andato in quella casa di drogati.. Quella dove abbiamo incontrato Wiggins..” azzardò Watson.

Mycroft serrò le mani sul manico dell’ombrello, così forte da far diventare le nocche bianche.

“Quella casa non c’è più. E’ stata abbattuta mesi orsono per motivi di sicurezza “ disse a mezza voce.

John  rimase in silenzio, preferendo non conoscere la verità, anche  se era certo che in qualche modo nella decisione c’era  sicuramente lo zampino del potente uomo che gli stava di fronte.

Un uomo potente e intransigente su tutto quello che poteva essere pericoloso per il suo fratellino.

“Lestrade dice che stava seguendo un caso minore… Lui lo aveva classificato come un sei, anche se in realtà era poco più di un tre. Almeno per me. Lestrade mi ha confessato che cerca di tenerlo impegnato per paura che torni alle antiche abitudini… “

“Che caso era?” chiese incuriosito John. Ricordava che Sherlock gli aveva accennato  a un caso l’ultima volta che l’aveva visto.

Mycroft strinse con la punta delle dita la base del naso, chiudendo gli occhi.

“Eliza Rosselé,  commessa di piccolo negozio  a Peckham… Non esattamente una zona tranquilla, come lei ben saprà…

John annuì.

“E…” lo incalzò.

Mycroft gli scoccò un’occhiata sdegnata poi proseguì. “E’ stata trovata  morta sotto l’Old Lea Bridge… nei pressi del London Stadium…”

“Abbastanza lontano da casa, quindi.” Borbottò John.

“Già. Era sparita da qualche giorno, senza avvertire nessuno, amici o familiari che sia. Non aveva grossi problemi, economici o altro,  e non aveva legami sentimentali . La sua famiglia di origine vive in Scozia ma  anche lì, niente di strano.“

Un’altra pausa, come se l’argomento fosse esaurito.

L’essere insopportabili in alcune ben precise circostanze era una caratteristica degli Holmes.

Alla quale Watson non si era mai abituato.

“E allora, Mycroft?  Cosa ha di strano una donna morta  sotto un ponte? Ci possono essere decine di motivi plausibili….Vuole spiegarmi tutta la faccenda o andiamo avanti a pause ad effetto fino a domani?” esclamò l’uomo esasperato.

Mycroft scosse la testa.

“E sì che dopo tanti anni di collaborazione con Sherlock qualcosa dovrebbe averla imparata, dottore! “ sbottò Mycroft.

“Comunque, quello che lo rendeva un sei per il mio sciagurato fratello è che il cadavere era… masticato. E non una cosa normale, ma come se un grosso predatore ne avesse mangiato dei pezzi, ecco. C’è voluto un po’per riuscire individuarne l’identità. “

John annuì, pensoso.

“Se ricordo bene una decina di anni fa circolavano voci sulla presenza di  un pericoloso pesce del Sudamerica, mi sembra si chiamasse Pajara…, proprio in quel punto. ” Disse a mezza voce.

Mycroft scosse la testa.

“Dottore, suvvia. Non creda sempre a quello che scrivono i giornali… Certe volte le notizie sono come dire.. pilotate, per non spaventare troppo l’opinione pubblica…”

John lo guardò malissimo: se per non spaventare l’opinione pubblica avevano tirato fuori la presenza di un pajara non voleva sapere quale fosse la realtà.

Forse in un’altra circostanza avrebbe insistito per saperne di più, ma quello non era il momento di fare domande scomode.

“Ok, Holmes. Mi dica subito come finisce la faccenda, così riesco a raccapezzarmi anche io.

Intanto l’elegante macchina aveva raggiunto Baker  Street.

“Continuiamo la discussione su da Sherlock, dottore.” disse Holmes scendendo con eleganza dall’auto e avviandosi a passo spedito verso il 221B.

 

La stanza sembrava disabitata da giorni: lo stesso disordine abituale di Sherlock aveva un che di… abbandonato. Non gli veniva nessun altro termine.

Mycroft sposto le tende per fare entrare un po’ di luce.

“I miei uomini hanno perquisito l’alloggio: non c’era niente di strano, e niente droga di nessun tipo. Solo una sacca da viaggio con qualche indumento , come se stesse progettando un breve viaggio. Il telefono in carica, quindi quando si è allontanato o è stato portato via non lo aveva con sé. Niente portafogli o documenti…”

John sentì il cuore stringersi in una morsa. L’assenza di Sherlock gli procurava un dolore fisico, la sua mancanza un’anomalia insanabile nel corso dell’esistenza.

Un capogiro beffardo e improvviso lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere.

Per fortuna Mycroft non se n’era accorto, o forse aveva fatto finta di non accorgersene…

Con cautela raggiunse la sua vecchia poltrona e vi si sedette pesantemente sopra.

“Com’era allora la storia della tizia trovata morto nell’Old Lea?”

Mycroft si avvicinò alla poltrona di Sherlock: dopo averne accarezzato con la punta delle dita la spalliera si sedette a sua volta, con un sospiro.

“Gli assassini avevano cercato di sviare le indagini, approfittando anche delle leggende che girano attorno a quel particolare tratto del fiume. In realtà la Rosselé è stata vittima di un errore medico. Si era ricoverata in una clinica … a buon prezzo, che poi è risultata essere completamente priva di ogni autorizzazione  sanitaria. Voleva fare un intervento di  mastoplastica additiva. Un seno più grosso, in pratica.”

Watson scosse il capo.

“Al giorno d’oggi è un’operazione abbastanza comune, ma ha comunque i suoi rischi...”.

Mycroft annuì.

“Già. Si immagini se fatta da personale poco preparato e in condizioni igieniche deprecabili. Purtroppo aveva dei prezzi concorrenziali e tanta gente si ferma a quello. Comunque, l’operazione è andata  male e quelli della clinica hanno maldestramente cercato di far sparire il cadavere gettandolo  nell’Old Lea, dopo aver strappato dei pezzi di carne al cadavere tra cui le -  diciamo così  -parti incriminate.”

John spalancò la bocca : “ E come diavolo hanno fatto?”

“Hanno usato il cranio, anzi la mandibola con i denti affilatissimi di un pesce payara. Si trovano in Internet anche a buon prezzo “

“Ma bisogna avere delle menti malate per fare una cosa del genere! “ sbottò  John.

“Oh sì. Ma non hanno tenuto conto di una serie di fattori,  la cocciutaggine di mio fratello per prima. Dalle analisi del sangue del cadavere è risultata la presenza di anestetici, non si è trovata traccia di saliva di pesce payara  nelle ferite – anche se il corpo era in acqua qualche traccia doveva esserci. E soprattutto…” Si interruppe, guardando John intensamente.

“E soprattutto? “ chiese l’altro

“Oh so che  è una persona fidata. Questo è abbastanza un segreto ma so che non lo andrà a raccontare in giro. Insomma, gli assassini non sapevano – come invece sapeva Sherlock  - che in realtà in quel tratto dell’Old Lea non ci sono pesci payara:  c’è una tartaruga alligatore

Una specie pericolosissima e infida. Deve essere scappata dall’acquario di un qualche collezionista criminale, anni fa, e si è sistemata lì. In genere si nutre di ratti o anatre, per questo non le diamo la caccia in maniera esaustiva.”

“Ma siete impazziti? Quella bestia è un killer in carapace!”

“Non esageri adesso, dottor Watson.  Non ha mai ucciso nessuno e in quella zona nessuno si sognerebbe di fare il bagno, anche dato il tasso di inquinamento.  Il suo reale pericolo non vale il costo di una caccia in grande stile… E ci siamo inventati la faccenda del pesce payara perché è abbastanza assurda da risultare fantasiosa, ma al contempo parecchio spaventosa da tenere la gente lontana da quel punto.”

Watson rimase senza parole.

Scosse più volte la testa, aprì un paio di volte la bocca per poi richiuderla senza emettere suono.

Si annotò mentalmente l’avviso di non andare mai più nella zona dell’Old Lea Bridge, poi tornò a guardare Mycroft, che aveva distolto lo sguardo da lui e stava fissando intensamente il camino spento.

“E come c’entra la scomparsa di Sherlock in tutta questa storia?” chiese dopo un po’.

Prima che Mycroft potesse rispondergli, un discreto colpo di tosse li fece sobbalzare.

Sulla soglia della stanza, gli occhi stanchi e l’impermeabile stropicciato, era comparso Lestrade.

“Te lo dico io, John.” Disse l’Ispettore, avviandosi verso la sedia ‘dei clienti’ posta tra le poltrone occupate dagli altri due.

Negli occhi di Mycroft passò, lieve e breve, un lampo di pura gioia.

Mascherato immediatamente dalla solita cortina di gelida indifferenza, suo tratto distintivo.

“Il caso era risolto, i miei uomini avevano individuato la clinica clandestina e tutte le prove del caso, anche se i macellai che vi lavoravano erano già scappati. Comunque, il mistero del cadavere dell’Old Lea Brige era stato svelato.

Ma poi Sherlock mi ha mandato un messaggio dicendomi che  aveva scoperto qualcosa di nuovo  e mi ha dato appuntamento per quella sera stessa con delle novità.  Ma non è  mai venuto.”

“Come sarebbe a dire? Cosa c’era di nuovo?” urlò Watson.

Lestrade annuì.

“Ecco, esattamente la mia reazione. Ma non ha voluto dirmi niente di più. Ho provato a richiamarlo più volte, invano. Poi mi sono rassegnato, tanto l’avrei visto di lì a poco. E invece niente di niente. Dapprima non mi sono allarmato troppo, non è la prima volta che mi dà buca ad un appuntamento. Ma poi giorni di silenzio totale sono diventati troppi  anche per uno come Sherlock. Tu eri fuori, ci eravamo sentiti per telefono quindi sapevo che non era con te. Il signor Holmes” e indicò Mycroft con la testa  “era fuori Londra e ho dovuto aspettare il suo ritorno. E ancora adesso non ho idea di dove sia finito.”

Mentre Lestrade parlava, Mycroft aveva appoggiato la faccia sui palmi della mano, quasi a volerne sorreggere il peso.

Lestrade nel vederlo sentì il cuore stringersi in una morsa.

L’affetto che univa i due fratelli era grande, nonostante lo sforzo di entrambi per nasconderlo e negarlo.

E vedere quell’uomo potente, smarrito e disperato gli straziava il fondo dell’anima.

John si alzò di colpo e senza dire niente si diresse verso la cucina: una buona tazza di te avrebbe aiutato tutti a pensare meglio.

 

Lestrade aveva acceso il fuoco, perché l’aria del pomeriggio cominciava a farsi frizzante, mentre Mycroft se ne stava con gli occhi fissi sul cellulare, fingendo di leggere le mail che scorrevano sullo schermo.

L’imbarazzo tra i due era grande.

C’erano cose non dette, pensieri non espressi.

Ma l’aria, quando loro erano nella stessa stanza, diventava al tempo pesante eppure odorosa di primavera.

Greg aveva un nodo nello stomaco e il cuore che gli batteva a mille, e anche Mycroft.

Se ne stavano così, di spalle, l’uno a guardare il fuoco l’altro il telefono.

Sconfitti.

Così li vide John arrivando dalla cucina, con il vassoio tra le mani.

Li vide e chissà perché proprio in quel momento capì qualcosa di fondamentale.

“Il silenzio uccide.” Disse con voce roca, parlando a se stesso più che agli altri due.” E si nutre della paura del rifiuto.”

Greg e Mycroft si voltarono a guardarlo, sbalorditi.

“Dottor Watson, e questa sua perla di saggezza come si colloca nell’ambito del nostro problema?” chiese incuriosito Mycroft.

John gli porse la tazza di te.

“Quando ami qualcuno diglielo. Male che vada lo perderai. Così come lo  hai già perso se taci.”

Lestrade gli si avvicinò per prendere la sua tazza.

“John com’è che ti sei messo a filosofeggiare, adesso? C’era qualche polvere magica lasciata da Sherlock in cucina?”

John fece un sorriso enigmatico.

“No, mi è bastato vedervi, alla luce del camino, mentre vi sforzavate di ignorarvi.”

Gli altri due restarono di sasso.

Avrebbero potuto dare  dell’imbecille a John e mandarlo al diavolo... Ma questo cosa avrebbe significato per l’altro?

Un diniego sprezzante avrebbe distrutto ogni possibilità futura di esplorare un legame tra loro.

Ed era un ponticello sottile sottile, come un filo di fumo, tenuto su solo dalla speranza.

Mycroft bevve un sorso di te, annuendo.

Lestrade tornò a sedersi senza dir nulla.

A Watson era passata la vena poetica, quindi  disse col suo tono più deciso.

“Allora, analizziamo i fatti e vediamo di capire cosa diavolo è successo a Sherlock. Tanto per incominciare, come è uscita la storia della mastoplastica?”

Lestrade alzò gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto fissi sulla tazza.

“Be, quando abbiamo trovato la clinica abusiva c’erano dei documenti sull’operazione. Nella furia di scappare quei macellai si sono lasciati dietro tutte le loro carte.”

“E prima che lei lo chieda, sì, dottore. La clinica era dissimulata tra una delle tante costruzioni abbandonate che ci sono lungo le sponde del fiume. Quella l’ha trovata Sherlock.”

“Non potrebbe essere stato rapito da quella gentaglia?” chiese allora John, aspettando terrorizzato una risposta.

Mycroft scosse il capo.

“No, è altamente improbabile. Per cosa poi? Per vendetta? Erano riusciti a scappare e a far perdere le loro tracce, sarebbe stato da idioti sfidare la sorte in un modo così plateale. E poi restando nell’ombra potranno senz’altro riaprire la loro attività da qualche altra parte. Non guardatemi in quel modo, non ho detto che sono felice se lo faranno. E’ che è logico.”

John annuì,  un po’ rinfrancato. Poi si voltò di nuovo verso Mycroft. “ Perché le ha detto che veniva in Francia da me? Che bisogno aveva di dirglielo? Tanto sa sempre benissimo come eludere la sua sorveglianza” .

Mycroft restò senza parole.

In effetti Sherlock sembrava sincero quando lo aveva chiamato per dirgli del viaggio.

“Oh santo cielo. Forse perché era vero.” Disse di getto Greg.

Gli altri si voltarono verso di lui.

“E’ logico. Aveva pronta la sacca da viaggio e stava ricaricando il telefono. Abbiamo scoperto che aveva anche fatto il biglietto aereo, solo che non lo ha mai ritirato al terminal.”

Mycroft si alzò.

“Interessante. Aveva risolto il caso, era tranquillo e aveva deciso di raggiungerla in vacanza, dottore…”

“E quindi deve essere successo qualcosa subito dopo la telefonata a Lestrade. Magari non legata all’indagine.” Concluse per lui John.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Plateja13