E dopo tanti anni sono tornata.
Non so se ci sarà qualcuno qui che ancora mi conosce, in realtà
ne dubito, ed è molto probabile che queste parole finiranno nel web senza
essere lette, ma correrò il rischio, come feci la prima volta che pubblicai qui
su EFP senza conoscere nessuno né essere conosciuta. È un po’ come ricominciare
e questo mi piace.
Per anni ho pensato di non essere più in grado di scrivere
ancora di Another world, di Elle e di Emma, e di aver
detto tutto quello che volevo dire.
Ma qualcosa è cambiato, quasi all’improvviso.
Questo non significa che io sia stata in grado di produrre
qualcosa di buono, al contrario. Significa soltanto che mi è venuta in mente
un’idea e che ho percepito un po’ di formicolio nella pancia nel pensarci su ;)
Se poi l’idea ed il risultato siano buoni, non lo so, ma io, come sempre, mi
sono divertita a buttarla giù, non pretendendo altro ^^
Quindi, se c’è qualcuno che leggerà mai le mie parole, vi prego
di avere clemenza.
Ci sono molte altre cose da dire ma, se mai ci fosse qualcuno
interessato (ma anche no!), rimando ogni mio ulteriore pensiero, considerazione
e paranoia al momento in cui questa breve storia sarà finita (e non finirà con
questo capitolo). Mi sento già abbastanza ridicola a scrivere queste parole prima
del capitolo, con la certezza di scrivere al vento, figuriamoci alla fine in
pieno delirio pre-pubblicazione!
Per ora quindi vi dico soltanto che ho deciso all’ultimo di non
pubblicare in coda alla long-fiction originaria, come
avevo deciso all’inizio, solo perché ho pensato che poteva sembrare un modo
becero per riposizionare la mia vecchia Another World
tra le storie più recenti in prima pagina. E non era questa la mia intenzione.
Però tengo a precisare che ho concepito questa storia come una sorta di OVA
degli anime, parte della serie completa e quindi strettamente collegato ad
essa. Diciamo che però il capitolo che segue queste righe, che in origine
doveva essere un’unica one-shot OVA, a conti fatti si
è trasformato in un primo capitolo di introduzione, prologo o qualcosa di
simile, anche se non era mia intenzione renderlo tale: come mio solito, il
tutto si è dilatato, quindi ci sarà qualche altro capitolo (uno, due? Non lo so
con precisione). Mi ritrovo sempre a commettere gli stessi errori, scrivo
troppo!!
Dedico questo OVA di Another world a
tutti coloro che mi hanno seguito ed incoraggiato in passato ed a quelli che mi
hanno incitata in tutti i modi a scrivere ancora su Death
Note, su Elle ed Emma, con recensioni, commenti e messaggi privati.
Questo OVA è per Voi, è il mio ritardatario regalo di Natale. Se
anche non fosse di vostro gradimento, confido nel fatto che “conti il pensiero”
^^
Se poi tutti Voi non siete qui a leggere, come immagino, vorrà
dire che il regalo me lo sono fatta da sola, divertendomi a scrivere ancora di
Elle, di Emma e del loro “altro mondo” insieme.
Grazie di essere qui.
Another world OVA
Il fantasma del Natale passato
Capitolo 1
Avevo detto che non mi divertiva narrare del “Dopo”.
Avevo detto che tutto il resto sarebbe stato noioso
e che, per quanto mi riguardava, l’esperimento era finito.
Avevo anche detto di voler cambiare aria, soggetti,
genere.
Era vero.
Ed è vero anche in questo momento.
Eh eh eh…
Smorzati sul nascere dopo nemmeno dieci righe?
Su, su, se siete qui, mi conoscete, quindi poche
storie.
Però…
Sì, che ci sarebbe stato un “però” credo fosse
lapalissiano anche per i sassi: banalità e prevedibilità dell’arte del
raccontare, passatemele e non fate gli schizzinosi.
Quindi, dicevo, per l’appunto c’è un “però”…
Sarà stato il Natale, periodo decisamente fertile
per voi fantastici esseri umani, o perlomeno per alcuni di voi; sarà che ogni
tanto lo sguardo mi sfugge verso quella dimensione ibrida che continua a
trascorrere, e rido alle vostre spalle nel poter
Vedere quello che voi non potete vedere, eventuali vostri film personali a
parte, come sempre; sarà che finora da quelle parti non c’è stato nulla degno
di essere raccontato e nulla di stimolante; saranno tutte queste cose insieme,
ma oggi, in uno di quegli sguardi fugaci, mi si è riacceso l’interesse.
E sapete bene quanto questo dettaglio possa essere
rischioso.
Va da sé che l’interesse non mi si sia
effettivamente risvegliato per qualcosa che è fisicamente accaduto, ma più per
qualcosa che forse sarebbe potuto accadere… Ma questo del resto era avvenuto
anche all’inizio di tutta questa vicenda.
Ebbene, la vostra Emma, in una delle ultime
conversazione che io vi raccontai, pose ad Elle la seguente domanda, palesando
una certa preoccupazione: «Ma se quel Qualcuno che ha voluto giocare decidesse
di farlo di nuovo?»
Lei non lo sapeva allora e non lo sa adesso, ma quel
Qualcuno ero Io.
E mai come ora credo che la sua preoccupazione
dovesse essere considerata fondata, sebbene allora io stesso non la ritenessi
affatto tale.
Perché, adesso, ho voluto giocare ancora…
(ed anche questa frase “ad effetto”, narrativamente parlando, era prevedibile, lasciatevelo
dire).
La neve cadeva di nuovo.
Si adagiava lentamente, leggera, sul manto bianco che si
era già depositato ovunque, nei giorni e nelle ore precedenti, ed ora iniziava
nuovamente a ricoprire con un sottile velo l’asfalto della strada e le impronte
lasciate dagli ultimi pochi passanti.
Il bianco cielo imbruniva, mentre il sole ormai coperto da
giorni dietro quella fitta coltre di nubi gelate si eclissava non visto, chissà
dove, lasciando pieno campo al buio pomeriggio invernale.
I lampioni lungo la strada si accesero tentennando,
dapprima con una pallida e quasi inutile luminosità.
Quell’angolo di Winchester era
silenzioso. A pochi passi dal centro cittadino, quell’angolo
di Winchester era già immerso nella quiete e le luci colorate ed intermittenti
degli addobbi di alcune abitazioni iniziavano a stagliarsi più nettamente
mentre l’oscurità avanzava.
I passi di Emma affondavano nei centimetri di neve del
marciapiede con un piacevole scrocchio.
Sebbene indossasse i guanti, teneva comunque le mani
affondate nelle capienti tasche del suo giubbotto da snowboard e la sciarpona le arrivava fin sopra il naso. Il cappuccio
impermeabile del giubbotto le copriva il capo, già protetto da un berretto di
lana, ed un piccolo zaino aderiva ben fisso sulle sue spalle.
E così Emma avanzava.
Era passato un anno.
Era passato un anno dall’ultima volta che si era messa in
viaggio per Winchester, per la Wammy’s House, nel
Natale del 2007. Allora non sapeva bene a cosa stesse andando incontro, né chi
la stesse effettivamente aspettando, perché quello era stato l’ultimo giorno in
cui Emma aveva vissuto nel dolore che il suo Elle fosse morto. Ma poi, tutto
era cambiato.
Ed ora avanzava ed affrettava il passo, perché era tardi,
perché faceva freddo, perché voleva arrivare alla Wammy’s
House. E voleva arrivare non solo perché era tantissimo tempo che non lo
vedeva, ma perché era tormentata da altro.
L’ultima volta che era riuscita ad incontrarlo era stato
solo per poche ore e svariati mesi prima, a Tokyo, quando il grande detective
aveva incastrato quella deviazione tra i suoi tanti spostamenti.
Per il resto, Emma aveva potuto ascoltare la sua voce
calma e sensuale nei momenti più impensati, al telefono, ed aveva potuto solo
immaginarselo, rannicchiato davanti al proprio Mac,
mentre chattavano su messanger,
a tarda notte.
Già, aveva potuto solo immaginarselo. Poteva forse essere
in circolazione una foto di Elle? Avrebbe potuto Emma conservarne una?
Naturalmente no. Erano stati fatti sparire pure i
filmati della Todai in cui un certo Ryuga Hideki aveva tenuto il
discorso di apertura dell’anno accademico 2007 insieme all’ormai tristemente
noto Light Yagami.
Ma Emma di certo non soffriva per questo. Perché lei, che
un tempo, nel suo vecchio mondo, aveva orgogliosamente tenuto l’immagine
dell’Elle a china in bella mostra nella galleria dello screensaver
del proprio pc, non era invece il tipo di persona da
spiattellare la foto del “proprio amato” in carne ed ossa sul desktop dello
stesso pc. E quindi certamente non soffriva del fatto
di non poter avere una foto del suo Ryuzaki. Era
fatta così.
E questo era soltanto uno degli elementi dell’esistenza
che Emma ed Elle conducevano.
La loro vita e soprattutto tutti i loro rapporti erano
infatti costantemente pervasi da ogni forma di cautela. Nulla doveva destare
sospetti e ogni microscopico dettaglio doveva essere velato da minute
accortezze, necessarie alla sicurezza del grande, misterioso ed anonimo
detective. Nessun commento o semplice considerazione doveva intaccare
l’incolumità di Elle e naturalmente, adesso, anche quella di un’anonima giovane
archeologa.
E così, tra i tanti accorgimenti, Ryuzaki
aveva fornito ad Emma un portatile da custodire a casa, che lui monitorava e
controllava, mantenendolo sicuro e non tracciabile. Le loro conversazioni in
rete potevano infatti avvenire solo su quel pc e solo
da casa. Il vecchio computer di Emma era bandito per questo e lei continuava ad
usarlo per il lavoro e per portarlo con sé.
Ma non era sufficiente.
Un altro esempio delle prudenti dinamiche che dovevano
seguire entrambi era stato il fatto che ormai da tempo Ryuzaki
non figurasse più spudoratamente su messanger col nickname e la nota effige di L.
Poteva sembrare un'accortezza esagerata, perchè sicuramente Elle non si sarebbe
trovato a chattare con Emma mentre lei aveva amici o
altri in casa e comunque nessuno avrebbe dubitato del fatto che lo pseudonimo
“L” doveva appartenere ad un amico di Emma semplicemente appassionato alla
figura sconosciuta del detective del secolo; tuttavia era necessario
allontanare anche qualunque commento o ingenua domanda del tipo: ma il tuo
amico è fissato con Elle?
E così, Ryuzaki aveva optato per
il nickname “He”. Certo,
era stato un fan di quel manga e del suo protagonista, come la stessa Emma del
resto, ma il motivo della scelta non era stato dettato solo dalla sua passione
da “nerd” o da “otaku” che
dir si voglia.
Lui aveva giustificato ad Emma l’elezione di quel nuovo
pseudonimo scrivendole così, su msn: “Vista la nostra situazione,
visto il tuo attaccamento a me e, soprattutto, visti i trascorsi, ho ritenuto
più che appropriato avere il nickname di uno dei tuoi
idoli del mondo manga”.
Emma aveva ribattuto: “Sì, avevo immaginato qualcosa del genere… Ehi,
idolo, sei il solito bastardo presuntuoso (oltre che bugiardo) :D Fammi capire,
non era uguale lasciare L allora? Il senso sarebbe stato esattamente lo stesso. Hai cambiato il tuo nick
per altri motivi, che conosco bene, ed hai scelto “He”
solo perché volevi avere l’occasione di spiegarmi, adesso, il motivo della tua
nuova scelta e volevi farlo esattamente con le parole che hai usato, compreso
il famoso “idolo”. Vuoi gongolare di questa cosa!”
Lui aveva subito risposto: “Non credevo ci fosse qualcosa di scorretto in
questo. Ritieni che essere contento del fatto di essere stato un tuo idolo sia
sbagliato? C’è forse qualcosa che devo ancora “imparare” anche su questo
dettaglio?”.
Emma aveva sorriso, quasi compiaciuta. Quel misto di presa
in giro, velati accenni e cinica arroganza faceva parte del modo di comunicare
di Elle, da sempre. Sembrava che parlasse un’altra lingua, perché tendeva
sempre a deviare l’attenzione su qualcos’altro, ma in realtà c’erano sempre due
livelli di conversazione ed Emma sapeva benissimo leggere dietro le righe “No, gongola pure, tanto è la
verità e va bene così ^^ Cmq, a proposito del mio
“attaccamento a te”, ti ricordo che sei tu quello che compare su msn e che mi scrive. E ti ricordo anche che la povera Emma,
fan sfegatata ed innamorata, è una delle pochissime persone “normo-dotate” al mondo a conoscere bene la tua faccia (e
non solo la tua faccia…) ed a sapere che non sei morto. Per cui, non
nasconderti dietro la meluccia mordicchiata del tuo
portatile!
Però, devo precisare una cosa: è vero che io adoro “He”, ma riguardo a L, be’, è
tutta un’altra storia… c’è un’enorme differenza ;)
Elle non aveva risposto.
Dopo alcuni secondi in cui msn
non segnalava ad Emma nemmeno che lui stesse scrivendo, lei aveva iniziato a
battere di nuovo sui tasti del suo pc: “Ohi… Idolo, ci sei ancora?”
La risposta era allora arrivata secca ed immediata: “Sì”
Emma non se l'era fatto dire due volte: “E allora perché non scrivi
niente?”
Erano passati altri lunghi secondi.
E poi Elle aveva ribattuto: “A volte dimentico quanto
anche la schiettezza sia una delle caratteristiche che ti hanno fatto vincere.
Vincere su tutta la linea. Temo che mi piaccia decisamente molto ricordarmene,
ogni volta.
Buona notte, Emma.”
Lei aveva trattenuto il respiro: “Buon lavoro, Ryuzaki.
P.S. Comunque sto gongolando anch’io adesso e quindi
hai ragione, come sempre: in effetti non credo ci sia proprio nulla di
scorretto nel farlo palesemente :P”
Sì, decisamente Elle ed
Emma sono persone particolari. Come possano tollerare un rapporto a distanza in
questo modo e come possano farsi andar bene conversazioni di questo tipo, non è
affar mio. O meglio, diciamo che non ho proprio
voglia di dilungarmi troppo su tale questione. Immagino però che, ormoni a
parte, buona parte della forza gli derivi dalla sicurezza in se stessi, da
quella forma di “presunzione” che in qualche maniera caratterizza entrambi,
sebbene in modo completamente diverso. E forse, entrambi riescono a godere,
almeno per il momento, di quella sensazione di sentirsi metaforicamente “nudi”
l’uno di fronte all’altra, di potersi quindi comportare ciascuno secondo la
propria indole senza temere di essere fraintesi, mai.
Non so poi quanto li
strugga il desiderio, e la mancanza, di essere nudi l’uno di fronte all’altra
in senso più stretto…
Eh eh
eh!
Ma direi che queste sono
considerazioni triviali, sulle quali, come ben sapete ed a volte con vostro
rammarico, mi attardo piuttosto poco.
Quindi, direi di andare
avanti.
Però, prima di ritornare
alla vostra Emma in cammino per la Wammy’s House,
sotto la neve, vorrei raccontarvi dell’ultima conversazione che ha avuto con
Elle, pochi giorni prima, ancora dalla lontana Tokyo.
E mi pare superfluo
sottolineare che, se vi racconto questo evento, esso deve avere un significato.
Emma era ancora a Tokyo, esausta
per aver dovuto organizzare il suo definitivo rientro in Italia. I suoi due
anni di lavoro per la Todai in Giappone erano conclusi
ed ora era pronta per la partenza, che era stata calcolata affinché potesse
ritornare in tempo per trascorrere le feste natalizie a Roma, con la sua
famiglia. Ed infatti mancavano meno di quattro giorni alla Vigilia di Natale.
La maggior parte della sua roba era già stata spedita, mentre il bilocale era
spoglio di ogni oggetto che non fosse il mobilio compreso nell’affitto. Due
enormi trolley erano poggiati vicino alla porta, con affianco un capiente
zaino, da cui Emma sfilò il portatile che usava per comunicare con Elle. Entro
poche ore, Kei e Misao
sarebbero venuti a prenderla per accompagnarla in aeroporto.
Accese il computer in quella
stanza spoglia ed ormai anonima e triste.
Era notte inoltrata.
Emma sapeva che Ryuzaki era impegnato con la risoluzione di un caso e che
per farlo era partito da Winchester per recarsi sul luogo degli eventi.
Dopo la terribile vicenda Kira, il detective era naturalmente ritornato ad agire in
incognito, ma ora la colossale balla dell’ “Organizzazione Elle”, o “LOrg.”, come veniva ormai comunemente abbreviata, gli
permetteva di nascondersi e di difendersi anche meglio di prima. La LOrg. infatti, sebbene palesasse al mondo l’effettiva
partecipazione dell’ “Elle di turno” alle indagini, tutelava in realtà il vero
ed unico Elle dietro la facciata di una presunta ed eterogenea équipe di persone impegnate nelle indagini.
Ma c’era anche un'altra novità
rispetto alla vita del detective precedente al caso Kira,
a parte Emma ovviamente: di recente e per i casi più complessi e che più lo
stuzzicavano, Ryuzaki aveva preso l’abitudine di
raggiungere personalmente i paesi interessati, ovviamente procedendo nelle sue
indagini in collaborazione con gli enti locali senza mai mostrarsi, godendo
però di una fama e di una stima superiori a prima, che gli permettevano adesso
ancor più di agire indisturbato e di ispezionare direttamente le scene del
crimine in totale solitudine. Sì, le scene del crimine. In realtà era proprio
questo aspetto delle indagini che ora lo incuriosiva e catturava e che l’aveva
portato a desiderare di raggiungere luoghi che in precedenza non si sarebbe mai
sognato di voler visitare. Le sue immense capacità e la sua curiosità lo
avevano spinto a considerare, studiare e approfondire a monte anche i metodi
della polizia scientifica, che aveva quindi giudicato sorpassati ed
“assolutamente privi di un fondamento sistematico metodico, in sostanza da
rivalutare e ridefinire sulla base di un nuovo, logico e proficuo metodo di
raccolta delle prove, in loco”.
Perciò, era lui stesso che
voleva ispezionare, in prima persona, le scene delle serie di rivoltanti
omicidi su cui sceglieva di investigare. E così si aggirava leggero come un
gatto in luoghi sinistri e transennati, di notte, con permessi speciali e con
accortezze che gli davano la facoltà di agire non visto, in totale sicurezza e
solitudine, Watari a parte naturalmente. Si
soffermava in angoli da cui si potesse cogliere una certa prospettiva e
rimaneva lì per lungo tempo, immobile, con le spalle appese, il collo proteso
in avanti ed il pollice poggiato sulle labbra, spostando solo lo sguardo,
osservando, valutando le priorità,
analizzando allo stesso momento gli elementi connessi al caso contingente, ma
anche stabilendo una sequenza degli eventi ed una serie si scalette e schemi
ripetibili per la creazione di quel logico e nuovo metodo di raccolta delle
prove che stava strutturando. Il tutto naturalmente senza battere ciglio di
fronte alla disumana brutalità con cui gli assassini si erano accaniti sulle
miserabili vittime, che avevano lasciato questo mondo nel dolore, nella paura e
nell’orrore.
La mente di Elle infatti sapeva
essere fredda, distaccata; era eccezionale, incredibilmente logica ed in grado
di “fotografare” indelebilmente luoghi, persone e parole; ma era anche e
soprattutto brillante: la mente di Elle non poteva essere ripetitiva,
abitudinaria ed assuefatta alle medesime operazioni, sempre. Lui non era
prevedibile e nemmeno la sua intelligenza lo era. Erano perciò questa curiosità
e vivacità intellettuale che lo spingevano a sperimentare e ricercare anche su
altro.
Anche perché, in piena onestà,
dopo il caso Kira, era altamente improbabile che si
presentasse un’indagine altrettanto stuzzicante e complessa ed Elle, che voleva
indagare solo sui rompicapo più impossibili e si “divertiva” solo con essi, di
certo adesso si ritrovava, in termini prosaici, a giocare al livello 4 di un
videogioco cui aveva però potuto già giocare al livello 12, con risultati
eccellenti e piena vittoria. E questo poteva risultare noioso.
Emma, conoscendo questi nuovi
“interessi” di Elle, se così si possono chiamare, ai quali peraltro aveva
contribuito pesantemente nel corso delle loro conversazioni imperniate sul
metodo archeologico-stratigrafico, di certo non aveva
bisogno di chiedersi come lui facesse adesso anche ad aggirarsi in luoghi così
terribili e ad osservare con la medesima freddezza certe scene macabre e gli
chiedeva invece di raccontare la parte puramente logica, quella della
ricostruzione della cronologia degli eventi.
E così, anche quella sera, Emma
sapeva che Elle probabilmente sarebbe potuto essere altrove, non davanti al suo
pc. O comunque, se anche davanti all’inseparabile
portatile bianco, lo immaginava concentrato e occupato nell’incastrare il suo
puzzle personale e mentale.
Ad ogni modo, sia che lui fosse
presente sia che non lo fosse, il suo stato su msn
era costantemente impostato come assente. Quindi Emma, anche quella sera,
effettuò l’accesso a messanger ben sapendo che
avrebbe dovuto comunque scrivere per accertarsi o meno della sua presenza.
Quindi inserì nickname e password.
Poi sfilò una sigaretta dal
pacchetto che aveva davanti e la accese, mentre sul monitor compariva la nota
schermata del programma di chat.
Si alzò e socchiuse la finestra,
da cui entrò uno spiffero di aria gelida. Rabbrividendo andò a raccattare il
plaid piegato sul divano, per fortuna tra le cose che non aveva dovuto inserire
in valigia, e se lo adagiò sulle spalle.
Il segnale acustico della chat avvisò che era stato ricevuto un messaggio.
Emma sorrise.
Lui c’era ed aveva notato che
lei aveva appena effettuato l’accesso.
He
scrive:
Ti credevo sommersa nei
preparativi dell’ultimo momento.
La ragazza si sedette comoda e
raggomitolata nella coperta e rispose.
Emma scrive:
Io ti credevo immerso nelle
indagini. Comunque ho finito poco fa e mi sono fatta una doccia. Adesso non
riesco a dormire.
He
scrive:
Strano. A parte lo scorso
anno, in genere non hai difficoltà a dormire.
Emma scrive:
Sì, lo scorso anno è stato
particolare, credo… Stasera però forse sono troppo stanca, ho ancora
l’adrenalina in corpo per la fretta di dover finire.
E poi… Non vedo l’ora di
essere a casa, di essere a casa per il Natale, con i miei…
Ma mi dispiace
terribilmente lasciare Tokyo…
Era la prima volta che gli
parlava dei suoi sentimenti riguardo il lasciare la vita che aveva vissuto
nella grande capitale nipponica. E senza dubbio si trattava di molto più del
semplice dispiacere cui aveva accennato. Perché Emma era schietta, diretta e non
si vergognava di ciò che sentiva, ma tendeva anche a soffocare le sue paure,
dolori o pensieri, a nasconderli soprattutto a se stessa e quindi di
conseguenza anche ad Elle. Salvo poi esplodere, in modo più o meno contenuto.
Ma non era quello il momento di
esplodere. Emma infatti continuò a scrivere subito dopo.
Emma scrive:
Cmq
non ho proprio voglia di parlare di questo adesso. Non so nemmeno perché te
l’ho scritto.
Tu come mai invece sei
così apparentemente poco “occupato”?
He
scrive:
Emma, è evidente che me
l’hai scritto semplicemente per rigurgitare la tua palla di pelo. Così adesso
io so che c’è qualcosa che non va e anche cosa nello specifico non va e tu ti
senti più tranquilla.
Emma fece un grande sospiro,
perché era proprio così e lei era sempre “nuda” di fronte a Ryuzaki,
che tra l’altro, rispettando la voglia di silenzio di Emma su quella questione,
continuò a scrivere.
Comunque, non sono
“occupato” perché il caso è chiuso. A minuti mi collegherò con la polizia per
comunicargli le ultime considerazioni e domani la stampa sarà informata. È
andata come avevo ipotizzato giorni fa.
Emma scrive:
Quindi quella traccia di
sangue sul divano era stata lasciata dopo il pasto, come avevi detto tu?
He
scrive:
Sì.
Emma scrive:
Ottimo! E questa volta trapelerà
qualcosa dell’interessamento della LORg.? Insomma, il
tipo starà zitto?
He
scrive:
Come sai, da lui non verrà
fuori nulla.
Emma scrive:
Perfetto. Meglio che venga
fuori solo una volta ogni tanto.
Saltando di palo in frasca:
io a gennaio dovrei andare a fare un sopralluogo sul cantiere per la nuova
campagna di scavo, a Roma. Me l’ha detto il prof. Usui
ieri. Insieme ad alcuni operai dovrò dirigere la ripulitura del vecchio scavo
prima di iniziare il nuovo e quindi studiarmi bene le interfaccia
stratigrafiche rimaste dubbie: perché non vieni a vedere? È dalla prima volta
che ti ho visto che vuoi vedere uno scavo in atto. E poi dovrebbe interessarti
ancora di più adesso, viste le tue ultime elucubrazioni riguardo i metodi di
analisi della scena del crimine ;)
He
scrive:
Direi che hai decisamente
omesso una terza argomentazione a favore del tuo dibattere la questione che io
possa venire a Roma: ti manco e mi vuoi vedere.
Emma scrive:
Oh, ma questo non era
proprio in discussione: stavo già spulciando i voli per Londra ed avevo detto a
Watari che pensavo di venire per qualche giorno
subito dopo Capodanno (prima non ho trovato nulla!! Londra va proprio alla
grande per l’ultimo dell’anno!). Non avevo ancora prenotato perché non sapevo
quando saresti tornato a Winchester. Ma ora lo so :D
Il programma quindi è
stabilito: parto da qui tra poche ore e dovrei atterrare a Roma con tutta la
mia roba il 23, verso le 4:00 del mattino O.o (ci
saranno i miei all’aeroporto, poveretti!). Subito dopo, un Natale in pieno jet-lag coi miei, tutto il parentame
e tante abbuffate all’italiana (ne ho un bisogno quasi morboso dopo mesi di
Giapponesi, riso e sushi!).
Poi, al primo posto
libero, Gran Bretagna e tanti ragazzini presuntuosi e “stranetti”
;)
Comunque…
Anche tu potrai tornare a
casa per Natale…
Sono contenta… Immaginavo
che saresti rimasto lì più a lungo…
He
scrive:
Davvero? Chissà perché
supponevo avessi più fiducia nelle mie capacità investigative.
Emma scrive:
Allora rettifico: non
“immaginavo” che saresti rimasto lì più a lungo, diciamo che lo “temevo”, che
“avevo paura” che non potessi tornare a Winchester per il Natale. Un semplice
timore. Ergo, era un cosa che mi sarebbe dispiaciuta, per te. Va meglio così?
He
scrive:
Io invece temo ci sia un
equivoco di fondo: non mi avrebbe dato alcun fastidio rimanere qui a lavorare
sul caso per il Natale. Quindi, non ci sarebbe stato motivo di dispiacerti per
me.
Emma scrive:
…
He
scrive:
Ti disturba esserti sbagliata
su di me? In fondo, non sarebbe la prima volta.
Emma scrive:
Perché?
He
scrive:
Perché sbagliare di
frequente è tipico delle persone normalmente dotate.
Emma scrive:
Non fingere di non capire,
non sei credibile: non mi importa di aver sbagliato, io non sono te. Volevo
sapere perché non ti avrebbe dato alcun fastidio essere lontano da casa a
Natale.
He
scrive:
Emma, non mi interessa il
Natale. Non lo amo.
Non l’ho mai amato.
Emma scrive:
Mai?
He
scrive:
Domanda piuttosto inutile.
Ho in linea la polizia:
devo chiudere.
Adesso vai a dormire,
Emma.
Ci vedremo a Winchester
appena potrai.
Buona notte e buon
viaggio.
Emma rimase con le mani sospese sopra la tastiera, senza
riuscire a replicare nulla.
“Non ho mai amato il Natale…” si ripeté nella testa.
E fu presa da un doloroso istinto, immediato ed
incontrollabile.
Che sciocchezza!
Che bugiardo!
Che stupido, inutile, solito bugiardo!
Adesso l’hai
vomitata tu, la tua palla di pelo, giusto?
Sempre a testarmi, tu! Sempre a cercare di
capire se posso comprenderti…
E sempre lì, da solo, da quando eri così
piccolo…
Non c’era nulla che Emma potesse “scrivergli”. Perché lui,
in quel momento, non voleva sentirsi dire nulla. Perché Emma avrebbe solo
potuto abbracciarlo, ma non era lì, insieme a lui, come non c’era stata tante e
tante altre volte… Sempre.
Dove hai passato il tuo primo Natale senza i
tuoi genitori? Com’erano la tua mamma ed il tuo papà? Come ti chiamavano quando
eri piccolo? Cosa facevate a Natale? Dov’eri quando sei rimasto solo? Quanto
hai pianto, senza nessuno vicino?
Come faccio, come faccio…
E così non gli rispose.
Non gli diede nemmeno la buona notte, che tanto sapeva
bene non avrebbe trascorso a dormire.
Ma pianse.
Pianse a lungo, da sola.
E seppe immediatamente cosa voleva e doveva fare.
Eh già.
Emma ha preso una
decisione. Direi la sua ennesima decisione. C’è abituata lei, ci sono abituato
io e dovreste esserci abituati voi.
Certo, la portata di
questa decisone è ben ridotta rispetto alle precedenti che voi conoscete, anche
perché ormai gli Shinigami, i quaderni della morte e
le implicazioni connesse sono fortunatamente acqua passata. Tuttavia si tratta
di una decisione importante, di una di quelle piccole ma significative scelte
che fanno parte della vita quotidiana e, se vogliamo, dei rapporti umani.
Va da sé che vogliate
sapere cosa abbia comportato questa decisione (potreste anche arrivarci da
soli, viste le premesse, ma lasciamo stare).
Allora, Emma ha
naturalmente lasciato il Giappone come da programma, ha trascorso quasi due
giorni come in una bolla di sapone, tra la lunghissima traversata, i tempi
morti dell’aeroporto e dello scalo, l’arrivo in piena notte a Roma e
l’interminabile attesa per le enormi valige a Fiumicino. Poi i genitori l’hanno
accompagnata nel suo appartamento.
E poi?
Be’,
dopo nemmeno ventiquattro ore, all’alba del giorno della Vigilia di Natale, era
di nuovo all’aeroporto, completamente sfasata, con uno zainetto sulle spalle ed
un biglietto per il primo volo mattutino diretto a Londra, acquistato
miracolosamente, viste le giornate “calde” delle feste, e senza nemmeno
guardare che costava una fortuna.
E adesso, nel tardo
pomeriggio di quella stessa giornata, la ritroviamo dove l’avevo lasciata, in
cammino verso la Wammy’s House.
Emma continuava ad avanzare
sulla neve.
Fece un profondo sospiro, che
riscaldò la lana della sciarpa ed il naso congelato cui aderiva.
Strinse nella tasca un foglio
che teneva piegato tra le dita.
Era lo screen-shot
di parte di quell’ultima conversazione avuta con lui su
messanger, tre giorni prima. Se l’era stampata,
perché doveva sempre ricordare le sensazioni che aveva provato leggendo le
parole che Ryuzaki le aveva scritto. Perché aveva
preso la decisione giusta.
Ed ora, camminando sotto la neve
e tirando su col naso per il freddo, lo sfilò dalla tasca e lo dispiegò per
l’ennesima volta in quelle ultime ore.
Si fermò e lo lesse di nuovo.
Sollevò lo sguardo ed iniziò
improvvisamente a correre sulla neve, col foglio svolazzante ancora tra le
dita.
Corse veloce, incespicando, ed
il cappuccio del giubbotto gli scese sulle spalle, ballonzolando sopra lo
zaino. Ma non si preoccupò di ritirarlo su.
Corse ancora.
Attraversò la strada deserta ed
ormai ricoperta da un sottile strato di neve fresca ed il muro di mattoni rossi
della Wammy’s House le si presentò davanti.
Continuò a correre.
Arrivò al cancello e si aggrappò
alle sbarre di ferro battuto, col fiatone.
Si allungò verso il pulsante del
citofono e suonò.
Quanto avrei voluto
essere lì quando eri piccolo, quando sei rimasto da solo! Tu adesso non me lo
racconterai mai! Se solo potessi tornare indietro, per vederti, per sapere!
Cara Emma, mai esprimere
un desiderio il giorno della Vigilia di Natale.
Tanto più con l’esperienza
che hai passato…
Eh eh
eh…
Grazie di aver letto fin qui.
Se mai ci sarà qualcuno, ci vediamo al prossimo
capitolo (sì, come ho anticipato, l’OVA non finisce qui ^^)
Eru