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Autore: Anwa_Turwen    12/01/2018    2 recensioni
Una stella cadente, a cui affidare un desiderio.
Una nuova conquista da realizzare.
Ossessionato dai suoi pensieri, Melkor ha preso una decisione.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Melkor, Sauron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Falling Star

angbang

 

"Al principio di Arda, Melkor lo sedusse ottenendone la fedeltà, ed egli divenne il servo più grande e più fidato del Nemico"

[Il Silmarillion, J.R.R.Tolkien]

 

Un filo di fumo oscurava il brillio delle stelle di Varda, drappeggianti a mo' di spille lucenti la volta indaco. Lontano, fra le ombre di Utumno, Melkor, l'Oscuro Signore, sedeva scrutandole ad una ad una.

Il suo fiero, pesante capo, affollato di pensieri come mai lo era stato prima, volgeva di tanto in tanto verso una nube più spessa, a osservare le spire di foschia salire lentamente oltre le montagne.

A dispetto delle sue travolgenti opere di conquista, tutto nella natura era collaborazione. Il vapore dai mari di Ulmo veniva portato in alto sulle brezze, per poi piovere e rinfrescare la vegetazione così cara a Yavanna. Questa, d'altro canto, nulla avrebbe potuto se non grazie al suolo minerale, vocazione particolare di Aulë.

Aulë.

Persino gli uccelli, dagli innocui piccoli volatili selvatici, alle imponenti spie rapaci di Manwë, sapevano sfruttare le correnti ascensionali; nulla come la perfezione di un battito d'ali, il fruscio impercettibile di una piuma al vento. Un sussurro.

Era da molto che gli uccelli evitavano quel luogo.

Lui, l'Oscuro Signore, era solo.

Non che lui necessitasse di collaboratori. Aveva le sue migliaia di servi, demoni di terrore, lupi, orchetti di e altre specie peggiori. Intendevano a stento quando si parlava loro, proliferavano in sudici anfratti e lugubri vermicai lontani dagli occhi del mondo. Forti nella guerra, sapevano andare al massacro, piuttosto inutili nel sottile gioco di destini che mirava sempre ad intrecciare tra le sue più ingannevoli macchinazioni.

Una stella cadde.

La riga di luce si disegnò e morì con la rapidità di un baleno.

Mancava qualcosa. Qualcuno.

Uno che mettesse al servizio la propria mente, fedele, con cui pianificare di notte, al riparo delle odiate luci di Valinor.

Un secondo astro precipitò, dopo una breve agonia d'argento. Vivido, tanto da far sembrare che se ci si fosse sporti abbastanza in là, verso l'orizzonte, lo si sarebbe potuto raccogliere fra i prati.

Melkor provò a immaginare la distruzione se una stella fosse realmente caduta.

Questo era esattamente ciò che voleva. Un brillante qualcuno che avrebbe indebolito il nemico con la sua assenza. Una stella cadente che avrebbe lasciato il suo cielo meno luminoso. Un astro dei più fulgidi, cui avrebbe regalato un diverso tipo dei innalzamento e di lucore.

Come era stato lui, prima dell'inizio dei giorni.

Se si fosse trattato di un veneggiare passeggero, sarebbe sfumato così come era sorto, prima ancora di raggiungere lo stato embrionale. Melkor non perdeva tempo pensando cose che non valeva la pena venissero compiute.

Ma quel pensiero aveva riempito le sue ore oscure con bagliori rubicondi, aveva distratto il poderoso sguardo verso Occidente dozzine di volte, ormai.

Le scie di liquido oro chiaro nel firmamento glielo ricordarono più che mai.

La parte peggiore, era che Melkor sapeva anche chi.

Aulë.

Aveva gettato più di uno sguardo nei luoghi di Aulë, dove si diceva venissero forgiate le montagne, e i metalli colati in oro puro per l'usufrutto dei Figli.

Gli oppositori andavano controllati, e lui aveva guardato. Aveva visto fiamma; la più rossa, la più ardente fra tutte, gli era sembrato che fosse. La fiamma di una stella. E dopo, una, due, dieci volte, non erano state sufficienti.

Aulë, era il signore della forgia. Aulë, modellava il ferro e la pietra, e dava vita alle montagne. Aulë creava ed possedeva i gioielli più perfetti che mai i cieli e le terre di Arda avrebbero visto attraverso le Ere. Poi se ne disfaceva, con tanta generosità da non crederci. Con la facilità di uno sciocco poneva le sue creazioni a disposizione dei disegni del suo signore. I Figli ne avrebbero avuto bisogno, diceva.

Ma Melkor non aveva signore alcuno. Melkor prendeva e possedeva quanto gradiva, e se gli ingenui erano pronti pronti a cedere, tanto meglio.

E sempre Aulë, aveva tutto quello che il Signore Oscuro più desiderava aggiungere alle sue righe. Tutto quanto il suo volere brama di più, via via che si addentrava nel proprio pensiero.

Ogni spirito minore seguiva l'esempio di uno di quelli maggiori, secondo le proprie vocazioni. Anche Aulë aveva un suo seguito; e si era reso conto, lo stolto, di quale prezioso tesoro si era fatto padrone?

Melkor lo aveva visto di sfuggita, quel tesoro. Poi era tornato, si era soffermato. Lo aveva guardato lavorare. Non era il solo, pure unico era apparso agli occhi del Vala.

Batteva il martello, senza fatica, giocando con incantesimi sul metallo caldo.

I capelli di fiamma erano sporchi di sudore e fuliggine, una riga umida lungo la guancia inporporata,  le spalle possenti non sembravano consone al resto di quella stupita bellezza.

Melkor era l'Oscuro Signore. Agiva nell'occulto. Poteva essere là per nessuno, così come esserlo per una sola persona. Solo a lui, si era mostrato.

Stupito era stato il Maia quando, per un attimo, lo aveva visto. Con curiosità aveva incrociato il suo sguardo di carbone e alabastro, e si era ravviato con noncuranza la testa rossa. Poi aveva sorriso, un sorriso furbetto, stupito e quasi timido, ed era tornato al suo lavoro.

Mairon, l'Ammirevole, era il suo nome; e il Vala l'aveva ammirato.

Era rimasto colpito, Melkor ne era certo. Aveva scoperto qualcosa di diverso.

Melkor sapeva quando in un Maia esisteva la propensione a mutare, in suo favore.

Così come lui era rimasto colpito. Nella sua arroganza, la aveva giudicata una debolezza. Debolezza che non voleva andarsene, ed era diventata desiderio.

Melkor era già perfetto. Ma un secondo genere di perfezione che non poteva essere spiegata con semplici parole, l'aveva trovata in quello spirito.

Il desiderio era diventato ossessione.

Invidia, nel confronti di Aulë.

Invidia era il germe del marciume che aveva fatto di Melkor un Vala decaduto, invidia che lo mordeva fin dai suoi primi attimi di esistenza. Ma lui ne aveva fatto Potere e se ne era ammantato orgogliosamente.

E così adesso, se il desiderio lo rendeva vulnerabile, lui lo trasformava nel suo Volere, facendone un comando per sé stesso.

L'Oscuro Signore non desiderava; non affidava gli spasimi alle stelle. L'Oscuro Signore voleva, e ciò che voleva avere, suo doveva essere, seppur di una stella si fosse trattato.

In quel momento, una delle cose più lontane al mondo dall'essere giuste, era che Mairon servisse la stoltezza di Aulë. 

Così innocente.

Melkor sapeva cosa fare.

Avrebbe portato via l'innocenza da quelle labbra rosee, avrebbe rivendicato quella virilità appena sbocciata e la avrebbe fatta propria. Lo avrebbe nutrito come si nutre un infante, ma di sussurri e malizia. Gli avrebbe insegnato che cosa è l'ambizione, lo avrebbe permeato della sua potenza mortifera.

Si sarebbe presentato nella più lustra ed affascinante delle sue forme, e gli avrebbe offerto ciò che nessuno, mai, gli aveva dato di conoscere.

Non avrebbe subíto interferenze da parte di alcuno. D'altronde, erano tutto così fiduciosi e benpensanti, non sarebbe stato difficile ingannarli un'ennesima volta.

Pregustava già il giorno in cui le sue collere d'ombra venivano placate dalla furia di quel fiammeggiante spirito Maia.

Avrebbe affidato le sue membra sensibili a quelle mani abili, e lui si sarebbe abbassato a suggerne passione, insieme all'essenza stessa del suo oscuro essere.

Gli avrebbe fatto brandire il flagello del Balrog e la sferza dei lupi. Gli avrebbe instillato fuoco negli occhi e veleno sulla lingua.

Nessuno avrebbe compiaciuto Melkor più di Mairon, l'Ammirevole, ed egli lo avrebbe innalzato e onorato.

Insieme, la perfezione nella perfezione, Bagliore e Oscurità, Melkor, il dominatore di Arda, Mairon, il suo luogotenente.

Nelle profondità della roccaforte di Utumno, Melkor rise. Per lui, un piano messo a punto era opera fatta.

In una notte di stelle cadenti, una stella tra i Maiar era passata dalle fiamme della fucina, a quelle dell'Inferno.




















 

~Buco dell'autrice~

Ammetto che è la prima volta che provo a scrivere in questofandom senza andarein cerca del ridicolo. Dovrei vergognarmi, dal momento che è il mio primo e preferito. Forse, risulto ridicola ugualmente. Ad ogni modo, spero che 'ste tre pagine di monologo interiore non siano uscite proprio la cosa più raccapricciante del mondo, per quanto ne possa indovinare l'assoluta pallosità. Tanta roba già sentita, nulla come avvenimenti, ma ringrazio comunque per aver letto.

Anwel ♥

   
 
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