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Autore: Raptor Pardus    13/01/2018    0 recensioni
Sulla terribile Piaga che infestò la galassia e riunì i Tre Imperi, e sugli sfortunati minatori di Verris che ne patirono le conseguenze.
Genere: Azione, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ottava Piaga

 
Giorno 1
 
Il sistema Verris era uno dei più infimi agglomerati planetari ai bordi della Federazione Terrestre.
Situato nella Frangia Orientale, non lontano dai confini con l’Impero, aveva poco da offrire alla razza umana, non fosse stato per due pianeti, i più interni del sistema binario, che erano incredibilmente ricchi di metalli pesanti, tanto da ricoprirsi in breve tempo di immense miniere, ognuna con i propri stabilimenti di estrazione, raffinazione, rifornimento e mantenimento, grandi complessi grandi quanto metropoli che davano lavoro ai pochi coloni che avevano deciso di abitarne le impervie superfici.
Quei due mondi-miniera, da soli, riuscivano a sostenere una grossa fetta del fabbisogno minerario della Federazione, e per questo erano ben difesi da un imponente apparato militare di stanza sul sesto pianeta del sistema, un pianeta abitabile e ospitale, ma ben lontano dalla ricchezza e dalla maestosità dei sistemi del Nucleo Interno, bersaglio durante la guerra appena terminata di continui attacchi da parte dell’Impero.
Jaco aveva visto un’intera città bruciare in pochi minuti, durante la guerra, sotto il fuoco improvviso di un solo vascello alieno, apparso dal nulla sopra le loro teste e scomparso nel giro di qualche secondo.
Non era stato nemmeno tanto tempo prima, un anno, forse due, non ricordava bene.
Le giornate in miniera ti fanno perdere facilmente la cognizione del tempo.
Il lavoro, considerata la paga, non era nemmeno così malaccio, specie perché era comunque in buona parte automatizzato, e il rancio che fornivano a mensa era più che passabile, anche se nessuno osava interrogarsi sull’effettiva composizione delle derrate provenienti da Verris VI.
Dall’alto dei suoi vent’anni scarsi aveva già smesso di chiedersi quali altri mondi nascondessero le stelle, o cosa ci fosse oltre il cielo sopra le loro teste.
Vedere le strade in fiamme ti convince facilmente a nascondere la testa sottoterra e a metterla fuori di rado.
Ecco perché era finito in miniera, insieme al resto della gioventù ribelle di Verris, un’orda di orfani, fuggiaschi e sbandati che avevano preferito scavare nel buio di una grotta piuttosto che servire su una nave da guerra in qualche sperduto angolo dell’Orlo Esterno.
A Jaco non dispiaceva essere un signor nessuno, finché poteva ritenersi al sicuro.
Certo, ritenere una miniera un luogo sicuro era un enorme azzardo, ma la galassia da qualche decennio a questa parte stava regalando scherzetti sempre più sorprendenti che ogni volta stravolgevano qualsiasi metro di paragone.
Come la sacca di gas che la sua squadra aveva appena forato.
Jaco bestemmiò sonoramente e aprì un collegamento radio con la centrale a diverse centinaia di metri sopra le loro teste.
<< Qui trivella 249, presenza di gas, dobbiamo interrompere l’estrazione. >> comunicò passando una mano guantata sulla visiera del suo casco, ripulendola della polvere sollevata dall’enorme escavatrice circolare posta contro la parete del tunnel.
<< Ricevuto 249, sigilliamo il vostro tunnel finché non rimettete tutto a posto. >> rispose il tecnico dall’altra parte dell’apparecchio.
<< Il livello di anidride solforosa continua a salire. >> comunicò un suo compagno intento a controllare il buco largo quattro metri aperto nella parete rocciosa, da cui il gas continuava a fuoriuscire.
La trivella lentamente fermò la corsa della sua ruota dentata e arretrò dolcemente, prima di spegnersi del tutto.
<< Avanti con gli aspiratori, aumentare la potenza. >> ordinò il caposquadra.
Ci volle mezz’ora abbondante per aspirare tutta l’anidride in eccesso negli appositi serbatoi, in modo da spedirla dritto verso la centrale di stoccaggio, da dove poi sarebbe stato usato per i più svariati scopi.
<< Chi vuole dare un’occhiata? >> chiese il minatore affacciato al foro aperto dalla trivella. << Abbiamo fatto un bel buco. >>
Jaco si avvicinò al compagno insieme al caposquadra, incuriosito.
Oltre la parete perforata si apriva un androne circolare ricco di minuscole concrezioni scure, così largo che di trivelle là dentro ce ne sarebbero entrate almeno quattro, forse più, tutte in fila.
L’intera sala faceva da cappello ad un pozzo poco più stretto, così profondo che non se ne vedeva la fine.
La poca luce della loro attrezzatura spariva nell’immensa gola davanti a loro, una voragine che sprofondava nel mantello del pianeta.
<< Cromite? >> chiese il quarto membro della squadra, abbandonando il suo posto di guida sulla trivella.
<< Sembra di sì. Meglio far venire un tecnico a confermare. Jaco, comunica di riaprire il tunnel e avvisa che abbiamo aperto una nuova camera. >> rispose il caposquadra.
Jaco batté le palpebre, catturato dallo spettacolo apparso davanti a lui, e tornò alla realtà, mettendo velocemente mano al retrogrado apparecchio assegnato alla sua squadra.
<< Muoviti, e dì che per oggi non possiamo continuare, dobbiamo allungare il nastro. >> concluse il caposquadra guardandolo torvo mentre maneggiava goffamente la radio.
Gli altri membri della squadra ringraziarono per la pausa pranzo anticipata e si avviarono verso l’uscita.
 
Per compensare il turno ridotto, Jaco fu spedito alle baie di attracco, dove una mano in più era sempre richiesta, per aiutare il personale lì presente.
Gli enormi hangar, dentro cui atterravano le astronavi cariche di rifornimenti e pronte a riempire le loro stive con container pieni di lingotti e trafilati, erano sempre attivi e pieni di movimento.
Fissare le enormi tettoie aprirsi sotto il cielo stellato e vedere le enormi gru a ponte passare sopra i vascelli appena attraccati era uno spettacolo interessante, anche se non così frequente come i suoi capi speravano.
In quel momento, all’interno dell’hangar 16, Jaco stava assistendo all’attracco di un cargo di grosso tonnellaggio proveniente da Verris VI, contenente le loro razioni mensili.
Non appena la nave fu agganciata alle molle d’ormeggio magnetiche e le gru a ponte furono posizionate sulle stive scoperchiate, i lavori di scarico cominciarono, lasciando che l’equipaggio di venti uomini scendesse a terra e si dirigesse con calma verso la mensa.
Dalla sua postazione, in cima ai comandi di un braccio meccanico che correva da una parte all’altra della zona container, Jaco si fermò un attimo per vedere i cosmonauti, sigillati dentro i loro scafandri spaziali, scendere lungo la banchina e uscire dall’hangar, sparendo dietro le porte delle camere di pressurizzazione.
Doveva sbrigarsi subito, se voleva raggiungerli e chiacchierare con loro, per avere notizie dall’unico pianeta civilizzato del sistema.
Sapere come se la passavano su Verris VI era sempre interessante, specie perché progettava di spendere tutti i propri risparmi su quel mondo non appena avesse ottenuto il permesso di ferie, e sapere come muoversi e dove andare era fondamentale.
Il turno passò più in fretta del previsto, lasciandogli il tempo di provare a trovare i nuovi arrivati in mensa, prima che andassero a dormire.
In realtà, sarebbero ripartiti due giorni dopo, ma Jaco non voleva sprecare neanche un attimo del tempo che poteva passare con una sua recente conoscenza, che sperava sempre di trovare a bordo di quegli enormi portacontainer.
Mensa e alloggi erano abbastanza distanti dagli hangar, oltre gli stabilimenti di raffinazione di quel complesso, oltre gli uffici amministrativi locali e oltre gli ingressi delle miniere, ma per fortuna la monorotaia collegava tutti quegli ambienti in maniera parecchio efficiente, con due stazioni per ogni ala del complesso.
I locali della mensa erano tristemente vuoti, ma lui non aveva per nulla intenzione di lasciar perdere. Gli alloggi dedicati agli equipaggi in transito erano i più vicini alla mensa, per non ostacolare una partenza improvvisa, quindi non doveva faticare molto per raggiungerli.
Chiedere quali cuccette fossero state appena assegnate non fu difficile, né raggiungere quella occupata dalla persona che cercava.
Fortunatamente, da sola.
Bussò delicatamente sulla porta, attendendo sovraeccitato una risposta.
Niente.
Bussò di nuovo, lievemente più forte.
Ancora nulla.
Jaco abbassò lo sguardo, scuro in volto.
Chissà dov’era ora.
<< Posso farmi la doccia in pace? >> chiese lei aprendo improvvisamente la porta, un cipiglio severo in volto.
Era la ragazza più bella che avesse mai visto, l’unica presenza femminile in quella miniera.
I lunghi capelli neri, tinti di azzurro neon sulle punte, le cadevano umidi sulla spalla destra, nuda, coprendo la liscia pelle bruna e ancora ricoperta di minuscole perle d’acqua.
Poco sotto la tempia rasata, dalla nuca fino al polso sinistro, scorreva tutta una serie di minuti tatuaggi neri, come una fine cesellatura sul suo corpo scolpito.
<< Ehi, Virgo… >> la salutò Jaco sorridendo, prima che il suo sguardo divenisse vacuo e il tepore dell’imbarazzo iniziasse ad avvampargli le orecchie.
La ragazza lo fissò seccata, indugiando per un secondo sulla soglia.
Indossava solo un candido asciugamano che le copriva i fianchi e la vita, lasciando scoperti, quanto bastava per far viaggiare l’immaginazione, cosce e seno.
<< Dai, entra, idiota. >> disse lei afferrandolo per il polso e tirandolo dentro la sua temporanea sistemazione.
<< Come… come è andato il viaggio? >> chiese lui farfugliante, cercando di reprimere i suoi più bassi istinti.
<< Al solito, dieci ore a fissare i soli dietro vetri polarizzati. Una noia. >> rispose lei raggiungendo il suo borsone poggiato sul letto e sfilandosi l’asciugamano di dosso.
<< Scusa se ti disturbo... >> continuò Jaco distogliendo lo sguardo imbarazzato mentre lei gli tirava l’asciugamano in faccia e si vestiva rapidamente, dandogli le spalle.
<< Nah, non ti preoccupare. >> disse lei infilandosi culottes e pantaloni, neri e aderenti, che non nascondevano minimamente nessuna delle curve del suo sinuoso e snello corpo. << Come va la vita in miniera? >>
<< Oh, il solito. Abbiamo bucato un altro camino oggi. >> rispose lui togliendosi l’asciugamano bagnato dal volto. << Che si racconta in città? >>
<< Molto, a dire la verità. C’è fermento nella capitale, qualcosa di grosso in ballo, ma non so dirti cosa. >> disse lei infilandosi un maglioncino grigio e voltandosi.
<< Non indossi…? >> chiese Jaco incuriosito, un’espressione da ebete in faccia.
<< No. >> tagliò corto lei, mordendosi impercettibilmente lo scuro e sottile labbro superiore, i grandi occhi celesti ridotti a due fessure, quasi un segno di sfida. << Dicevo, sono partiti diversi convogli militari, però non si sa il motivo, e non vogliono dirlo. >>
<< Oh, già altri problemi con l’Impero? >> disse Jaco grattandosi il naso, evitando il contatto visivo con la ragazza davanti a lui.
<< Dubito. Mi offri un caffè? >> chiese la ragazza sedendosi sul letto e indossando due bassi anfibi neri.
<< Sarebbe il numero…? >>
<< Sette. Allora, offri? >> rispose lei afferrando una corta giacchetta scura e avviandosi verso il corridoio a grandi falcate, come fosse una puledra scalpitante.
Lei aveva a malapena due anni più di lui, ed era una tipa dannatamente tosta, come aveva concordato all’unanimità la squadra di scavo di Jaco indugiando a lungo con lo sguardo sul fondoschiena della ragazza.
Lui aveva sentito il cuore accelerare come l’aveva vista per la prima volta, mentre lei attraversava il corridoio della mensa otto mesi prima, durante una delle sue soste mensili all’interno dello stabilimento minerario.
Per un breve periodo, a causa di un eccesso produttivo della miniera, le sue visite erano addirittura divenute settimanali, cosa di cui Jaco aveva approfittato per avvicinarla e iniziare a farci amicizia, riuscendoci in un tempo sorprendentemente breve, colpa anche il fatto, probabilmente, che lì in mezzo, tra tutti quei minatori rudi e gravati dal lavoro pesante, era tra i più giovani.
Virgo si era rivelata una ragazza particolarmente aperta, dal carattere deciso, a tratti anche fin troppo vivace e, soprattutto, dannatamente carina.
Per fortuna, lei non sembrava accorgersi di quanto Jaco si rincretinisse in sua presenza, o molto più probabilmente, ci passava sopra con raffinata e ben celata eleganza, forse perché in fondo non le dispiaceva avere un dispensatore gratis di caffè e alcol all’interno della struttura, o forse perché apprezzava parlare con qualcuno diverso dai soliti cosmonauti che la accompagnavano nei suoi quotidiani viaggi tra lune e pianeti.
<< Ah, il ciondolo… >> disse Virgo piegandosi rapida sul letto e afferrando una sottile collana argentata posta sopra il borsone, un minuscola u dorata, sormontata da un punto. << Mi aiuti? >>
Lei si voltò, offrendogli la nuca, e Jaco afferrò delicatamente la minuscola catenina dalle sue mani con un groppo in gola, neanche fosse una reliquia rara.
Quanto era idiota.
Chiuse il ciondolo, che lei aveva sempre indossato da quando l’aveva conosciuta, al terzo tentativo, mordendosi la lingua e strizzando gli occhi per lo sforzo.
<< Fatto, andiamo? >> concluse infine trionfante.
Lei si voltò per un attimo, sorrise maliziosa, sempre con quell’aria di sfida negli occhi, e uscì dalla stanza.
Già, era un grandissimo idiota.
<< È un sacco di tempo che mi chiedo perché lo indossi sempre. >> disse lui seguendola nel corridoio, mentre lei indossava la giacca azzurra della sua uniforme e infilava le mani nelle tasche troppo vicine al suo petto.
<< È un vecchio regalo di mio padre. Dovrebbe essere di sua madre, e prima ancora della madre di sua madre, e così via, nei secoli dei secoli… >> rispose lei guardando oltre la vetrata polarizzata il suolo roccioso e aspro del piccolo pianeta, la mente probabilmente altrove.
<< E che significa? >> incalzò lui, sperando di riuscire a strapparle qualche racconto lungo abbastanza da perdersi nelle sue parole.
<< Oh, è una lettera in un antico alfabeto terrestre. Papà diceva che serviva a ricordare le nostre origini, ma non ho mai seguito i deliri del mio vecchio. >>
<< E allora perché la indossi? Affezionata alla nonna? >> chiese lui, sperando di strapparle una risata.
<< No. >> rispose lei improvvisamente fredda, fermandosi a fissare una stella cadente che attraversava la sottile atmosfera e si spegneva in qualche cratere in mezzo al freddo deserto ferroso spazzato dai raggi solari. << Mio padre è sparito nella purga di Varus, è ciò che mi è rimasto di lui. >>
<< Ah. >> rispose Jaco, gli occhi sbarrati e la pessima sensazione di aver toccato un tasto dolente.
<< Hai espresso un desiderio? >> chiese lei riprendendo a camminare.
<< Perché? >>
<< Stella cadente. >>
<< Non l’ho vista. >>
<< Ma sei cieco. >>
Jaco guardò fuori.
Le stelle erano appena visibili nel morente cielo ocra, nascoste dalle luci dei complessi industriali.
<< Dai, ti muovi? >> lo richiamò lei, inclinando la testa e fissandolo intensamente, ferma davanti alla porta del successivo corridoio.
Jaco si morse il labbro e riprese a camminare, seguendola docilmente verso la mensa.
 
<< Quindi ti sei deciso a unirti a noi? >> chiese lei poggiando la tazza termica in acciaio sull’asettico piano metallico che usavano come tavolo.
Jaco si grattò la nuca.
<< Il contratto mi scade fra quattro mesi, ci sto pensando. È che mi trovo bene qui. >>
<< Ma scherzi? Non sei fatto per scavare sassi. Dai, non ci vuole nulla a diventare cosmonauta. >> insistette lei inspirando a fondo i fumi del caffè bollente. << I mercantili sono sicuramente meglio di questo buco. >>
<< Lo so. L’idea mi alletta, però… >>
<< Però? Non hai le palle per affrontare il cambiamento, ammettilo. >>
<< Vogliamo vedere? >> rispose lui, le orecchie in fiamme.
Era incredibile come Virgo sapesse premere i tasti giusti, riducendolo ad una maledettissima marionetta di cui reggeva i fili.
Lo faceva sentire stupido, ma non sapeva resistere.
<< Cos’è, una scommessa? Mi piacciono le scommesse. >> disse lei, strizzando di nuovo gli occhi e leccandosi quasi di nascosto il labbro superiore.
<< A me no. >> bofonchiò Jaco imbronciato, incrociando le labbra.
<< Beh, deciditi. >>concluse lei avvicinando la tazza alla bocca.
Le porte della mensa si schiusero, facendo entrare una gran moltitudine di uomini, tutti cosmonauti imbarcati sui mercantili attraccati in quella stazione, che affollarono rapidamente il locale.
Qualche minatore incuriosito seguiva la folla che si andava accalcando intorno ad un bancone, su cui l’addetto alla gestione dello spazioporto era salito e da cui stava richiamando l’attenzione di tutti i presenti.
<< Che succede? >> si chiese Virgo alzando la testa dalla sua tazza, sorpresa e incuriosita da una tale folla.
Jaco si voltò per osservare meglio la scena.
<< Signori! Signori, un attimo di attenzione! >> urlò l’ufficiale sbracciandosi finché il brusio che i presenti generavano non cessò del tutto. << È appena arrivato un comunicato importane da Verris VI, vi chiedo di mantenere la calma. Il pianeta è stato posto sotto quarantena, quindi tutti i voli in partenza sono stati cancellati. Per ragioni di sicurezza è stato inviato un contingente militare verso il nostro spazioporto, per ispezionare ogni nave attualmente attraccata. >>
<< Il perché della quarantena? >> chiese un capitano non troppo distante dal tavolo eletto a palco.
<< Epidemia, non è stato specificato altro. >> rispose l’ufficiale.
<< Non mi piace. >> mormorò Jaco.
<< Vorrei vedere. >> rispose Virgo finendo il suo caffè.
La ragazza si alzò e fissò la porta.
<< Io mi faccio un giro, vieni con me o hai da lavorare? >> chiese, infilandosi le mani in tasca.
<< No, per oggi ho finito. Ti accompagno. >> disse lui alzandosi, mentre la ressa continuava ad aumentare, colpa anche l’avvicinarsi dell’ora di cena.
Quella notte Jaco fece fatica ad addormentarsi, e passò diverse ore steso al buio a invidiare la resistenza alla caffeina di certa gente di sua conoscenza.
Di questo passo la mattina dopo in miniera ci sarebbe arrivato strisciando.
   
 
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