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Autore: annalisa93    13/01/2018    0 recensioni
Questa storia non è mia, ma di una mia amica, il suo profilo ufficiale lo trovate su wattpad : https://www.wattpad.com/user/ChiBa93
GENERE: sentimentale, thriller, mistero, psicologico, urbanfantasy.
Diciassette ragazzi.
Diciassette anime diverse, ognuna con il proprio passato, con le proprie fragilità e con le proprie aspettative per il futuro.
Diciassette cuori destinati ad incontrarsi e a scontrarsi.
Diciassette persone che si ritroveranno ad indagare su una serie di misteriose scomparse e sull'inquietante morte di una giovane liceale, avvenuta quarant'anni prima.
N.B: Questa storia è una light novel, ovvero un romanzo con illustrazioni in stile manga
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Ciao a tutti :) 
Volevo informarvi che dopo questa ho soltanto un'altra parte da pubblicare, poi dobbiamo aspettare che le autrici pubblichino su Wattpad...
Come sempre, vi auguro una buona lettura :) 

 

There are things that we can have, but can't keep

If they say

Who cares if one more light goes out?

In a sky of a million stars

It flickers, flickers

Who cares when someone's time runs out?

If a moment is all we are

We're quicker, quicker

Who cares if one more light goes out?

Well I do

(Da One More Light, Linkin Park)

 

Il viaggio in macchina fu molto silenzioso. Sui sedili posteriori, Jared e Luke continuavano a guardarsi in cagnesco, mentre tamponavano le ferite sanguinanti con dei fazzoletti: Jared aveva un labbro rotto, Luke stava facendo i conti con un'epistassi che faticava ad arrestarsi. Si limitarono a seguire in silenzio il percorso della BMW che il dottore guidava attraverso la campagna lucchese. La dimora degli Stevenson era immersa fra le verdeggianti colline del morianese, circondata da uliveti e vigneti che si estendevano a perdita d'occhio, e raggiungibile solo percorrendo una stretta e tortuosa via, piena di ciottoli e buche, che la collegava alla strada principale. Dopo aver attraversato l'ultimo tratto della stradina sterrata e aver parcheggiato l'auto, Konstanz si voltò verso i due ragazzi. «Siamo arrivati.» Annunciò. I tre scesero e, una volta recuperati i propri bagagli, Luke e Jared seguirono il dottore che li condusse all'ingresso della villa, un imponente casolare completamente ristrutturato, illuminato dagli eleganti lampioni che costeggiavano il viale, ricoperto di ghiaia, che collegava il parcheggio allo spiazzo circolare antistante l'edificio, adornato da enormi vasi di pietra, destinati a riempirsi di fiori colorati con l'arrivo della primavera.

Dopo aver fatto ingresso in casa, il signor Stevenson chiamò la moglie:

«Ellie, siamo noi. Puoi portarmi la mia cassetta del pronto soccorso?»

In men che non si dica, udirono dei passi concitati muoversi nella loro direzione. Poco dopo videro sbucare dal tinello una donna bionda, i capelli biondi raccolti in uno chignon disordinato, tutta trafelata, con un'espressione preoccupata dipinta sul volto. «Che è successo?» Domandò, asciugandosi le mani con uno straccio. A quel punto Konstanz, senza dire una parola, si spostò, rivelandole la presenza dei due ragazzi e dei loro volti tumefatti. Lo sguardo incredulo della donna si spostò velocemente da Luke a Jared e viceversa. Fu in quel momento che comprese: quei due si erano picchiati. «Oh, ragazzi... ma cosa avete combinato?» E subito andò ad abbracciarli.

«Ciao Elena, è un piacere rivederti.» Dissero i due, ricambiando l'abbraccio e scambiandosi un'occhiata imbarazzata e dispiaciuta, come se si fossero resi conto, solo in quel momento, della stupidità con cui avevano agito, facendo a botte.

Poi, lentamente, Elena sciolse l'abbraccio e, rivolgendosi a Jared, disse: «Non mi aspettavo di vederti, ma sono contenta che anche tu sia qui. Spero tu voglia rimanere a cena con noi.»

«Veramente... non vorrei approfittare della vostra gentilezza e arrecarvi disturbo.»

«Tranquillo, nessun disturbo, tanto devo ancora buttare giù la pasta. Purtroppo, però, non ho avuto molto tempo, perciò vi dovrete accontentare di una pasta al pomodoro e di cotolette impanate, con contorno di patatine fritte o insalata. Spero vada bene.» disse, guidando i ragazzi verso il tinello e facendoli accomodare a tavola. «Mentre Konstanz disinfetterà e medicherà le vostre ferite, io vado a finire di preparare la cena. Se avete fame, lì, sul tavolo, ci sono dei grissini e un po' di focaccia.»

«Va benissimo. Grazie.» asserirono Jared e Luke, sedendosi e osservando la loro ospite sparire nella cucina attigua, da cui proveniva un invitante profumo di sugo al pomodoro. Elena era una cara amica di vecchia data di Paolo e Heidi, si erano conosciuti ai tempi dell'università, quando tutti e tre frequentavano l'università di Trento, e da allora non si erano mai separati e avevano trovato il modo di vedersi nel corso degli anni e di far conoscere i loro figli, in modo che potessero diventare amici, anche se vivevano lontani.

«Io salgo di sopra a prendere la cassetta del pronto soccorso.» Intervenne il dottore. «Spero che abbiate il buon senso di restare tranquilli e di non riprendere a litigare.»

I due, all'affermazione dell'uomo, non poterono trattenere un sorriso a metà fra il divertito e l'indignato, della serie: per chi ci prende? Non abbiamo mica dieci anni! Possiamo stare dieci minuti da soli senza azzannarci a vicenda. «Ma certo, stia tranquillo, dottor Stevenson. Quando tornerà ci troverà non più distrutti di quanto lo siamo adesso.» promisero solennemente.

«Bene. Torno subito», e così dicendo salì la rampa di scale che conduceva al piano superiore. I ragazzi, nel frattempo, cominciarono a guardarsi attorno. L'arredamento della stanza era di gusto classico e raffinato e gli elementi, tutti dello stesso colore, erano estremamente coordinati fra di loro: un grande tavolo in legno, ovale e beige, dai gambi arricciati, era posizionato al centro, circondato da sei sedie ad esso coordinate per foggia e materiale. Ad una delle pareti laterali poggiava un'alta e ampia credenza, anch'essa di legno, dalle cui ante in vetro si poteva intravedere la pregiata cristalleria da essa custodita. All'altra parete, invece, era addossato un altro mobile più basso, su cui erano posizionate una piccola televisione a schermo piatto e alcune foto di famiglia. Una delle pareti di fondo era occupata da una grande porta finestra che dava sul giardino sul retro, mentre sull'altra una pesante tenda, dai panneggi chiari, copriva una finestra che si affacciava sullo spiazzo all'ingresso. L'occhio di Luke cadde sulle numerose foto posizionate sul mobiletto, che ritraevano la famiglia Stevenson, e un profondo senso di disagio e dispiacere invase il suo animo. C'era una nota stonata in ognuna di esse, e lui lo sapeva benissimo. Distolse un attimo lo sguardo e lo puntò su Jared. Si sorprese nel trovarlo assorto, con gli occhi fissi su una foto di Sakura, in cui lei aveva più o meno dodici anni.

«Dimmi la verità. Perché sei qui?» domandò all'improvviso, cogliendolo alla sprovvista.

Jared tacque un istante, poi, con voce ferma e tranquilla, rispose: «Te l'ho detto, devo suonare alla serata Rock al teatro del Ponte.»

«Se pensi che possa credere a questa scusa inventata all'ultimo minuto, sei proprio un povero scemo» lo accusò lui, prendendo un grissino ricoperto di sesamo dalla cesta al centro del tavolo. «Ti prego... dimmi solo che non sei qui per lei...» lo scongiurò, poi, indicando con un cenno del capo la foto che poco prima aveva attirato l'attenzione dell'amico.

Il giovane lo fissò con l'espressione di chi era stato colto in fallo. A quel punto, gli occhi grigi di Luke si indurirono e, assumendo un cipiglio severo e sensibilmente adirato, si inchiodarono in quelli viola del suo interlocutore. Aprì la bocca, ma Jared lo anticipò, impedendogli di esprimere la propria opinione al riguardo. «Se sono qui, non è per il motivo che pensi tu... ho una missione personale da compiere e, per portarla a termine, devo parlare con Sakura.» affermò con decisione, serrando i pugni.

«M-missione...?» balbettò Luke, visibilmente sorpreso. «Che genere di missione?»

«Non te lo posso dire, per adesso.» Avrebbe voluto rispondergli in maniera più colorita, come avrebbe fatto normalmente, ma non voleva provocarlo, o la discussione sarebbe finita, ancora una volta, con una scazzottata. E non poteva permetterlo, vista la parola che avevano dato al dottore.

Luke sospirò rumorosamente, rivelando chiaramente la sua insoddisfazione e la sua irritazione per la risposta ricevuta. Tuttavia, cercò di mantenere la calma. «E come pensi di fare? Come farai a parlarle?» Domandò. «Insomma... sai cosa intendo... lei non si ricorda di noi.»

«Credi che non lo sappia? Mi inventerò qualcosa, non ti preoc-» s'interruppe bruscamente, poiché il dottor Stevenson fece il suo ingresso nella stanza.

«Eccomi di ritorno, ragazzi.» disse, appoggiando la pesante cassetta sul tavolo. Dopodiché studiò attentamente, con occhio clinico, le ferite riportate dai due ragazzi. «Direi di iniziare da te, Jared. Benché siano tutte superficiali, le tue ferite sono più numerose» affermò, prendendo posto sulla sedia proprio accanto a quella del ragazzo. «Luke, ci sei andato giù pesante, eh» commentò allibito e sarcastico, aprendo la valigetta e ed estraendo una boccetta di disinfettante a base di acqua ossigenata, del cotone e un dispenser di gel igienizzante per le mani.

Lui, per tutta risposta, mostrò un sorriso tirato. «Eh sì, forse ho un tantino esagerato.» In realtà, se il dottore non fosse intervenuto e avesse sedato la rissa, avrebbe continuato a picchiarlo ancora un po', tanta era la rabbia che aveva covato in corpo.

«Lo credo anch'io.» Convenì Konstanz, erogando due gocce di gel sulle mani e stofinandole con attenzione. Subito l'odore di quella sostanza andò a pizzicare le narici di Luke, catapulatandolo ai giorni del tirocinio in ospedale quando, cercando di non farsi vedere dagli infermieri, dai medici e dagli specializzandi in reparto, se si trovava nei pressi di un carrello dei medicinali, ne approfittava per lavarsi le mani con quel gel. Adorava l'odore e il senso di freschezza che lasciava sulle mani. Per questo, vedendo il contenitore sul tavolo, non poté trattenersi dall'utilizzarne anche lui qualche goccia. Sfregandosi le mani, poi, cominciò ad osservare in maniera scrupolosa ogni azione eseguita dal dottore durante la medicazione, anche se si trattava di un'operazione semplice, che tutte le persone sanno fare, più o meno. E mentre portava avanti il suo lavoro, il dottore intrattenne una conversazione con i due giovani, parlando dei loro progetti futuri, della carriera da musicista di Jared, che stava decollando rapidamente e sarebbe stata definitivamente sancita con il debutto del Thunder & Lightening Tour, e degli studi di medicina di Luke, che si sarebbero conclusi di lì a meno di un anno.

«E dopo la laurea cosa vorresti fare?» domandò Konstanz a Luke, rimettendo a posto tutti gli strumenti impiegati nella pulizia delle lesioni che aveva appena portato a termine.

Luke, a quel punto, si spostò i capelli dalla fronte con un gesto imbarazzato e distolse lo sguardo dal dottore. «Mi piacerebbe... ecco, io... io vorrei seguire le sue orme e fare il neonatologo.» Strinse i pugni, quasi per prendere coraggio. «Mi piacerebbe fare per altri bambini, quello che lei ha fatto per Elias. Vorrei poter rendere omaggio alla memoria di mio fratello, aiutando altri bambini come lui.» Confessò, riportando finalmente gli occhi sul signor Stevenson. Nel suo sguardo scorse una nota di profondo stupore.

«Sono davvero onorato che tu mi prenda come esempio.» affermò l'uomo. «Ma la tua motivazione... quella sì che è ammirevole.» continuò, mentre il labbro tremava leggermente. «Elias era un bambino così buono e sensibile, avrebbe sicuramente appoggiato con molto entusiasmo questa tua scelta. Sono sicuro che sarebbe molto fiero di te.»

«Lo spero, signore. Lo spero con tutto il cuore.» Sussurrò Luke. Ci sperava davvero, sperava che il suo fratellino potesse essere fiero di lui, che fosse disperso da qualche parte nello spazio sconfinato della Terra o che fosse in cielo a sorridere con gli angeli.

«Se hai bisogno di un aiuto nell'elaborazione e nella stesura della tesi, non esitare a chiedere. Qui, in casa, abbiamo una biblioteca scientifica ben fornita.»

«Se potesse dare un'occhiata a quello che sono riuscito a buttare giù fino ad ora, gliene sarei immensamente grato.»

«Certo, quando vuoi.»

Proprio in quel momento, dalla porta della cucina fece capolino la testa di Elena. «La cena è pronta. Ragazzi, vi va di aiutarmi ad apparecchiare?»

«Arriviamo.» Jared e Luke si alzarono e raggiunsero la donna in cucina, mentre Konstanz riportò la cassetta del pronto soccorso a posto.

   
 
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