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Autore: BabaYagaIsBack    14/01/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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capitolo ventunesimo
parte prima

 

"I know we both want to do the right thing
But the needle in our compass is trembling
Trapped in the flame as our house burns down
Left for dead 'cause we can't find common ground"

Common Ground, Our Last Night



 

Era bastato un secondo. O meglio, era bastato un gesto per far sì che il mondo intorno a lui si annullasse nuovamente, trasportandolo altrove. Il modo in cui la schiena di Levi si era piegata in avanti per afferrare Alexandria, per impedire che si accasciasse a terra esanime lo aveva riportato a quella notte di chissà quanto tempo prima, a Innsbruck, e lì li aveva rivisti entrambi. Era stato come venir spinto coscientemente in un sogno e nonostante gli fosse parso di restarci imprigionato per lunghissimi minuti, non dovevano essere trascorsi più di alcuni istanti, giusto il tempo di venir schiacciato contro la porta. Quando il braccio della Chimera si era allontanato dal suo petto anche quelle immagini si erano dissolte, riportandolo con eccessiva violenza alla realtà - peccato che avrebbe preferito non succedesse.
Nello scorgere la testa abbandonata di lei oltre le spalle di Levi, Noah sentì il sangue defluirgli dal viso facendolo vacillare.
D'improvviso la paura di averle fatto del male, del male serio, lo investì al pari della furia del suo Generale e così, premendo i polpastrelli sulla porta per essere sicuro di non crollare a terra, si spinse in avanti col busto, allungando il collo tanto da sentire la pelle tirare; perché doveva vedere, doveva essere certo di non aver fatto qualcosa di irreparabile.

Deglutì.

Pian piano però, in quello sforzo, le dita si allontanarono sempre più dal legno fin quasi  a staccarsi completamente; solo il medio lo teneva ancorato a quello che aveva sperato essere il suo appiglio in caso di un cedimento delle gambe, quegli stessi arti che avevano finito con il muoversi da soli facendolo timidamente avanzare in direzione delle Chimere. 
Anche Zenas, seppur in ritardo rispetto al fratello, si era curvato silenzioso su Alexandria per vedere... cosa? Dei cambiamenti? Degli sfregi? Oppure segni di vita? Che l'avesse ammazzata davvero? A quel pensiero, Noah tremò. 
No, si disse, Z'èv non poteva essere morta. Non dopo ciò che aveva visto. Aveva così tanto da dirle, da chiederle, da capire!
Mosse un altro passo, arrivando finalmente a scorgerle il viso. Non importò quanto le due creature la stessero stringendo, chiudendosi su di lei quasi a proteggerla, da quel punto il ragazzo riuscì a vederla - ed era viva, grazie al cielo, anche se visibilmente sconvolta. Aveva gli occhi sbarrati, fissi su un punto indefinito del soffitto sopra le loro teste, i capelli più scuri a incorniciarle il volto e, sotto la pelle terribilmente pallida, le vene svettavano come le linee di una mappa. Stava boccheggiando, anche se a lui sembrò che in realtà stesse ripetendo una specie di litania.

«S-St-a b-bene?» gli sfuggì di bocca in un sussurro. E Levi nell'udirlo parve irrigidirsi. «Sta... b-bene, vero?»
Quasi stesse maneggiando del cristallo, Nakhaš si protese verso il fratello. Con una delicatezza quasi innaturale lasciò tra le braccia di Zenas la ragazza e poi, con uno scatto, gli si scagliò contro; e stavolta l'impatto con la porta fu ben più violento, tanto che nello sbattere la testa Noah si morse la lingua, riempiendosi la bocca con il sapore ferroso del sangue.
«Che cazzo ti è saltato in mente? Eh?!» stingendo il pugno sull'orlo del colletto, Levi gli arrivò così vicino da fargli sentire la vibrazione della propria voce nell'aria. Aveva lo sguardo febbrile, i denti digrignati e, soprattutto, il viso ricoperto di squame irte e minacciose. Era furioso, fuori di sè: «Amareti lakhem lo lehitebadeakh 'im ʼalĕki̇ymĕyáh!» Lo sentì gridare a ridosso della propria faccia - e involontariamente non riuscì a frenarsi dallo spostare lo sguardo, dal posarlo oltre la rabbia di lui, le sue spalle, arrivando così a leiLa sua sesta Chimera. E si sentì morire. Quell'aberrante spettacolo non valeva un solo minuto dell'ebrezza provata poco prima e se lo avesse saputo si sarebbe fermato, l'avrebbe allontanata il più in fretta possibile, l'avrebbe protetta da se stesso e il potere che ora si scoprì possedere e, soprattutto, temere.

 

«Ani medaber itekha!» Il pugno di Nakhaš gli si premette addosso con maggior forza, lo scosse appena, eppure Noah non riuscì a distogliere l'attenzione da Alexandria. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei, sfiorarla, chiederle come stesse; peccato che il corpo sembrasse tutto fuorché intenzionato a muoversi. Imprigionato tra la porta e il busto della Chimera si sentì nuovamente incapace d'agire.
«Salomone!» Un nuovo grido. Un richiamo. Un sussulto.
Sbattendo le palpebre il ragazzo tornò in sé riacquistando la lucidità persa e riprendendo coscienza delle proprie membra.
Salomone, ripeté volgendosi verso Levi. Quello non era il suo nome, pensò, eppure in qualche modo complicato e perverso sapeva appartenergli, sapeva che avrebbe finito con il rispondere ogni volta che lui lo avrebbe chiamato a quel modo. Lo faceva da sempre, anche in quel momento.

«I-io... non volevo» biascicò, incapace di difendersi. «N-non so nemmeno...»
«Yekheleta leharug otah!» La voce della Chimera si fece roca, graffiante. Noah poté percepire la vibrazione quasi dolorosa delle sue corde vocali, la voglia di colpire e far male, di punirlo per ciò che aveva quasi fatto - un errore irreparabile, un peccato mortale. E seppur in quel momento non riuscisse a esprimerlo, comprendeva la paura di Levi meglio di quanto lui potesse credere. La sentiva anche lui, ne distingueva le dita ruvide aggrovigliarsi intorno al cuore e stringere, quasi a volerlo sopprimere. 
«Yekheleta...» ma non riuscì a finire. Poco distante da loro, con un tono assai più pacato, Zenas si mise in mezzo.
«Basta. Tafessiq, akh.» Entrambi si volsero verso di lui, scoprendolo in piedi. Ritto in mezzo al salotto, serio come mai Noah lo aveva visto, l'omaccione teneva Alex in braccio. Con la testa abbandonata sulla sua spalla, persino lei li stava guardando, rimproverandoli mutamente per quella sceneggiata. Non sembrava arrabbiata, piuttosto esausta, sfinita sia per ciò che era successo, sia per ciò a cui stava assistendo - e come biasimarla? Doveva star passando le pene dell'Inferno dopo quello che le aveva fatto. «Stai solo peggiorando la situazione, akh.» Continuò imperterrito Akràv: «Il ragazzo non l'ha fatto apposta. È stato sopraffatto dalle emozioni, può succedere.»
Levi mollò la presa sulla maglia del giovane e con una sorta di grugnito scosse la testa: «No. No, non può succedere. Non deve succedere» sentenziò. «Può capitare che in preda all'ira si tiri uno spintone, che si urli, che si rompa qualcosa, ma non questo. Vi avevo detto di non usare l'alchimia, di aspettare. Non è pronto, lui-»
«Zo ashemati» soffiò la ragazza per sedare il fratello; e per un attimo, subito dopo, il silenzio calò al pari di una ghigliottina. Scese nella stanza veloce come la lama che trancia la nuca del condannato e cogliendo tutti di sorpresa gli fece inarcare le sopracciglia. Le parole di Z'èv arrivarono inaspettatamente e anche se Noah non aveva idea di cosa volessero dire, solo guardandola e incrociando lo sguardo con il suo, seppe che lo stava difendendo. Per una volta era dalla sua parte. Nonostante l'avesse quasi ammazzata lo stava spalleggiando, proteggendo dalla furia della Chimera-Serpente.
«S-sono stata io a... istigarlo. Lui...» per un attimo Alex parve essere a corto di fiato, incapace di proseguire, eppure non demorse. Stava davvero cercando di impedire a Levi di inveire contro di lui: «Noah voleva s-solo... parlare.» Ma anche quella dichiarazione parve non essere sufficiente.
Soffocando una risata infatti, Nakhaš avanzò verso i fratelli: «Mi auguro tu stia scherzando.»
Dal punto in cui era, Noah non riuscì a vedere l'espressione sul viso del Generale, eppure qualcosa, nel modo in cui i muscoli gli guizzarono sotto alla t-shirt stropicciata, gli fece capire che doveva essere ben lontano dall'essere divertito. 

«È stato... un errore, Levi.»
«Un errore che ti sarebbe costato la vita!» Un nuovo ringhiò fece sussultare i presenti. «Ti avevo espressamente detto di lasciar perdere, Alexandria!» E tremando appena tra le braccia di Zenas, Z'èv si ritrovò a tacere, forse consapevole del proprio sbaglio, e d'improvviso un lieve rossore le colorò le gote, tradendola. Era chiaro che fosse sull'orlo del pianto, lo si poteva cogliere con una semplicità disarmante - e se Levi non fosse stato così agitato, furente, se ne sarebbe reso conto a sua volta. «Zo hayetah pequdah, rozenett Varàdi» sibilò, peccato che a quel punto, innervosendosi, Akràv strinse la presa su Alex. Nel modo in cui il suo corpo si mosse sembrò quasi che volesse allontanarla quanto più possibile dal fratello e, corrugando le sopracciglia, sfidò la sua autorità: «Bada alle tue parole, Nakhaš! Anakhenu shelekha shavimanakhenu lo hakhayalim shelekha.» Lentamente, la sua pelle parve farsi lucida, trasformandosi in una sorta di guscio: «Al momento l'ultima cosa di cui ha bisogno è sentirti gridarle addosso per una cosa del genere. È stato un incidente, non l'ha premeditato! Iddio, non riesci a capire che è terrorizzata anche lei?!» Ancora una volta la tirò a sé, tanto che a Noah venne spontaneo pensare che volesse nasconderle il viso per permetterle di piangere a ridosso del proprio petto. E avrebbe fatto bene a scoppiare in lacrime. Dannazione, aveva tutto il diritto di farlo, di sfogarsi, singhiozzare e urlare come una forsennata, dopotutto chissà quanta paura doveva aver provato nel sentirsi strappare via di dosso la vita. Chissà cosa le era passato per la mente mentre lo guardava dritto negli occhi e si rendeva conto di essere tra le mani del proprio carnefice. Chissà se lo aveva maledetto, biasimato o se, semplicemente, era stata proiettata nella sua stessa visione perdendo cognizione della realtà; ma anche in quell'ultimo caso non doveva certamente essere stato un bello spettacolo. Chi avrebbe voluto rivivere un simile momento?

Sulle spalle di Levi improvvisamente sembrò cadere un peso enorme. La consapevolezza di aver esagerato d'un tratto ebbe la meglio su di lui, facendogli prendere coscienza di quanto poco avesse pensato prima di agire, di quanto le sue emozioni avessero avuto la meglio ignorando lo stato d'animo della sorella.

Lo sguardo di Zenas restò per alcuni istanti fermo su di lui, poi, lentamente, parve addolcirsi. Probabilmente sul viso di Nakhaš doveva essere emersa la colpa, il rammarico che Noah in quell'istante potè solo immaginare; dopotutto gli stava ancora dando le spalle.

«Ragazzo?» senza preavviso Akràv si rivolse a lui facendolo sobbalzare ancora una volta contro la porta. Deglutendo un groppo di saliva e sangue, l'Hagufah premette i palmi contro il legno: cosa stava per dirgli? Aveva intenzione d'infierire anche su di lui?
«Posso portarla nella tua stanza?» Con un movimento lieve delle braccia sollevò il corpo di Alexandria: «Ha bisogno di riposo.» Avvinghiata a quella specie di colosso sembrava essere piccola e indifesa al pari di una bambina e, di certo, se in quel momento avesse potuto guardarla in faccia avrebbe trovato la medesima espressione corruciata di quando ci si fa la bua e si viene sgridati da mamma o papà.
A quel pensiero il cuore gli si bloccò in gola, mozzandogli la voce. Avrebbe voluto deglutire ancora, trovare quantomeno la forza per spiaccicare un "sì", eppure non ne fu in grado: non in quel momento, non con Alex in quello stato. Come poteva rivolgersi a lei dopo che l'aveva trascinata in quel casino? Come poteva permettersi di disturbarla? Nonostante il suo silenzio però, la Chimera parve leggere la risposta nel suo sguardo e, senza aggiungere altro, si diresse verso la stanza lasciandolo solo con Levi.
Scorse la sua schiena allontanarsi, udì il suono dei passi Zenas farsi sempre più leggero e, d'un tratto, si rese finalmente conto di quanto tutto ciò che gli avevano raccontato fosse vero.

 



 

Amareti lakhem lo lehitebadeakh 'im ʼalĕki̇ymĕyáh!: ve l'avevo detto di non scherzare con l'alchimia!
Ani medaber itekha!: sto parlando con te!
Yekheleta leharug otah!: potevi ucciderla!
Yekheleta... : potevi...
Tafessiq, akh: smettila, fratello
Zo ashemati: è colpa mia
Zo hayetah pequdah, rozenett Varàdi: era un ordine, contessina Varàdi
Anakhenu shelekha shavim, anakhenu lo hakhayalim shelekha: siamo tuoi pari, non tuoi soldati

 
   
 
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