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Autore: little devile    14/01/2018    11 recensioni
”Ma… chi sei?” Domando con un tono di voce confuso. Sento le mie stesse parole lontane, come se non mi trovassi realmente in questo luogo.
“Sono Peter, naturalmente.”
“Peter…”
Il ragazzo alza gli occhi verdi al cielo e continua a svolazzare per la camera. “Peter… Peter Pan.”
Certo, questo spiegato tutto, ovvio.
Sicuramente si tratta del tumore, mi fa vedere cose assurde. Però non ha seno, mi sento bene, più che bene, quindi questa non dovrebbe essere una delle mie allucinazioni… credo!
“Sei pronta?” Mi domanda. Mi si avvicina e si ferma proprio di fronte a me. Non vola più, adesso è al mio stesso livello. È leggermente più alto di me, ha anche un profumo buonissimo, riesco a riconoscerlo subito, anche perché è il mio profumo preferito: profuma di rosa.
“Pronta per cosa?”
Il ragazzo alza di nuovo gli occhi al cielo, “ma per venire nell’isola che non c’è con me, ovviamente.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Peter Pan – l’angelo della morte
 
Corro in bagno in fretta e furia. Oggi è la terza volta che vomito, non ne posso più. Questo ciclo di chemioterapia mi sta distruggendo, sia fisicamente che mentalmente. L’unica cosa che vorrei è… morire.
Non ne posso più di vivere questa vita, di continuare a soffrire.
Non ne posso più di ingurgitare medicine su medicine.
Non ne posso più di alzarmi al mattino e mormorare ‘ehi, ma sono ancora viva.’
Non ne posso più ripetere questi cicli di chemio all’infinito. Alla fine il tumore si riformerà sempre.
Non ne posso più…
Mi sciacquo la bocca nel lavandino, poi mi soffermo a guardare il mio viso pallidissimo allo specchio. Sembro un cadavere, ho gli occhi rossi per via delle lacrime versate durante i conati. Il naso mi sgocciola, i pochi capelli che mi sono rimasti mi fanno sembrare una gallina spennata.
Oggi mi sento particolarmente stanca, a malapena riesco ad arrivare al letto della mia stanza. Mi isso su di esso ed emetto un respiro tutto tremolante. Chiudo gli occhi, cerco di dormire, in fondo le medicine che mi danno mi aiutano un sacco a farmi addormentare, una delle poche cose positive. Questa volta però sembra che non facciano effetto, oppure è colpa del vomito. Mi armo di tutta la forza di cui sono capace e scendo dal letto, barcollando di qua e di là vado in bagno per rimettere ancora. Questa giornata sarà infernale.
 
Mi hanno diagnosticato questa terribile malattia quando avevo otto anni, adesso ne ho diciotto. Ho il tumore al cervello, quindi vi lascio soltanto immaginare cosa ho passato in questi dieci anni. Non voglio stare qui a raccontarvi tutto, ma soltanto le cose basilari.
In questi dieci anni ho battuto questa bestia malvagia che soggiorna dentro di me quattro volte… però lui continua a farsi beffe di me e del mio corpo.
Ogni volta che guarisco e mi sentivo bene, dal nulla vedo i miei amici immaginari, sintomo che mi fa capire che il tumore sia ritornato. Loro si sono presentati da me quando avevo otto anni. Li vedo sul serio eh, peccato che ci sia un piccolo particolare, non sono assolutamente frutto della mia immaginazione.
Mia mamma si è messa una paura folle quando le ho detto che vedevo una donna che ballava il tango, tutta vestita di rosso, con tacchi neri. Oppure quando le ho detto che vedevo una lumaca gigante con una coppola marrone… ovviamente tutto frutto del tumore.
Ho espressamente chiesto ai miei genitori di non rivelarmi l’entità del tumore, non voglio sapere dove giace la massa tumorale. Non voglio sapere la causa della mia morte. Ormai mi sono rassegnata, morirò per via di questa malattia, ne sono certa.
Ho passato l’età adolescenziale negli ospedali per curarmi, i miei migliori amici sono le infermiere e i dottori, un’amicizia davvero speciale. Loro mi vogliono bene veramente, e io del canto mio voglio bene a loro, gli voglio un bene dell’anima. Quindi ogni volta che penso di morire, mi si stringe il cuore per loro. Penso che saranno tristi senza di me, e questo mi dà la forza per continuare a vivere. Poi penso ai miei genitori, a mia sorella, li vedo i loro sguardi, mi guardano come se soffrissero al posto mio. Loro non immaginano nemmeno quello che provo. Nessuno che sia passato su questo può immaginare cosa si prova ad avere un corpo estraneo dentro di te, che piano piano ti consuma. Ecco, loro mi danno la forza di andare avanti, di vivere alla giornata. Giuro con tutto il cuore che ci ho provato, anzi, ci sto provando da dieci anni, ma adesso sono arrivata al limite.
 
Oggi è il giorno del compleanno di mia sorella, ma io non sono a casa per festeggiare con lei. Attualmente sono ricoverata in ospedale, sembra che la chemio non stia facendo effetto. Possiamo dire con parole semplici che il tumore mi stia mangiando il cervello. Beh, buon appetito!
La dottoressa Carla entra nella mia stanza, che poi di personale non ha proprio nulla. È tutta bianca, ha un letto marrone, con lenzuola bianche. Un tavolino marrone, dove mettere le mie medicine e dell’acqua. Una tv enorme, la mia unica fonte di svago.
“Come ti senti, oggi?” Domanda tutta allegra.
Cos’ha da essere allegra, io non lo so.
Le faccio un debole sorriso, “mi sento una vera merda, grazie per l’interessamento.”
La dottoressa Carla mi guarda male. Aggrotta per qualche secondo le sue sopracciglia bionde e arriccia le labbra di rosso dipinte. “Non dire queste cose volgari.” Mi ammonisce.
Rido forte, forse troppo. Una tosse secca mi colpisce, non riesco a farla smettere, quasi soffoco. Quando mi sono ripresa, con il battito cardiaco che batte a mille, le rispondo, “ho i giorni contati, posso parlare come credo, non ti pare?”
Sembra davvero sconvolta dalle mie parole. Questa è la prima volta che parlo di morte di fronte a lei.
Per un momento la dottoressa vacilla, gli occhi verde scuro le si riempiono di lacrime. Senza dire nulla, si schiarisce la gola ed esamina la mia cartellina. So che sta facendo finta di leggere, la cartellina è al contrario.
“Allora,” mormoro per spezzare questo silenzio lugubre. “Cosa c’è scritto su quella carte…” non faccio in tempo a finire la frase, mi irrigidisco e cado sul cuscino morbido. Inizio a muovermi in modo convulsivo, sento gli occhi quasi uscirmi dalle orbite, oppure mi si stanno rovesciando all’indietro. Ma non importa, l’unica cosa che conta è che qualcosa non va.
In lontananza vedo un uccellino volare, ma sembra troppo grande per essere un volatile. Anzi, sono io che mi sento strana, quasi come se non provassi più dolore, come se non stessi avendo una crisi… come se non avessi più il cancro.
“Ehi.” Sento una voce che mi parla all’orecchio. Sono alzata dal letto, sento il corpo pieno di forze. Mi guardo intorno, sono ancora nella mia stanza d’ospedale, tranne che adesso è più luminosa, quasi un bianco angelico. Vedo me stessa stesa sul letto in preda alle convulsioni, vedo la dottoressa in preda al panico, cerca di far riprende conoscenza al mio corpo. Cerca di calmarmi, ma inutilmente.
“Mi vedi o sono invisibile?” Sento di nuovo quella voce, ma non devo sforzarmi per vederla, è davanti a me. Si tratta di un ragazzino, sembra avere quattordici, al massimo quindici anni. Ha una criniera bionda e leggermente riccioluta, un viso ovale, occhi verdi e carnagione pallida. Indossa un abito verde, sembra quasi fatto di foglie, ma questo non mi tocca minimamente. L’unica cosa che riesco a notale è che sta levitando, anzi, sta letteralmente volando in fondo la stanza.
”Ma… chi sei?” Domando con un tono di voce confuso. Sento le mie stesse parole lontane, come se non mi trovassi realmente in questo luogo. 
“Sono Peter, naturalmente.”
“Peter…”
Il ragazzo alza gli occhi verdi al cielo e continua a svolazzare per la camera. “Peter… Peter Pan.”
Certo, questo spiegato tutto, ovvio.
Sicuramente si tratta del tumore, mi fa vedere cose assurde. Però non ha seno, mi sento bene, più che bene, quindi questa non dovrebbe essere una delle mie allucinazioni… credo!
“Sei pronta?” Mi domanda. Mi si avvicina e si ferma proprio di fronte a me. Non vola più, adesso è al mio stesso livello. È leggermente più alto di me, ha anche un profumo buonissimo, riesco a riconoscerlo subito, anche perché è il mio profumo preferito: profuma di rosa.
“Pronta per cosa?”
Il ragazzo alza di nuovo gli occhi al cielo, “ma per venire nell’isola che non c’è con me, ovviamente.”
Ridacchio, “Perché dovrei venire con te?”
Il biondino mi si avvicina ancora, adesso siamo naso contro naso, riesco addirittura a contargli sette lentiggini sugli zigomi.
Ha il volto serio, quasi drammatico. “Perché il viaggio sta per finire, la tua storia sta per concludersi. Sei ponta per andare in un posto più magico, dove ci sono un sacco di cose strane…” Mi fa l’occhiolino, “Beh, l’isola che non c’è cambia da persona a persona, chissà come si presenterà con te.”
Alzo una mano per zittirlo. Il mio viaggio sta per finire? Ma cosa significa? “Cosa intendi dire con… il mio viaggio… io non capisco.”
“Girati.” Mi dice, poi indica il letto. Ci sono ancora io distesa sul letto, sembra che le convulsioni siano finite. Giaccio sul letto inerme, addormentata… oppure.
“Devi decidere ora.” Mi sussurra in un orecchio. “Puoi venire con me e giocare con i bambini sperduti, per sempre. Oppure puoi ritornare lì e vivere altri anni di sofferenze. A te la scelta.”
Lentamente mi avvicino al letto dove dormo. No sento nulla, nemmeno freddo ai piedi dato che sono scalza. Quasi non sento battere nemmeno il mio cuore.
La dottoressa è uscita dalla stanza, non so dove sia andata, quindi ne approfitto per guardare me stessa stesa nel letto. Il viso è più pallido del solito, ho le labbra leggermente blu. I capelli ormai non ci sono più, mi sono caduti da qualche giorno.
Titubante alzo una mano, con un tocco leggero lo poso sulla mia stessa guancia… ma non tocco nulla, sembra che la me stessa che sta bene sia un fantasma. E poi capisco, all’improvviso capisco tutto. Sono morta!
Penso a quello che mi detto il ragazzo, Peter. Mi ha detto che posso andare con lui, magari in paradiso. Mi volto e lo guardo, mi sta fissando intensamente. “Se verrò con te… anche lì avrò il tumore? Starò male?”
Si piega leggermente sulle ginocchia, poi inizia a volteggiare sulla mia testa. Sorride, addirittura. “Certo che no. Dove andremo noi non esistono malattie. Lì ci sono soltanto cose belle e tanto divertimento.”
Titubante mi guardo ancora una volta stesa nel letto. Poso lo sguardo sul mio petto, noto soltanto adesso che non si muove.
Possibile che sono morta soltanto per una convulsione? Possibile che mi è stata donata una possibilità per liberarmi di tutto questo dolore?
Penso a mamma e papà, saranno sicuramente triste se me ne andrò. Penso alla mia adorata sorellina, lei sarà distrutta. Oggi è anche il suo compleanno, non voglio rovinarle questo giorno speciale, in fondo è dedicato soltanto a lei. Vorrei resistere qualche altro giorno, non voglio che questo giorno venga ricordato per la mia morte. Voglio che sia il giorno speciale di mia sorella. Poi penso una cosa, magari questa opportunità non mi ricapiterà tanto presto. Dovrò ritornare a soffrire, ingurgitare medicinali giorno dopo giorno. Vomitare l’anima per qualcosa che non funzionerà. “Mi dispiace sorellina, non sono mai stata egoista.” Sussurro tra me e me, “ma oggi dovrò esserlo, perdonami per quello che sto facendo. Devi perdonarmi, non voglio rovinare il tuo giorno speciale, ma non posso sprecare questa opportunità. Voglio soltanto un po’ di pace.” Guardo per terra, il pavimento è leggermente umido. Mi tocco il viso, i polpastrelli sono bagnati, lo sento ma in un modo poco percettibile: sto piangendo.
Penso alle infermiere e agli infermieri, anche a loro mancherò. Mancherò a parecchie persone. Poi penso a me, alla vera me. Penso a come nel profondo desidero morire, e forse sta succedendo davvero, penso al tumore e a come si sia preso gioco di me in tutti questi anni. So che non lo sconfiggerò mai, è più forte di me, sono un essere debole. Guardo Peter e penso una cosa, se andrò con lui posso vivere, così per dire, una vita sana, posso godermi l’aria pulita, respirare boccate d’aria senza soffocare per via della tosse. Non dovrò più ingerire medicine, non dovrò più sopportare il retrogusto amarognolo di quelle sostanze.
Chiudo gli occhi, so qual è la decisione da prendere, sono pronta per andare avanti, per andare oltre. La mia vita qui l’ho vissuta in pieno, non vivamente, ma l’ho vissuta.
Un’altra lacrima mi scende sulla guancia, me la asciugo con una mano, adesso la sento fredda e incorporea.
“Preso una decisone?” So che Peter è fermo dietro di me, riesco a sentire ancora una volta il suo intenso profumo di rosa.
Ancora con le lacrime che mi scorrono sulle guance, sorrido. “Sì, ho preso la mia decisione.” Mi giro verso di lui e gli porgo una mano. Lui la afferra, io mi stringo a lui, il suo tocco mi dona conforto. “Andiamo Peter, portami nell’isola che non c’è.”
Il suo sguardo si fa gioioso e giocoso. Come pochi minuti fa, si piega sulle ginocchia e io faccio lo stesso… stiamo volando. Sorrido, mi sento libera finalmente. Libera e felice.
Lentamente, mentre saliamo in alto, verso il soffitto della stanza d’ospedale, lei si rimpiccolisce. Vedo la porta che si apre, i miei genitori entrano in lacrime, insieme alla dottoressa Carla. Mia mamma si precipita al mio letto, si accascia su di me, piange disperata. Sa che me ne sono andata per sempre. Mio padre si prende la testa fra le mani, si accascia a terra e piange, piange tutte le lacrime che ha in corpo. Della mia adorata sorellina nessuna traccia, forse non vogliono che veda il mio corpo inerme e senza vita.
La camera d’ospedale ormai non si vede più, in compenso c’è uno spazio infinito e bianco. Stingo la mano di Peter, non voglio che mi faccia cadere. Però questo ormai non importa più.
Il bianco viene sostituito da un cielo stellato e luminoso. Voliamo tra le miriadi di stelle, giochiamo tra di esse, poi Peter si ferma. “Perché ti sei fermato?”
Senza guardarmi in viso dice: “stiamo per partire, questa volta in modo definitivo.” Questa volta mi guarda in faccia, ha un sorriso luminoso, gli ringiovanisce il viso, “dobbiamo soltanto superare la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino.”
E così voliamo, voliamo sempre più su. Poi la vedo, in lontananza, finalmente… l’isola che non c’è.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ebbene sì, sono ritornata. Non pubblicavo storie su questo sito da più di un anno e mezzo. Questa volta però il mio grande ritorno – spero rimanga tale – non è avvenuto nella categoria horror, ma in quella drammatica. La cosa è abbastanza curiosa. Iniziamo dal fatto che qualche mese fa, su Facebook mi è capitato di leggere su una pagina horror un piccolo articolo. Su questo articolo c’era scritto che Peter Pan non è altro che l’angelo della morte, o una cosa del genere. Quindi voilà, eccomi qui con una storia dedicata proprio a lui e a questa notizia real\fake.
Il Peter che ho descritto nella storia non ha nulla a che vedere con il bambino del libro. Diciamo che ho preso spunto dal Peter del film, quello del 2004.
Comunque, spero che questo racconto vi sia piaciuto, che vi abbia emozionato.
Soprattutto spero di non tornare a scrivere un altro racconto tra un anno o più. =) 
  
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