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Autore: VeganWanderingWolf    14/01/2018    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
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Capitolo 42

(Bared Fangs)

 

C’erano delle precise istruzioni iscritte nell’istinto di sopravvivenza di un mezzo lupo, quando ci si trovava in cattive acque e c’erano valide possibilità di essere feriti gravemente ed eventualmente mortalmente, ed era tutta una questione di anatomia e punti a cui mirare o da proteggere durante una lotta. L’istinto sembrava avere un’innata conoscenza della fisiologia basilare dell’organismo che lo possedeva: il centro del mirino erano banalmente i punti vitali, perciò quelli a cui mirare più definitivamente sull’avversario, e i primi da proteggere ad ogni costo su se stessi.

Era come se anche il cambiamento fisiologico che il corpo assumeva per riflesso in caso di combattimento sottolineasse quelle priorità d’attacco e difensive. Il cuore accelerava spingendo più velocemente il sangue nelle vene, come a ricordare che ogni ferita era una perdita di sangue, e che la perdita di sangue era un diminuire di energia e lucidità necessarie per combattere al massimo delle proprie capacità. Sembrava allora di sentire quel pulsare fattosi più vivo che si concentrava in quei punti fondamentali per la sopravvivenza.

La posizione non era casuale: proteggere la gola abbassando la testa, proteggerla a qualsiasi costo tenendo la carotide lontana dall’affondo delle zanne dell’avversario: che fosse recisa mortalmente o che fosse tenuta sotto la costante minaccia di un morso che poteva affondare da un momento all’altro, era una differenza dal margine talmente sottile da sembrare quasi inesistente. E allo stesso tempo non si poteva abbassare troppo la testa, mai oltre la linea dello sguardo, che non poteva perdere di vista l’avversario nemmeno per un momento, seguirne ogni mossa d’attacco per subirla il meno possibile, individuare ogni minima breccia nella sua difesa e ogni possibile occasione di attacco e contrattacco.

Lontano dall’essere un regolare incontro di boxe, uno scontro tra lupi non solo giocava su un ritmo di frammenti di secondi a stento riconducibili ad una precisa sequenza di movimenti, ma era anche un immancabile schema di schegge di attacco e ritirate così fulminee da dare alla testa persino a chi fosse riuscito a seguirne l’avvicendarsene follemente rapido. Ogni ritrarsi dell’avversario tra un affondo e l’altro poteva coincidere con un momento di pausa in cui si apriva la tenue possibilità di un preziosissimo estendersi della propria sopravvivenza, così come poteva rappresentare la striminzita possibilità da cogliere al volo di attaccare a propria volta.

 ‘Un lupo è una lancia, i suoi denti sono la sua lama. Tutto il resto è solo questione di affondo, ritrarre e ri-affondo. Finché chi in cui la lama viene affondata non è più in grado di respirare.’ gli aveva detto Mara una volta a mo’ di spiegazione.

Aldilà dello spietato modo di dipingerlo, Danny sapeva che quella era una descrizione esatta nel suo essere ridotta all’osso. Perché questo era esattamente ciò che era: ridotta all’osso. Sebbene in realtà la maggior parte degli scontri tra lupi o tra mezzi lupi fossero ben lontani dal dover finire per forza con la morte di qualcuno di coloro che si stava battendo.

Spesso era più che sufficiente la non detta minaccia che poteva benissimo andare a finire anche in quel modo a convincere chi stava avendo la peggio a desistere. C’era un meccanismo istintivo altrettanto efficiente, e sempre deputabile a quello di auto-conservazione, che Danny aveva letto da spiegato qualche parte, e che aveva un che di totalmente opposto a quella nuda e cruda spietatezza enunciata da Mara. Ma lei, dopotutto, sembrava non sapere assolutamente che cosa fosse quello che gli studiosi avrebbero chiamato ‘inibizione del morso*’.

Gli occhi erano da proteggere perché era necessario poter continuare a vedere gli attacchi dell’avversario e prendere le misure dei propri, e perché per definizione ogni dolore troppo intenso è appunto accecante. Le orecchie appiattite sul capo perché erano uno dei punti più esposti a causa del loro essere sporgenti.

Piegarsi sulle zampe, talvolta e nelle situazioni più gravi fino al punto da risultare quasi con il ventre a filo di terreno, per tenere più coperti dagli attacchi i punti vitali di gola e addome, ma anche per poter sfruttare l’allungare fulmineamente le zampe in uno scatto di evitamento o di affondo che poteva risultare decisivo, e non da ultimo per evitare per quanto possibile eccessive ferite alle zampe stesse.

Le zampe di un lupo erano il suo movimento e la sua rapidità, la sua capacità di cacciare e combattere, di spostarsi e di correre, di scegliere momento per momento la sua direzione, la sua sopravvivenza e la sua libertà. Un lupo senza denti e/o senza zampe era un lupo morto. Per questo anche uscendo vivi da uno scontro ma seriamente azzoppati, si avevano poche possibilità di sopravvivere se non si era parte di un branco che avrebbe permesso di nutrirsi delle prede cacciate dagli altri.

E poi la coda, estremamente vulnerabile nel suo sporgere, e quella che perciò ogni lupo o mezzo lupo avrebbe, in caso di serio scontro imminente, portato subito aderente alle zampe posteriori o addirittura contro il ventre. Ma era inevitabile che sarebbe comunque stato necessario renderla di nuovo esposta durante il combattimento, perché essa era l’equilibrio di un lupo, il poter bilanciare ogni scatto e cambio di direzione improvviso.

Il muso la prima cosa davanti a tutto il resto, appuntito come per traforare strati d’aria in velocità, per insinuarsi tra le difese di una preda o di un avversario e aprirsi snudando le zanne, mostrandole in difesa e/o minaccia, le fauci per richiudersi come lo scatto di una trappola mortale su un punto vitale o, quando non si intendeva uccidere oppure non si aveva altra e migliore scelta a disposizione, su qualsiasi altro punto si riuscisse.

Un lupo in corsa o in salto o affondo, fosse caccia o combattimento, era come una freccia che si stendeva tra il muso puntato in avanti e la coda indietro a definire la sua direzione nello spazio, le zampe che lo muovevano, il tutto che lo rendeva vivo e reattivo, capace di dare un seguito fisico e pratico ad ogni sua decisione mettendola in atto.

 

Ma Mara era ancora immobile, di fronte a Danny e a metri di distanza da lui in mezzo alla strada, e nessuno dei due stava affatto assumendo la tipica posizione da lotta. Forse perché erano mezzi lupi e in parte potevano prescindere da certe leggi istintuali puramente da lupo; o forse semplicemente perché Mara era fatta così, talmente sicura di vincere e poter uccidere chiunque avesse deciso di eliminare che non poteva sentirsi abbastanza allarmata da essere spinta ad assumere quella posa, o forse dopotutto voleva puntualmente rifiutarsi di assumerla come ulteriore provocazione. E per quanto riguardava Danny, perché da un lato non aveva tutta questa fretta, e dall’altro forse non voleva darle tutta questa soddisfazione.

Metà dell’esito di uno scontro lo decidevano l’atteggiamento e la convinzione di vincere o perdere che si poteva racimolare dopo un’attenta considerazione delle proprie forze e capacità contro quelle dell’avversario.

A parere di Danny, mostrare più sicurezza in se stessi in una sorta di ostentata spacconaggine era più nella natura degli esseri umani che in quella dei lupi; e forse per quanto riguardava i mezzi lupi la loro natura permetteva loro abbastanza spazio di gioco da poter propendere per l’una o l’altra a seconda del carattere individuale. Ad esperienza di Danny, Mara adorava mostrarsi sicura di se stessa, e per lui era ancora – come sempre – impossibile capire quanto quella sicurezza fosse effettivamente fondata o più che altro ostentata, e in quale misura, per quanto molte volte avesse visto coi suoi occhi chiara prova di quanto potesse essere terribilmente e puntualmente efficace una volta che veniva scatenata alle spese dell’obbiettivo finale di lei.

Quanto a lui, se si poteva parlare di sicurezza attualmente nel suo caso, ciò che più vi assomigliava al momento era il ritenere con una certa probabilità che stava per morire. Ma era quanto mai lontano dalla tentazione di trovarlo in qualche modo un dato triste o preoccupante: semplicemente e per qualche motivo non vi riusciva. Di conseguenza, aveva il discreto sospetto che in quel momento lui poteva risultare semplicemente inintelleggibile, un dato neutrale che non rivelava né sicurezza in se stesso ne tantomeno timore. Forse era la sensazione così inesplicabilmente profonda di trovarsi esattamente dove doveva essere e nel momento in cui doveva esserlo. L’unica cosa che avrebbe potuto davvero terrorizzarlo, era la prospettiva di non essere proprio lì e proprio in quel momento, lì dove in qualche modo doveva essere. In nessun’altro posto, in nessun’altro modo, dopotutto e in fondo.

Ma il tempo si stava espandendo fin troppo, come se mano a mano che sciorinava via momento dopo momento si stesse dilatando, le maglie si stessero iniziando a sfilacciare per lo sforzo, il senso a diluire mano a mano che veniva messo troppo duramente alla prova.

Danny riconobbe quella sensazione. Aspettare o lasciare scorrere ancora il tempo in quella sorta di immobilità non poteva che peggiorare le cose. I suoi sensi dunque si raccolsero e si radunarono, si acuirono e sembrarono come involarsi in un imbuto, il condotto che si stringeva via via, convergendo su quanto stava per iniziare e sulla sua avversaria. Nel loro acuirsi, gli sembrò di captare la sensazione vivida della sospensione acuta dell’immobilità degli altri mezzi lupi silenziosi, che assistevano come se il risultato fosse in qualche modo scontato e non per questo meno dotato di un suo notevole peso specifico, della sicurezza glaciale che emanava Mara nella sua versione di incarnazione della morte altrui in persona, dell’acuta tensione del dito di Uther sul grilletto del fucile puntato che impugnava metri al di sopra delle loro teste.

Perciò Danny si mosse per primo.

 

L’immobilità e il movimento erano quanto mai determinanti in contesti del genere. Ogni immobilità era attesa, e automaticamente certezza che nessun attacco stesse venendo messo in atto, perlomeno non in quel preciso istante, per quanto riguardava l’istante successivo chissà; ed era insieme una raccolta di forze e tensioni che non erano affatto immobili, ma si stavano preparando nel loro stesso fluire attraverso una minutezza variante di linee di forza dirette nelle più svariate direzioni. Ogni movimento troppo rapido era l’equivalente dell’elastico che si spezza, dell’equilibrio che si rompe sonoramente, lo sparo d’inizio della corsa competitiva, il fragore di una valanga che inizia a scivolare inesorabilmente, lo scatto che si mette in moto senza possibilità di ritorno, l’attacco che cessa di attendere e inizia il suo percorso ovunque debba andare a finire.

Tutto ciò che Danny fece fu muoversi, lentamente ma inesorabilmente, rompendo l’immobilità senza al contempo farlo così brutalmente da spezzare il sottile ghiaccio su cui si trovava ormai, e nel quale si sentiva ormai così profondamente immerso che la memoria di aver camminato in precedenza su qualcos’altro sembrava stare impallidendo come un lontano ricordo, possibilmente un sogno.

Si mosse in quella stretta terra di nessuno tra la completa statica e l’inizio dei movimenti così impietosamente rapidi che sapeva perfettamente sarebbero stati padroni nello scontro che stava per avvenire: spostando un poco il suo peso, alzando di pochi millimetri le zampe dal cemento che ora sentiva acutamente sotto i polpastrelli sensibili per spostarle in modo da allargare la sua base di appoggio, e piegando le zampe per abbassarsi un poco con il ventre più verso terra.

Solo alla fine appiattì le orecchie sul capo, irrigidì le labbra sollevandole così a malapena da non mettere nemmeno allo scoperto i denti, e si portò la coda contro le zampe posteriori, abbassando la testa per coprire anche solo allo sguardo la gola e il ventre, fino al punto massimo in cui le sue pupille alzate al massimo potevano appena raggiungere in linea d’aria la sagoma di Mara ancora ferma a guardarlo.

E sapeva che facendo così il messaggio sarebbe stato limpido, che avrebbe attraversato in meno di un battito di palpebre lo spazio che lo separava da Mara, giungendo chiaramente e nettamente nella sua semplicità. Il tempo dell’attesa era finito. E non perché la tensione lo stesse dilaniando o l’attesa spaventando. Semplicemente perché… perché aspettare ancora, dunque?

Gli parve di poter percepire per un istante un’esitazione all’ultimo nella tensione del dito di Uther tenuto sul grilletto, come se fosse stato percorso da un fuggevole tremito, in bilico sulla possibilità di far partire il colpo: giusto per poter essere sicuro che Mara cadesse a terra prima dell’inizio di tutto quello, giusto per poter essere sicuro che Danny non morisse, perlomeno non per mano di lei, perlomeno non proprio lì e in quel momento. E Danny fu profondamente e infinitamente grato quando dopotutto non udì partire il colpo. Uther doveva aver capito: che non spettava a lui iniziare e finire quella situazione, e che non era quello il modo.

Dopodiché Mara scattò.

 

***

 

Un momento prima Mara era perfettamente immobile, in quella posizione semplice e tutto sommato apparentemente rilassata, come se non avesse veramente intenzione di fare altro che restare lì a contemplare il tutto con una sorta di soddisfazione in sordina. Il momento successivo era una saetta nera che correva quasi rasoterra, solcando con poche ampie falcate fulmineamente veloci la distanza che li separava.

Danny non mosse un muscolo, come se stesse semplicemente assistendo alla sua morte che gli veniva incontro, da spettatore paralizzato dalla consapevolezza di un’implicita inesorabilità totalizzante d’essa. Quando lei fu così vicina da essergli quasi addosso però, e non appena ne vide le fauci iniziare ad aprirsi per affondare il morso, Danny si mosse a sua volta e altrettanto fulmineamente.

Mara cambiò direzione quasi nello stesso istante, e non perché fosse stata in grado di prevedere la sua mossa, ma semplicemente perché fin dall’inizio quella era stata la sua intenzione. La sicurezza in se stessa che emanava e la semplicità netta con cui poteva condurre un attacco mortale sembravano perfettamente coincidenti con un banale affondo condotto in linea diretta contro l’avversario, ma era proprio quella la tecnica che lei utilizzava. Era abbastanza astuta da sapere perfettamente con che cosa di se stessa poteva giocare per trarre in inganno. Per questo quell’attacco apparentemente in linea diretta era fin dall’inizio destinato a spezzarsi proprio sul finale, per curvare repentinamente in un’angolazione acuta, scartare a velocità sempre sostenuta a pochissima distanza dalla vittima, virare facendo perno su un ristretto spazio di terreno molto appresso all’obbiettivo, e ritornare diretto in un affondo finale in un punto diverso da quello a cui sembrava mirare inizialmente senza ombra di dubbio.

E Danny non era abbastanza stupido da cascarci. Sapeva che lei lo avrebbe fatto, senza bisogno di rifletterci o pensarci, ma semplicemente perché lei era Mara e lui la conosceva; semplicemente perché Mara si divertiva troppo nel mettere in atto certe raffinatezze strategiche di abilità giocata sul filo del rasoio, improvvisata e calcolata insieme, e forse perché dopotutto sapeva di starsi battendo non contro l’ultimo sprovveduto tra tutti i mezzi lupi.

Improvvisata e calcolata allo stesso tempo, appunto. Danny sapeva che lei avrebbe virato all’ultimo per cambiare la direzione dell’attacco, quella era la parte calcolata, ma non poteva sapere quale sarebbe stato il nuovo punto verso cui sarebbe stato diretto, perché quella era la parte improvvisata. E lui non era così ingenuo da aver fatto l’errore di scoprire un punto debole al quale lei potesse puntare perché si era fatto ingannare dall’iniziale semplice direzione diretta dello scatto di lei.

Perciò quello a cui Mara si ritrovò a rivolgere il micidiale morso d’affondo era un punto ancora coperto dalla difesa di Danny. Ma in ogni caso lui sapeva che anche i morsi profondi, per quanto non mortali, non solo sono spiacevoli, ma sono anche un iniziale punto di possibile svantaggio, anche quando sono un’inevitabile prezzo da pagare pur di riuscire a propria volta a colpire un punto debole.

Danny si mosse abbastanza rapidamente da sottrarsi a malapena dalla scattante chiusura secca e netta delle zanne di Mara, e tentò solo per provare a sua volta di affondare i denti, sebbene non avesse avuto il tempo di riuscire a rendere il suo tentativo di attacco abbastanza efficace da superare la capacità di lei di sottrarsi ad esso. Entrambe le loro fauci si chiusero con un schiocco secco e tagliente nell’aria, e l’istante successivo Mara si stava rapidamente ritraendo dall’attacco per riguadagnare un poco di distanza, e lo stesso stava facendo Danny, entrambi girandosi un poco su se stessi per continuare a fronteggiarsi e mantenere il maggior campo visivo possibile attorno all’epicentro dell’avversario.

Affondo e ritirata e ri-affondo. Certe regole di base raramente venivano a cadere o si prestavano troppo a variazioni. Naturalmente, c’era sempre la possibilità di fingere solo un affondo per invece ritrarsi, o viceversa, al preciso scopo di indurre l’avversario a commettere in reazione alla finta qualche movimento sbagliato che gli facesse scoprire incautamente qualche punto nella guardia, o indurlo a farsi avanti troppo scopertamente, o semplicemente per misurarne la prontezza di riflessi, la capacità di azione e reazione, la forza tout-court, l’agilità nei movimenti.

Ma Mara e Danny si conoscevano abbastanza da sapere già queste caratteristiche di base reciproche, e le reciproche differenze, alcune delle quali potevano già essere calcolate ad occhio. Così, Danny sapeva che Mara avrebbe giocato tutto sulla strategia secca, sulle finte e sulla rapidità fulminante. A lui rimaneva il poterne prevedere in certa misura le mosse conoscendola, il fatto che fosse un poco più pesante di lei, abbastanza da poter riuscire forse se l’avesse colta di sorpresa a farle perdere in parte l’equilibrio semplicemente con una spinta con tutto il suo peso contro di lei, e la precisione con cui poteva individuare un punto scoperto suo o di lei non appena si fosse presentato, attaccarlo o proteggerlo senza porvi in mezzo altre potenziali alternative, senza nemmeno concedersi lo spazio di pensarci sopra. Metà dell’abilità individuale si poteva misurare sulla capacità di conoscere i punti di forza e i punti deboli propri e dell’avversario, e trovare il modo di sfruttarli tutti e il più possibile unicamente a proprio vantaggio, in qualsiasi modo possibile. L’esperienza poteva non valere nulla senza l’inventiva, e tranquillamente viceversa.

Tutto divenne semplicemente una sorta di danza mortale, così terribilmente rapida che solo gli occhi di un lupo o di un mezzo lupo avrebbero potuto stare veramente al passo. Niente più che un turbinare di movimenti fulminanti nella loro rapidità e nella potenzialità di ferire in profondità, con un sottofondo ingannevolmente leggero di sottili fruscii di aria spostata violentemente dalla velocità degli scatti, e un più pressante succedersi di suoni schioccanti delle mandibole che si chiudevano con un micidiale scatto; ma quest’ultimo suono si udiva solo quando il morso andava a vuoto.

La prima a riuscire ad affondare le zanne nel suo obbiettivo fu Mara; Danny non ne rimase stupito. Né si poté concedere nemmeno per un istante di provare alcuna conseguente emozione o sensazione per quello, tantomeno di permettere ai suoi movimenti o alla sua prontezza di riflessi di rallentare di fronte all’improvvisa pungente trafittura di dolore che si sparse per tutto il corpo a raggera dal punto dove Mara gli aveva affondato i denti nella carne, come un grido muto e lancinante di allarme, tuttavia vano. Tutto ciò che lui sapeva importare, era non quello che era già successo o stava succedendo, ma solamente ciò che poteva o stava per succedere. Tutta la sua concentrazione rapida e i suoi movimenti in buona parte istintivi si focalizzarono sul non permetterle di riuscire ad assestargli altri morsi in un solo colpo: un canide può mordere in successione con una rapidità assai incalzante. Evitò i morsi successivi e allo stesso tempo riuscì a farle perdere la presa, costringendola a ricorrere alla fase di ritrarsi per non rischiare a sua volta di essere morsa.

Danny sentì la familiare sensazione del sangue che usciva dalla ferita aperta imbrattargli il manto circostante, appesantendolo e imbevendolo, iniziando a colare lentamente giù dalla spalla colpita. Ma sapeva che Mara si era dovuta in un certo senso accontentare di morderlo in quel punto, perché la pazienza di lei stava iniziando a cedere, e la sua crudeltà insita nel piacere che le procurava riuscire ad affondare i denti per ferire e dilaniare la stava incalzando. Lui seppe con certezza che da quel momento in poi lei avrebbe cambiato tattica: non più continuare a cercare di sorprenderlo con nuovi movimenti in folle rapidità, attendendo di trovare un punto debole scoperto dove affondare con fulminea prontezza, ma affondare le zanne in qualsiasi punto del suo corpo le fosse stato possibile raggiungere, fintanto che non fosse riuscita a farlo a brandelli morso dopo morso.

Sì, Danny non ne avrebbe mai dubitato. Poteva vederlo in quella sfumatura diversa della posa più rigidamente tesa e minacciosa di lei, e nel suo sguardo più ottenebrato e tagliente: si era stancata di giocare nell’anticamera della vera e propria fine, e la spazientita furia si stava facendo strada in lei, incalzandola ad accelerare per trovare la più rapida scorciatoia possibile verso l’ucciderlo, e percorrerla con ogni sua forza e fibra.

Un tempo Danny sarebbe stato semplicemente preda del terrore, vedendo quella sorta di trasfigurazione rapida di lei. Se prima Mara poteva essere un’ottima incarnazione della Morte in persona che si appressa con infinita pazienza e insita eleganza, avvolta in un impenetrabile alone di altera superiorità impermeabile ad ogni possibile emozione, ora sembrava la lama della falce che sta già calando in un unico colpo sicuro. Ma ora come ora, Danny stesso non riusciva a trarre da sé nemmeno un tentativo di emozione, financo si trattasse di un’oncia di inquietudine cupa. Forse era diventato semplicemente indenne.

Di lì a poco stavano di nuovo entrambi scattando, perché le pause non potevano che essere brevi, e il ritmo divenne ancora più deciso e implacabilmente incalzante. E l’esito dello scontro, che Danny avrebbe dato quasi per certo in suo sfavore, iniziò a vacillare da un certo punto che non avrebbe saputo stabilire. Non tanto perché anche lui iniziò a mettere a segno dei morsi dritti dritti su Mara; non per via del fatto che, nonostante le lacerazioni sanguinanti prodotte dalle taglienti e appuntite zanne si stessero moltiplicando, sparse come una pioggia di fendenti sulle loro membra, nessuno di quei colpi riusciva a superare la difesa dell’altro andando a segno anche solo un poco vicino a qualche punto vitale. Era per via di qualcos’altro.

Solo ad un certo punto, e di punto in bianco, Danny realizzò di che cosa si trattava esattamente. Ed era il semplice fatto che lo scontro stava già proseguendo da qualche minuto. In qualsiasi altra circostanza di una lotta che dovesse finire con la morte di uno dei due contendenti piuttosto che con una semplice resa, quello non sarebbe stato un tempo così lungo dopotutto. Ma era un tempo lunghissimo se uno dei due contendenti era Mara. Danny si rese conto che non solo non aveva mai visto, ma non avrebbe mai immaginato che a Mara potesse occorrere tanto tempo per riuscire ad uccidere qualcuno che aveva intenzione così chiara e determinata di eliminare. E nello stesso istante capì anche il perché, gli risultò di colpo chiaro come un raggio che trapassa all’improvviso una coltre di nubi, impossibile da non notare e vedere esattamente per quello che è: perché lui la conosceva troppo bene.

E per questo lei non riusciva in effetti ad ingannarlo completamente, a coglierlo veramente di sorpresa con le sue astuzie strategiche da combattimento e le sue improvvisazioni fulminee, a trovare la strada per colpirlo in un punto debole di vitale importanza eventualmente lasciato scoperto dalla sua difesa.

L’aveva vista cacciare centinaia di volte, e aveva cacciato con lei centinaia di volte: in ognuna di quelle singole volte, la sua priorità era stata esattamente quella di riuscire a immaginare e prevedere la successiva mossa di lei a sufficienza in modo da poterla affiancare come compagno di caccia. E decine di volte l’aveva vista piovere su di lui come una furia cieca, ogni singola volta senza sapere se ne sarebbe uscito vivo e anzi dubitandone seriamente, e ogni singola volta guidato dal terrorizzato puro istinto di sopravvivenza tendando comunque una disperata difesa per non essere ucciso. L’aveva vista così tante volte attaccare una preda per uccidere o attaccare lui per sfogarsi, che nemmeno volendolo avrebbe potuto ignorare quella familiarità radicatasi in lui verso i modi di Mara di attaccare, combattere, cacciare, cercare di uccidere.

Nello stesso momento realizzò che lei ora era dopotutto quello che quel branco di mezzi lupi come impazziti aveva scelto proprio come loro punto di maggiore forza; ma solo adesso lui si accorgeva che quello, rispetto a lui, rappresentava esattamente il loro punto debole.

Per questo, realizzò, se c’era qualcosa che doveva richiedere a se stesso, e se quell’unica cosa non era più la sua stessa sopravvivenza ma il riuscire ad evitare la morte di Uther e quella successivamente di almeno buona parte degli abitanti di Tairans, l’unica cosa che poteva e doveva fare era colpire esattamente quell’unico punto debole. Quel punto debole che coincideva con Mara, e quindi che coincideva con la sua stessa morte in lei incarnata.

 

 

Soundtrack: Voodoo people (the Prodigy)

 

 

Note per la comprensione:

* INIBIZIONE DEL MORSO: nell’ambito dell’etologia (in parole povere: studio del comportamento degli animali), e spiegato molto semplicemente, è il modo in cui i cuccioli di specie animali carnivore e predatorie imparano a gestire i propri denti e artigli, perché quando esagerano nel gioco e fanno troppo male vengono “puniti” da “ramanzine” della madre o di altri adulti e/o comunque dal fatto che chi è stato morso troppo forte emette forti versi di dolore e protesta e rabbia, così che si sentiranno istintivamente inibiti per il resto della loro vita dal mordere/graffiare troppo forte quando non ne hanno l’intenzione. Allo stesso modo se tutto va bene i canidi imparano fin da cuccioli a riconoscere e mostrare i segnali di “resa” (es. scaravoltarsi a pancia in su esponendo proprio i punti vitali), per evocare nell’altro proprio questa ‘inibizione del morso’ che lo spinge a non continuare ad attaccare perché se lo facesse con l’altro in tale posizione rischierebbe di ucciderlo. Naturalmente possono esserci eccezioni a seconda dei casi o del carattere dei singoli individui o da eventuali loro problemi nella loro vita durante l’apprendimento, potrebbero non avere imparato l’inibizione del morso o non averla imparata correttamente o ignorarla o superarla se hanno veramente intenzione di fare del male in senso grave o proprio di uccidere. Si dice per i cani che alcune razze da (sic!) combattimento siano state selezionate proprio facendo riprodurre gli individui che presentavano un’inibizione del morso più debole…

  
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