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Autore: DearAgony    14/01/2018    2 recensioni
C’è sempre qualcosa di poetico nei sentimenti altrui, no? Sembra quasi possano toccarci. Quando poi siamo noi a provarli, la poesia svanisce: siamo sempre impreparati di fronte ad un’emozione.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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L’arte, in verità, non è altro che mera e pura finzione: il languido sorriso di un’attrice, la tragedia sulla scena, l’immacolata scena ritratta da un dipinto; una inutile, ma al contempo indispensabile finzione; una bellissima menzogna. Ogni uomo, nella sua miseria, tende alla perfezione, all’arte, quella “distorta idealizzazione della realtà”, senza, però, intenderla fino in fondo. La verità a cui io stesso stentavo a credere è che non è l’arte a derivare dalla realtà, ma è quest’ultima ad agire a causa e in funzione della prima, poiché da essa discende cultura, storia, emozioni e lo stesso pensiero. Ogni cosa è vista attraverso il filtro dell’arte da chi la sa intendere.
Menzogna è ciò che sono e arte è ciò che tendo ad essere; espressione ed interpretazione, parola nel silenzio di un’immagine, musica nell’assordante quiete di un mondo che non cessa mai di muoversi, una storia che si tramanda per secoli, ma senza che di essa vi sia alcuna prova.
Hirano Ryuu, il nome conferitomi da coloro che mi hanno donato la vita, rimarrà un segreto, nei limiti del possibile. La ragione è più semplice di quanto si possa credere: sebbene Shakespeare avesse sottovalutato la sua importanza, un nome è quanto di più prezioso ci appartenga, la nostra stessa identità, il titolo di una meravigliosa opera d’arte, ciò che racconta ciò che siamo ancor prima di noi. Come potrei lasciare che il mio nome si perda in quell’abisso chiamato omologazione?
Dorian Báthory è l’identità che mi sono conferito: Dorian, dall’opera di un immenso scrittore, è la bellezza, l’arte, il peccato e l’irraggiungibile perfezione; Báthory, dalla delicata e cruenta mano di una donna, è la morte come fine ultimo della vita, come redenzione e tragica, incomparabile grazia.
L’arte la vidi un’unica volta, negli occhi di una donna. Avrei dato la vita per lei, almeno credo. Non ho avuto l’occasione di scoprirlo. Il suo nome era Misaki, lei combatteva contro un’ombra, combatteva invano, poiché non poteva fuggire. Quell’ombra, la sua malattia, la corrose, la uccise troppo presto, e così la morte assunse un altro significato, ben lontano dalla tragica arte che conoscevo. C’è sempre qualcosa di poetico nei sentimenti altrui, no? Sembra quasi possano toccarci. Quando poi siamo noi a provarli, la poesia svanisce: siamo sempre impreparati di fronte ad un’emozione, è per questa ragione che decisi di vivere nella contemplazione. Non ne ebbi la possibilità.

A mezzanotte, il mondo finì.



UN PICCOLO COMMENTO DELL'AUTRICE:
Ho scritto questa ... cosa? un annetto fa, se non di più e, rileggendola, ho sentito il bisogno di conservarla da qualche parte, per non perderla, questo è il realtà l'unico motivo per cui ho pubblicato dopo così tanto tempo. L'avvertimento "incompleto" è dovuto al fatto che, rileggendola, sembrava fosse l'introduzione ad una storia e avrei il piacere di continuarla, se me ne sentissi minimamente capace o avessi qualche idea a riguardo. Per ora, questa apoteosi dell'inutile e indefinito rimane qui, in caso volessi riprenderla e in attesa di riuscir finalmente a superare il mio blocco dello scrittore.
  
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