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Autore: Nadja_Villain    15/01/2018    1 recensioni
Astrid non è un'eroina e non si aspetta che gli altri la acclamino come tale. Dopo la sua cattura, si troverà a scegliere tra due prigionie differenti: una gabbia in vibranio in fondo all'oceano o unirsi agli Avengers, sotto contratto vincolante. Una sola potrà costituire un'occasione per riscattarsi. Tra i battibecchi col Capitano e le esortazioni ambigue di Tony Stark, dovrà fare i conti con la minaccia di un sadico Dio degli Inganni, una coscienza ipercritica e le falle di un'infanzia dissacrata.
▸ Ambientazione e contesto:
Post battaglia di New York: Loki è fuggito senza lasciare tracce di sé. La Stark Tower si è tramutata nella dimora degli Avengers.
Post "Iron Man 3" - pre "Capitain America: The Winter Soldier"
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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AttenzioneMi sono accorta da poco di aver dimenticato di pubblicare alcuni capitoli tra il 22, "In trappola" e il 26, "Tu sei fuoco e sangue" e che quindi ho dovuto aggiungerli in seguito. Vi consiglio di tornare indietro a leggerli. Spero che possiate perdonare la mia disattenzione. Scusate. 


 
 

Neve e Cenere | MARVEL

57 . Fantasmi


La suola delle scarpe si infossava nell'erba ghiacciata. L'aria gelata era immobile e odorava di metallo, terra umida e pioggia. Il cortile era vuoto e silenzioso. La catena dei cancelli si era sfaldata come plastica sotto il taglio dello scudo di Vibranio.
Il Capitano, ora, camminava qualche metro più avanti. Si guardava attorno, ispezionando ogni forma degli edifici per annotare ogni cambiamento, con gli occhi di un ragazzino che torna a casa dopo tanto tempo. Astrid non aveva osato chiedere come si sentisse a ritornare fisicamente in un luogo che aveva lasciato ad arrugginire per una cinquantina d'anni. E lui non aveva accennato ad una condivisione. Lo spiò con la coda dell'occhio inchiodarsi davanti al fantasma impolverato di un'epoca spinta dal sentimento nazionale, dal profondo senso del dovere, dall'adrenalina provocata dall'intima speranza di un riscatto personale. Allora il suo animo andava in una direzione completamente diversa da quella di adesso. Allora lottava per un ideale che vedeva vivere e pulsare negli occhi dei suoi compagni. Adesso si guardava attorno e non vedeva altro che macerie e luoghi dimenticati, vessilli abbandonati. Per un momento rimasero entrambi fermi ad osservare un vuoto combaciante con la bolla di nulla che premeva sotto le costole per farsi più grande e inglobale sempre più materia viva. Quel posto era la metafora della sua vita, era la metafora di sé stesso.

Gli occhi di Steve sgusciarono dal terreno ad Astrid, la quale se ne stava con le mani in tasca a guardarsi i piedi, i ciuffi di capelli che spuntavano disperati da sotto la berretta di lana. Se li era tagliati così malamente da farli risultare perennemente spettinati, sebbene rimanessero in armonia con tutto quel suo fare trasandato. Così trasandato da infondere una nota di tenerezza. Non si preoccupava della sua bellezza, sembrava piuttosto che volesse nasconderla. Non un filo di colore sulle guance o sulle labbra tutt'altro che perfette, non un tratto di matita attorno alle ciglia, nulla a camuffare i solchi scuri per la mancanza di riposo. Era lì che disegnava nastri nella terra con la punta della scarpa, a scalciare sassi, a sospirare chissà per quale esasperante rimugino. Era esausta, ma non cedeva. Era bella, ma di una bellezza che bisbiglia, che un attimo prima nasconde lo sguardo tra i capelli e un attimo dopo si lascia guardare, inconsapevole di provocare un particolare effetto sulla mente di un uomo. Per lei, il suo corpo era solo uno strumento, come poteva essere un coltello, una pistola o uno scudo. Non era come Natasha. Non c'era niente di intenzionalmente sensuale nei suoi movimenti, niente di appariscente. Eppure era lì che dava noia all'erba con la punta delle scarpe, si grattava il naso con quelle sue unghie maciullate, alzava lo sguardo fugace in un biondo lampo di sole rifratto dalle iridi e Steve non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.

Stava scoprendo a poco a poco che cosa avesse sbagliato al principio, con lei e perché invece Stark aveva fatto centro subito. Al contrario di lui, che aveva immediatamente creato un muro per respingere tutto ciò che di lei non gli aggradava, Stark aveva raggirato le difese di lei, aveva adulato la sua forza, aveva sostenuto le sue convinzioni, aveva alimentato la sua sicurezza facendo perno sul suo ego. Era una tattica diabolica che la mentalità lineare del Capitano non avrebbe mai potuto prendere in considerazione.
Astrid e Stark adoravano giocare sporco. Era ovvio che lui sarebbe stato escluso fin da subito. Ed era per questo che era tutto sbagliato. Vedendo il mondo in bianco e nero, Steve aveva sempre detestato il tipo di persona che loro due rappresentavano. Stark aveva faticato per scendere dal groppo di disprezzo fermatoglisi in gola a primo acchito. Era stato un lavoraccio filtrare tutto ciò che si poteva salvare da un uomo eccentrico e vanesio come lui, corrotto dal denaro e dall'immagine di sé. Nonostante tutto, aveva trovato un cuore nobile, in fondo, molto in fondo. Aveva trovato un uomo sofferente, capace di amare e di sacrificarsi per gli altri. Che cosa avesse trovato in Astrid esattamente, non ne era sicuro. Ebbene, sentiva il bisogno di scoprirlo. Sapeva che c'era del buono in lei. Era solo persa, in cerca di stabilità, di una casa. Un po' come lui. Sapeva che alla fine fosse tutta una finzione anche la sua. Un po' come quella che cercava di crearsi lui attorno al suo vuoto interiore, per dare una giustificazione al proprio operare, perchè ogni tanto si votava convinto di essere seguito, trobando nessuno a ricalcare i suoi passi.

Non c'era più tempo per un'analisi introspettiva. Scavò nella tasca ed estrasse il dispositivo di tecnologia militare che gli aveva affidato Natasha prima di scappare per recuperare lo scettro e trovargli un posto più sicuro del materasso del divano. Lo agitò in aria perché gli facesse luce su dove iniziare a cercare.
Era un punto morto. Da qualsiasi angolazione lo indirizzasse, tutti i parametri rimanevano fermi sullo zero. Pensò che fosse rotto, eppure la presenza di Astrid veniva identificata sul display con un'ombra calda in contrasto col blu dello sfondo freddo.
Decise di lasciare i limiti delle tecnologie moderne dove stavano. Decise di ricorrere al fiuto, che non lo aveva mai deluso. Si guardò attorno e notò che qualcosa non quadrava. C'era un capanno schiacciato al centro del campo che non ricordava. Si incamminò a passo svelto per assicurarsi che fosse stato costruito più recentemente ed effettivamente le mura sembravano meno erose, le tubature leggermente meno imbrunite di tutte le altre nel campo. Vide l'ombra di Astrid seguirlo muta, in attesa di novità.

-Il regolamento dell'esercito proibisce lo stoccaggio di munizioni entro 150 metri dal campo. - Esordì Steve, parlando come se avesse letto un pannello informativo. Dalla faccia poco convinta della ragazza, comprese che stesse parlando con un linguaggio con cui non era in confidenza. - Questo edificio è nel posto sbagliato. - Spiegò poi, in parole povere. Prese la mira con lo scudo per scassinare la porta, ma Astrid lo fermò prima che potesse colpire.

-Faccio io.

Steve studiò la mano che si era interposta tra lui e il metallo. Assentì con un cenno della testa. Capì che una delle cose a cui Astrid stesse rimuginando era la necessità di mettersi alla prova, il bisogno di sapere se fosse tutto a posto dentro di lei. Non poteva negarglielo. Si fece da parte.

Astrid strinse l'asta della serratura più forte che poteva. Sul suo volto si incise una smorfia di sforzo. Chiuse gli occhi e nella sua testa si concretizzò l'immagine della gamba del tavolino del negozio di elettronica e le sue dita che affondavano nel materiale plastico. Ricordò le sbarre nel castello di Sokovia che si ammorbidivano roventi e si lasciavano modellare, ma poi all'improvviso, la memoria le fece un brutto scherzo, poiché le parve di udire un sibilo. E mentre cercava di concentrare le forze nella mano, udì la voce di Stark in un auricolare inesistente, le sue labbra si precipitarono calde lungo il suo orecchio... Scosse il collo per cacciarlo con gentilezza.

-Mi stai distraendo.

-Chi, io?

La voce cupa del Capitano le fece male, come un pugno nel petto. Allentò la presa e notò che sotto il suo palmo, il metallo si era deformato solo un poco, seguendo le guglie che aveva provocato la pressione delle sue dita. Scosse la testa.

-Mi distrai, se mi guardi così. - Recuperò lei, con una scusa finta e la voce infastidita dalla probabilità di un fallimento e dalla presenza asfissiante del Capitano che le stava addosso con ansia impaziente. Gli diede le spalle e ricominciò a stritolare il metallo come per strozzare la gola di qualcuno. E quando le apparvero un paio di occhi rossi e gonfi che la supplicavano straziati di fermarsi e le sue mani invece di riscaldarsi cominciarono a saldare la chiusura con uno strato di ghiaccio luccicante, cominciò ad imprecare, infischiandosene del giudizio del suo spettatore. Quando si rese conto della propria debolezza, cominciò a dare spallate e calci alla porta e a dare la colpa al destino.

-Spostati. - Fece il Capitano brusco. La spinse poco di lato e lei non ebbe il tempo di reagire che lo scudo andò a spezzare nettamente l'asta in due pezzi, i quali rimasero appesi ciondolando dalle estremità. Steve le lanciò una breve occhiata, mentre lei si teneva le mani nelle mani, arrabbiata con sé stessa, confusa e frustrata. Avevano perso tempo inutilmente.

Un alito freddo fuggì, schiantandosi contro le loro facce appena si aprì la porta. Si addentrarono nel locale buio seguendo delle scalette in discesa, guidati dalla luce esterna. Ora c'era un odore più pungente di umido e di aria stantia. Il Capitano cercò a tentoni un interruttore. Con uno schiocco metallico, luci al neon illuminarono una larga sala riempita da file di scrivanie vuote. Dal soffitto pendevano cavi aperti, su ogni piano orizzontale riposava una spessa coltre di polvere. Ma ciò che più catturava l'attenzione era lo stemma di un'aquila impressa sulla parete di fronte a loro.

-È lo SHIELD. - Affermò Astrid, pendendo ad un tono di domanda.

-Forse dove tutto è iniziato... - Aggiunse il Capitano, mentre scrutavano il luogo con passo cauto, attenti a dove mettevano i piedi, come se fossero appena entrati in un negozio di porcellane.

Astrid seguì il Capitano attraverso una porta gracchiante che si spalancò ad un'altra stanza, più piccola, nella quale si allungavano immensi scaffali vuoti. I suoi occhi voraci si fermarono a studiare una fotografia appesa al muro che la turbò ulteriormente.

-Assomiglia a Stark. - Osservò Steve al suo fianco, pungendola nel suo silenzio. Astrid non parlò. All'improvviso si sentì come in colpa che le fossero venuti quei pensieri in sua presenza. - È suo padre. Howard. Era... - continuò Steve, come per aggirare il discorso, come se non avesse capito perché si fosse pietrificata davanti a quel volto tanto familiare.

-Quella accanto chi è? - chiese l'altra, intuendo che potesse conoscere anche lei.

Steve rimane a fissare il viso della donna dall'uniforme stretta, la pettinatura retrò, il rossetto scuro e lo sguardo deciso, con aria severa, le sopracciglia in tensione. Non disse una parola, quasi per riprenderla per averglielo chiesto.

Astrid lasciò che la tensione cadesse nel silenzio. Non aveva la forza mentale di indurre una battaglia contro la staticità emotiva del Capitano. La sua attenzione ricadde su un ritaglio tra gli scaffali occupati solo da ragnatele.
Sentiva un fischio, uno spiffero d'aria, una leggera differenza di calore, come nella parete nella base dell'HYDRA a Sokovia, quando lei e Stark si erano infiltrati attraverso la finestra. Strizzò gli occhi con forza, fino quasi a farsi male. Doveva smetterla di pensare a qualsiasi cosa che potesse ricollegarsi a Stark. Forse avrebbe dovuto smettere di pensare direttamente. Aveva già fatto una figura pessima davanti al Capitano, non poteva svilirsi in quel modo.
Allungò la mano e capì di avere ragione sullo spiffero e anche sulla densità irregolare del muro aldilà dello scaffale. Il Capitano la raggiunse. Si guardarono e si capirono al volo. Le dita di Steve si infilarono nella fessura di legno, spinsero finchè lo scaffale non si tramutò in un ingresso segreto.

-Se stai già lavorando in un ufficio segreto... Perchè devi nascondere l'ascensore?

-Forse per nascondere informazioni ancora più segrete. - Propose Astrid. Puntò il dito verso un tastierino elettronico. - Guarda. Ci vuole un codice.

Steve estrasse di nuovo il marchingegno di ultimissima generazione di Natasha, con uno sbuffo dalle narici. Non sembrava contento di doverlo usare di nuovo. Avrebbe preferito di gran lunga la forza bruta che abbassarsi al nuovo millennio. Si sforzò di ammettere che fu di aiuto, dopo che Astrid dovette aiutarlo - o meglio, trattenerlo dal farlo esplodere a forza di raffiche di digitazioni assolutamente a caso - a ritracciare la sequenza temporale delle impronte digitali lasciate sui pulsanti del tastierino, attraverso una precisa funzionalità del dispositivo.

Nell'ascensore, rimasero rigidi, al centro della piazzola, senza allontanarsi né avvicinarsi, giocando ad evitare di incrociare la direzione dei corrispettivi sguardi. Entrambi tirarono un respiro di sollievo, quando l'ascensore si fermò al secondo livello interrato disponibile.

Li accolse un muro di buio intenso, bucato da rare spie luminose che schiarivano le forme di quelli che sembravano dei monitor di computer su una grande scrivania. Come entrarono, dopo pochi metri, si attivò il rumore di una ventola, le lampade iniziarono ad accendersi una fila dietro l'altra, seguendo i loro passi, da dietro le loro spalle fino a sopra quella che effettivamente era una scrivania: sosteneva un imponente monitor al centro e altri più piccoli ai lati, assieme ad un pannello tappezzato di bottoni e di spie esteso su tutto il piano obliquo davanti alla tastiera e ad una sedia d'ufficio ingrigita dalla polvere. Tutt'attorno a loro erano sistematicamente ordinate scatole grigie e rettangolari che assomigliavano ad enormi musicassette per via di quelle che sembravano bobine di nastro.

Astrid e il Capitano si guardavano attorno, uno più disorientato dell'altro. C'era un motivo per cui quel computer di tecnologia passata era stranamente isolato sottoterra e per raggiungerlo era servito un ascensore nascosto dietro uno scaffale.

-Che cos'è tutto questo? - sbottò Astrid.

-Me lo sto chiedendo pure io.

Astrid allungò il naso dietro la sedia per cercare qualcosa di più interessante ed effettivamente sul piano della scrivania, c'era un adattatore di prese USB, collegato ad un cavo grigio, pronto per l'uso.

-Cap...

Steve si cacciò una mano in tasca e le passò la chiavetta su cui era inciso il simbolo dello SHIELD. Astrid lo inserì in una delle fessure e all'improvviso, lungo il soffitto, si irradiarono i neon che erano rimasti dormienti, mostrando uno scenario ancora più vasto, una più estesa collezione di scatole le cui bobine iniziarono a muoversi a scatti in uno squittio continuo.

Sullo schermo principale apparve una scritta in verde, accompagnata da una voce elettronica che la leggeva:

"AVVIAMENTO SISTEMA?"

Astrid lanciò un'occhiata a Steve e dalla bocca spalancata e gli occhi scattanti e totalmente sconcertati apprese che doveva prendere lei le redini della situazione. Si avvicinò alla tastiera, senza avere un'idea precisa di ciò che avrebbe dovuto fare. D'istinto digitò la parola "YES".

-Una volta ho letto da qualche parte che dei vecchi modelli di computer si avviavano in questo modo. - Sentì la necessità di dirlo. Tutta orgogliosa, sorrise, quando si udì un'unica ventola azionarsi con più vigore, segno che era la risposta giusta.

-Fortuna che l'hai letto. - Commentò Steve freddo.

Sullo schermo si illuminò un'immagine indistinta. Un altoparlante emanò una voce diversa da quella di prima, più acuta e particolare, più umana. Entrambi si accorsero in quel momento della telecamera che si muoveva sulle loro teste. Prima verso quella del Capitano, poi verso quella di Astrid.

-Rogers, Steven. Nato nel 1918.
Sullivan, Astrid. Data di nascita non pervenuta.

Astrid emise uno sbuffo divertito.

-Iniziamo bene!

   
 
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