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Autore: Claudiascully    15/01/2018    0 recensioni
Fu solo un mese dopo la sua morte che lei notò qualcosa di familiare nella rigatteria.
Il suo pianoforte. Quella musica non era finita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Fu solo un mese dopo la sua morte che lei notò qualcosa di familiare nella rigatteria. Il suo pianoforte. Quella musica non era finita. Le sue mani dalle dita affusolate scivolavano lentamente sui tasti come se li accarezzasse, li sfiorasse, senza toccarli. Un lampo di malizia, forse di malcelata lussuria innocentemente sfacciata, passò negli occhi di lei e gli trasmise un brivido. Capì che lei desiderava essere il suo pianoforte e con più forza toccò i tasti continuando a suonare per il suo pubblico, rivolgendogli adesso uno sguardo un po' inebetito, ancora succube di quel lampo. Lei lì accanto, fasciata da un lungo vestito di velluto rosso, gradevole agli occhi di un'intera sala e deliziosa a quelli di lui, continuava a cantare una melodia non più dolce come richiedeva lo spartito, ma accattivante e calda. Lui preso alla sprovvista, tentò di assecondare la musica alle parole, modulando le note e imprimendo potenza per adeguarsi al tono di lei, poi la canzone finì. La musica cessò. Silenzio per un attimo. Fu in quell’attimo che lui capì. Cercò gli occhi di lei che, ormai spenti, privi di passione, di malizia e di quel lampo vagavano lenti per la sala cercando applausi e consensi. Allora capì che per lei lui era qualcuno solo se suonava, solo se “era” il suo pianoforte. Solo la sua musica le sconquassava l'anima e gliela conduceva a picchi di sublime passione incontrollata. Lui non era altro. Una lacrima, cadendo alla velocità di un secolo che passa, bagnò un tasto e lui, lesto per coprirla pur di nasconderla, lo colpì, suonando un “la”. Quando lo sentì lei si voltò di scatto. Vide i suoi occhi lucidi, ma non capì. Lo credeva commosso per la musica. Lo amò davvero per quel “la” La gente in sala tornò a chiacchierare, a cincischiare, a far passare una di quelle serate di fine Ottocento, vissute nelle sale ovali immense e spaziose, con lampadari di cristallo, quelle serate oziose dell'alta borghesia che non ha veri sentimenti, ma che prende in prestito quelli dell’attore di teatro per renderli verosimili o del personaggio di copertina tanto per sentirsi qualcuno. È questo che lui pensò, seduto al pianoforte mentre osservava con infinito disgusto, mascherato da compiacimento, la scala gremita di gente. Gente assurda, gente vuota. Gente che non capiva la musica. La sua musica. Avrebbe potuto suonare un Valzer o un Adagio, non se ne sarebbero accorti, come non si sarebbero accorti di lui, insignificante pianista nel suo frac nero con gli occhi sinceri e buoni, il cravattino bianco e il colletto inamidato, le scarpe lucide e la gelatina nei capelli. E a dire il vero non prestavano nemmeno molta attenzione a lei, con il suo vestito di velluto rosso su un corpo flessuoso e morbido, i capelli rossi a boccoli sulle spalle, due occhi celesti da fare invidia al mare nelle limpide mattinate estive. La sua voce era dolce, alle volte calda, ma era solo musica, canto, frivolezze… li distoglieva dai loro discorsi importanti tra risolini affannati, strizzatine d’occhio e gridolini eccitati. Due esseri avvolti dalla folla, due essere pulsanti vita e amore, ma chiusi, senza via d'uscita in un castello di vetro. La gente cominciò a ritirarsi, era il momento dei saluti, dell’affrettata ricerca del proprio scialle o del proprio marito che sbadigliava annoiato, perso dietro i sogni notturni già in vista negli occhi semichiusi. Lui chiuse il piano, lei prese il suo scialle. “Buonanotte Herbert” disse lei in un soffio, forse troppo sconvolta dal tocco delle sue mani sulla tastiera che per quella notte ormai avrebbe riposato. Lui al sentirle pronunciare il suo nome avvampò e non riuscì ad evitarlo; alzò il viso più lentamente che potette e con molta dolcezza quasi venata però di un indifferente gentilezza, le disse “Buonanotte, Thérese” La seguì con lo sguardo, la vide scendere i gradini della scalinata del palazzo e svanire in una fredda notte di un inverno parigino di fine Ottocento. Furono pochi istanti poi cominciò a correre col cuore in gola nella speranza di trovarla ancora lì. La vide in fondo alla via. “Thérese” ma la voce gli uscì strozzata, si fermò di colpo, che follia! Che illusione! Dove mai correva? quella donna aveva il suo destino separato abissalmente dal suo. Ed ora non c'era la musica ad unirli. Ora lui era meno di niente ai suoi occhi. E la notte lo avvolse. Si strinse nel suo cappotto e svoltò a destra verso casa. La Senna di notte sembrava così minacciosa e attraente allo stesso tempo, le sue acque illuminate solo dalla tenue luce dei lampioni, scorrevano scure nascondendo lamenti segreti e profondi… la voglia di annullarsi in quelle acque appoggiato al parapetto. Herbert si trovò a guardare l'acqua scorrere, senti il desiderio di sollevarsi sulle punte, di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dal dolore lì giù, in fondo. Fu un attimo.Tornò lucido. L'umido del fiume gli penetrò nelle vene e la voglia di una tazza di tè caldo lo invase, affrettò i passi per raggiungere casa. La piccola luce del suo modesto soggiorno illuminò il suo pianoforte e lo accarezzò languidamente per un attimo. Suo padre glielo aveva regalato con enormi sforzi lavorando notte e giorno in fabbrica e poi un giorno arrivò un suo compagno di lavoro ad avvertire Herbert che c'era stato un incidente ed il suo papà non sarebbe tornato. Herbert aveva 12 anni, non era più un ragazzino ormai “Tuo padre è morto disse l'uomo, mi dispiace Herbert” con tono di circostanza. Il bambino scosse la testa e disse: “Tornate in fabbrica, lì hanno bisogno dei vivi, noi piangeremo i morti” Passò due giorni al pianoforte senza riuscire a tirar fuori nemmeno una nota. Sua madre e sua sorella dicevano che era fuori di testa e che lo sarebbe sempre stato e dove erano loro adesso? Sua madre era scappata con un nobiluomo parigino più di 10 anni prima, sua sorella aveva sposato un uomo facoltoso col vizio delle donne e dell'alcool ed ogni sera le sfigurava il volto con tutte le percosse che le infieriva, ma il folle era Herbert, era lui lo svitato! Ora aveva 37 anni e suonava nelle serate per la nobiltà, non lo pagavano nemmeno molto, ma suonare e scrivere musica era l'unica cosa che sapeva fare e Thérese era spuntata fuori da una favola, arrivata anche lei ad allietare le serate dei nobili con la sua dolce voce. Tentò di suonare qualcosa, ma quel dolore sordo lo invase di nuovo e sbatté con violenza il coperchio del pianoforte che produsse un suono simile a quello del suo dolore. Non aveva mai conosciuto le gioie dell'amore che non si era mai soffermato su di lui, le signorine “bene” per strada lo guardavano sorridendo con le amiche forse per il suo sorriso così buono e sincero, privo dei caratteri fieri accattivanti dei giovanotti dell'epoca Herbert era diverso, era il prodotto di una nota, viveva di melodia, se ne nutriva, gli rendeva buono l'animo e gli addolciva il viso. Sembrava non conoscere l'ipocrisia e la cattiveria, la tristezza però appariva dal suo sorriso stanco e appena accennato. Il sonno lo vinse trasportandolo in un mondo dove poteva abbracciare suo padre, respirare l'aria della primavera, si rivide bambino correre nel prato alle porte di Parigi con sua sorella dai riccioli castani nel suo vestitino di bambina che danzava vivido nella memoria di Herbert. E le note del suo pianoforte, le lacrime, le mani di Thérese, la sua voce, quel lampo… l'unica volta che senti l'amore di una donna… un solo istante ed era svanito. Una settimana dopo ci fu un altro ricevimento. Il fattorino venne a consegnargli il biglietto dove si richiedeva la sua gentile partecipazione per una serata. Chiuse gli occhi. Un'altra serata equivaleva a dire suonare per quella gente che non capiva la musica, che la svuotava di ogni valore e la considerava solo puro intrattenimento non vita, non l'arte, la vita, l'anima stessa di Herbert. Ma un'altra serata significava rivedere Thérese e poterle parlare forse. Tirò fuori il frac dall'armadio. Quando salì le scale del palazzo le gambe di Herbert tremavano e si sentiva incredibilmente leggero, come se i suoi piedi non toccassero terra, un senso di paura mai provata gli avvolse l'anima e per un momento si sentì mancare il fiato. Non era solo la voglia di rivedere Thérese, era qualcosa di più grande che c'era dentro di lui, la paura di non contare niente, la paura di vivere per sempre questa vita nell'ombra senza essere mai notato realmente, senza essere mai amato. Mentre pensava a queste cose si ritrovò nell’ immenso salone. Gli invitati erano ancora pochi e chiacchieravano tra loro nella parte della sala più lontana da Herbert. Preferiva non guardarli, i loro volti gli trasmettevano insicurezza, angoscia e un senso di vuoto abissale. Leggeva nelle loro anime e vedeva tunnel oscuri e senza luce, tristi pensieri mascherati con visi festanti, sorrisi che nascondevano la più profonda delle disperazioni eppure loro sapevano mascherare, sapevano mettere un abito sulle loro anime tristi. Un po' li invidiava, lui non riusciva a fingere, la sua anima era nuda davanti a tutti loro.Si sentì come se fosse davvero nudo. Istintivamente ebbe un brivido. Scuotendo la testa, assorto nei suoi pensieri, si sedette al piano e cominciò a sfogliare gli spartiti. Il sassofonista si avvicino a lui “Ehi, Herbert, suona qualcosa di allegro stasera, l'età dei partecipanti alla festa non è propriamente giovanile, almeno li faremo sentire giovani per qualche attimo e forse felici!” Herbert sorrise “Qualcosa di allegro? Karl non è facile, non mi viene dal cuore” Karl lo guardò in modo compassionevole e aggiunse con tono freddo e severo “Sforzati! Sei pagato per questo! pensa al pubblico, non a te stesso!” Karl non capiva nulla. Era un altro dal cuore di marmo. La musica la suonava perché gli veniva chiesto, ma non la sentiva. Non si può suonare la vita, le note melodiose di un allegretto quando dentro stai morendo, almeno Herbert non ci riusciva. Poco dopo la serata iniziò, il direttore d'orchestra diede il via alle danze ed Herbert poggiò le mani tremanti e fredde sul pianoforte. Sentiva crescere l'angoscia. Dov' era Thérese? Perché non era accanto a lui a cantare? Per il momento non erano in programma canzoni, ma tra breve il pubblico avrebbe smesso di ballare e si sarebbe seduto per ascoltare le melodie che Thérese era solita cantare Il tempo passava, Herbert con un'ansia al di là del descrivibile suonò l'ultima ballata poi guardò preoccupato il direttore d'orchestra. L'uomo, uno svizzero sulla cinquantina si avvicinò a lui. Sembrava tranquillo, mentre nel cuore di Herbert si aggirava una tempesta in cui il capitano aveva ormai perso la bussola e vedeva solo lo scroscio delle onde contro la nave. “Herbert, questa sera Mademoiselle Thérese ha avuto un contrattempo così non verrà, saresti così gentile da cantare tu qualcosa per noi?” Le parole arrivarono attutite e lontane alle orecchie del pianista, aveva solamente compreso che non avrebbe rivisto Thérese. Cosa poteva essere successo? Era forse per causa sua? Avrebbe voluto correre via a cercarla, la sua presenza lì era fuori luogo, la sua musica era sprecata. L'unica persona che amava la sua musica, la sola persona che contasse per lui, non era lì quella sera… questo non aveva alcun senso. “Herbert! Ti prego! torna tra noi! Mi hai sentito?” diceva il direttore guardandolo negli occhi. Il giovane pianista si accorse che gli sguardi di tutti i musicisti erano puntati su di lui e lo guardavano come si guarda un cagnolino bagnato sotto la pioggia. “Canterai qualcosa?” ripeté lo svizzero “Cantare?” sillabò il pianista . “Herr Rickmann…io non credo di essere all'altezza” stanco di perdere altro tempo a farsi pregare da quel ragazzo che sicuramente era un po' svitato, il direttore tagliò corto “Basta Herbert! Non essere così timido e non farmi fare brutte figure…Tu canterai” Herbert sbatté le palpebre due volte per essere sicuro che non fosse un incubo Attorno a lui ora c'era solo il silenzio. La folla si era accomodata sulle sedie e ai tavolini ed aspettava che Herbert suonasse qualcosa che non facesse parte del suo repertorio di ballate. Erano tutti in attesa, migliaia di occhi puntati su di lui. L'orchestra aspettava il suo attacco. Il giovane visse attimi interminabili, cosa avrebbe cantato? Non aveva mai cantato per un pubblico, era troppo timido. Sentì le mani sudargli, la testa girargli vorticosamente e vide tutta la sala girare con lui. Si aggrappò al pianoforte come se stesse per cadere, come se stesse precipitando nell'abisso, poi gli tornò alla mente suo padre: di certo non sarebbe stato fiero di lui se lo avesse visto così. Un giorno gli aveva detto “Herbert ricorda, dovunque sarò, quando non ci sarò più, ti guarderò e voglio vedere un figlio di cui andare fiero” E fu anche qualcos’altro che lo spinse a cominciare la Vie en Rose. Sentì che da qualche parte Thérese stava ascoltandolo e sarebbe stata delusa se si fosse dimostrato l’inetto che era convinto di essere. Così cominciò a suonare e a cantare in modo un po' incerto prima, con più coraggio poi, al pensiero di lei che, invisibile nell'aria circostante, lo ascoltava, lo amava. Finita l'ultima nota sentì un applauso avvolgerlo calorosamente, trasse un profondo sospiro. Aveva superato la prova. La serata finì tra una melodia dolceamara e una ballata per cuori spensierati Il pianista ricevette le lodi di alcuni invitati e di Herr Rickmann, mestamente chiuse il pianoforte e si diresse verso l'uscita. Senza Thérese al suo fianco la sua musica non viveva, non vibrava, non la sentiva sua. Si avvolse la sciarpa attorno al collo e stava incamminandosi verso casa con le mani in tasca mentre un fresco venticello gli spettinava i capelli e gli sferzava le corde del cuore già sanguinante. Fu allora che accadde. Herbert sentì pronunciare il suo nome, per un attimo pensò di essere in paradiso e che quella fosse la voce di un angelo, l’aveva riconosciuta subito, solo lei poteva avere quella voce. Si voltò di scatto “Mademoiselle Thérese!” esclamò togliendosi le mani dalle tasche. Non seppe dire altro per un attimo poi tentò di formulare un pensiero di senso compiuto “Voi? come mai qui? Vi credevo malata, il direttore mi ha detto che avete avuto un contrattempo ed ho pensato che fosse successo qualcosa” Thérese gli sorrise con tutta la giovinezza e la freschezza dei suoi vent'anni “Oh Herbert, mi spiace avervi causato questo disturbo, non sono malata io, ma la mia povera madre e così non sono potuta venire alla serata, non sarei dovuta venire, ma sono qui o meglio… ero qui” Herbert fece un passo verso di lei e sentì il cuore battere così forte che sembrava potesse uscirgli fuori dal cappotto “Che volete dire? Non capisco! voi non eravate a palazzo” Thérese lo guardò come mai nessuno lo aveva guardato -pensò lui- poi arrossì, abbassò lo sguardo ,tutto d'un fiato disse “Oh, voi credete che non ci fossi… non ero a palazzo no, ma ero qui fuori, proprio sotto la finestra della sala. Ho sentito ogni vostra nota, vi ho sentito cantare, non potevo mancare, Herbert voi non potete capire… la vostra musica è la mia musica…è la mia vita, è quello che mi permette di andare avanti ogni giorno e…” Si bloccò poi esclamò interrompendo il discorso “Oh, fa freddo, dovrei tornare verso casa, vi va di accompagnarmi?” e dolcemente gli porse il braccio. Le gambe del pianista si mossero per forza d'inerzia, la sua mente non riusciva a pensare a nulla in quel momento, accostò il braccio a quello di lei e la seguì inebetito. Thérese riprese “Vedete, volevo dirvelo da tempo..ora voi penserete che io sia una sfacciata, ma avevo bisogno di vedervi, di dirvi che non posso vivere senza…” Herbert per un attimo credette che stesse per dire “di voi” e forse Thérese voleva dirlo, ma purtroppo non lo disse. Forse se l'avesse detto, Herbert avrebbe deciso diversamente cosa fare della sua vita “…la vostra musica. Essa sola riesce a farmi sentire davvero felice, a farmi provare sensazioni al di là di quello che può essere umanamente possibile provare. In quei momenti tocco il cielo con un dito, in quei momenti vivo, non sto semplicemente al mondo.” Il fiume di parole che Thérese riversò su Herbert gli diede un coraggio che non aveva mai avuto e agì d’istinto, come mai prima d'ora aveva fatto, si fermò davanti a Thérese, le prese le mani e le disse tremando “Io Thérese, sono lusingato dalle vostre parole, ma vorrei che voi mi amaste per quello che sono, con i miei difetti, i miei pregi… vorrei che voi poteste conoscere ed amare Herbert, non solo il suo pianoforte” La giovane si pentì per tutta la vita della frase che disse in quel momento e che cambiò il corso della vita per sempre. “Herbert, io non ho detto che vi amo… io vi stimo… Vi amo per quello che suonate… Non riuscirei a fare diversamente” Mentre il mondo continuava a disfarsi in tanti piccoli pezzi accanto ad Herbert, egli sussurrò, incapace di pensare “Per voi non sono altro? Sono solo… esisto solo con la mia musica e il mio pianoforte?” Thérese annuì, poi capito di essere stata scortese di fronte ad un uomo che chiaramente la amava, disse “Forse un giorno io… Forse le cose cambieranno… la vita è imprevedibile” L’uomo voleva sparire, ogni parola di Thérese era come un coltello che feriva la sua debole carne e stava per piangere “Thérese, io vi…” “No Herbert, vi prego non ditelo… so che non è giusto. Herbert sentì che non poteva resistere oltre “Bene, Mademoiselle, spero che la mia musica continui ad allietare la vostra vita, vedo che siete arrivata. Vi auguro una buonanotte” disse mentre il pianto gli veniva nella gola e gli alterava la voce. La fanciulla gli sorrise mentre si allontanava e fu allora che le lacrime di Herbert cominciarono a sgorgare. Fu l'ultima volta che lo vide. Herbert cominciò a correre all'impazzata, non sapeva dove, ma voleva fuggire lontano e corse, corse finché le gambe lo portarono lungo la Senna e continuò a correre finché il fiato gli rimase. Voleva che cessasse del tutto così avrebbe posto fine alla sua vita insulsa. Allora ci pensò di nuovo, questa volta era il momento giusto. Lo aveva abbandonato anche la speranza dell'amore, nemmeno la donna che amava e che credeva lo amasse aveva amato Herbert, ma solo la sua musica. Lui era solo un automa che la produceva. Salì sul parapetto. L’umido gli sferzò il viso. La Senna era così scura, forse anche più dell'ultima volta che l'aveva guardata scorrere di notte, quella notte… ormai lontana nel tempo mentre tornava a casa dopo che quel lampo negli occhi di Thérese aveva infiammato il suo cuore e pensò a suo padre, a sua sorella persa chissà dove a lasciare che la vita si prendesse la parte migliore di lei, a sua madre, per la quale lui era sempre stato uno svitato, a Herr Rickman e al suo cipiglio, a Karl, per il quale suonare era facile… Bastava pensare alla paga… e poi ecco di nuovo davanti ai suoi occhi la gente della sala come una parata dell'assurdo teatro della vita, tutti i volti gli si confusero davanti agli occhi e rimbombarono nelle sue orecchie le parole Thérese”Io non vi ho detto che vi amo… Forse un giorno le cose cambieranno” No, Herbert non poteva aspettare quel giorno, era stanco di aspettare qualcosa che non arrivava mai. Aveva creduto che la sua musica potesse alleviare e divertire e la folla non la capiva, Thérese la considerava l'unica cosa degna di nota in lui . Era pur vero che era l'unica cosa che sapeva fare e che era la sua vita, ma la musica lo aveva rovinato. La gente non lo avrebbe mai realmente amato per quello che era ma solo per la sua musica. Musica, vita. Musica, morte. Ripensò quasi sorridendo alle parole della giovane. “Io non vi amo” e non gli aveva nemmeno permesso di dirle che la amava, forse era meglio… sarebbe uscito di scena silenziosamente come silenziosamente aveva vissuto e nessuno domani avrebbe più pensato a lui. Lentamente chiuse gli occhi, spinse in avanti un piede dopo l'altro e l'ultima cosa che sentì fu l'impatto con l'acqua fredda. Una luna alta nel cielo splendeva in quel momento, una nuvola le passò davanti per evitare la visione del fiume che quella notte scorreva ancor più freddo, portando con sé un'anima triste. Un mese dopo quella notte Thérese notò un pianoforte in una rigatteria e lo notò perchè sopra vi erano incise due iniziali in un cuore H&T. Entrò per curiosità. Ormai dopo la morte di sua mamma non era più andata a palazzo e non aveva più rivisto Herbert. Chissà dov'era andato dopo quella notte. La sua musica le mancava tantissimo. Il rigattiere le venne incontro “Prego, Mademoiselle” Thérese chiese con il cuore che le prese a battere inspiegabilmente “Scusi, di chi era questo pianoforte?” Il rigattiere raccontò la storia senza sapere che stava parlando con la protagonista “Sa, Mademoiselle, è una storia davvero triste. Apparteneva ad un ragazzo, Hermann, Hernan…no Herbert …se non sbaglio… l'hanno trovato un mese fa nella Senna, nessuno sa perché vi fosse finito, forse era ubriaco ed è scivolato o si è ucciso. Sul pianoforte, vede, c'è una T vicino al suo nome, forse era il nome della donna che amava… poveretto che storia triste… tutti quelli che lo conoscevano dicono che era un ottimo pianista, che lui non suonava, ma che “era” la sua musica. Produceva note capaci di far vibrare l'anima, di renderla immortale… mah, un vero peccato concluse” Thérese tentò di contenersi e chiese “Quello era il suo pianoforte? posso dare un'occhiata?” “Prego, Mademoiselle” disse l'uomo. La giovane col cuore gonfio di dolore e con l'immagine di Herbert davanti agli occhi, toccò un tasto, il la di quella melodia dolceamara della notte in cui il lampo passò dai suoi occhi a quelli di lui. Capì di aver ucciso l'unico uomo che l'avesse mai amata davvero e fu allora che si rese conto che Herbert sarebbe stato l'unico uomo che avrebbe mai amato, per sempre. Qualche giorno dopo il pianoforte dello sfortunato pianista giaceva muto e triste nella casa di Thérese. Un drappo nero e una rosa rossa lo ricoprivano. Lo sguardo perso nel vuoto in una Parigi ormai in primavera. Thérese guardava le primule sbocciare nel giardino e sentì, come un’eco lontana che arrivava da mondi remoti, oltre lo spazio, una melodia dolceamara.
   
 
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