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Autore: hypatia_of_alexandria    15/01/2018    6 recensioni
[...]“Ci vuole un bacio, Hotaru.” Ne cercò lo sguardo. “Come con le principesse.”
Le principesse cercano principi.
Lei saltellò gioiosa, tirandosi un lembo del pigiama con gli orsetti. “E tu hai un vestito da principe, Haru!!”
Schiave di un cliché.
Hotaru non si aspettò che Haruka si alzasse repentinamente in piedi. “Tappo.” Si piegò appena verso di lei. “E se non servisse un principe?”[...]

(Spin off di "The Steadfast Tin Soldier", quindi per comprenderla appieno è necessario conoscere gli accadimenti della storia principale.)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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DISCLAIMER: Il titolo è ispirato da "The Steadfast Tin Soldier" ("Il Soldatino di Stagno" o "Il Soldatino di Piombo"), che appartiene a H.C Andersen; Haruka, Michiru, un paio di altri personaggi che appariranno nel corso della storia e tutto "Sailor Moon" appartengono all'immensa Naoko Takeuchi, NON a me. Di mio c'è solo questa fic e alcuni personaggi creati appositamente.


Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

******

The Steadfast Tin Soldier Christmas Special - Sleeping Beauty.



"Then the young Prince said,
"I am not afraid. I must go and see this Sleeping Beauty.”



Tikrit, Iraq

Seduta su un piccolo sgabello, stava ascoltando la lezione che Daisy impartiva pazientemente ai piccoli ospiti del centro, alternando la lingua araba all’inglese dei libri di fiabe utilizzati come testi didattici. Partecipava spesso alle lezioni dei bambini, ricche di frasi semplici che le permettevano di migliorare le proprie conoscenze di base.
“Long ago there lived a King and Queen…”
Le piaceva la grande tenda dove Daisy - una ragazza che veniva dall’Inghilterra e che era volontaria in Iraq da quasi sei mesi - teneva le lezioni, arredata con banchetti in legno scheggiato ma animati da nuova vita grazie a pezzi di carta colorati ed adesivi, e con pareti ricche di illustrazioni appese per mezzo di scotch al tessuto reso ruvido da sabbia e umidità, i quali puntualmente si staccavano e svolazzavano fino a terra, accompagnati da raggi di sole che filtravano insieme agli innumerevoli spifferi.
Ma la cosa che le piaceva di più di quel luogo erano i fogli che ricadevano, tramite fili da pesca di nylon, dalla copertura della tensostruttura: nuvole di pensieri colorati e disegni, appesi ad un cielo di fantasia e speranze.
Ora Daisy aveva posato il libro per spiegare il significato delle singole parole che avevano utilizzato fino a quel momento.
Appuntava tutto in fogli di carta che aveva ottenuto da un’altra volontaria del centro. Conservava anche un quaderno, nella camera che le avevano messo a disposizione e che era diventata la sua casa: gliel’aveva regalato proprio Colleen in persona, e lì metteva ogni cosa importante apprendesse.
“After many years a Prince came again to the country and heard an old man tell the tale of the castle and the beautiful Princess who had slept within for a hundred years…”
Anche la casa che aveva condiviso con Ahmed, nel breve tempo vissuto insieme, era stata il più possibile colorata: aveva amato metterci dei fiori al mattino, quando riusciva a trovarne; quando non riusciva creava fantasiose geometrie con dei fogli di carta e li sistemava al centro del tavolo su cui consumavano i pasti, o vicino al letto che dividevano.
Disegnò un ghirigoro all’angolo in alto a sinistra dei suoi appunti. Quindi ripiegò la piccola porzione di foglio per avere nuovo spazio immacolato.
La prima notte insieme lui le aveva detto che sperava potessero avere subito dei figli, e lei non aveva risposto perché non sapeva che cosa pensare in proposito. In realtà non sapeva che cosa pensare di lui, del matrimonio, di quella vita in cui si ritrovava ingabbiata. E per un po’ aveva creduto che l’amore fosse semplicemente essere devota ed obbediente a quel marito che conosceva appena, quindi si era sforzata di farlo finché Ahmed non era stato chiamato nell’esercito.
Ma ora lo sapeva cosa volesse dire essere innamorata e il ricordo di lui si sfumava di affetto; di una benevole amicizia che niente aveva a che vedere con il cuore impazzito e il senso di inebriante euforia ogni volta che si prospettava l’occasione di avere contatti con l’angelo che le aveva salvato la vita.
Sospirò appena, un lieve sorriso che le piegava le labbra mentre una frase dei suoi appunti sfociava in un nuovo motivo astratto appena abbozzato, i pensieri a rincorrersi e a rincorrere il viso il cui ricordo la svegliava il mattino e l’accompagnava nel sonno la sera.
Quando Daisy aveva posato il libro di fiabe e aveva comunicato ai bambini che la lezione era conclusa, lei si era alzata dalla sedia per avvicinarla.
“Tutto bene, Samira?” Domandò sistemandosi i capelli scuri in una coda di cavallo. “Vuoi rimanere ancora un po’? O che ti spieghi qualcosa?”
Lei scosse la testa, un sorriso che le si allargava sul viso. “Sei tanto brava, Daisy.” Pensò per un attimo. “Paziente.” Sì, quella era la parola corretta.
L’altra rispose al suo sorriso. “E tu sei davvero una bravissima studentessa.”
“Posso aiutarti?” Si offrì immediatamente: si sentiva come se stesse rubando tempo e risorse alle ragazze dell’Oasi. Voleva rendersi utile finché non fosse stata in grado di aiutare in maniera più concreta.
Daisy si portò una mano ai fianchi, pensosa, mentre riaccendeva il telefonino. “Se vuoi puoi sistemare l’aula.” Valutò. “Le favole vanno riportati nell’angolo dei libri, nella tenda 2B. Sai qual è?”
Samira annuì con veemenza. Quindi iniziò a raccoglierli, la voce di Daisy che tornava alle sue orecchie.
“Ah, non passare per il percorso interno.”
“Rotto?” Samira ne cercò lo sguardo, sorpresa. “Di nuovo?”
“No.” Un lieve sorriso increspò le labbra della giovane. “So che oggi sarebbero passati i ragazzi della Quarta divisione di fanteria, per scortare i camion di aiuti umanitari.”
Samira trasalì, gli occhi spalancati in infantile, gioioso stupore.
Quarta divisione di fanteria.
Forse avrebbe potuto vedere -
Daisy le fece l’occhiolino mentre usciva, il telefonino che iniziava a squillarle in mano - probabilmente già ricercata da Colleen; Samira raccolse velocemente i libri e con un fianco si aprì la strada tra i teli polverosi, incollati di sabbia e umidità, fino all’esterno.
Proprio come le aveva detto Daisy, c’erano dei soldati davanti all’ingresso principale dell’Oasi, immersi nell’aria torrida che anche quel giorno non dava tregua a Tikrit. Camminando piano cercò di dilatare la distanza esigua che la separava dalla tenda 2B: vide uno dei volontari, e un soldato che parlava con lui. Notò un gruppo di militari a poca distanza dai convogli; si accorse di un altro, appena più lontano dagli altri, che sembrava un po’ più alto di quanto lo fossero i restanti membri della squadra.
Deglutì, una lieve agitazione che le accelerò il respiro: che fosse lei?
Al solo pensiero sentì una morsa allo stomaco, e un calore che saliva dal collo al viso.
Alcuni bambini si stavano rincorrendo, fuori, seguiti dall’occhio vigile di un educatore; uno di essi la urtò involontariamente, e lei trattenne i libri posando una mano sopra la copertina del primo, raggiungendo infine la tenda che era la sua destinazione.
Dentro trovò i piccoli mobili chiusi da delle ante: posò quindi i volumetti su un tavolino di ferro posto a lato, iniziando a sistemarli sullo scaffale. Si accorse solo in quel momento che ne mancava uno: forse le era caduto quando il ragazzino l’aveva urtata e -
“Sleeping Beauty.” Non si voltò subito alla voce dietro di sé. Quando realizzò si trattenne dal non gridare di felicità, riconoscendo Haruka nel soldato che si stava togliendo i Ray Ban ed entrava nella tenda con un libretto in mano. “Ciao, Missy.”
“Ciao.” Samira pensò che il cuore le uscisse dallo sterno. Sorrise. “Ti posso abbracciare?”
Haruka le sorrise a sua volta, gli occhiali che finivano in una delle tasche al di sotto del giubbotto antiproiettile. “No.”
Silenzio. “E ti posso dare un bacio?”
Lei inclinò un po’ il viso, divertita. “Assolutamente no.”
Samira la guardò. “Sono tanto felice di vederti.” L’avvicinò di un passo. “Tanto.”
Haruka non replicò, guardandosi intorno nell’ambiente circostante.
“Come stai?” Cercò il suono della sua voce; il primo suono che l’aveva rassicurata, nella rinascita dopo i fatti della casa di mister Nasim.
Lei tornò a guardarla, stringendosi nelle spalle. “Sto bene. E tu, Missy?”
“Sto bene, Inshallah.
Haruka la guardò per un momento, quindi le mise a vista il libretto che teneva ancora in mano. “Ti piacciono le fiabe?”
“I bambini imparano veloci.” Samira inclinò un po’ il capo. “E Daisy è brava maestra.”
L’altra si rigirò il libro tra le mani. “Questa la conosci?”
Samira annuì. “C’è n’è una che assomiglia ne Le mille e una notte”. Un breve silenzio. “Lo leggevo, da bambina.”
Haruka scelse di nuovo il silenzio, ma allungò il libro nella sua direzione: Samira prese il volumetto dalle mani di lei, sfiorandole brevemente le dita nell’operazione. Forse arrossì, non seppe capirlo, ma vide Haruka sorridere appena quando ne incrociò le iridi verdi.
Stringendo il libro al petto fece subito un passo indietro, l’altra che si passò una mano tra i capelli impolverati.
“Vado a chiamare Richard, Missy.” Una pausa. “Ci vedi-“
“Ruka, se-“ La interruppe, tornando a guardarla dopo un’occhiata al libro di fiabe che stringeva ancora a sè. “Se cado addormentata,” sorrise. “Mi sveglierai con un bacio?”
“Ti servirà un principe, Samira.” Haruka piegò un angolo delle labbra all’insù. “Non un soldato senza alcun tipo di buone maniere.”
Ma lei scosse la testa.
“Svegliami con un bacio, Maggiore Tenou.” Un nuovo sorriso. “Me lo prometti?”

*

Portsmouth, Virginia.
24 Dicembre


 “Haruka?”
In bilico in mezzo ai pacchi disposti sotto l’albero di Natale, Michiru voltò appena il capo quando sentì la presenza dell’altra nel soggiorno. “Mi daresti una mano?”
Alcuni passi. Silenzio.
Un sonora pacca sul sedere.
“Non intendevo questo.” Obiettò ridendo appena, ma cercando il viso dell’altra raccolse solo un’alzata di spalle.
“Hai chiesto una mano, non hai specificato né come, né dove.”
Michiru scosse la testa, finendo di togliere alcune decorazioni dall’albero: gli addobbi finirono sparsi per terra, quindi mise le mani sui fianchi, un sospiro carico di soddisfazione mentre il gioco d’intermittenza sfumava in luci dal bianco al blu.
“Ed anche quest’anno il nostro maldestro Babbo Natale ha lasciato i suoi regali.” Fece una pausa, osservando i pacchetti disposti. “Ma c’è anche il mio, qui in mezzo?”
“Senti, questa storia che io come regalo non ti basto deve finire, sappilo.” Ribatté Haruka fintamente piccata, avvicinando il tavolo del soggiorno e versandosi quindi due dita di bourbon in un bicchiere di vetro lavorato.
Michiru non trattenne una lieve risata, quindi sistemò una stella filante che stava cadendo da un ramo del loro piccolo abete rosso canadese. “Non posso crederci che si sia già addormentata.” Disse quindi. Haruka si portò il bicchiere alle labbra.“Le ho detto che Santa non sarebbe mai passato, se non si fosse addormentata.”
“E non ha finto di farlo?”
“Certo. Ma ho aspettato con lei per un po’, ed il suo russare è divenuto un segnale piuttosto inequivocabile.”
Michiru roteò gli occhi, e dopo aver tolto un’altra pallina dall’albero si accomodò sul divano.
“A che ora dobbiamo essere dai Chiba, domani?” Chiese quindi Haruka, e lei si fece pensosa.
“Pensavo di andare per le undici.” Una breve pausa. “Vorrei dare una mano ad Usagi.”
“Pensi che eviteremo l’intossicazione alimentare, questa-“
Si interruppe per afferrare con la mano libera dal bicchiere la pallina di Natale che Michiru le aveva appena lanciato.
“Finiscila!” La rimproverò, lei che liberava una lieve risata. “Piuttosto: smettila di darle continuamente fastidio, Maggiore Tenou.”
Lei schioccò le labbra, giocherellando con la decorazione e tirando un nuovo sorso di liquore. “Non sarai davvero gelosa di Usagi?”
Michiru si appoggiò allo schienale del divano, la guancia sul dorso della mano. “Può darsi.”
Haruka scosse piano la testa, e appoggiando la pallina sul tavolo mosse quindi un passo per raggiungerla sul divano.
“Quella roba è così forte che mi sono sempre chiesta come tu possa trarre piacere dal berne.” L’altra si strinse nelle spalle, sedendosi accanto a lei.
“Un bicchiere di scotch, una sigaretta in bocca.” Sorrise. “A 17 anni è solo una questione di atteggiamento. Fingersi l’adulta che vorresti essere-“ Una pausa. “Che ti hanno costretto ad essere, ma che non sei ancora.” Mosse il polso, agitando il contenuto ambrato. “Poi i superalcolici sono diventati nel tempo un buon anestetico per l’anima.”
Michiru ne cercò lo sguardo. “A che cosa volevi anestetizzarti?”
Un sorriso. “Al fatto che nella vita si incontrano un sacco di stronzi.”
“Ed un sacco di stronze, non dimenticarlo.” Puntualizzò Michiru.
“Soprattutto.”
“Che poi sono quelle che ti fanno innamorare in maniera totale ed assoluta, senza che tu possa farci niente.”
“Bah.” Haruka le sorrise. ”Non hai mai opposto un minimo di resistenza. È stato fin troppo facile.” Piegò appena il capo per avvicinarlo al suo viso. “Una resa senza condizioni.”
“Io ho opposto molta resistenza, te lo garantisco.”
“Sì, me lo ricordo.” Replicò ironica Haruka. Michiru le diede un lieve colpo al braccio, e lei finì in un sorso il suo bourbon, ridendo e posando il bicchiere sul basso tavolino di fronte.
“Non ti ricordi mai niente ma questo te lo ricordi, uh?” Continuò a canzonarla Michiru, prima di continuare: “E io mi ricordo di tutti i tuoi vani sforzi per fingere che non ti piacessi.”
“Lo sai che lo facevo solo per la tua integrità,” Haruka la guardò nel dirlo, quindi si sistemò sul divano per guardare dritta nelle iridi celesti dell’altra. “E sentiamo,” abbassò appena il tono di voce. “Cos’ altro ti ricordi, doc?”
Michiru rimase un momento in silenzio. Quindi le andò un po’ più accanto.
“Mi ricordo-“ Un pausa, lo sguardo che vagava nella stanza per posarsi infine sull’albero, ora ricoperto da una cascata di luci bianche. “Mi ricordo il nostro primo Natale insieme.” Disse allora, dopo un’ultima occhiata ai pacchi di regali per tutta la loro disfunzionale famiglia allargata, come amava definirla Haruka.
Un angolo delle labbra di lei si curvò appena all’insù. “Mh, quello del Cartier.”
Il soffio di una lieve risata. “E della prima moto di Hotaru.” Ribatté Michiru, e Haruka non smise di sorridere.
“Mi ricordo la felpa che indossavi il giorno in cui ci siamo conosciute.” Proseguì Michiru. “E che sotto a quella avevi una t-shirt con delle cuciture sfilacciate.” Un breve silenzio nel quale affiorò un nuovo pensiero. “Mi ricordo il profumo degli asciugamani del tuo bagno, la prima volta che sono venuta qui.”
“Gli asciugamani?” Haruka sembrava sorpresa. “Sul serio?”
Michiru annuì, un sorriso ad addolcirle i lineamenti.
E andando a ritroso nel loro tempo condiviso, fu facile tornare con la memoria a tutti i momenti significativi che avevano passato insieme - e ce n’erano stati, di meravigliosi e di terribili. Eppure scansò quei pensieri per lasciare che tra le pieghe del ricordo tornassero a galla situazioni all’apparenza semplici, forse persino insignificanti. Ma che erano la loro memoria, i piccoli scalini sui quali erano infine riuscite a costruirsi, a darsi un’identità. Ma soprattutto a viversi.
Senza smettere di sorridere, Michiru proseguì. “Mi ricordo la piega strana del colletto della tua camicia, una sera che siamo uscite a cena insieme.” Allungò le dita per toccarle il lembo di maglia che le usciva dalla felpa. “Forse ti eri messa Hotaru in spalle, non ricordo, ma aveva un modo tutto asimmetrico di sistemarsi sulla giacca, e io decisi di non sistemartelo perché anche quello era il tuo modo di essere così maniacalmente maldestra.”
Haruka ne incrociò lo sguardo, incuriosita. Michiru continuò a parlare. “Mi ricordo quando mi accorsi che tieni il sopracciglio appena alzato, quando ti concentri per suonare.” Sorrise. “E che ti dà fastidio se mentre dormi qualcuno ti tocca l’orecchio.”
Haruka rise appena, Michiru che si spostava sul divano per salirle a cavalcioni: alla sua smorfia le accarezzò il viso, lieve preoccupazione. “Ti faccio male se sto così?”
Lei scosse la testa, mettendole le mani sui fianchi. “Non mi pare di essermi mai lamentata, negli ultimi tempi,” disse piano, Michiru che inarcava il sopracciglio prima di posare le labbra su quelle di lei in un pigro bacio. “Mi ricordo di aver sempre pensato che avrei potuto passare una notte intera a baciarti.” Sorrise sulla sua bocca. “E sinceramente lo penso ancora.”
Haruka inclinò appena il capo. “Io non sarei d’accordo a passare una notte intera solo a baciarti.”
Michiru inarcò un sopracciglio. “E tu cosa ricordi?” Sviò quindi il discorso, e Haruka sorrise.
“L’hai detto prima, io non mi ricordo mai niente.”
Ma l’altra le spinse il palmo delle mano sulla fronte, suscitando la lieve risata di Haruka. “Ok, ok.” Alzò le mani in una finta resa. “Vediamo,” silenzio. “Anche io ricordo il nostro primo Natale. Soprattutto il prezzo del Cartier.”
Michiru roteò gli occhi e Haruka proseguì. “Mi ricordo,” le sfiorò una ciocca di capelli, “quando ti ho vista. Mi ricordo quanto mi ostinassi a non ascoltarti.”
“Quello lo fai anche adesso.”
Un mezzo sorriso. “Solo qualche volta.” Una pausa. “Mi ricordo tutte le volte che arrossivi alle mie battute.” Un nuovo sorriso. “Ah, m ricordo il tutto bastardo.”
Michiru non trattenne una risata. “Il tutto bastardo! Oh mio dio.” Le posò una mano sul petto, piegando la testa in avanti. “Credo se lo ricordi anche la maestra di Hotaru.” Un breve silenzio, quindi parlò di nuovo. “Ti ricordi anche la totale adorazione che Hotaru ha sempre avuto nei tuoi confronti?”
Haruka annuì. “Già.” Sorrise. “Mi ricordo ogni singola immagine della mia rabbia, e di come tu mi abbia insegnato a lasciarla andare.” Nel silenzio di Michiru, proseguì: “Mi ricordo il giorno in cui conobbi Hotaru.” Disse allora. “Mi ricordo il corridoio tappezzato di disegni che mi ricordava l’Oasi. E-“ Silenzio, e Michiru attese. “Mi ricordo che pensai ad una principessa sirena.” Mosse una mano. “E al fatto che le principesse vanno alla ricerca di principi.”
Michiru tornò a toccarle le labbra con le proprie. “Dai, Maggiore, è così scontato.” Inarcò un sopracciglio. “Proprio tu, schiava di un cliché?”
“È Natale e sta nevicando.” Lei le circondò la vita con le braccia.”Direi che siamo già ampiamente dentro un cliché, doc.”
Michiru si raddrizzò immediatamente per guardare fuori dalla finestra. “Oh, Hime impazzirà domani.”
Haruka sorrise mentre Michiru si alzava per andare di fronte alla vetrata; si appoggiò al bracciolo per alzarsi a sua volta, e lanciando un’occhiata all’albero di Natale lo oltrepassò per avvicinare l’altra che ora osservava la neve che cadeva al di là della finestra.
E all’improvviso Michiru liberò una lieve esclamazione: lanciò un’ occhiata all’orologio, quindi si voltò per schioccare un bacio in bocca ad Haruka.
“Che cos’era?” Inquisì.
“È mezzanotte e quattro minuti,” l’informò Michiru. “Buon Natale.” Un lieve sorriso a curvarle le labbra. “Prendo il vischio.”
Haruka esasperò un gemito incrociando le braccia al petto e rovesciando la testa all’indietro, mentre lei rideva e si dirigeva verso la porta per prendere un rametto di quella piantina che le tradizioni sostenevano portasse fortuna.
Mi ricordo quando non c’era niente che meritasse di vivere nella memoria.
Michiru agitò il vischio davanti a lei, tornando ad avvicinarla.
Mi ricordo quando ho iniziato a volere che ogni ricordo non se ne andasse più.
Haruka sorrise a quel pensiero, lasciandosi prendere per mano da Michiru.

*

Portsmouth, Virginia.
25 Dicembre


 Si era svegliata poco dopo le otto, e aveva deciso di farsi una doccia prima di recarsi in cucina per la colazione.
Si era quindi versata una tazza di caffè e con quella aveva raggiunto il divano, osservando tutti i pacchi disposti sotto l’albero - compreso quello per Hotaru, come sempre il più grande di tutti .
Non era passato troppo tempo quando Hotaru spalancò la porta del corridoio, strofinandosi un occhio ed annunciandosi con un sonoro sbadiglio.
“Ehy tappo.”
La bimba sorrise immediatamente. “Ciao Haru.” Le corse vicino. “È passato Santa!”
“Pare di sì.” Si piegò un po’ per guardarla negli occhioni viola ancora pieni di sonno. “Anche quest’anno ti sei comportata bene.”
“Ma io sono sempre brava Haru!” Saltellò nel dirlo. “Haru facciamo i mescimellous e la ciocc-” Si bloccò, quindi si guardò intorno. “Ma mamma dorme, Haru!” Alzò le braccia al cielo, buttandole quindi in avanti, sconsolata. “Dobbiamo svegliarla!”
Haruka non trattenne un sorriso. E posando la tazza di caffè sul basso tavolino - dove ancora giaceva il bicchiere vuoto del bourbon della sera precedente, il pensiero arrivò da solo.
Svegliami con un bacio, Maggiore Tenou.
Il ricordo di Samira ora era un barlume di calore che non faceva più male.
“Ci vuole un bacio, Hotaru.” Ne cercò lo sguardo. “Come con le principesse.”
Le principesse cercano principi.
Lei saltellò gioiosa, tirandosi un lembo del pigiama con gli orsetti. “E tu hai un vestito da principe, Haru!!”
Schiave di un cliché.
Hotaru non si aspettò che Haruka si alzasse repentinamente in piedi. “Tappo.” Si piegò appena verso di lei. “E se non servisse un principe?”
La bimba la guardò mangiandosi il labbro inferiore, ma si lasciò prendere per mano e guidare fino in camera da letto: dentro, nella penombra, Michiru dormiva ancora. Era distesa su un fianco, e mentre la avvicinavano si mosse appena, mettendosi supina, una mano accanto al viso.
Hotaru osservò Haruka schiarirsi piano la voce e sedersi molto cerimoniosamente accanto a Michiru sul letto, il materasso che si piegò silenziosamente sotto il suo peso; le lanciò un’occhiata, quindi si piegò per posare un bacio sulle labbra di Michiru.
Lei non reagì subito; quindi spostò un poco la testa sul cuscino prima di aprire gli occhi, battendo le palpebre e sorridendo quando le mise a fuoco.
Hotaru si coprì la bocca e poi scoppiò a ridere, saltando quindi sul letto e poi in braccio ad Haruka che ne cercò lo sguardo.
“Hai visto Hotaru?” Guardò Michiru, quindi di nuovo la bimba. “Ha funzionato.”


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