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Autore: Sameko    16/01/2018    2 recensioni
[Villainous]
Quando Flug era stato assunto come scienziato personale di Black Hat, certo non si aspettava di poter cadere vittima di un grosso malinteso, uno che nel mondo dei cattivi non è semplice sbrogliare, non quando credi ci sia la tua stessa vita in ballo… e, a maggior ragione, se sei uno scienziato paranoico in disperata ricerca di approvazione ed il tuo capo è un mostro lovecraftiano con una gamma di emozioni davvero ristretta.
|Paperhat|Black Hat x Dottor Flug
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Three: Step by Step
 
 
 


« Allora, Hat… ho qui un paio di personaggi che potrebbero fare al caso tuo per, sai, quella… quella roba dell’organizzazione malvagia eccetera eccetera… »
« Black Hat Organization, se non ti dispiace. »
« , beh, dell’originalità del nome discuteremo in diversa sede. »
Black Hat levò gli occhi al cielo con un grugnito mentre attendeva che quella piaga irrispettosa di Tacle tornasse a dargli l’attenzione che meritava gli fosse dedicata, visto che aveva benevolmente deciso di utilizzare qualche minuto del suo tempo per qualunque messinscena l’altra Eldritch stesse mettendo in atto… ma erano già ben dieci secondi che dallo schermo con cui stavano comunicando proveniva solo rumore di carta che veniva spostata, rispostata e anche accartocciata, in aggiunta al lieve borbottare di Tacle di cui non riusciva a carpire neanche mezza parola.
« Se il tuo obiettivo era sprecare il mio tempo e guastarmi l’umore, ci stai riuscendo, donna. » Ringhiò leggermente il demone, battendo gli artigli contro il bracciolo della sua lussuosa poltrona, il suo occhio visibile si stava contraendo nell’osservare sempre lo stesso disordine in cui versava lo studio alias laboratorio alias discarica ambulante di Tacle – e poi quella si stupiva anche di non riuscire mai a trovare niente all’occorrenza.
La testa dell’interessata entrò nel campo visivo dello schermo, alcuni tentacoli che solitamente le ricadevano dietro la schiena le stavano adesso penzolando scompostamente davanti agli occhi.
« Non era mia intenzione, Hat. » Negò lei con sguardo torvo, prima di tornare alla sua precedente mansione – qualunque essa fosse. « Tra l’altro, mi sorprende che tu sia riuscito a far partire la comunicazione stavolta, vista la tua destrezza pari a quella di un nonno quando si tratta di queste cose. »
Il ringhio che Black Hat rilasciò fu decisamente più udibile ed innervosito rispetto al suo predecessore.
« Ti avverto, sto per chiudere la comunicazione- »
« Ho finito, sono pronta! » Annunciò la donna, appostandosi nuovamente sulla sua sedia girevole con un bel pacco di fogli sottobraccio. Una sistematina ai suoi occhiali a mezzaluna e tolti i tentacoli dal viso, Tacle si schiarì la voce sollevando il primo della pila. « Allora, questo tizio tutto corna è uno Zabrak specializzato in nanotecnologia e non si fa problemi ad eliminare un intruso o due se ti servisse una guardia del corpo aggiuntiva. Quest’altro è un Muun, biotecnologie e finanza, potrebbe anche fare un po’ del tuo lavoro d’ufficio ogni tanto… »
E Tacle continuò a mostrargli uno per uno i volti di tutti quei figuri, riassumendo in poche parole le loro specializzazioni e abilità, mentre il demone stava abilmente fingendo di ascoltare tutto ciò che lei aveva da dire.
« Oppure, sai che c’è? Potresti assumere me direttamente, visto che tanto sono tutti loro messi assieme. » Concluse la Eldritch dopo il ventesimo foglio, i restanti finirono da parte sulla scrivania in mezzo ad altre probabili scartoffie. « Quindi, che ne pensi? »
Un ghigno a zanne scoperte si allungò sul volto oh così compiaciuto di Black Hat.
« Penso che hai svolto queste ricerche per nulla, Tacle, visto che nessuno di questi ‘stimati’ signori è di mio interesse – e te non fai certo eccezione, non voglio qualcuno che si crede mio pari a lavorare sotto di me. » Dichiarò, godendosi l’espressione indispettita che fece capolino sul viso della donna. « E, comunque, anche io ho già qualcuno che si sa destreggiare in ciascuno di questi campi. »
« Sei proprio un ingrato. Ho sgobbato molto per trovare dei sostituti per il tuo terrestre. È così che mi ripaghi? » Sbuffò la sua interlocutrice e Black Hat non pensò nemmeno per un istante di trattenere il suo sghignazzare.
« Nessuno te lo aveva chiesto, Tacle. » Replicò e, questa volta, fu in grado di innervosirla abbastanza da farle mostrare per un breve secondo i canini in un muto ringhio. « Ora, se vuoi scusarmi, ho un appuntamento a cui non posso mancare. »
Gli occhi serpentini di Tacle si assottigliarono in risposta alla sua dichiarazione.
« Beh, se sei contento tu delle prestazioni inferiori del tuo umano, suppongo siamo contenti tutti. » Disse, in tono di vaga minaccia. « E la comunicazione te la chiudo in faccia io, Hat. »
« Non OSARE-! » La avvertì il demone, troppo tardi purtroppo per impedire alla Eldritch di fare esattamente ciò che aveva preannunciato. Maledizione a lui e alla sua incapacità di far funzionare decentemente almeno uno di questi aggeggi tecnologici.
Poteva solo sperare che quel suo appuntamento gli avrebbe fatto passare l’irritazione lasciategli addosso da quella conversazione – gliela avrebbe fatta vedere la prossima volta che si sarebbero contattati, oh se gliela avrebbe fatta vedere a quella donna-polipo. Ora, se solo Flug si fosse degnato di presentarsi in orario davanti al suo ufficio, sarebbe stato certamente un buon inizio.
Per fortuna, le cose erano tornate normali nella magione dopo quello sgradito incidente… tuttavia, soltanto per un limitato periodo di tempo – un periodo che, secondo la modestissima opinione del più potente essere che avesse mai messo piede sulla Terra, era stato relativamente… breve. Una parte di lui si chiedeva cosa fosse cambiato esattamente nella relazione che intratteneva con il suo scienziato, cosa dentro o al di fuori di lui avesse portato a quel mutamento nel loro modo di rapportarsi l’uno con l’altro. Nulla, sostanzialmente – e avrebbe risposto in questo modo, se solo non ci fosse stata quella voce di dissenso ad elevarsi timidamente dal suo animo, a contraddirlo su quella che avrebbe dovuto essere una risposta secca e priva di esitazioni.
Non gli era stato semplice accettare la presenza di quella vocina insolente, di ancora più tempo aveva necessitato per ammettere che avesse effettivamente ragione – ma non del tutto, eh, non del tutto, lui era ancora Black Hat, il villain definitivo, una perfetta macchina da guerra che sentiva lo stomaco formicolare ogni volta che contava i pochi minuti che lo separavano dall’arrivo dello scienziato nel suo ufficio… oh, dannazione. Questa sensazione corporale, questa impazienza, tutto questo era ridicolo… e, allo stesso tempo, non lo era. Non riusciva a forzare più indignazione di così in quel pensiero e, tantomeno, riusciva a dannarsi ancora di più di fronte a quella sua incapacità, non quando Flug era in ritardo di ben due minuti, che cosa diavolo stava combinando per farlo attendere in questo mod
Black Hat imprecò a bassa voce sotto il proprio respiro, massaggiandosi le meningi. Pensieri sotto controllo, pensieri sotto controllo, non dovevano vagare indisturbati in una maniera tanto indecente! Se Flug era in ritardo, era perché stava lavorando per lui, ed era giusto che lavorasse per lui, ma quei minuti che adesso erano diventati tre erano… erano pur sempre minuti che l’Eldritch apprezzava trascorrere con quell’umano impacciato, ma interessante come pochi.
Tre colpi precisamente scanditi alla porta del suo ufficio gli annunciarono l’arrivo tanto atteso dell’oggetto dei suoi attuali pensieri.
Il demone si schiarì brevemente la gola, sistemandosi il colletto del soprabito. La sua non tanto estesa pazienza era stata finalmente premiata.
« Entra, Flug. »
Appena ricevuto il permesso, il viso insacchettato dell’inventore fece capolino dal piccolo spazio che separava le due ante della porta – mingherlino com’era, Flug vi era passato in mezzo senza problemi.
« Buon pomeriggio, sign- »
« Sei in ritardo. » Non mancò di fargli notare Black Hat, facendogli nel frattempo segno di sedersi sulla sua solita poltrona, richiesta a cui lo scienziato obbedì immediatamente. « Pretendo che tratti con lo stesso rispetto le tue pause così come le tue ore di lavoro. »
« Lo so, signore. Ma, v-vede, mi mancavano giusto gli ultimi dieci pezzi per completare il nostro prossimo ordine e non potevo smettere quando ero ad un passo dal completare l’incarico. »
Black Hat sogghignò non visto nell’udire la replica dello scienziato, mentre gli dava le spalle per versare in una tazza l’acqua calda per un tè. Era ovviamente una piacevole notizia questa per lui, le ordinazioni dovevano essere sempre portate a termine entro un certo tempo limite, altrimenti la sua organizzazione avrebbe cominciato a perdere prestigio. Apprendere che Flug aveva ultimato quella fornitura con un largo anticipo lo rabbonì un poco e gli fece soprassedere sul ritardo riportato dal suo sottoposto.
Messa in ammollo la bustina di infuso di passiflora nella tazza – infuso che aveva scelto personalmente, così quell’irresponsabile di Flug sarebbe stato costretto a smettere di lavorare superato un certo orario –, fece fluttuare il recipiente in direzione dello scienziato, il quale lo accolse cautamente tra le sue mani.
« Grazie, signore. » Disse quest’ultimo, poggiandosi la tazza in grembo, in attesa probabilmente che si raffreddasse per portarsela alla bocca.
Black Hat gli rispose con un lieve cenno del mento, preparando per sé un martini. Durante i loro primi ritrovi pomeridiani di quel genere, era stato solito offrire a Flug del caffè, ma lo aveva presto sostituito con del tè quando si era reso conto delle quantità già eccessive con cui l’inventore consumava quella bevanda terrestre già all’infuori delle loro visite. Per quanto incredibilmente dotato e fuori dal comune, Flug restava pur sempre un essere umano, e non doveva trascurare quelli che erano i suoi bisogni primari. All’inizio, Black Hat lo aveva fatto per meglio assicurarsi di ottenere il massimo delle prestazioni dal suo dipendente. Ora, si curava effettivamente che Flug assumesse quei liquidi quotidianamente e ci teneva che Flug lo facesse – ed era strano per lui riferirsi a questo sentimento di aspettativa con un simile termine, ma si rendeva conto che non ce n’erano purtroppo di più adatti... o meno smielati.
Perché proprio infuso di passiflora tra tanti? Perché l’Eldritch sapeva che uno dei suoi precedenti scienziati utilizzava spesso infuso di passiflora – che doveva essere una pianta terrestre, secondo le sue informazioni? – come rimedio contro ansia e stress… o, almeno, lo aveva utilizzato, questo finché il demone non lo aveva tolto di mezzo in seguito ad un fallito tentativo di assassinio. Che nervi se solo ci ripensava
Preparato il suo cocktail, Black Hat si sedette sulla poltrona di fronte a quella di Flug, a sorseggiare quella miscela che pizzicava a malapena nella sua gola a prova di qualsiasi veleno, sostanza acida e ovviamente alcool – di quello era sicuro ce ne sarebbero voluti barili e barili prima che cominciasse a sentire anche un piccolo giramento di testa. Quanto meno, il sapore gli era gradito abbastanza da assumerlo ogni qualvolta lo desiderasse.
« Mi fa piacere sentire che ci sono progressi. » Disse, allontanando il bicchiere dalle labbra, un sorriso a malapena percepibile a farle incurvare.
Lo scienziato parve sorridere da sotto la busta, prima di alzare la suddetta busta e dare un primo assaggio al suo tè.
« Demencia fortunatamente è stata molto collaborativa, ostacolava il lavoro meno del solito. » Spiegò l’umano. « E… vorrebbe avere un’altra sua foto di profilo, da aggiungere alla sua collezione, sa… »
Black Hat emise un verso spazientito, roteando gli occhi.
« Non ne aveva già una? »
« Beh, c-certo, signore. Ma, da quanto ho capito, credo l’abbia rovinata cercando di fare un collage… » Gli rispose con una desolata difficoltà Flug, battendo nervosamente le dita contro la tazza che stava reggendo nel momento in cui un borbottio lasciò la bocca increspata del demone.
« La accontenterò solo se manterrà la buona condotta che ha avuto finora. »
L’inventore annuì, probabilmente sul punto di replicare, ma Black Hat lo interruppe.
« E se la smetterà di tendermi agguati per slinguazzarmi la guancia. »
Un suono strano si elevò dalle parti del suo dipendente, come se Flug avesse appena soppresso una risata.
« Intende i baci, signore? »
« Sì, quei… quelli. » Rispose il demone, gesticolando disgustato con la mano libera. « Sono assolutamente ripugnanti! »
Il suo sottoposto gli rivolse un discreto sguardo interrogativo.
« Non è una… cosa molto comune in altre specie? » Domandò con una scientifica curiosità nel suo tono di voce.
« In alcune, sì, lo è… ma gli esseri umani sono davvero appiccicosi. » Chiarì Black Hat, non sforzandosi minimamente di trattenere la smorfia sul suo volto. « Invadono continuamente lo spazio personale altrui persino tra estranei! »
Flug rilasciò una piccola risatina stavolta, ritraendosi solo un pochino quando l’Eldritch gli rivolse un’occhiata infastidita. Lo scienziato si schiarì imbarazzato la gola, rendendogli noto che aveva intenzione di riprendere parola.
« Penso abbia ragione sotto un certo punto di vista, signore. Siamo probabilmente una specie anomala, considerata la nostra generale socievolezza… invadiamo continuamente lo spazio personale altrui perché, uhm, è così che ci conosciamo tra di noi, c-come avrà sicuramente notato… ed è così anche che dimostriamo di avere dei sentimenti verso i nostri simili… e i baci sono, per gli esseri umani, un gesto di saluto, o una particolare manifestazione di affetto, amore… o-o entrambi… »
La voce dell’inventore si era fatta progressivamente più bassa man mano che forniva quei chiarimenti. Black Hat lo aveva ascoltato con un ostentato disinteresse mentre sorseggiava il suo martini, osservando con la coda dell’occhio come anche Flug avesse cominciato a fare lo stesso con il suo tè.
C’era di nuovo quel formicolio a livello del suo ventre, che il demone si era sforzato di ignorare con un atteggiamento apparentemente distaccato… ma non poteva trascurare come adesso quel formicolio si fosse esteso fino a raggiungere le sue dita artigliate – quelle della sua mano libera si stavano particolarmente contraendo dove le aveva appoggiate sulla coscia.
Era nervoso, per qualche motivo… ma non un nervoso causato dall’irritazione, no, la sua origine era ben diversa, ma… sconosciuta.
Continuandola a cercare e finendo con l’imputare la causa al graduale silenzio di Flug, cercò di farsi venire in mente una domanda che potesse spingerlo a riprendere da dove si erano interrotti.
« E… tu che ne pensi a riguardo? »
Non era suonato troppo convinto, ma confidava nel fatto che sarebbe stato sufficiente per raggiungere il suo scopo.
Lo scienziato sobbalzò impercettibilmente, una smorfia sul suo viso che fu facile per l’Eldritch da intuire, visto il raggrinzirsi della carta. Non altrettanto semplice, tuttavia, gli fu intuirne la natura.
« O-oh… io penso che s-sono davvero dei bei gesti, se provengono dalla giusta persona… non prendete d’esempio quelli di Demencia, l-lei tende ad esagerare… » Rispose sinceramente Flug – lo percepiva che era stato sincero –, cosa che gli fece alzare un sopracciglio in perplessità.
« Giusta persona? »
Il suo sottoposto annuì con un certo margine di esitanza e… imbarazzo, forse? Sembrava proprio così, il modo in cui i suoi occhi evitanti si guardavano un poco attorno, la lieve rigidità con cui teneva i gomiti un po’ più accostati al corpo…
Perché Flug era imbarazzato?
« Sì… una persona c-che ci tiene a m-me, intendo... » Mormorò quest’ultimo, con un sorprendente grado di sicurezza nonostante il suo atteggiamento tentennante.
Black Hat abbassò lo sguardo, battendo distrattamente gli artigli sul bracciolo della poltrona.
« Capisco. » Disse. Ma non capiva in verità… non del tutto, almeno. Come funzionava una qualunque relazione tra due normali esseri umani, com’era fatta una persona che tiene ad un’altra persona… questa era una cosa che Flug doveva spiegargli. « Quali caratteristiche deve avere questa persona? »
Il dottore parve essere stato preso in contropiede da quella domanda, a giudicare dallo strabuzzare insistente degli occhi.
« Beh, ecco… » Lo scienziato posò cautamente la tazza sul tavolino che divideva le due poltrone e alzò l’indice di una mano. « P-primo, questa persona d-dovrebbe essere disposta all’ascolto, n-nelle questioni comuni come nelle questioni più serie… è una cosa fondamentale… secondo… manifestazioni di interesse verso il… mio benestare… perché è questo che si fa in una relazione, ci si preoccupa l’uno dell’altro… e suppongo io darei molte preoccupazioni a chiunque, visto che n-non sono bravo a prendermi cura di me stesso… »
« Sei proprio pessimo sotto questo punto. » Commentò con un sorriso di lieve ironia Black Hat, strappando una breve risata all’inventore.
« Lo so, diventa un problema a volte. » Concordò con lui Flug, una volta che ebbe soppresso una seconda risata in favore del discorso che doveva ancora terminare. Un ultimo dito si era sommato ai precedenti due che aveva già alzato. « E… terzo… ci deve essere un sentimento s-sincero ad unirci, un sentimento vero e… e disinteressato. »
Il suo scienziato si interruppe nel momento in cui notò la sua espressione stranita.
« Oh… so c-che sono concetti difficili da comprendere fino in fondo e sono, obiettivamene, troppo complessi p-per essere riassunti in questo modo… se h-ha bisogno che m-mi ripeta, lo farò c-con piacere- »
« Non ce ne sarà bisogno, Flug. » Lo fermò Black Hat, alzando leggermente la mano libera a sottolineare quanto aveva detto. « Credo di aver… capito. »
Di certo, l’argomento gli era più chiaro rispetto a prima, tuttavia la sua mente stava ancora cercando di venirci a capo. Alcuni di quei ‘requisiti’ erano talmente semplici che persino un marmocchio avrebbe potuto soddisfarli, ma altri… altri sembravano quasi inconciliabili con la sua mentalità. Molte di queste nozioni gli sarebbero tornate sicuramente utili nella manipolazione di avversari pericolosi, avversari che la forza bruta da sola non avrebbe potuto sbaragliare – non che credesse che circostanze del genere si sarebbero realizzate tanto facilmente, nessuno era mai giunto nemmeno a sfiorare il vertice della sua pressoché infinita potenza –, ma potevano essere da lui sfruttate in maniera… differente?
Differente in che senso non lo sapeva. E, invece di cercare di afferrare il significato complessivo delle parole di Flug, la sua mente stava utilizzando quei tre punti cardine come metro di paragone.
“ Io… faccio tutte queste cose con… Flug? ”
Non ne era sicuro, non ne era per niente sicuro, i suoi pensieri erano piuttosto discordanti tra loro. Oltre a non essere sicuro, era anche confuso, quella conversazione lo aveva confuso, gli aveva ficcato in testa riflessioni che gli erano estranee. E c’era questa… sensazione di vuoto ora… una sensazione che gli stava rendendo pesante il petto, che stava in qualche modo appianando la sua confusione, ma nulla di ciò che restava al suo posto era… positivo. Era come se gli mancasse qualcosa… era come se volesse quel qualcosa con un ardire per ora debole, ma che sembrava essere destinato a crescere nel tempo… e non capiva che cos’era questa sensazione, non ricordava di averla mai sperimentata.
Mise giù il bicchiere mezzo vuoto del suo cocktail, resosi conto che non ne voleva più un goccio.
Non capiva, più si arrovellava su quella questione, più la risposta gli sfuggiva.
« Jefecito? »
Black Hat abbassò la testa, nascondendola dietro alle mani che intrecciò davanti al volto. Lo svolazzio che si agitava nel suo petto quando udiva quell'appellativo fu accompagnato da un intensificarsi di quella sensazione senza nome, unito ad un senso di riconoscimento, di appartenenza.
Quell’umano stava incasinando la sua mente ed il suo corpo, il demone ne era consapevole, ma non voleva cedere e restare nell’ignoranza completa di ciò che gli stava accadendo. Doveva sapere che cos’erano queste reazioni, cosa significavano, come farle sparire, o quanto meno conviverci.
« Flug, ho una domanda per te. » Annunciò e l’attenzione dello scienziato fu tutta su di lui nel momento in cui lo vide raddrizzare la schiena leggermente incurvata. Black Hat piegò le labbra in una smorfia che l’intreccio delle sue mani nascose alla vista del suo dipendente. Doveva porre un quesito che fosse abbastanza vago da non far pensare al dottore che lo riguardava personalmente e, allo stesso tempo, mirato ad ottenere le risposte che voleva. « Gli umani cosa sentono quando… manca loro qualcosa? »
Flug inclinò leggermente il capo in avanti, segno che stava ponderando il suo quesito.
« Mh… potrebbe essere più specifico, signore? Mi servono maggiori dettagli… »
Il demone ringhiò internamente. Avrebbe sempre potuto ritirare la domanda, ma forse adesso era troppo tardi per farlo.
« Quando sentono che manca loro qualcosa, ed è qualcosa che ritengono importante... e c'è pesantezza... » Abbassò una mano, serrandola in un pugno e battendosela contro il petto. « Qui. »
Lo scienziato sembrò osservare interessato la sua gestualità prima di accingersi a parlare.
« Uh... brama? »
Black Hat storse la bocca.
« Direi di no. » La avrebbe senza dubbio riconosciuta, se fosse stato quello il caso.
« Nostalgia? » Tentò ancora il suo sottoposto.
« Assolutamente no. » Quasi ringhiò l’Eldritch.
Per chi lo stava prendendo Flug? Per un idiota sentimentale?
Si costrinse a reprimere la replica irritata che stava per rifilare all’inventore, poiché una simile reazione avrebbe solo fatto saltare la sua copertura; non stavano parlando di lui dopotutto, per come aveva impostato all’inizio la conversazione, quello era un discorso generalizzato – e non concentrato sul singolo.
Il suo sottoposto si zittì dopo aver sentito lo sdegno sottostante il suo tono di voce. Trascorse qualche secondo, in cui Black Hat aveva quasi potuto percepire i pensieri dello scienziato rumoreggiare nel silenzio che era sceso su di loro.  
Flug alzò con riluttanza gli occhi, pollice ed indice che pizzicavano nervosi la manica sinistra del suo camice.
« Se non sono indiscreto, vi vorrei chiedere… È qualcosa c-che riguarda voi, Jefecito? »
« Sei molto indiscreto. » Confermò senza mezze misure Black Hat, contrariato da quella insinuazione e da come l’utilizzo di quel soprannome non lo avesse fatto sentire contrariato a sufficienza.
Strinse in un pugno una delle mani che aveva poggiato contro il ginocchio, gli artigli che minacciavano di lacerare la pelle del guanto che li ricopriva. Per quanto a volte fosse propenso a sottovalutarne l’acume, Flug non era stupido… se lo fosse stato, certo non lo avrebbe assunto come suo scienziato personale, di certo non dopo che quel suo aereo gli aveva sfondato il tetto qualche anno prima.
Che senso aveva a questo punto negarlo? Il suo dipendente aveva già fatto tutti i collegamenti necessari e, se si fosse ostinato a contraddirlo, chi aveva da rimetterci sarebbe stato solamente lui, che non avrebbe in questo modo ricevuto le delucidazioni di cui necessitava.
Rilassò quel pugno inclemente, rialzando il capo e notando in tempo il rispettivo rialzarsi di quello del dottore, non abbastanza rapido nel nascondere la soggezione con cui doveva aver osservato il suo gesto.
« Sì, Flug. Lo è. » Si arrese infine, cosa che parve far tranquillizzare lo scienziato nonostante il tono insofferente con cui aveva pronunciato quella confessione.
Flug annuì, l’armeggiare delle sue dita con le maniche ebbe un improvviso arresto.
« G-grazie per aver chiarito, signore. Mi ha semplificato il c-compito. » Disse, con un lieve sorriso che l’Eldritch fu capace di percepire solamente udendo la voce dell’altro. « Le… dispiace se le faccio a mia volta un’altra domanda? Al fine d-di rispondere alla sua, ovviamente. »
Il demone strinse lievemente le palpebre, non del tutto a suo agio con l’idea di aver rivelato a Flug una cosa che lo faceva sentire un po’ più esposto del solito – e Black Hat raramente si esponeva. L’inventore, tuttavia, dava l’impressione di apprezzare quella confidenza, i suoi occhi erano un poco strizzati dall’interesse all’interno degli occhialoni.
Assentì e il suo scienziato non aspettò per porgli il suo interrogativo.
« Quel qualcosa che vi manca… è un qualcosa che credete non potrete mai avere, o che potrete ottenere solo con tante difficoltà? »
Il demone strinse un poco le labbra, cercando di ritrovarsi nella descrizione che gli era stata fornita… e gli elementi che combaciavano c’erano eccome, soltanto che da solo non era stato in grado di analizzare quella sensazione con così tanta precisione.
« Suppongo…? » Disse, a metà tra una conferma ed ancora un permanente diniego.
« Questo vi provoca un certo grado di… f-frustrazione? » Chiese nuovamente il suo sottoposto, con un tono incalzante di cui Black Hat lo aveva sentito far uso solo in rare occasioni.
« Potrebbe certamente in futuro. »
Aveva a stento contenuto il sottile ringhiare nella sua voce alla prospettiva che quella percezione sconosciuta potesse causargli un disturbo così protratto nel tempo – già stava accadendo ora, vista la sua totale incapacità di autoanalisi e il dover ricorrere all’aiuto di qualcun altro per inquadrare il problema.
Flug annuì in comprensione, come se la sua testa avesse tutto ciò che era essenziale per mettere insieme i pezzi di un puzzle non così complesso.
« Ho la risposta, signore. » Annunciò quest’ultimo. « Voi siete insoddisfatto. »
« Inso… insoddiche? » Provò a ripetere il demone, le sopracciglia severamente inarcate, il labbro superiore arricciato a mostrare i denti in una smorfia. Perché gli suonava tanto strana quella parola sulla lingua?
« È un sentimento che nasce dall’inappagamento… siete convinto che non state facendo abbastanza, che non state ricevendo abbastanza in un determinato segmento della vostra vita, e ciò vi causa questo particolare tipo di sconforto. » Gli spiegò in dettaglio Flug, gesticolando brevemente con le mani.
L’espressione sul volto dell’Eldritch non mutò di una virgola.
« Come fai ad essere così sicuro che sia questa la risposta esatta? »
L’inventore spostò un poco le gambe, palesemente a disagio.
« P-perché… » Ci fu riluttanza persino maggiore nella voce dell’altro, ora ridotta quasi ad un mormorio. « È un sentimento con cui ho una certa familiarità… l’ho provato t-tante volte in passato… e, in un modo o nell’altro, m-mi ha sempre intralciato. »
Black Hat aggrottò le sopracciglia, osservando il lieve strofinare di uno dei talloni di Flug contro il pavimento. Quel dialogare pareva essere giunto ad un punto che entrambi sembravano intenzionati ad evitare di trattare.
Insoddisfazione era dunque il nome del suo malessere, un malessere del tutto nuovo per il demone immortale, di cui mai nella sua lunga esistenza aveva fatto esperienza, perché Black Hat aveva sempre ottenuto ogni cosa, raggiunto con successo ogni obiettivo; la questione era sempre girata intorno agli sforzi che doveva scegliere di impiegare nel suo raggiungimento e che avrebbero più o meno ridotto il suo tempo di attesa. Apprendere di questo sentimento ( come Flug lo chiamava ), fu come apprendere di una sconfitta che l’Eldritch non pensava di aver subìto. Aveva fallito, o stava fallendo in qualcosa, e quel concetto gli parve alieno e ripugnante.
« Si può curare? » Chiese impaziente, riappropriandosi quasi rudemente dell’attenzione dello scienziato.
Il dottore sobbalzò impercettibilmente, una mano che saettò rapida in alto davanti al petto – a cosa diavolo stava pensando Flug per apparire così trasalito?
« N-non è una malattia, s-signore. A volte, è solo un segnale d’avviso, di cui s-si dovrebbe tener conto. » Replicò semplicemente il suo sottoposto, trattando quella che lui stava cominciando a considerare una grave questione come se fosse una normalità inevitabile. « È sufficiente trattarla con la giusta attenzione per non f-farsi sopraffare da essa… ed arrivare così ad un traguardo c-che reputerete soddisfacente. È u-un’arma a doppio taglio, ma è p-possibile dominarla. »
« E tu l’hai dominata, Flug? » Non poté astenersi dall’indagare Black Hat.
Flug sembrò sul punto di rilasciare un sospiro, uno di quei sospiri pesanti, che sono indicazione di rammarico per una colpa passata.
« Non ancora… » Confessò, stringendo compattamente le mani l’una contro l’altra. « Ma c-certo starò più attento, considerando ciò di cui è stata indirettamente c-causa l’ultima volta... »
Il demone comprese senza difficoltà dove la mente dell’umano fosse andata a cacciarsi, quali memorie fosse probabilmente andato a ripescare, quale fosse quell’ultima volta che aveva implicitamente menzionato. Quella confessione fu ulteriore garante della volontà dello scienziato di imparare da quell’episodio dell’equivoco per non ripetere lo stesso errore in futuro. Flug, d’altronde, era sempre stato così: imparava, e lo faceva in fretta e con convinzione, una qualità superiore che alcuni esseri umani potevano solo sognarsi di possedere.
« Credo che la mia pausa sia terminata, signore. » Constatò timidamente il suo dipendente, guanto di gomma arrotolato per controllare l’ora sul suo orologio da polso.
Black Hat gli rivolse un cenno con il mento, segno che poteva alzarsi se lo desiderava e tornare al suo lavoro.
Non appena Flug si rimise in piedi e fece per raggiungere la porta, il demone evocò un tentacolo d’ombra con cui lo trattenne per una spalla.
« Il tuo tè, Flug. Bevilo. »
« Oh, c-certo, Jefecito. » Disse scusevole l’inventore, affrettandosi a finire la bevanda che aveva appoggiato precedentemente sul tavolino.
La vuotò tutta in pochi sorsi, probabilmente perché metà della tazza era già stata consumata, e la riappoggiò cautamente sul basso ripiano.
« G-grazie per la chiacchierata. » Sussurrò riconoscente Flug, segno che nonostante la serietà del loro dialogare quelli erano stati minuti di pausa graditi.
Black Hat incrociò le braccia, non proprio contro il petto, ma poco sopra il ventre, in uno svogliato tentativo volto a frenare il tenue formicolio che lo aveva lì colpito. Di questa sensazione di inusuale impazienza, di attesa nei confronti della presenza dell’altro e di benessere ogni qualvolta quell’attesa giungeva al suo termine, non ne avrebbe certamente parlato. Preferiva tenerselo per sé per adesso, in attesa che questa volta arrivasse da solo a vederci un po’ più chiaro.
« Stesso zelo di prima, dottore. »
Una raccomandazione forse un po’ superflua, ma era l’unica che desiderasse esprimere in questo momento.
« Ci può contare, Jefecito. » Sorrise Flug, un sorriso che fece divenire quel formicolio una piccola fitta, non una fitta insofferente, ma una che giunse a tirare insistentemente agli angoli della sua bocca.
Fu con un gesto di congedo che il demone salutò l’inventore, contando sulla copertura che la tesa del cappello poteva offrirgli per celare il proprio volto alla vista dell’altro.
Sentito il cliccare della maniglia della porta, si portò una mano in alto, a tastarsi le labbra di cui percepì la leggera curvatura. Era proprio quello che aveva pensato che fosse. E non se ne scandalizzò, non come durante le prime occasioni in cui era capitato.
E c’era come ogni volta quel desiderio insistente, quasi pressante, che stava cercando di corrompere almeno una piccola parte di lui affinché si decidesse a richiamare indietro Flug… e quello arrivava sempre vicino a fargli dolere il petto quando quelle visite si concludevano.
Era iniziato tutto lentamente e discretamente, con un lieve intorpidimento che era a malapena notabile. Era stato solo quando quelle percezioni insolite si erano fatte più evidenti e facili da riconoscere che Black Hat aveva realizzato, finalmente, che qualcosa non andava con il suo organismo. E questi sintomi insorgevano ogni volta che lo scienziato gli era appresso, ma anche nei momenti più vari e diversi fra loro, sia che stesse ricoprendo il suo ruolo di leader dell’organizzazione, sia che stesse facendo qualcosa che non concerneva il lavoro. In quei momenti, la sua abitudinaria indolenza cresceva, mentre mani e braccia gli prudevano per il bisogno di afferrare e stringere, non per uccidere, bensì per… per qualcosa che con la morte, la malvagità e la sua caratteristica spietatezza aveva ben poco a che fare. E queste erano parti essenziali del suo essere, le uniche che avrebbero dovuto accompagnare ogni sua azione, ma che in questi casi Black Hat era impossibilitato a ripescare.
Abbassata la mano dal proprio volto, si limitò ad attendere il ristabilirsi di un qualsivoglia equilibrio nel suo corpo, cosa che richiese da qualche minuto ad almeno una decina di essi.
Calmato il brulicare del suo stomaco e quell’istinto che pareva spingerlo senza demordere a cercare un legame fisico, si appoggiò contro lo schienale della poltrona, braccia mollemente conserte e i suoi occhi che fissavano il soffitto senza un particolare interesse.
Era tempo di capire fino in fondo cosa lo stesse rendendo insoddisfatto e di risolvere il problema alla radice.
 
 
Era un pomeriggio sorprendentemente tranquillo nel laboratorio, uno di quei pomeriggi in cui Flug aveva piacere di rimboccarsi le maniche e gettarsi a capofitto in uno dei suoi progetti.
Il grande locale era silenzioso, solo i rumori degli attrezzi che spostava potevano essere uditi in quella piacevole quiete. 5.0.5. non era lì con lui ad osservare incuriosito il suo lavoro. Nemmeno Demencia era presente, come al solito, a guardare per toccare e rompere spesse volte qualcosa. Non poteva non chiedersi dove fossero andati a finire quei due, ma probabilmente l'orso stava solo cercando di rassettare la vasta magione tra un dispetto e l'altro perpetrategli da Demencia ( normale anche quello ).
L'atmosfera era così pacifica che Flug sentì proprio il bisogno di rilasciare un sospiro contento – giornate di questo tipo potevano solo far bene ogni tanto.
Aveva giusto le mani immerse nei circuiti del pannello di controllo di un nuovo marchingegno, le sue dita sottili che si destreggiavano abilmente fra i cavetti, quando aveva avuto la distinta sensazione di essere osservato – e solitamente, in un luogo come Black Hat Manor, quella sensazione si rivelava essere sempre corretta.
Voltò un poco la testa per controllarsi le spalle e fu così che scoprì l'identità del suo visitatore, nientedimeno che Black Hat in persona.
« Buon pomeriggio, signore. » Lo salutò Flug, sorpreso dentro di sé di vedere il suo capo da quelle parti.
« Buon pomeriggio, dottore. » Gli rispose Black Hat con un breve cenno del capo, voce impersonale e analitica. « Come procedono le cose? »
Oh... era qui solo per controllare i suoi progressi, a quanto pareva. Non che ciò gli recasse alcun disturbo, ma Flug aveva creduto fosse un altro il motivo di quella visita, dato che raramente aveva visto il suo superiore raggiungerlo in laboratorio ad un simile orario. Non che il demone avesse una tabella precisa, ma comunque...
« Procede tutto liscio, signore. Con le migliori probabilità, questo sarà pronto domani. » Replicò Flug al termine di quelle considerazioni mentali, battendo con dolcezza una mano a lato del pannello di controllo.
Black Hat a malapena annuì, limitandosi a confermargli che quanto aveva detto era stato ascoltato.
Lo scienziato indugiò per un secondo di più con lo sguardo, ad osservare il volto e, in generale, l'attuale atteggiamento dell'Eldritch: il suo occhio visibile stava vagando lungo le componenti d'arredo del laboratorio e sul macchinario su cui stava lavorando, evitando tuttavia di concentrarsi troppo su di lui. Sembrava stesse cercando di proposito di volgere lo sguardo altrove e Flug trovò bizzarro quel fatto; non ricordava di aver mai visto Black Hat comportarsi in quel modo, doveva essere la prima volta in anni di servizio. Il suo capo pareva quasi preda di un leggero disagio, a giudicare anche da come non era in posizione frontale che era attualmente posto, ma piuttosto rivolto con il corpo verso un lato.
L'inventore riconobbe comunque che la presenza dell’altro non doveva essere ragione di distrazione: il suo capo era lì e doveva pertanto continuare come se nulla fosse, cosa che visto il silenzio del suo superiore non gli risultò difficile… a risultargli difficile fu, tuttavia, riuscire a frenare la curiosità che quell’apparizione inattesa aveva fatto emergere nel suo animo. Non voleva esattamente importunare l’Eldritch, se c’era una cosa che Black Hat odiava era dover rispondere delle sue azioni a qualcuno, visto che credeva non a torto di essere il solo capo di sé stesso – e Flug non poteva contestare quella convinzione assolutamente fondata.
Controllando un’ultima volta i circuiti, si rese conto che uno del mucchio si era sfilacciato e doveva essere ovviamente sostituito. Separando il filo danneggiato da quelli funzionanti, si alzò dalla sua posizione china per andare a prendere delle pinze dal bancone. Ne scelse un paio con un’apertura relativamente ridotta, visto che il suo doveva essere un lavoro di precisione. Facendo per voltarsi, il suo gomito aveva a stento sfiorato un qualcosa che prima non c’era che subito l’inventore si era ritratto di fronte al verificarsi di quel contatto. Black Hat sostava improvvisamente in quel punto, come se in quei due secondi che gli erano occorsi per scegliere l’arnese si fosse vaporizzato nell’aria per poi ricomparire lì ( cosa che probabilmente aveva fatto ).
Flug alzò il capo, a cercare nell’occhio del demone una spiegazione per tutto questo, che fosse il desiderio di giocargli un piccolo spavento o altro. Quell’iride stava contraccambiando il suo sguardo, con un’intensità potente, ma… altalenante… come se fosse successo qualcosa di sbagliato in quel momento, qualcosa che non era previsto accadesse…?
Si rese conto solo allora di come una delle sue mani si era andata a poggiare nell’incavo del collo del demone, il colletto alto l’unica barriera tra il lattice dei suoi guantoni e la pelle cinerea che vi era al di sotto. Flug la allontanò, le dita gli tremolarono un poco, così come il respiro che aveva rilasciato e che doveva essere stato chiaramente udito dal demone. O-oh dio… lui aveva solo voluto allontanare quello che aveva percepito come un oggetto estraneo ed inaspettato… non pensava minimamente c-che
« M-mi scusi, signore, non v-vi avevo visto- »
« Flug. »
Flug sbatté le palpebre.
« S-sì… signore? » Replicò, preso in contropiede da quell’interruzione.
Un angolo della bocca di Black Hat si irrigidì impercettibilmente.
« Potresti… rifarlo? »
Lo scienziato fu più confuso di prima.
« Che cosa, signore? »
« La mano, Flug. » Specificò l’Eldritch, quasi impaziente… o, forse, agitato? Era difficile dirlo, visto quanto improbabile gli sembrasse la seconda opzione, ma nondimeno Flug obbedì alla richiesta che gli era stata mossa.
Alzò la mano e la rimise con una certa soggezione a lato del collo coperto del suo superiore. C’era un tenue battito sotto le sue dita, che non aveva nemmeno percepito qualche secondo prima, e l’inventore sapeva perfettamente a cosa appartenevano i battiti percepiti in quel punto nel corpo di un umano… ma Black Hat non era umano, e restò dunque disorientato da quella percezione.
Quel pulsare contro i suoi polpastrelli si fece ben più percepibile man mano che i secondi passavano e Flug rimase sempre più sbalordito da quella scoperta.
Quando si decise a distogliere lo sguardo da quel punto, il volto del demone era ben più vicino di quanto lo ricordasse.
L’inventore allargò un poco gli occhi, incerto da quella vicinanza, i battiti nel suo petto che si erano fatti ben più rapidi, esattamente come quelli che continuavano a solleticargli le dita. E Flug aveva capito, aveva capito prima che quella distanza si annullasse, prima della pressione che sentì attraverso il sacchetto sulle proprie labbra schiuse, e il poggiarsi di una mano guantata sul suo petto immobile.
Quando quel premere svanì, lo scienziato rilasciò un sospiro meravigliato. Era… senza parole… erano stati pochi secondi, ma pochi secondi in cui credeva di aver sfiorato il cielo.
La mano sul suo torace scivolò via incerta, gli artigli coperti dai guanti raschiarono leggermente contro la sua pelle persino attraverso i vestiti.
Black Hat aveva l’occhio visibile puntato altrove, la palpebra scura severamente calata su di esso. Nonostante quello sguardo torvo, le guance del demone erano spolverate da un alone di verde – e una reazione fisica del genere non poteva essere male interpretata in nessun caso.
« Jefecito…? »
Quel cipiglio divenne ancora più marcato, così come il verde sul volto del suo capo.
« C-che c’è? »
Flug sorrise leggermente udendo il lieve balbettio che aveva scosso la voce dell’altro. Questa era la conferma più grande che potesse ricevere: Black Hat era davvero imbarazzato, magari anche dubbioso su quale sarebbe stato il suo responso di fronte a quel gesto. E quello, da solo, era stato più eloquente di mille parole, che avrebbero potuto essere sussurrate al suo orecchio, ma che invece gli erano state trasmesse attraverso quel delicato premere di labbra.
Si sentì come intenerito da tutta quella situazione e quasi in dovere di far procedere oltre le cose – per Black Hat doveva già essere stato uno sforzo immane giungere fino a quel punto di sua spontanea volontà.
Si accinse a muovere la mano da dove la aveva lasciata posata nell’incavo del collo del demone, ma non prima di aver lanciato uno sguardo di timida attesa in direzione dell’altro.
« Posso? »
Un leggero grugnito fu la risposta che ottenne, l’unica che gli serviva in fondo.
Circondò il collo del suo superiore con un braccio, portandolo gentilmente vicino a sé, mentre con l’altra mano aveva tirato su la busta per scoprire la metà inferiore del proprio volto. Aveva compiuto quel passo con una certa rigidità, le dita avevano tremato per una frazione di secondo intorno alla carta, ma aveva soppresso più che poteva quelle reazioni: questo era un qualcosa che lui voleva fare, che desiderava portare a termine, nonostante sapesse che avrebbe comportato l’inevitabile esposizione di quelle sue brutte cicatrici.
L’occhio del suo capo si era fatto leggermente più largo del normale e lo fissava come in uno stato di inespresso sbigottimento.
« V-vuole continuare, Jefecito? » Si sentì in dovere di chiedere, per sincerarsi del fatto che era un progresso che voleva non solo lui, ma che volevano entrambi.
Lo sguardo di Black Hat si abbassò visibilmente e Flug lo sentì posarsi sulle sue stesse labbra, che l’attesa stava rendendo sempre più vulnerabili davanti al mordicchiare nervoso dei suoi stessi denti. Prima che quei segnali di insicurezza potessero manifestarsi, il demone aveva emesso un leggero borbottio.
« Per c-chi mi hai preso, Flug? Sono perfettamente sicuro di quello che sto facendo! »
Il dottore sorrise, apprezzando silenziosamente come il rossore verdastro sul volto dell’Eldritch avesse assunto una sfumatura persino più scura. Ciononostante, non si sarebbe mai azzardato a commentare quel fatto ad alta voce, mai nella sua vita.
Si alzò sulle punte per raggiungere il livello della bocca dell’altro, le loro labbra si sfiorarono leggermente, un respiro era la distanza esigua che lo separava da un punto di non ritorno che non credeva avrebbe un giorno prevaricato. Eppure, eccolo lì, un tipo ansioso e modesto come lui, che stava effettivamente guidando quell’orrore cosmico del suo datore di lavoro nell’inizio di un qualcosa di molto diverso rispetto a quanto, fino ad allora, avevano condiviso… e Flug, da parta sua, stava amando ogni istante di questo memorabile momento.
Quando poggiò le labbra su quelle di Black Hat, trovò quelle dell’altro schiuse, come se fossero state pronte in un certo senso ad accogliere le sue. Spostò la mano in basso, a farla adagiare sulla schiena del demone, ad attirarlo dolcemente verso di sé, ed il suo superiore lo lasciò fare, si lasciò accompagnare in quello che doveva essere per lui un mondo sconosciuto, in cui Flug non stava tuttavia faticando a tirarlo dentro. E lo scienziato poteva percepire l’accortezza con cui il suo capo stava cercando di non ferirlo con i denti affilati che dimoravano all’interno della sua bocca.
Sollevò brevemente le palpebre, solo per incontrare immediatamente lo sguardo folgorato di Black Hat.
« Signore… c-chiuda gli occhi… » Mormorò, interrompendo il bacio per il tempo necessario a fornire quel cortese consiglio. Ed ebbe la certezza che il suo capo lo aveva accettato di buon grado quando lo vide metterlo subito in pratica.
Ogni volta che le sue labbra carezzavano quelle del demone, sentiva un lieve ronzare provenire dalla gola di Black Hat, vibrazioni che poteva avvertire persino nella propria. Trovò quei suoni ironicamente simili a quelli di un gatto che, coccolato, faceva le fusa in segno di apprezzamento, e quell’immagine spinse Flug a tracciare la mandibola dell’Eldritch in una timida carezza. Un brivido si diramò sotto le dita che aveva appoggiato sulla schiena del suo partner, l’intensità di quel ronzare crebbe a dismisura.
Le mani del suo capo, rimaste dapprima a mezz’aria, scivolarono quindi lungo i suoi fianchi, a cingerli ed accarezzare il resto del suo corpo in un modo che gli provocò piacevoli brividi lungo la schiena – e si chiese, con una vaga meraviglia, fino a che punto Black Hat fosse consapevole di quello che stava facendo in completa autonomia.
Quando si separarono, Flug era ormai a corto di fiato, le sue guance erano bollenti a contatto con la carta, le labbra umide e dischiuse per prendere brevi sospiri esagitati. Si sarebbe volentieri tolto il camice da quanto si sentiva febbrilmente eccitato. Aveva baciato il suo capo, aveva baciato Black Hat, e non se ne pentiva minimamente!
. . .
Quella realizzazione, in effetti, ci mise un po’ a sedimentarsi nel suo cervello ancora ammaliato e non completamente pensante.
Aveva baciato Black Hat?! O-oh dio, oh d-dio, aveva baciato Black Hat, lo aveva proprio fatto, lo aveva dannatamente fatto!
Fece schizzare lo sguardo in alto, verso il volto del demone, molto tentato nel frattempo dal pensiero di rimettere le mani al loro posto lungo i suoi fianchi che Black Hat stava ancora CINGENDO, oooh cielo sacro santo!
Non sapeva cosa si fosse aspettato di vedere, ma certo il lieve sorriso che stava graziando le labbra del suo capo cancellò almeno la metà della tempesta di timori che gli avevano stretto il cuore. Era un sorriso sereno, benevolo, che non sfigurava su quei lineamenti inumani.
« Molto meglio di quelli di Demencia. » Commentò Black Hat, in un sussurro arricchito da un pizzico di ironia.
Flug si sentì un po’ preso in contropiede da quel commento, ma parte del suo restante nervosismo svanì non appena si sentì abbastanza a suo agio per rilasciare una breve risatina.
« Ve lo a-avevo detto di non prendere ad esempio i suoi, Jefecito. »
Un angolo della bocca del demone si inclinò verso l’altro, esponendo leggermente i denti affilati all’interno.
Il dottore ricambiò imbarazzato quel sorriso. Resosi conto che la sua mano sostava ancora sul profilo della mandibola del suo capo, fece per abbassarla discretamente, ma quando sentì Black Hat emettere ancora quel ronzare sotto lo sfiorare delle sue dita, Flug si oppose a quella sua prima intenzione. Decise di osare, e tracciò qualche volta di più quel punto. Si sorprese di vedere Black Hat inclinare la testa da un lato ad assecondare i suoi tocchi, l’occhio visibile placidamente semichiuso.
« È in questo modo che ho deciso di risolvere la mia… insoddisfazione. » Mormorò dopo parecchi secondi il demone, con voce quasi sospirata, più fluida e meno roca del normale. « …va bene? »
Flug annuì, il pollice che strofinò leggermente sulla guancia del suo superiore.
« Sì, Jefecito. » Replicò. « Sono felice che mi abbiate preso così tanto in parola. »
Le sopracciglia di Black Hat calarono scompostamente sui suoi occhi mentre distoglieva lo sguardo.
« Dovevo risolvere il problema, no? » Fu un borbottio più simile ad un mugugno.
L’inventore annuì comprensivo, sorridendo internamente. Black Hat restava pur sempre Black Hat, e la faccia era la prima cosa che il demone aveva sempre tentato di salvare, persino nelle situazioni più critiche.
« Penso ci siate riuscito con successo, Jefe chulo. »
Il cipiglio sul volto del suo capo si rilassò lievemente, come ad indicargli che quella considerazione non aveva avuto un effetto sgradevole su di lui. E Flug, da parte sua, si sentì certamente rassicurato da ciò, da questa novità che non pareva essere preannuncio, per una volta, di sventure e peripezie. Davvero un piacevole cambiamento, a detta sua.
 
 
Aveva faticato tanto – e stava faticando tutt’ora – per contenere i suoni eccitati che avevano minacciato tutto il tempo di sfuggire al suo controllo, un enorme e stirato sorriso era rimasto stampato per due minuti netti sul suo viso, col risultato che ora le facevano male gran parte dei muscoli facciali.
Cosa non avrebbe dato per una postazione migliore, ma si sa che chi si accontenta ha almeno la possibilità di godere di perle come quella a cui aveva assistito.
Si tappò la bocca con una mano, soffocando l’ennesimo dei risolini. Oh, quante cose avrebbe potuto fare con gli scatti che aveva raccolto oggi e non vedeva l’ora di mostrare tutto a 5.0.5. – povero orso, gli avrebbe sicuramente provocato un mezzo infarto.
Sfilò cautamente l’obiettivo della macchina fotografica dalle grate del condotto d’aria in cui lo aveva fatto passare, arretrando nel frattempo mooolto silenziosamente, più silenziosamente che poté… finché, prima che potesse impedirlo, vide la cinturina della fotocamera strisciare anch’essa da oltre la grata e rimbalzare su ognuna delle palette d’acciaio che la componevano.
Dling! Dling! Dling! Dling! DLING!
Se la morte avesse potuto essere contraddistinta da un suono, Demencia era certa sarebbe stato quello.
« DEMENCIAAAAAAAAAA! »
E anche quello ovviamente, quello del ruggito irato di Black Hat che scosse la Terra e i pianeti del Sistema Solare almeno fino a Saturno.
Fortuna che la buona vecchia mimetizzazione si rivelava sempre utile, soprattutto se sei un’ossessiva fangirl che deve correre ai ripari dal suo stesso idolo che oh dio, oh no, quello era uno dei suoi tentacoli, stava strisciando nella conduttura, oh no, ohnoOHNOO-
« FLUG AIUTOOO- » 







Sameko's side
E fu così che passò un altro mese tra festività e impegni vari, ma perlomeno posso finalmente archiviare questa fanfiction. ^^
La vera e propria Paperhat, come avete visto, era particolarmente concentrata in questo capitolo; ho cercato di rendere la cosa quanto più fluida possibile, per una storia che era stata pensata per essere breve penso di non aver raggiunto un cattivo risultato. Lascio a voi il parere finale. ;)
Il personaggio all'inizio era la "famosa" OC di cui vi avevo accennato nei capitoli precedenti. Non era nei miei programmi una sua apparizione in questa fanfiction, Tacle è un personaggio che ho creato in funzione di un'altra storia che scriverò probabilmente in futuro ( non ha il classico ruolo della rivale in amore, giusto per essere chiari ).  Poiché c'è stato dell'interesse da parte di qualcuno di voi, i miei piani sono leggermente cambiati in fase di correzione. :) Piccola chicca, nella scelta del suo nome ho cercato di rispettare la tradizione della serie che vuole che i nomi dei personaggi derivino da una loro distintiva caratteristica. Il suo nome, dunque, deriva da "tentacle" (= tentacolo) e i tentacoli sono infatti una parte prominente del suo character design. Avendo protagonisti che si chiamano rispettivamente "cappello nero", "incidente aereo" e "demenza", un nome troppo altisonante credo che sarebbe parso troppo fuori luogo. XD
Altri dettagli sparsi qua e là sono tutti altri miei headcanon ( tipo l'abilità di Demencia di mimetizzarsi come i camaleonti ). Quasi dimenticavo, le razze aliene a cui ho fatto riferimento provengono dall'universo di Star Wars. ^^"
In conclusione, vi ringrazio per avermi seguito in questa piccola avventura, è stato un viaggio breve ma mi sono comunque divertita! ^^
A presto e baci!


Sameko

 
   
 
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