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Autore: asterilotos    16/01/2018    0 recensioni
Kanda combatte per proteggere Allen e Johnny dall'Ordine, dal Quattordicesimo e da quel dannato mondo che da loro la caccia.
[futuro LaviLena]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Johnny Gill, Lenalee Lee, Yu Kanda | Coppie: Kanda/Allen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:
Questa storia è la traduzione di "Ends." dell'autore asterilotos su AO3, scritta e pubblicata col suo permesso.




Capitolo 2
 


Era sdraiato sul soffice manto d’erba sotto il sole estivo, i cui vivaci raggi risplendevano così fulgidamente che poteva avvertirne il calore sulla pelle.
Le sue braccia erano tese verso lo sconfinato cielo; non sapeva cosa stesse tentando di afferrare, ma, se si fosse allungato abbastanza, forse quel qualcosa sarebbe divenuto tangibile.
Ad occhi altrui, quella particolare scena sarebbe apparsa bellissima e pittoresca, eppure lui l’avvertiva come incredibilmente malsana.
Percependo un capogiro, si afferrò la testa tra le mani ed emise un lamento al dolore lancinante che lo trafisse come fosse un coltello nel burro. La luce era divenuta troppo intensa e i suoi occhi faticavano a rimanere aperti.
Udì una risata infantile in lontananza. Non ci volle molto affinché il bambino s’innalzasse su di lui e lo scrutasse con grandi occhi luminosi.  «Che cosa ci fai qui?» chiese questi, la sua espressione un misto di curiosità e delizia.
«Io… io non lo so.» rispose, e rimase sorpreso dalla sua stessa voce: era un bambino pure lui? Non ricordava nulla, ma era certo di trovarsi in un posto a cui non apparteneva.
Così come prima era stata rivolta al cielo lontano, la sua mano si allungò verso quella che il ragazzino gli tendeva; le sue dita e le proprie si intrecciarono e fu aiutato ad alzarsi. Ora più vicino, osservò le fattezze dell’altro: lunghi capelli neri incorniciavano il suo volto paffutello… conosceva quel viso. I suoi capelli erano talmente diversi dalla propria e disordinata massa castana, che tanto era cresciuta durante gli anni di trasandatezza; non era certo della propria età, ma presunse avessero all’incirca gli stessi anni.
Conosceva quel ragazzino; non sapeva in che modo, ma lo conosceva.

«Non ti ho mai visto qui intorno, prima d’ora! Mi chiamo Mana.» un ampio sorriso si allargò sul suo volto. «Qual è il tuo nome?»
Il suo nome?
«Allen.» rispose istintivamente, ma non seppe perché avesse deciso di dire quel nome in particolare. Tutto ciò che sapeva era che era(1) il proprio, che qualcuno di speciale glielo aveva dato. Era il suo, ma allo stesso tempo non lo era.
Il ragazzino, Mana, aprì la bocca fino a formare una piccola “o”, come fosse incredulo. «È un bellissimo nome!» urlò, un po’ troppo entusiasta per qualcosa di così frivolo.
Prima che potesse ringraziarlo, Mana gli afferrò la mano e iniziò a correre; corsero per minuti interi fino a giungere a un giardino molto più bello del campo in cui si trovavano prima. Mana lo tirò affianco a sé a terra, dove si sdraiarono mano nella mano; Allen osservò lo stravagante bambino ridacchiare allegramente e, non seppe bene perché, ma iniziò a ridere anche lui. Rise così forte che gli dolsero i fianchi, ma non ebbe importanza: per la prima volta in vita sua trovò conforto nel fatto di non essere solo.
«Perché abbiamo corso?» indagò Allen una volta che riuscirono a riprendere fiato.
«La signorina Katerina non ci permette di passare del tempo con i bambini del vicinato.» affermò Mana come se stesse condividendo un’informazione ovviamente nota a tutti.
Ci?
«Mana, che fai qui fuori?» chiese qualcun’altro. Allen si voltò nella direzione della voce: era un ragazzino identico a Mana, se non per i capelli più corti; parve scorgerlo e assottigliò gli occhi. Si avvicinò, ma dai suoi movimenti era evidente che stesse agendo con cautela.
Mana gli strinse improvvisamente la mano e lo tirò su in piedi; il movimento fu talmente rapido da provocargli un secondo capogiro. «Lui è il mio nuovo amico, Allen.» Ricambiò la sua stretta, l’istinto che gli gridava di non lasciarlo andare. «E lui è mio fratello gemello, Nea!»
L’altro ignorò le presentazioni.
«La signorina Katerina ti sta cercando.» lo  informò. «Dovresti ritornare alla residenza prima che si arrabbi di più.»
«Aah!» Mana squittì con esagerata paura; lasciò la presa sulla sua mano e Allen avvertì immediatamente la mancanza del suo rassicurante calore. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva provato contatto umano?
«Allen.» Mana chiamò placidamente, con un piccolo sorriso sul volto. «Quella volta che ho riso con te… L’ho sentito anche io.» Non disse null’altro, ma qualcosa in quelle parole che gli si conficcò dolorosamente nel petto.
Si tese nuovamente verso di lui, per afferrare ancora una volta quel tepore, ma la sua mano incontrò aria vuota. Era già svanito.
Colto dal panico, corse ovunque pur di ritrovarlo: che cosa significava? Si voltò in ogni direzione, lo cercò freneticamente intorno; cercò l’uomo truccato da clown.
I suoi pensieri caotici si spezzarono nel momento in cui una mano gli afferrò il polso; si girò per trovare Nea lì a fissarlo: era un uomo, ora. Entrambi lo erano, ma Nea era più alto e marcato di lui; aveva un piccolo sorriso sul viso, ma non era confortante come quello di Mana. Allen comprese che quel sorriso non gli piaceva per niente.
«Dov’è Mana?» chiese, quasi in un sussurro.
«Allen,» Nea gli si fece più vicino e abbassò il tono della voce come se qualcun altro li stesse ascoltando, come se fosse il segreto più grande del mondo. «Non è perduto per sempre. Posso portarti da lui.»
In qualche modo, Allen sapeva che seguirlo era una cattiva idea. Pensò che, forse, il suo allontanarsi da Mana avrebbe dovuto essere definitivo; e una parte di lui gli disse che il loro incontro non era neppure realmente avvenuto.
Decise, contro ogni logica, che sarebbe andato ovunque Nea lo avrebbe portato, perché la necessità di rivedere Mana era bruciante. Aveva bisogno di sapere il significato di quello che gli aveva detto.
Lo seguì, studiando la sua schiena e le sue ampie spalle mentre gli camminava dietro: pareva essere fiducioso e orgoglioso, ma, più di ogni altra cosa, era sinistro.

Alla fine raggiunsero il margine della scogliera su cui Allen non aveva saputo di star camminando; annaspò dinanzi al vasto mare, parecchi chilometri sotto a dove loro si trovavano: si stendeva a perdita d’occhio. Nea indicò ad Est, verso una piccola e desolata isola che si stagliava contro il blu e sulla quale campeggiava un piccolo faro solitario.
«Là. Mana è là.» disse Nea.
Allen ingoiò la bile che gli era salita alla gola e gettò un’occhiata alle proprie mani: una era normale e l’altra era orrenda, rossa e sfigurata. Quella vista lo addolorò, per qualche motivo che non poté dire, e, nonostante non ci fosse, poté fiutare l’odore ferroso del sangue.
«Non è chi pensi lui sia, lo sai.» Nea aggrottò le sopracciglia per un istante, prima che un ghigno tornasse ad ornare il suo bel viso. «Non preoccuparti, non ci vorrà ancora molto.» Allen non seppe perché la sua affermazione lo fece sentire così a disagio, ma capì che, qualunque cosa essa significasse, si trattava di una promessa. “Corri” gli ordinava la sua coscienza, ma le sue gambe erano pesanti e non riusciva a muoverle.
Prima che avesse il tempo di realizzarlo, Nea lo agguantò per la maglia e lo spinse oltre il baratro. Allen cadde verso il mare nero sotto di lui; voleva gridare, ma non trovò la voce per farlo. Nuovamente allungò le mani verso lo sporco cielo blu, tentando di scoprire un appiglio a cui afferrarsi per non cadere ancora più giù.
L’unica cosa che udiva, mentre cadeva, erano le aspre sferzate del vento sul suo viso.
Si schiantò sull’acqua con un impatto così forte che il respiro gli si mozzò in gola.
Tentò di risalire in superficie; aveva bisogno di respirare, ma come un’ancora sprofondava e sprofondava nell’abisso scuro. Ancora una volta provò a fuggire, ma l’acqua salata gli bruciò gli occhi e non riuscì più a vedere. Si agitò disperatamente verso il firmamento, però il mare era infinito e la superficie troppo lontana per essere raggiunta.
Voleva gridare in cerca di aiuto; voleva poter sentire nuovamente il calore di un tocco umano, ma pensò che, probabilmente, il suo fosse un desiderio vano.

 

La luce gli offuscò la vista; era talmente luminosa da fargli male.
Dov’era?
Chi era?
Un peso gli vincolava le braccia e una confusa figura si stagliava sopra di lui; la persona lo stava chiamando, ma non riusciva a comprendere cosa dicesse chiaramente, né a frenare le lacrime salate che gli scivolavano lungo le guance. Assottigliò gli occhi per mettere a fuoco l’individuo che lo sovrastava; era un uomo che gli parve familiare, ma non riuscì a ricordare chi fosse: i suoi capelli scuri erano legati in una coda alta e due lunghi ciuffi erano liberi di scivolargli ai lati delle gote, di fianco alla frangia.
Le sue dita fremettero per toccargli il viso, soltanto per accertarsi che fosse vero. Gli ricordò di quando si era teso verso il cielo; tranne che, quando la sua mano si posò sul volto dell’uomo, capì che era tanto reale e tangibile. La persona dai capelli scuri sobbalzò al tocco, ma permise alla sua mano curiosa di posarsi sulla sua guancia; era così caldo. Allen chiuse brevemente gli occhi e si beò del contatto umano.
L’espressione dell’uomo rimase rigida, nonostante vi fosse una nota di preoccupazione sul suo viso; lo sconosciuto non parlò, però cercò nei suoi occhi come se stesse tentando di trovarvi qualcosa.
È preoccupato per me?
Allen gli carezzò cautamente la morbida pelle della guancia con il pollice.
«Che cazzo fai, Moyashi!» ringhiò l’altro, schiaffeggiandogli via la mano.
Moyashi.
La parola straniera fece scattare qualcosa nella sua testa e una cascata di ricordi gli piovve addosso: era Allen Walker, un ex Esorcista dell’Ordine Oscuro; era in fuga per tradimento; un Noah abitava la sua mente e aspettava il momento per assumere il controllo del suo corpo. L’uomo sopra di lui era Kanda, qualcuno che non aveva mai potuto definire se fosse amico o nemico; eppure, solo un attimo prima aveva disperatamente teso la mano verso di lui, e l’intero gesto era stato molto più personale di quanto avrebbe dovuto essere con un amico o un nemico… e Kanda lo aveva lasciato fare!
Allen si ritrasse così velocemente che sbatté la schiena contro la testata del letto, che a sua volta colpì rumorosamente il muro; era come se la sola vista di Kanda lo avesse scottato. L’unica cosa che davvero bruciava, però, era il suo viso per la vergogna.
«Idiota! P-Per-perché- Perché mi guardavi mentre dormivo?!» gridò in un tentativo di apparire furioso, ma era così imbarazzato che non ci riuscì.
«Ti agitavi nel sonno, idiota!» spiegò l’Esorcista. «Credevo che il Quattordicesimo stesse prendendo il controllo.» Il Quattordicesimo; Nea. Le immagini del sogno gli vorticarono nella mente, infiniti bagliori che gli fecero dolere il petto. Si portò una mano alla fronte. Se si era trattato di un sogno, perché era sembrato così reale?
«Oi…» disse Kanda con cautela e la sua voce improvvisa quasi lo spaventò; poi comprese che l’uomo era lì con lui e non era solo e per qualche motivo questo fatto lo consolò. Diversamente da Lenalee o Lavi e dagli altri, a Kanda non importava di lui e non avrebbe cercato di confortarlo o qualcosa del genere. Non voleva più pensare a Nea o Mana ed era certo che il più grande non gli avrebbe posto domande. Sospirò.
«Non farlo più. È stato inquietante svegliarsi con la tua stupida faccia davanti…» borbottò, strofinandosi gli occhi: per qualche ragione bruciavano.
Erano passate alcune notti da quando aveva ringraziato Kanda per essere restato; non era sicuro di cosa gli fosse preso, quel giorno, ma era stato qualcosa che aveva voluto dirgli da molto tempo. Sapeva che l’altro non aveva nessun obbligo di essere lì, ma aveva il sospetto che ciò che era accaduto ad Alma avesse qualcosa a che fare con il motivo per il quale era rimasto. Parte di lui pensava ci fosse un’ulteriore ragione che ancora non riusciva a comprendere del tutto; forse Kanda lo compativa? Si sentiva in colpa? Sperò davvero non fosse così; se qualcuno avesse dovuto sentirsi responsabile, era proprio lui; perché non aveva potuto salvare Alma.
«Tch. Immagina come mi sia sentito io quando mi hai accarezzato la faccia.» ribatté l’altro accigliandosi. Allen sgranò gli occhi e il suo viso avvampò per l’imbarazzo. «Sta zitto!» si allungò istintivamente per afferrare un cuscino e glielo tirò in faccia.
«Stupida mammoletta! Te la farò pagare!» Il viso del moro si contorse per l’irritazione e tornarono ad azzuffarsi, scambiandosi pugni ed insulti a destra e a manca. Kanda si gettò in avanti e lo costrinse contro il materasso, bloccandogli le braccia con le mani e affondando le ginocchia nelle sue cosce. Allen lo trapassò con lo sguardo da sotto di lui e cercò di dimenarsi dalla sua presa.
«Non fai più il forte ora, eh Moyashi?» ghignò Kanda.
D’un tratto Allen realizzò quanto fossero fisicamente vicini, con i visi soltanto a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro; poteva avvertire il respiro caldo di Kanda, che sapeva di un qualche dentifricio alla menta che avevano comprato durante i loro spostamenti. Si voltò dall’altra parte quando non fu più in grado di sostenere lo sguardo cobalto dell’altro. Sapeva che Kanda lo avrebbe ucciso se si fosse scusato un’altra volta ma ancora si sentiva male per quanto era accaduto ad Alma; nessuno di loro si era meritato la sofferenza che avevano patito.
Ancora si chiedeva del vero motivo per il quale l’uomo fosse lì, ma per qualche ragione aveva paura di conoscere la verità. Se fosse stato la stessa persona di quando si era unito all’Ordine, probabilmente avrebbe cercato di capirla. Non era più quell’Allen, però: ora era l’involucro per un Noah, qualcuno a cui tutti parevano dare più valore che a lui.
«Levati, stronzo.» scalpitò.
«Debole.» replicò il più grande, senza spostarsi. Nonostante Allen non riuscisse a vedere la sua espressione, poteva praticamente percepire la confusione che emanava.
Dove diavolo è Johnny? Se l’uomo con gli occhiali fosse stato lì, si sarebbe evitato questa scomoda situazione. Come se l’avesse evocato, la porta si aprì e Johnny entrò.
«Ho portato del cibo-» lo scienziato si fermò sui propri passi e lasciò cadere la borsa di alimenti che stava reggendo. Per un attimo Allen si chiese cosa lo avesse spaventato, poi si ricordò… Era certo di come tutto ciò dovesse apparire. Il suo viso bruciò: Kanda era sopra di lui, a bloccarlo contro il materasso.
«Mi dispiace!» squittì Johnny, scuotendo la testa freneticamente da una parte e dall’altra come se stesse cercando di scacciare le immagini dalla sua mente.
«Ti dispiace?» gli fece eco Kanda, ignaro di cosa stesse accadendo.
Vallo a capire, pensò Allen. Si contorse dalla sua presa e lo spinse via, facendolo cadere duramente al suolo. Sorprendentemente Kanda rimase lì, ma, fedele alla sua natura, lo insultò e calciò nello stinco. Allen suppose che, nonostante si stesse comportando in quel modo, probabilmente anche Kanda era un po’ in imbarazzo.
«Questo idiota voleva fare a pugni!» Finse una risata, atto molto più semplice che spiegare la reale situazione. Era già abbastanza brutto che Johnny li avesse trovati in quella posizione, ma sarebbe stato peggio se fosse venuto a sapere che ci era finito perché gli aveva accarezzato il viso!
E sarebbe stato ancora peggiore se entrambi avessero scoperto che Nea lo aveva nuovamente visitato nel sonno e che se non fosse stato per Kanda… Nea aveva quasi preso il sopravvento. Di nuovo.
Johnny rise. «Dovete fare attenzione! Non vorrete farvi male.»
«Certo che no!» Allen si affrettò al suo fianco e lo aiutò a raccogliere i filoni di pane che aveva lasciato cadere al suolo.
«Ugh, siete irritanti. Mangiamo e basta.» interruppe Kanda. Per una volta Allen fu grato del suo caratteraccio, perché era quasi sul punto di morire dalla vergogna. «E con “mangiare” non intendo quella schifezza che hai fatto cadere!»
 

 
Kanda non era certo di come fossero finiti in un bar del distretto a luci rosse. Un momento prima stava mangiando una deliziosa soba in un ristorante giapponese che avevano prodigiosamente trovato in città; quello dopo, Johnny aveva deciso che avrebbero dovuto festeggiare la loro “amicizia in sviluppo” bevendo in un bar. Kanda aveva rifiutato, ma mammoletta e l’altro avevano iniziato ad andarsene senza di lui! Non avrebbe potuto lasciarli vagare da soli perché quei due idioti si sarebbero sicuramente cacciati nei guai.
E ora eccolo lì, con tre quarti di boccale di birra(2) a chiedersi come diavolo fosse finito a vivere la sua vita secondo due deficienti.
Il bar era enorme e pieno di clienti fino all’orlo. Era una struttura inusuale: c’erano morbidi divani rossi con ognuno il proprio tavolo. Kanda riteneva che i sofà fossero un’aggiunta ridicola da avere in un bar; avrebbe dovuto essere un posto dove potersi inebriare, dove gli ubriachi sarebbero stati molto goffi e avrebbero rovesciato i loro drink sulla tappezzeria.
Non lo sorprese come Johnny, velocemente esaltato dall’alcool, incespicò per sedersi su quelle cose orrende e commentò “quanto carini!” fossero. E non era quella la parte peggiore: c’erano cameriere che servivano ai clienti sia bevande sia la loro stessa compagnia; senza contare che lo facevano con veramente pochi vestiti addosso. Considerato il suo sorprendente amore per le donne, non c’era da chiedersi il perché Johnny avesse scelto proprio quel posto.
Lo scienziato era in mezzo a due delle signorine su uno dei divani, mentre Moyashi e lui sedevano su quello antistante. Con la coda dell’occhio notò che Allen sembrava fuori posto e molto più silenzioso di quanto già non fosse stato negli ultimi giorni; nonostante fosse fisicamente lì, era evidente che la sua mente fosse da tutt’altra parte. Preso in considerazione il suo apprendistato sotto Cross, Kanda suppose che un posto del genere lo lasciasse del tutto indifferente. Nondimeno si chiese se ci fosse dell’altro.
Con Johnny occupato erano in pratica solo loro due, di nuovo. Erano passati giorni da quando Allen lo aveva ringraziato, eppure ancora non era riuscito ad avere con lui una conversazione degna di tale nome; sapeva che quella era la sua occasione per dire finalmente qualcosa, ma come sempre le parole gli si erano bloccate sulla punta della lingua e rifiutavano ostinatamente di uscire dalle sue labbra.
Ritornò con la mente al quella mattina. Vedere il ragazzo contorcersi nel sonno gli aveva provocato un’indefinibile fitta allo stomaco: era stato certo che il Quattordicesimo stesse avendo il sopravvento; lo aveva visto nel modo in cui la sua pelle si era fatta più scura e le sue ciocche avevano iniziato ad arricciarsi. Era sicuro che le lacrime che aveva visto scivolare dai suoi occhi fossero di Allen. Pareva nuovamente vicino a perdere la battaglia contro Nea, ma com’era riuscito a vincere quella volta? Avrebbe vinto anche la successiva? Tuttora era un mistero, quanto il ragazzo fosse sul ciglio di arrendersi; eppure, più il tempo passava più Kanda trovava difficile allungare la mano verso Mugen.
Avrebbe mentito se avesse detto di non aver provato sollievo quando l’idiota era ritornato in sé. C’era ancora tanto di non detto, tra di loro, e ancora doveva porre rimedio a quella situazione.
Kanda bevve un sorso di birra, inabile a lasciar vagare i pensieri nella propria mente. Lanciò un’occhiata ad Allen e lo vide rimescolare le carte da gioco che Johnny gli aveva procurato.
Il più giovane si sentì osservato ed i suoi occhi curiosi si spostarono su di lui; Kanda fu sul punto di cacciare fuori le parole a forza dalla morsa dei denti, ma, prima che potesse dire alcunché, una cameriera si gettò sul Moyashi.
«Ciao, dolcezza!» urlò in tono troppo alto; il suo seno lo stava pressoché soffocando, ma il ragazzo non si curò di spingerla via. Alla fine gli si tolse di dosso; lasciò vagare le mani sul suo petto e l’altro arrossì vistosamente. «Vuoi qualcosa da mangiare?» chiese, ma lui declinò.
La ragazza non se ne andò; al contrario continuò a parlargli e giocare con le candide ciocche dei suoi capelli e, cosa peggiore, lui la assecondò! Lei rideva delle sue osservazioni su Johnny, asfissiato dalle donne ed in procinto di affogare nella birra, ridacchiò a qualunque stupidaggine lui dicesse. Chi avrebbe mai detto che Allen avesse un simile talento? Ovviamente, tutto ciò incitò la ragazza a farsi avanti con ancor più insistenza.
Kanda era irritato: non le era chiaro che stavano per avere una conversazione?
Nonostante ciò provò a essere paziente, perché l’ultima volta che aveva detto a una cameriera ficcanaso di “stare zitta” Lenalee gli aveva tirato una gomitata nello stomaco. Per cui aspettò che la donna cessasse il suo parlare, dato che se le avesse detto di “sparire” mammoletta e Johnny ne avrebbero sicuramente fatto un dramma e gli avrebbero fatto(3) la ramanzina sul trattar meglio le persone… un’altra volta. Forse era il drink che stava facendo effetto, ma era determinato ad ingoiare il rospo e parlare con quel maledetto ragazzino.
Così aspettò. E aspettò. E aspettò.
Non era certo di quanto tempo fosse passato, ma era già al secondo boccale quando si rese conto che Walker gli si era avvicinato: le loro cosce si toccavano e le spalle si sfioravano appena. Come se avesse avverto la sua confusione, Allen borbottò qualcosa di un po’ troppo veloce affinché lui potesse afferrarlo. Perché il Moyashi era così irrequieto? Lanciò uno sguardo alla sua destra e capì perfettamente il motivo: la giovane cameriera che aveva conversato con lui fino a quel momento aveva deciso che il tempo per le chiacchiere era finito. Si mosse carponi verso di lui, sfoggiando per bene il generoso seno, gli poggiò una mano sulla coscia e vi tracciò piccoli cerchi per poi iniziare a risalire e risalire…
Allen squittì e gli saltò pressappoco in grembo, versandogli addosso ciò che rimaneva del suo drink.
«Cazzo!» ringhiò Kanda: l’alcool gli si era rovesciato sul cavallo dei pantaloni ed era dannatamente freddo. Balzò in piedi per evitare che il cappotto assorbisse anche il resto della birra.(4) «Idiota, che stai facendo!»
«Kanda, ti chiedo scusa.» Allen gli tirò dei fazzolettini a caso. «È solo che lei-»
«Oh, tesoro, mi dispiace!» disse la cameriera, avvicinandosi poi carponi per cercare di asciugarlo; le sue mani lo accarezzarono quasi nel medesimo modo(5) e lui gliele schiaffò via.
«Sparisci!» urlò aspramente e la donna si rimpicciolì sotto la sua occhiataccia e fuggì via. Strappò dalle mani di Allen ciò che rimaneva dei fazzoletti e cercò di tamponarsi i calzoni. Ne aveva avuto abbastanza di quel posto, ora; chi se ne fregava di parlare con l’idiota, l’unica sua intenzione adesso era ritornare al motel. Non fosse stato per l’alcool nel suo organismo, avrebbe tagliato a metà uno di quegli orrendi divani.
«Pensavo fossi abituato a questa merda.» borbottò, sempre asciugandosi i pantaloni.
«Succedeva sempre a Cross(6), non a me!» Allen sbuffò e si erse in tutta la sua altezza, non che avesse potuto essere chiamata tale: era sempre più basso di lui e ancora una Mammoletta.
«Come vuoi. Andiamocene da questo posto e basta.»
«Uh, Kanda…»
«Cosa?» sollecitò, ma la sua domanda ebbe subito risposta quando gettò un’occhiata al luogo che Allen stava indicando: né Johnny né le donne con cui si era seduto si trovavano più lì. «Dove diavolo è andato?»
Il ragazzo fece spallucce e fece per incamminarsi nella direzione opposta, ma Kanda lo afferrò velocemente per il braccio e se lo tirò dietro nel bel mezzo della folla; se non se lo fosse tenuto vicino, quasi certamente quello stupido marmocchio si sarebbe perso e sarebbe finito a farsi accarezzare da altri ubriachi.
Come ho potuto non vedere che Johnny se ne stava andando? Era stato così preso nell’aspettare che la cameriera si levasse per avere quella tanto attesa conversazione col Moyashi, che si era dimenticato totalmente dell’altro uomo. Imprecò a bassa voce: era stato così imprudente! Stare con quei due era come badare a degli stupidi bambini e lui odiava i mocciosi. Cercò di pensare alla serata e a quando fosse stata l’ultima volta che avevano visto lo scienziato.
Avevano perlustrato l’intero bar due volte senza successo: Johnny era sparito.
«Credo che quella là sia una delle donne che erano con lui prima.» Allen indicò una signorina con i capelli corti e più alta di lui; Kanda fece per dirigersi verso di lei, ma l’altro lo fermò e gli lanciò un’occhiata quasi incredula. «Uh… È meglio che le parli io.»
«Tks. Fai come vuoi(7).»
Da lontano osservò Walker approcciare la donna con quel suo sorriso disgustosamente falso in volto. Si scambiarono quattro parole per qualche attimo, poi il ragazzo impallidì e corse verso l’uscita; Kanda lo seguì, urtando alcuni uomini ubriachi nel processo. Si affrettarono in un vicolo situato tra il bar e qualche altro edificio. Era perlopiù immerso nell’oscurità, eccetto che per un singolo lampione appeso al muro che illuminava in maniera inquietante il ridotto spazio; sotto quella luce intravidero una figura sdraiata a terra che si stava tenendo i fianchi.
«Johnny!» esclamò Allen correndo verso l’uomo che, se non per gli occhiali e i boxer a strisce blu e bianche, era completamente nudo. Lo fece sollevare in posizione seduta e gli diede dei colpetti sul viso per svegliarlo; un rivolo di sangue gli scivolava lungo il viso. Johnny socchiuse finalmente gli occhi, anche se parve non metterli del tutto a fuoco.
«Allen! Che ci fai qui!» urlò con apparente eccitazione, per poi alzare lo sguardo su di lui ed indicarlo. «Wow, anche Kanda!»
«Che diavolo è successo, Moyashi?»
«È Allen.» corresse il ragazzo dai capelli argentei per la prima volta in tutto giorno. «E la donna con cui ho parlato ha detto che ha giocato d’azzardo con alcune persone. Deve aver perso tutto.»
«Perché spogliarlo e gettarlo qua dietro? » la sua espressione si contorse nell’insofferenza, ma era solo una facciata: lo irritava non essere venuto a sapere prima che alcuni idioti avessero deciso di attaccare Johnny. Era stata colpa sua, esattamente come il risveglio del Quattordicesimo; continuava a prendere decisioni sbagliate e a rovinare la vita di altre persone: quella di Alma, di Allen e ora quella di Johnny. Strinse i pugni.
«L'hanno sbattuto fuori perché era senza vestiti.»
«Sono stati quei matti a levarglieli.»
«Lo so, Kanda.» rispose Allen seccatamente.
«Va bene. Sbrighiamoci a prenderli a calci in culo e recuperiamo i suoi vestiti.»
«Non possiamo.»
«E perché diavolo no?!»
«La donna ha detto che sono scappati non appena Johnny ha menzionato di avere amici armati.»
«Cosa facciamo, quindi?» chiese, appoggiandosi al freddo muro di mattoni.
Allen non rispose, preoccupandosi invece di proferire parole confortanti allo scienziato e ad accarezzargli i capelli in maniera rassicurante. Kanda fu un po’ sorpreso dalla differenza con la quale Allen li trattava: con Johnny era molto più gentile, al contrario dei modi bruschi e insolenti che adottava in sua presenza. Doveva gradire molto la sua vicinanza e amare davvero averlo intorno. Gli voleva sicuramente parecchio bene(8)…
Kanda distolse lo sguardo: per qualche ragione gli era difficile guardare.
Forse aveva giudicato male Allen Walker. Non conosceva veramente nulla di lui, tantomeno come ragionasse; non sapeva niente.
«Ehi, dammi il tuo cappotto.» disse improvvisamente l’altro.
«Col cavolo!» lo trapassò con lo sguardo, ma il ragazzo si limitò ad avvicinarsi e a fissarlo con sfida. Era molto più serio che prima: quanto era successo a Johnny l’aveva fatto arrabbiare e si stava sfogando con lui.
«Non possiamo riportarlo al motel in questo stato!» il più giovane era poco meno che ad un soffio dal suo viso, pronto a litigare soltanto per la sua giacca.
«Dagli i tuoi vestiti, allora!»
Allen lanciò un’occhiata ai propri abiti: al suo contrario, l’idiota aveva optato per non indossare il soprabito invernale; era vestito, invece, solo di una camicia bianca abbottonata e dei pantaloni marroni. Magro com’era, era un miracolo che non già fosse morto assiderato.
«Così sarei io quello nudo, razza di maniaco!»
Kanda brontolò a bassa voce e si sfilò il cappotto. Fece in modo di tirarlo alla mammoletta con più forza del necessario, guadagnandosi un insulto come risposta; il più giovane non ne fece un dramma e si affrettò al fianco del quattrocchi per aiutarlo ad infilarsi la giacca. Alzò poi lo sguardo su di lui con una certa aria compiaciuta; Kanda aveva il desiderio di togliergli quell’espressione dal viso con un pugno.
«Non è stato così difficile, vero?»
«Certo, certo, fottuto Moyashi. Sbrighiamoci ad andarcene prima che decida di lasciarvi entrambi qui.» disse iniziando ad allontanarsi da loro.
Walker, con un ubriaco Johnny che gli pendeva da una spalla, arrancò dietro di lui. Quasi rischiò di farlo cadere, ma riuscì ad afferrarlo prima che finisse dritto per terra. «Un piccolo aiuto?»
Kanda gemette di frustrazione e si portò l’altro braccio di Johnny attorno alla spalla; l’uomo li usò per supportare il proprio peso ma continuò imperterrito a inciampare ad ogni passo.
«V-voi… sciete i miei migliori amisci!» canticchiò allegramente. Kanda ebbe quasi un conato di vomito al forte odore di alcool che uscì dalla sua bocca.
Arrancarono fino al motel guadagnandosi strane occhiate da chi vagava per la città la notte. Faceva più freddo di quanto non avesse fatto prima e lui bofonchiava a bassa voce perché il cavallo dei suoi pantaloni era ancora gelido a causa di quella birra che l’idiota gli aveva rovesciato addosso; e Johnny cantava di nuovo atrocemente.
«Penso che Kanda abbia fatto la pipì, perché i suoi pantaloni sono bagnati!» disse l’uomo, sporgendosi verso Allen come per rivelargli un segreto ma, in pratica, gridando. Il ragazzo dai capelli candidi rise.
«Non mi sono pisciato addosso!» urlò lui. «E perché diavolo ridi, mammoletta. Sei tu quello ad avermela rovesciata addosso cercando di sedersi sul mio cazzo di grembo!»(9)
L’ilarità di Allen si smorzò.
«Nei tuoi sogni, stupido Kanda.»
Allungò la gamba da dietro Johnny e calciò Allen nello stinco. Il movimento li fece sbilanciare e finirono per cadere a terra; le loro gambe erano un groviglio sconnesso e Johnny aveva pestato la faccia dritta al suolo.
«Cazzo!»
«Ottimo lavoro, demente.» disse Allen levandoselo di dosso; immediatamente aiutarono l’altro ad alzarsi e questi, da prima intontito, iniziò a ridere incontrollatamente. Il ragazzo lo guardò con confusione a causa della sua reazione, ma finì per fare la medesima cosa. Kanda invece non era idiota come loro, per cui non si unì nella loro pazzia, però… si ritrovò a sorridere.
Forse la serata non era così terribile.
Il ritorno al motel fu silenzioso una volta che Johnny ebbe perso i sensi. Kanda decise che, forse, camminare con l’uomo ubriaco sorretto tra loro non era un buon momento per avere una conversazione decente con Walker. Una volta ritornati nella loro stanza scaricarono lo scienziato sul letto e aiutò Allen a mettergli il pigiama; dopodiché andò a farsi una doccia per lavarsi quella dannata birra dagli abiti.
Stette lì seduto nella cabina per alcuni minuti, lasciando che l’acqua bollente sciacquasse via la puzza di alcool dal suo corpo.
C’era stato qualcosa a cui aveva continuato a pensare per tutta la sera: lo scopo per cui si era aggregato a Johnny e al Moyashi era stato uccidere il Quattordicesimo; ciononostante, quella notte era uscito con loro e a dirla tutta si era un pochino, in parte divertito. E per tutto il tempo non ci aveva pensato, né aveva considerato i Noah o l’Ordine. Non ci aveva pensato per nulla, tanto da lasciare che Johnny se la svignasse. E per la prima volta Kanda si rese conto di avere paura: non avrebbe dovuto gradire questo tempo trascorso con loro, eppure era lì a chiedersi come sarebbe stata la vita se il mondo intero non fosse stato sulle loro tracce.
Il calore dell’acqua lenì i suoi muscoli stanchi. Non voleva pensare più a nulla di ciò, ma tanto era ormai cambiato; non avrebbe dovuto apprezzare la loro compagnia perché la vicinanza avrebbe portato disgrazie. Avere qualcosa significava anche accettare il rischio di perderlo.
Ritornò in stanza minuti dopo e vi trovò Allen seduto sul pavimento a giocherellare con la sua mano maledetta. Non si scambiarono parole o sguardi, cosa di cui fu grato; a essere onesto la serata lo aveva sfiancato e l’ultima cosa che voleva era entrare nel discorso di ciò che rimaneva non detto.
Le persone credevano che Kanda fosse stupido e ignaro dei sentimenti altrui, ma lui sapeva di essere più intelligente di quello che mostrava; ecco perché non poteva fare altro che rimuginare sul ricordo di Allen che allungava il braccio verso di lui. Perché era sembrato così minaccioso?
Johnny diceva che, a volte, Allen accennava ai propri sogni ma non entrava mai nel merito di ciò che effettivamente accadeva; sapeva che succedeva abbastanza da continuare a tormentarlo anche da sveglio. Era sempre lì a combattere la sua battaglia, anche in stato d’incoscienza.
Kanda bramava essere in grado di entrare nella testa della mammoletta e prendere a calci in culo Nea personalmente. Invece era chiuso fuori e in bilico su una linea fatta di “potere o non potere”: uccidere Nea, non uccidere Allen.
Era certo, però, che non avrebbe potuto fare una cosa senza l’altra.
   
 
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