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Autore: Trainzfan    16/01/2018    1 recensioni
7000 d.c. - L’umanità è divisa in due ceti: aristocrazia/clero e popolo. Tutta l’economia della Terra è basata sull’energia fornita dal Goddafin, sorta di raggi di immensa potenza che discendono dal cielo finendo dentro a cupole blindate, gestiti e distribuiti dall’aristocrazia/clero che, grazie a questo, può tenere in suo potere tutto il resto dell’umanità: il popolo. Esso dipende dal clero sia per l’energia necessaria per calore e illuminazione sia per attrezzature metalliche necessarie alla coltivazione o piccole operazioni quotidiane. Per evitare una ribellione la classe dirigente mantiene il popolo nell’analfabetismo e soggezione mediante una religione che insegna quanto il popolo sia costituito dai superstiti risparmiati da Dio, durante lo scatenarsi della sua ira in un lontanissimo passato mentre l’aristocrazia rappresenta l’eredità del popolo eletto assurto a guardiano dell’energia donata da Dio agli uomini mediante i raggi del Goddafin che da millenni alimenta la Terra.
Chi-Dan, giovane archeologo dell’aristocrazia della Celeste Sede (sorta di Vaticano della religione del Goddafin), viene incaricato dallo zio, Sommo Tecnocrate, di indagare su di un misterioso ritrovamento che aprirà letteralmente un mondo nuovo sconvolgendo e cancellando drasticamente tutto quanto è stato ritenuto sacro e reale
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chi-Dan vide la terra allontanarsi sotto di loro mentre il veicolo si sollevava sotto la spinta dei potenti rotori posti sotto l’hovercraft, uno al centro della metà anteriore e l’altro al centro di quella posteriore. Entrambi aspiravano aria dai corrispondenti fori superiori mentre il foro posto in centro alla parte anteriore del mezzo e le prese d’aria laterali servivano al raffreddamento dei motori.
Sopra la parte posteriore del veicolo troneggiava una grandissima elica, ingabbiata in una struttura metallica, che era utilizzata per il moto orizzontale coadiuvata da una coppia di alette metalliche verticali di grandi dimensioni che, ruotando lateralmente in entrambe le direzioni, fungevano da timone.
L’abitacolo, sufficientemente spazioso, era predisposto per il trasporto di cinque passeggeri oltre al pilota ed i comandi erano piuttosto semplici limitandosi ai controlli del moto verticale e ad una specie di joystick per la guida orizzontale.
Il giovane archeologo si accomodò nel confortevole sedile accanto al pilota accingendosi al lungo viaggio che li attendeva e lasciò vagare il suo sguardo sulla foresta che scorreva veloce sotto di loro nella luce ormai piena del mattino.
 
*****
 
Ben presto ogni traccia della posizione del campo svanì dietro le loro spalle mentre la distesa verde che ricopriva quasi completamente la pianura, fiancheggiata a nord da basse montagne lussureggianti, si stendeva immutabile sotto di loro. Viaggiarono sopra questo paesaggio per un’ora circa finché un grande fiume color ocra non incrociò la loro strada. Qui Roda-Yong intervenne sui comandi di direzione portando l’hovercraft direttamente sul centro del corso d’acqua e, direzionandosi contro corrente, puntò il veicolo verso nord.
 
Dopo un breve tragitto, d’improvviso, le alture, che fino ad allora si erano intravviste in distanza, furono accanto a loro e, sempre seguendo il fiume, il giovane prelato alla guida si infilò in una stretta e sinuosa vallata circondata da pareti verticali completamente ricoperte dalla vegetazione tipica di quelle zone particolarmente calde e umide.
 
Il grande fiume, nel corso dei millenni, aveva scavato profondamente il terreno attraverso cui scorreva per cui, ora, la vallata che i due cinlen stavano percorrendo era costituita da un profondo canyon le cui pareti erano impenetrabilmente rivestite da vegetazione costituita da alberi ad alto fusto i quali sovrastavano un sottobosco intricatissimo e popolato da una enorme varietà di animali i quali, grazie all’isolamento naturale creatosi, prosperavano senza alcun disturbo, ormai, da parte di quella che in passato era stata la creatura più pericolosa esistente sul pianeta: l’uomo.
 
Dopo un iniziale blanda curiosità Chi-Dan distolse lo sguardo dal panorama sempre uguale, sempre verde, che lo circondava e si mise a frugare all’interno del suo zaino da viaggio più per impegnare un poco il tempo di viaggio in una qualche attività che per una reale necessità. Si ritrovò a riflettere sul fatto che, secondo le ultime ricerche sul campo effettuate, tutta la zona che stavano sorvolando era stata, in un lontanissimo passato, abbastanza densamente popolata; i resti rinvenuti parlavano chiaro. Ora, invece, più nessun essere umano popolava queste zone divenute, ormai, totalmente selvagge.
 
Poco più in là, semi nascosta da alcune larghe foglie di un grande albero, una scimmia cappuccina, incuriosita dall’insolito rumore, volse per un istante la testa al passaggio dell’hovercraft a non più di qualche decina di metri di distanza per poi tornare immediatamente alle sue misteriose attività quotidiane.
 
Erano ormai trascorse più di tre ore dal momento in cui Chi-Dan ed il giovane prelato che gli faceva da pilota erano partiti dal campo ed il grande fiume era divenuto una striscia color giallo che si muoveva pigramente lungo un percorso sinuoso e avviluppato quanto un serpente in preda al mal di pancia. Vista la vicinanza fra di loro delle diverse anse del corso d’acqua, Roda-Yong era, al momento, alquanto impegnato con la guida. Alla sinuosità del fiume, poi, si aggiungeva il fatto che il giovane pilota non aveva minimamente accennato a rallentare la propria marcia per cui la sua perizia di guida era costantemente messa alla prova.
Fortunatamente questa parte del percorso non durò a lungo; dopo meno di un quarto d’ora di slalom selvaggio il paesaggio si allargò un poco in una vallata che proseguiva diritta per una decina di chilometri puntando sempre verso nord. Al suo termine il corso d’acqua, che era ormai da molto la loro guida, si gettò nuovamente fra due pareti verticali a picco che li accompagnarono per il successivo paio di ore.
 
Poi, improvvisamente come erano comparse diverse ore prima, le montagne si aprirono e una immensa pianura si stese davanti a loro mentre sulla destra, seguendo gli ultimi contrafforti rocciosi, ecco comparire i resti antichissimi di una costruzione merlata, lunga e stretta, la quale, partendo da quasi sulle sponde del fiume, proseguiva verso nord-est lungo il crinale perdendosi in distanza nel nulla.
 
Poco dopo il fiume compiva una decisa svolta verso ovest-nord-ovest e Roda-Yong lo seguì mantenendosi sempre al centro del corso d’acqua. Trascorse un’ulteriore ora senza storia quando, leggermente spostato verso nord, comparve ai loro occhi la vista di un laghetto dalle acque completamente nere. A quanto pare il colore di questo era dovuto al fatto che le basse alture che lo circondavano erano ricche di carbone e che in un passato remotissimo innumerevoli cave a cielo aperto erano state scavate per ricavarne il materiale i cui scarti venivano gettati in quelle acque creando quindi quell’effetto lugubre e, allo stesso tempo, affascinante che quella pozza d’acqua aveva.
 
L’hovercraft puntò decisamente verso nord ed ora, non più ostacolato da altro che basse e morbide colline, il veicolo poteva viaggiare alla sua massima velocità di quasi trecento chilometri orari. A ricordo del passato minerario della zona innumerevoli profondissime buche brulle a forma di imbuto punteggiavano l’intero panorama.
 
Dopo circa un’oretta la monotonia della tundra che sfuggiva sotto il veicolo da un centinaio di chilometri fu interrotta da alcuni piccoli punti bianchi: capanne di pastori nomadi monglen che immutabilmente, da millenni, conducevano la loro vita al di fuori di ogni uso o regola che il resto dell’umanità aveva nel frattempo creato.
Al passaggio dell’hovercraft la porta di legno dipinta di bianco di una delle costruzioni si aprì di un poco ed il visino sporco di una bambina di quattro o cinque anni di età fece capolino da essa; lo sguardo incuriosito seguì il veicolo che sfrecciava qualche metro al di sopra del suolo a breve distanza da lei. Improvvisamente una mano la afferrò dall’interno per il colletto del vestito tirandola di colpo dentro la capanna e la porta si richiuse immediatamente dietro di lei.
 
Non mancava più di un’ora di viaggio quando il torpore in cui era caduto Chi-Dan fu scosso dalla vista di una mandria enorme di cavalli selvaggi, preda molto ambita dai nomadi della zona, che fuggiva spaventata dal rumore dei rotori a piena potenza. Il giovane archeologo restò incantato ad osservarli correre attraverso la polvere sollevata dai loro possenti zoccoli svanendo presto dietro una delle basse colline che punteggiavano l’altrimenti monotona distesa della tundra sopra cui già da molto volavano.
 
*****
 
Era oramai da diverso tempo che la luminosissima colonna del Goddafin era visibile, possente ma in un qual modo aggraziata, diritta giù dal limpido cielo, quando un baluginio lontano rivelò ai due sull’hovercraft la posizione esatta della cupola della Celeste Sede.
 
«Finalmente siamo quasi arrivati» osservò Roda
«Già» confermò Chi «ne avevo decisamente abbastanza di tutto questo deserto!».
 
In poco tempo si trovarono a transitare sulla verticale del villaggio di Nabir il quale si trovava ad una ventina di chilometri dalla colossale cupola verso cui erano diretti.
Sotto di loro scorreva la normale attività degli abitanti della piccola comunità.
Tutta la gente che s’intravvedeva, al lavoro nei campi o in movimento sulla strada, era vestita con i tipici indumenti semplici del popolo dai classici colori brunastri del tessuto grezzo.
Appena fuori dal piccolo agglomerato di casupole basse del colore della terra con cui i mattoni venivano fabbricati un gruppo di bambini nudi stava giocando presso una pozza di acqua fangosa che, con ogni probabilità, non avrebbe superato nemmeno la soglia minima di qualsiasi test batteriologico.
Attraversarono in volo la strada in terra battuta che si dipartiva dal villaggio, sulla quale stavano transitando due giovani popolani spingendo una sorta di carretto, e si diressero verso il muro esterno fortificato della Celeste Sede.
Dagli altoparlanti della radio di bordo uscì il suono di una scarica di energia statica. Subito dopo si udì una voce metallica:
 
«Qui controllo Celeste Sede a hovercraft da rotta Sud. Fatevi riconoscere. Cambio».
 
«Qui opertec Roda-Yong di ritorno da missione esterna di priorità uno con veicolo HCP123. Attendo istruzioni d’ingresso. Cambio».
 
«Bentornato, opertec Roda-Yong. Permesso di accesso accordato su portale 15, hangar 6, settore rosso, posto 12. Cambio».
 
«Ricevuto, grazie. Chiudo».
 
Conclusa la conversazione roda si rivolse verso Chi e, con aria un poco stupita, esclamò: «Caspita! Hangar 6, settore rosso! Quella è una zona riservata alle sole autorità! Tuo zio deve proprio avere urgenza di incontrarti!».
 
Anche Chi-Dan si meravigliò ma decise che era inutile lambiccarsi il cervello sulle motivazioni. In ogni caso, presto, il mistero si sarebbe risolto.
Oltrepassato il muro esterno attraverso il pesante portale corazzato, su cui era dipinto un enorme numero 15, si diressero, a velocità ridotta e ad appena una ventina di centimetri dal suolo, verso lo scivolo d’ingresso dell’hangar assegnato.
Giunsero, infine, al settore rosso dell’hangar 6, situato ad una trentina di metri sotto il livello del suolo, e parcheggiarono al posto numero 12, appena a lato del corridoio che portava agli ascensori ultra veloci della cupola, contrassegnato dalla scritta, in rosso, “riservato”.
Spento il propulsore Roda-Yong sbloccò la cupola trasparente che chiudeva l’abitacolo del veicolo che si aprì ruotando verso l’alto sui suoi cardini nascosti.
Scesero dall’hovercraft e, con passo rapido, Roda guidò Chi lungo il corridoio metallico ben illuminato fino alle porte dei turbo ascensori.
Dopo pochi istanti si udì un sommesso tintinnio e la porta di uno degli ascensori scivolò di lato nella parete.
Entrarono ed il giovane prelato inserì un codice sulla tastierina numerica posta a lato della porta della cabina. Questa, silenziosamente, si chiuse e Chi-Dan avvertì una lieve sensazione di movimento verso l’alto.
Nonostante che l’effetto di salita fosse quasi impercettibile il giovane archeologo sapeva che gli ascensori della cupola raggiungevano velocità fantastiche permettendo di muoversi attraverso decine di livelli in pochissimi istanti.
Per quanto l’ufficio del Sommo Tecnocrate fosse situato in uno dei punti più elevati della colossale cupola, nelle vicinanze della sala del Goddafin ad oltre cento metri sopra la vasta pianura circostante, dopo pochi istanti la cabina si fermò e la porta si aprì.
Scesero in un ampio atrio luminoso dal soffitto alto in cui il colore predominante era il giallo oro mentre sulla parete di fronte alle porte degli ascensori troneggiava, colossale, il simbolo del Goddafin, in versione mosaico, del diametro di cinque metri. Sotto di questo attendeva una figura avvolta nel manto nero con il cappuccio bordato in giallo oro degli opertec addetti alla gestione del Goddafin.
 
«Benvenuto, Chi» salutò il prelato avvicinandosi ai due appena arrivati.
Chi-Dan riconobbe subito la voce di suo fratello maggiore So-Dan e, quando fu vicino, lo abbracciò con calore.
Era parecchio che, a causa dei rispettivi impegni di vita, non avevano l’occasione di incontrarsi.
 
«Ciao, fratellone!» disse Chi rilasciando l’abbraccio. «Che sta succedendo?» chiese, poi, con una punta di apprensione.
 
«Qualcosa di molto interessante» rispose So-Dan «Ma non è il caso di parlarne qui. Vieni. Lo zio ci sta aspettando».
 
«Scusa, So» intervenne il giovane archeologo che solo allora si era ricordato di avere indosso ancora il vestiario da lavoro che si era messo quella mattina. «Non mi sembra il caso che mi presenti dal Sommo Tecnocrate conciato a questo modo, ti pare?».
 
So-Dan lo fissò per un istante poi replicò: «Non ti preoccupare. Si tratta di un’udienza assolutamente privata e lo zio sa che sei appena arrivato dal sito degli scavi. Andiamo ora. Più tardi avrai modo di sistemarti».
 
Detto questo s’incamminò verso un corridoio in fondo alla grande sala.
Chi-Dan si voltò un momento a salutare Roda-Yong che attendeva già presso la porta dell’ascensore poi si pose al seguito del fratello maggiore il quale, a passo svelto, lo condusse verso l’ufficio privato di Saru-Dan III.
 
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