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Autore: AlnyFMillen    17/01/2018    4 recensioni
"Sta tranquilla, Ladybug. Va tutto bene. I miei occhi sono sempre rimasti chiusi, non ho visto nulla"
Desiderava più di qualunque altra cosa sapere chi in realtà si celasse dietro la maschera a pois neri che tanto lo aveva conquistato, credeva fosse quello lo scopo più grande cui bramava. Eppure solo ora... Solo ora capiva quanto si stesse sbagliando.
"Non sei pronta e va bene. Sono qui, ci sarò sempre: quando e se mi vorrai, resterò al tuo fianco"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quanto di più doloroso

[Marinette]

 

 

 

 

«Chat?».

Marinette allontanò lentamente il volto dal petto dell'amico, sciogliendo piano quella stretta in cui, perfino nel peggiore dei momenti, aveva potuto sentirsi al sicuro. Sotto l'orecchio destro percepiva il cuore pulsare feroce dalla stoffa della tuta; a contatto con i capelli, lasciati liberi sulle spalle, un respiro leggero. Nulla di sbagliato, tutto nella norma.

Avevano vinto, fra non molto sarebbero stati portati in salvo e ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto. Avrebbe dovuto inventare qualche scusa per giustificare la sua presenza lì, forse anche quella della controparte civile di Chat, ma sarebbe andato tutto bene.

Portò una mano ad accarezzarsi lo sterno, acidità e nausea d'un tratto persistenti.

Allora cos'era quella sensazione? Come una specie di morsa allo stretto dello stomaco, così violenta da far risalire in gola il sapore amaro della bile. Un sesto senso che, senza troppi preamboli, l'avvisava di stare attenta perché qualcosa non andava.

Agitò appena le spalle, reprimendo a stento un conato di vomito. Cosa le stava succedendo? Prima della mente, il corpo aveva già recepito un messaggio importante, non le era dato sapere quale.

Repentina, la mano destra salì fin alla base della gola, il capo balzò indietro.

La giovane si apprestò a cambiare posizione, sporgendo il busto verso l'esterno e sottraendosi alla stretta del ragazzo. Senza opporre resistenza, le braccia di lui scivolarono dalle sue spalle, poggiando con un tonfo sul pavimento carbonizzato. Fu il secondo segno, quello, subito a seguito del silenzio che regnava nella sala.

In un primo momento, Marinette non vi fece caso, troppo occupata a cercar di interpretare gli strani segnali che il proprio corpo le stava mandando. Quando notò la posa innaturalmente rilassata in cui giacevano gli arti che la stavano cingendo, venne percorsa da un brivido irrazionale.

Capì ed ebbe paura. Paura di scoprire che ad attenderla, alzando il mento, non avrebbe trovato il solito sguardo ridente, l'abituale sorriso giocoso.

Si sporse appena verso l'alto, quel tanto che bastava per guardare in volto l'amico. Cercava la conferma che si stesse sbagliando, che Chat stesse bene, per quanto le condizioni fisiche lo permettessero. Niente di più, niente di meno. Non voleva crederci, cadere nella morsa irrazionale del terrore.

Posando però gli occhi sulle palpebre chiuse del ragazzo, il solco tra le sopracciglia marcato a causa del dolore e la bocca tirata in una smorfia, sussultò.

Portò entrambe le mani alle labbra, schiuse per l'orrore.

No.

«Chat Noir!», le sfuggì, il tono più alto di sette ottave rispetto al normale.

Palmi ben aperti delle mani sulle guance di lui, mosse tremante le dita sugli zigomi, attorno le labbra. Sembrava caldo, presente. Impose a se stessa la calma, tirando lunghi e veloci respiri.

Sta riposando un attimo, si convinse, fra non molto riaprirà gli occhi.

Attese un attimo, un altro ancora, ma il supereroe sembrava determinato a non voler proferire parola.

«Rispondimi, ti prego», sussurrò allora, preda dello sconforto.

Sapeva che era vivo — respirava — ma non capiva il perché di quell'espressione sofferente, del silenzio. Le venne da ipotizzare uno svenimento, un coma: il peggio del peggio. Era una ragazzina, che poteva saperne lei di diagnosi mediche? Sapeva soltanto che  qualcosa non andava.

«Chat... N-Non lasciarmi sola!».

L'eco delle sue parole si perse all'interno della stanza, mentre il nulla risucchiava ogni possibilità, per quanto misera, di salvezza. Non sarebbero arrivati in tempo. Al piano inferiore era da tempo divampato un incendio, riusciva a vedere le colonne di fumo innalzarsi verso di loro. Sarebbero morti. Il panico si era ormai impossessato di lei.

Dannazione.

Nuove lacrime fecero capolino dai suoi occhi, mentre picchiava frustrata un colpo sul braccio inerme del giovane. Sarebbe morta, senza avere la possibilità di sapere chi fosse colui che fin alla fine aveva deciso di proteggerla, rispettarla, amarla. Sarebbe morta, con la consapevolezza di non poter far nulla per evitarlo, sentendosi impotente. Sarebbe morta, sapendo di aver sottratto ad Adrien l'unico rimasto fra i suoi genitori, portando con sé altre due vite innocenti. Sarebbe, semplicemente, morta e tutto ciò in cui sempre aveva creduto sarebbe scomparso.

Si voltò verso destra, dove giaceva inerme la piccola kwami della creazione.

«Mi dispiace, Tikki», mormorò. «Mi dispiace davvero».

Poggiò il piccolo corpicino sulle mani, osservandolo tra le lacrime. Non era stata capace di adempire al proprio compito, quelle erano le conseguenze.

Singhiozzò, sconfitta, proprio mentre qualcun'altro le si avvicinava.

«Ladybug?». Nel caos più totale, si fece largo un piccolo bagliore violaceo.

Marinette credette di averlo immaginato, ma, quando la luce si fece più vicina e il nome venne ripetuto, fu certa di non aver sognato. Se davvero era impazzita, tanto valeva approfondire la questione negli ultimi attimi che le restavano.

«Chi parla?», domandò, assottigliando lo sguardo.

Il piccolo esserino la raggiunse, posizionandosi a pochi metri di distanza. Sembrava molto affaticato, le piccole ali diafane raggrinzite e l'antenna bassa, eppure ricercava lei, colmo di preoccupazione.

«Un kwami».

«S-sì», balbettò lui. «Mi spiace, non c'è molto tempo. Sono qui per darle questo».

La ragazza si ritrovò ben presto un piccolo oggetto fra le mani: era liscio, ben squadrato, dalla forma animale. La spilla di Papillon.

Le appariva tutto talmente surreale e, se si fossero trovati in una situazione normale non avrebbe esitato a rimanerne affascinata. Ma il tempo a sua disposizione stava scadendo velocemente.

«I-io non posso. Non sono- Non è mio questo».

Nooroo annuì frettolosamente, lo sguardo serio e spaventato.

«So che è stata affidata a Tikki», disse chinando il capino. «Ma anche lei ha bisogno del suo aiuto, ora. Mi dispiace per i danni provocati dal mio portatore e per tutto il male che siete stati costretti a subire. Anche se è impossibile rimediare, v-vorrei provarci».

«Io...», ripeté ancora Marinette, incapace di proferire altro.

«Non intendo costringerla ad indossare spilla!», si affrettò a chiarire. «Probabilmente sarebbe inutile: è danneggiata. Lasci solo che provi a fare una cosa, la prego».

L'altra lanciò uno sguardo preoccupato alla sua piccola amica, poi al ragazzo. Se esisteva un modo per rimediare, avrebbe tentato, accettando le conseguenze. Quell'esserino poteva rappresentare la sua unica fonte di salvezza, così come l'esatto contrario: avrebbe dovuto fidarsi.

Annuì decisa, nonostante gli occhi rossi per le lacrime e il fumo, prima che il kwami della farfalla si gettasse a capo fitto verso di lei. Lottando contro l'impulso di allontanarsi, serrò le palpebre e, quando le riaprì, non trovò più traccia di Nooroo. Gli unici rumori percepibili erano dati dallo sgretolamento delle travi.

Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma le parole rimasero bloccate in gola, mentre il riconoscibile formicolio che precedeva la trasformazione si avvolgeva tutt'attorno a lei. Inaspettato, inspiegabile, poiché Marinette non aveva richiesto nulla.

Senza che potesse impedirlo, si ritrovò immersa in un'abbagliante luce rosata, differente da quella a cui era abituata. Solo pochi attimi più tardi, capì realmente cosa fosse successo. Non credeva possibile nulla di ciò cui stava pensando, né sapeva, in caso, quali fossero le conseguenze derivanti, e per lei e per il kwami. Eppure, le ipotesi che potessero spiegare quanto accaduto erano ben poche.

Sbigottita, avvicinò una mano al proprio volto, muovendo le dita lentamente per accertarsi che le appartenessero.

Era tornata ad essere Ladybug.

Era tornata ad essere Ladybug senza Tikki.

Era tornata ad essere Ladybug senza Tikki e la sua trasformazione aveva subito un cambiamento radicale.

La kwami non le aveva mai detto nulla riguardo un cambio di colore, eppure il tessuto della tuta, pur mantenendo gli inconfondibili pois neri, era variato. Sapeva ancora riconoscere la differenza fra il rosso ed il viola, nonostante la scarsa luce dell'abitacolo.

Con uno scatto si rizzò in piedi, constatando che il dolore alla caviglia e alla spalla era, se non scomparso, almeno lievemente diminuito. Ci sarebbe stato tempo, dopo, per riflettere più approfonditamente su come Nooroo fosse riuscito a fondersi con i suoi orecchini ed apportare in lei tutti quei cambiamenti.

Fuori Villa Agreste, voci conciate, sirene lampeggianti e pompe d'acqua pronte all'utilizzo.

Marinette prese tra le mani il corpo esanime di Tikki, pregando che si riprendesse al più presto, per poi riporlo in una delle tasche che, fortunatamente, erano state incluse nel costume di Chat. Guardò quest'ultimo, la smorfia di dolore ancora persistente sul volto. Doveva portarli via di lì, alla svelta.

Trattenne un gemito di dolore e issò il ragazzo sulle sue spalle, guardandosi attorno per l'ultima volta. Sapeva che c'era ancora qualcuno all'interno, ma, con tutto quel fumo, non riusciva a capire dove si trovasse. Fece un passo avanti, cercando di scandagliare la sala, quando il pavimento franò sotto i suoi piedi e dovette indietreggiare velocemente, sin a ritrovarsi con la schiena rivolta verso il grande finestrone, ormai infranto.

In quelle condizioni, riusciva a portare una persona solo con uno sforzo immane, figurarsi due. Si morse la lingua, mentre la mente rifiutava l'idea di lasciar indietro un civile. Stava per rientrare completamente nell'abitacolo, ma un nuovo cedimento glielo impedì.

Erano fuori, questa volta per sempre.

   
 
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