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Autore: Fyan    19/01/2018    0 recensioni
Chi scrive un diario racconta la propria storia, segna la sua vita e parla di avventure. E se fosse il diario, invece, a scrivere l'avventura al posto dello scrittore?
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diario di un mago
Capitolo terzo

F
orse sembrerà assai strano che io conosca così tanti particolari di questa storia, a partire dalle frasi dette da Joshua fino alle più accurate descrizioni degli ambienti. Vi starete dicendo: è impossibile che Joshua abbia raccontato ogni dettaglio, a distanza di cinque anni dagli avvenimenti.
Ma vi sbagliate. È proprio da lui che sono venuto a conoscenza di tutte le particolarità del viaggio, solo che non è stato propriamente lui a raccontare.

Torniamo al campo di schiavi, però. I due giovani nella foresta si erano appena fatti scoprire come degli allocchi dai carcerieri. Chiunque ci avrebbe pensato prima un bel po' di volte prima di mettersi così tanto a rischio. Evidentemente mio nipote non aveva pensato abbastanza, perché si era ritrovato a correre a perdifiato verso nord, accompagnato da una magrissima ragazzina senza forza e dagli assai fastidiosi cespugli che intralciavano la loro corsa.
Più di una volta Joshua rischiò di rovinare al suolo, con gli schiavisti che li inseguivano puntando contro i fucili. Di scoppi da arma da fuoco se ne sentivano molti, sugli alberi attorno: era una fortuna che almeno i due giovani avessero deciso di correre in modo sconnesso per evitare i proiettili.
Sono sicuro che dovessero avere il cuore a mille quei due piccoli ed incoscienti fuggitivi, perché l'udire di quei forti scoppi di polvere da sparo a ben poca distanza dalla loro testa doveva fargli venire in mente che forse la fuga in quel modo non fosse un'idea così geniale. Al posto loro mi sarei arreso con le mani alzate e non perché la mia schiena mi avrebbe supplicato di fermarmi e nemmeno i dolori alle ossa: avrebbero finito per uccidermi se avessi continuato e comunque non c'era poi tanta speranza di riuscire a seminare quei malvagi schiavisti.
Successe infatti l'inevitabile: un proiettile di fucile colpì alla coscia la giovane schiava, che con un urlo di dolore rovinò a terra sporcandosi ancora di più quel bel visino graffiato. Joshua si voltò immediatamente al suo richiamo, rallentando la corsa: l'aveva già superata ed aveva creduto che potesse esserle appena dietro, ma lei non era poi così abituata a correre con quel corpo gracilino e lui non ci aveva pensato proprio.
«No!» Esclamò preso dal panico, un'espressione tesa negli occhi verdi. Bastò quella esitazione e subito gli schiavisti gli furono addosso.

Joshua e quella sua giovane amica erano riusciti nemmeno ad arrivare così lontano dal campo di prigionia. Era piccoli, stanchi e i loro inseguitori armati di fucili. Davvero pensavate che se la sarebbero cavata con così poco?
Quando gli schiavisti riuscirono a raggiungere mio nipote, avevano già catturato nuovamente la ragazza. Non si sarebbero di certo lasciati sfuggire due ulteriori braccia per il lavoro.
Senza difficoltà, i due fuggitivi vennero incatenati e riportati nell'accampamento schiavista. Joshua scalciò e si lamentò tutto il tempo, tanto che gli uomini furono costretti a portarlo di peso dentro una di quelle celle di isolamento.
La ragazza con le lentiggini fu rinchiusa in quella accanto: si era beccata un proiettile nella gamba che gli schiavisti avevano rimosso con malagrazia. Doveva essere bastato come punizione, perché nessuno nominò più il palo dove era stata lasciata a morire di fame qualche ora prima.

«Ti fa male?»
Dopo quell'inutile tentativo di salvataggio Joshua si era sentito infinitamente in colpa. Non solo non era riuscito a salvare quella giovane e ferita ragazza per regalarle la libertà, ma era diventato uno schiavo a sua volta e ciò lo faceva ribollire di rabbia, oltretutto. Per fortuna gli schiavisti non si erano accorti del piccolo libro che lui teneva nella tasca interna della casacca di pelle, altrimenti Joshua sarebbe stato perso.
La giovane schiava non rispose subito alla domanda rabbuiata di mio nipote: aveva lo sguardo basso e le mani che premevano sulla ferita dell'arma da fuoco. Sembrava arrabbiata, oltre che dolorante ed afflitta.
«Certo che fa male!» Sbottò poi, alzando finalmente quei due grandi occhi da cerbiatta verso il giovane. Erano umidi di pianto e pieni di disperazione, esattamente come la sua voce rotta. «Sei pazzo! Sei un cretino!»
Joshua si irrigidì, incapace di levare lo sguardo dalla giovane. Aveva combinato un bel pasticcio, anche se i suoi intenti erano stati lodevoli. La giovane non aggiunse altro, ritirandosi in un silenzioso pianto, nascosto tra i lunghi capelli arruffati, un pianto che a mio nipote nonostante fosse piuttosto infervorato, strinse il cuore.
«Prego, eh.» Le disse a rabbuiato, un po' offeso.
La ragazza non rispose, ma terminò pian piano il suo sfogo. Lo sguardo ancora non ricambiava quello di Joshua.
«Mi chiamo Joshua.» Continuò il giovane. Stava cercando in tutti i modi di non pensare che quel maledetto libricino lo avesse guidato verso la prigionia. Che io stesso lo avessi guidato verso la prigionia, perché quel libro era appartenuto della mia biblioteca ed era ovviamente incantato.
«Tu?»

Alla domanda la giovane alzò le spalle, puntando però lo sguardo verso gli schiavisti accampati attorno al fuoco qualche metro più in là.
«Tu, sgualdrina, schiava.» Rispose con amarezza, ma anche un po' di ostilità. Non ce l'aveva un nome: era così che la chiamavano da quando era nata.
«Tua madre non ti ha dato un nome?» Il tono di Joshua era colpito, anche un po' rancoroso nei confronti degli schiavisti. Era evidente che a nessuno importasse di dare dei nomi agli schiavi e che forse la madre di quella ragazza non aveva vissuto troppo a lungo per potergliene dare uno.
«Non tutti sono fortunati come te, Joshua. Sono schiava da quando sono nata, nessuno si è preso la briga di darmi un nome.»
«Non hai mai provato a dartelo tu un nome?» Incalzò lui.
«A che serve? Non lo userebbe nessuno.»
Con quella frase, la giovane schiava mise a tacere il ragazzo, che continuò ad osservare la sua compagna di schiavitù cercando una frase adatta con cui rispondere, come se stesse cercando di avercela vinta con lei, solo per buon cuore. Ci mise qualche minuto, però, perché l'ostilità di lei era davvero intimorente.

«Ti chiamerei io col tuo nome.» Decise dunque di rispondere, puntando lo sguardo agli schiavisti, rabbuiato.
La giovane sospirò soltanto, poi si appoggiò con la schiena alle sbarre della sua cella, osservando con invidia i divertimenti, il cibo e i boccali di alcol che danzavano oltre le sbarre della sua gabbia. Gli uomini fuori stavano facendo qualche battuta sulla fallimentare fuga dei due giovani, deridendoli come solo gli schiavisti sapevano fare.
«Come mai sei venuto qui? Ti sei cacciato da solo nei guai.» Fu lei a rompere nuovamente il silenzio.
«Ti sembrerà strano...»
«Sei già strano.» Lo interruppe lei.
Joshua la guardò male, ma tirò fuori furtivamente il libro dalla tasca della casacca per mostrarlo alla giovane. Ancora non l'aveva consultato da quando si era fatto catturare.
«Ho seguito quello che c'è scritto qui. Mi ci ha portato con le parole da te. Voleva che ti aiutassi a scappare.»
Lo sguardo di lei si alzò finalmente ad osservare quel piccolo libro. Poi alzò un sopracciglio, con palese derisione.
«Non so leggere.» Disse. «E non ti credo, che stupidaggine.»

***

Incapace di convincere la giovane schiava ad ascoltarlo, Joshua decise di non incalzare ancora troppo. Si spallò contro le barre della sua cella, lanciando di tanto in tanto sguardi furtivi agli schiavisti. Aveva tirato fuori nuovamente il piccolo libricino, cercando da esso sostegno.
Notò che tutte le sue peripezie erano state annotate sulle pagine che lui aveva notato bianche, compresi i dialoghi con quella schiava. Vederli scritti lo fece sospirare di rabbia e delusione, soprattutto perché la giovane non aveva più parlato con lui, dopo averlo apostrofato con pochissimo tatto.
«Perché non mi aiuti, avanti.» Mormorò piano piano, per evitare che la schiava stessa lo sentisse. Non voleva essere chiamato un cretino ancora una volta.
Anche se Joshua aveva ritenuto libro un oggetto spietato perché ingiustamente aveva contribuito a farlo catturare, delle lettere apparvero ancora, sulla pagina bianca perché potessero aiutarlo. Non furono sole, per la prima volta: ad accompagnarle un bel disegno in bianco e nero della scena che Joshua stava vivendo proprio in quel momento. Le due celle, i due giovani all'interno e gli schiavisti che banchettavano allegri.

Il giovane era in trappola, anche se ingiustamente per li suo cuore nobile. Schernito da chi avrebbe dovuto supportarlo, non sapeva cosa fare, eppure il libro vedeva e prevedeva: la giovane non si fidava perché non sapeva leggere. Bastava mostrarle le prove. Il giovane avventuriero mostrò i disegni del libro alla giovane compagna. Lei li avrebbe di certo compresi.

   
 
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