Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.
Indil e Legolas furono i primi elfi a
mettere piede a Moria dopo tanto tempo e i loro cuori erano in tumulto.
Avevano paura. Gravemente e a lungo i nani avevano scavato nelle miniere
risvegliando esseri che non si vedevano da ere, e questo ai due elfi
non faceva per niente piacere. Si guardarono
dunque prima di addentrarsi nei recessi della terra.
“Tutto bene la spalla, Aragorn?”, domandò
Legolas all’uomo che annuì, toccandosi
la spalla che era stata scalfita dalla lama nera dei Nazgul.
“È
meglio tacere, Legolas. Ci sono molte cose nella caverna e qui non
voglio dire nulla di compromettente”, bisbigliò il
ramingo del Nord fissando le tenebre.
Intanto si avvicinarono ai tre compari Gimli e Boromir. Gimli, il cui
volto era bianco come quello
di un cadavere, disse togliendosi il cappuccio che portava da quando
erano partiti da Gran Burrone: “Mi dispiace amici
miei… Non sapevo delle gravi disavventure della mia
famiglia, e ora ho timore di vedere Balin... Non avrei consigliato a
Gandalf di intraprendere questa via, se avessi saputo”.
Fu Legolas che, sorprendendo tutti e se stesso per primo, si
chinò a livello del nano e mise la mano sulla sua spalla:
“Non ti angustiare mastro nano, non potevi sapere nulla di quello che
è capitato.”
Nel mentre Gandalf, che si era fermato a riflette sulla via da
prendere a un bivio, esclamò alzandosi in piedi:
“Ah! Ho trovato la strada. Seguitemi amici miei.”
“Ti sei ricordato?” chiese curioso Merry.
“No, ho semplicemente seguito il mio naso. Quando non sai che
strada prendere, mastro Merry, è il caso di seguire gli
odori”. Gandalf fece l’occhiolino e si
toccò il grande naso sotto gli sguardi sorridenti della
compagnia.
Proseguirono il loro cammino con animo più leggero anche se
Legolas, che chiudeva la fila dei dieci compagni assieme a Aragorn,
guardava continuamente a destra, a manca, sotto e sopra per vedere se
c’erano pericoli.
Dopo molto cammino,
una grande sala circolare fu offerta alla vista dei compagni e Gandalf
notò una tomba al centro della stanza.
Si chinò a leggere e
il cuore dello stregone tremò. “Qui giace
Balin, figlio di Fundin, signore di Moria. È morto
dunque” bisbigliò, e Gimli si piegò
sulle ginocchia urlando di disperazione.
Indil si avvicinò al nano e gli mise una mano sulla spalla. Rimasero
così, Gimli in singhiozzi ormai silenziosi e
l’elfa in silenzio a confortare il compagno di viaggio.
Gandalf, che stava esplorando la caverna, trovò un libro
posto vicino a un cadavere di un nano che si trovava seduto accanto alla tomba, lo prese e lo adagiò
vicino a un pozzo dove si trovavano Merry e Pipino.
Cominciò
a leggere la scrittura stretta dei nani: “Hanno preso il
ponte, e il secondo salone… Abbiamo sbarrato i cancelli, ma
non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli
abissi. Non possiamo più uscire. Un'ombra si muove nel buio.
Non possiamo più uscire. Arrivano.”
Senza volere, Pipino fece cadere un cadavere nel pozzo, sbattendoci
contro con la schiena.
Dum, dum, dum.
Rumori di
tamburi si fecero sentire facendo rabbrividire la compagnia
dell’anello, e Gandalf si gettò sull'hobbit, che
era rimasto immobile pieno di paura e vergogna . “Idiota di
un Tuc! Gettati tu la prossima volta!”
All'improvviso Frodo lanciò un urlo di terrore: Pungolo, la
spada che gli aveva regalato Bilbo, baluginava nel buio della stanza.
Voleva dire solo una cosa, orchi.
Legolas, con l’aiuto di Boromir, riuscì a chiudere
il cancello. Il legno però sotto il peso degli orchetti
vacillò e infine si spezzò, facendo entrare la
mandria di orchi e un troll enorme che subito si gettò sui
compagni.
Gimli, la faccia bianca ma decisa con l’ascia in pugno uccise un
orchetto.
“Che vengano pure! Troveranno che qui a Moria
c’è ancora un nano che respira” disse, e
si inserì nella mischia. Aragorn
e Boromir combatterono gli orchetti uccidendone a frotte con le spade,
e persino Sam usò i pugnali per abbattere quanti
più nemici poteva. Gandalf, leggiadro, uccideva i nemici con
il suo bastone e Legolas aiutava con le sue frecce.
Il troll colpiva duro e ci vollero i
fendenti di Merry e Pipino, e le frecce di Indil per
abbatterlo; ma la creatura, prima di morire colpito da una freccia di
Legolas, individuò Frodo e lo fece andare a sbattere contro
la parete.
Fu Sam il primo ad avvicinarsi
a Frodo.
“Dovrebbe essere morto” bisbigliò
Boromir sul corpo riverso dello hobbit.
Indil armeggiava per togliere il tappo di sughero che ricopriva il
cordiale che le aveva dato Arwen, quando lo hobbit tossì e
si svegliò, mettendosi seduto.
Indil respirò di sollievo, mettendo la boccettina di nuovo
alla vita. Si chinò per vedere se la bianca pelle di Frodo
avesse subito danni, ma trovò che a proteggerla
c’era una cotta di maglia di Mithril molto simile a quella
che anche lei portava e subito sorrise.
“Bene, sono contento che
Bilbo ti abbia fatto un dono tanto utile” disse Gandalf
sorridendo e Merry urlò: “Evviva Bilbo!”.
“Ora però
proseguiamo per l’ultima parte: il ponte di
Khazad-dûm”.
Gandalf si alzò e andò verso la porta con i
membri della compagnia dell’anello che lo seguivano.
Dum, dum, dum.
Altri colpi
di tamburi fecero fermare la compagnia, e Gandalf si voltò:
dietro di lui un mostro enorme, con lunghe corna aguzze e circondato di
fuoco stava per raggiungerli.
Persino gli orchetti avevano
paura di lui: se ne tenevano a distanza, difatti, suonando i loro maledetti tamburi.
“Cos’è
questa nuova diavoleria?” domandò Boromir, gli
occhi sgranati.
“È un Balrog. Un demone del mondo antico.
È al di là delle nostre forze, dobbiamo
fuggire!”. Le parole accorate di Gandalf gettarono sconforto
alle orecchie di Aragorn. “Gandalf!”
esclamò.
“Andiamo Aragorn!” urlò lo stregone,
dirigendosi verso il ponte seguito dal resto dei compagni e dalla
creatura di fuoco.
Il ponte era mezzo crollato ma videro, con un certo sollievo, la luce
al di là di una stretta apertura. Legolas saltò
per primo e atterrò con grazia dall’altra parte,
subito seguito da Indil. I due elfi si fissarono e poi guardarono gli
altri membri della compagnia: Aragorn era assai in bilico e faceva
fatica a reggere tutti, Gandalf invece era rimasto indietro lanciando
incantesimi a bassa voce verso il Balrog.
Senza esitazione a Legolas venne un’idea. “Aragorn,
lanciaci Merry, Pipino e Sam” pronunciò
l’elfo e Aragorn ubbidì, lanciando i tre hobbit
che atterrarono fra le braccia di Legolas e Indil.
“Io vado fuori, a controllare che non ci siano pericoli
dall’altra parte. Seguitemi, giovani hobbit” furono
le parole di Indil che uscì fuori dal buco chinandosi appena
per non urtare la testa, seguita prontamente da Merry, Pipino e Sam.
Gimli fu il secondo a lanciarsi, ma senza bisogno d’aiuto, e
atterrò pesantemente vicino a Legolas uscendo
all’aria aperta. Boromir lo seguì atterando vicino
all'elfo e rimase in attesa di Frodo e Aragorn, fissando attentamente i
movimenti del ponte che stava per crollare sempre di più.
“Aspetta, Frodo” bisbigliò Aragorn e, in
quel momento, il ponte dove stavano lo hobbit e l’uomo
crollò, rovinando sull’altra metà.
Aragorn fu accolto dalle braccia dell’elfo, che
arrossì quando si rese conto di stare abbracciando l'uomo e lo lasciò andare. Anche Frodo
riuscì a passare indenne dall’altra parte. Solo
Gandalf rimase e, agitando il bastone e la spada, lo stregone grigio
urlò: “Sono un servitore del Fuoco Segreto, e
reggo la fiamma di Anor! Il fuoco oscuro non ti servirà a
nulla, fiamma di Udun! Ritorna nell'ombra! Tu non puoi
passare!”
La forza dell'incantesimo fece inabissare il mostro e Gandalf
sospirò di sollievo tentando di raggiungere il resto della
compagnia, ma una stoccata della frusta che il Balrog aveva in mano
trasportò Gandalf nell’ombra. Prima di
inabissarsi, lo stregone tentò di aggrapparsi alla roccia,
ma era debole - troppo debole - e fu trascinato nelle tenebre della
miniera.
Poco prima di cadere riuscì a sollevare il viso e a guardare
Aragorn, Legolas, Boromir e Frodo che lo fissavano sconvolti a loro
volta.
“Fuggite, sciocchi!” furono le ultime parole che
rivolse loro.
Frodo urlò sconvolto e tentò di divincolarsi
dalle braccia di Boromir che lo tenevano ancorato al suo petto. Il
Gondoriano non mollò la presa e uscì dalla
caverna con l'hobbit piangente.
“Andiamo, Aragorn!”. Legolas chiamò
l’amico che era rimasto interdetto a fissare il vuoto.
L’uomo si riscosse seguendo l’elfo fuori.
La bella giornata
colpì forse più di tutto il resto i nove membri
della compagnia dell’anello.
Frodo e pure gli altri hobbit piansero per parecchio tempo, Legolas e
Indil rimasero silenziosi ma pure sconvolti e sembravano due statue di
marmo mentre si abbracciavano, calde lacrime che scivolavano dai loro
occhi. Boromir e Gimli piangevano anche loro, il nano seduto a terra
ormai troppo sconvolto e l’uomo di Gondor chinato vicino a
lui, come spezzato. L’unico che sembrava esser fermo e
impassibile era Aragorn che con un sospiro, dopo un poco che erano
usciti, disse senza mezza termini: “Legolas, falli
alzare.”
L’elfo fissò l’uomo sconvolto ma non
disse niente. Al suo posto parlò Boromir: “Concedi
loro un momento, per favore. Sono sconvolti.”
Ma Aragorn non si fece intimidire: aveva ricevuto lui
l’incarico di guidare la compagnia verso la salvezza e
così avrebbe fatto, così disse sbottando:
“Queste colline brulicheranno di orchi da qui a qualche ora.
Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien. Su, dobbiamo andare,
Boromir. Legolas.”
Si avvicinò ai compagni facendoli alzare con uno scossone, e
loro borbottando obbedirono. Andarono via da Moria lasciando dietro di
loro solo lacrime, mentre davanti avevano speranza, perché i
boschi di Lorien erano assai protetti dagli elfi silvani guidati da
dama Galadriel e lord Celeborn.