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Autore: Artnifa    20/01/2018    1 recensioni
La prima volta che la incontrai avevo dieci anni, ero sul marciapiede fermo sulla mia bmx, quando la guardai pensai che quella era sicuramente la bambina più brutta che avessi mai visto.
-STORIA SOSPESA-
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TERZO

Una mattina mi svegliai con un pensiero fisso nella testa, la notte precedente avevo fatto fatica ad addormentarmi, tormentato da un’idea chiara: volevo passare un po’ di tempo con Janis.
Erano trascorsi un paio di giorni da quando la rividi dopo cinque lunghissimi anni di silenzio, e una strana fobia si impadronì di me: se n’era andata? Era sparita di nuovo? Mi vestii indossando ciò che trovai, una maglietta sporca e un paio di pantaloni stropicciati con ancora oggetti nascosti nelle tasche. Andai a casa di Izzy e non appena suonai il campanello pregai di non ricevere brutte notizie.
“Cosa ci fai qui?” Izzy aprì la porta sorpreso di vedermi
“Ciao, volevo parlare con Janis” il mio amico alzò un sopracciglio dubbioso, mi squadrò senza fare domande, poi tornò dentro urlando il nome della ragazza che comparve in cima alle scale.
“Ci sono visite per te” Izzy mi lanciò un’ultima occhiata poi sparì lasciandoci soli.
“Ciao. Ti va di fare un giro?” Sembrò non aspettarsi quella richiesta ma la accettò volentieri e mi propose di entrare mentre si cambiava.
Mi sedetti su una sedia in cucina tamburellando le dita sul tavolo di legno stranamente pulito.
Mi scappò un sorriso quando tornò e notai il suo strano abbigliamento, fu una bella sorpresa scoprire che non era poi cambiata molto.
Ai piedi aveva degli stivali di gomma gialli, di quelli che si usano per zappare l’orto o che ti comprano i genitori da bambini perché sanno che non resisterai all’istinto di saltare nelle pozzanghere.
Una gonna scozzese blu le fasciava i fianchi e le stava corta sulle cosce, una canottiera bianca era leggermente nascosta da una giacca a righe verticali nere e rosse. Non aveva un filo di trucco sul viso, i capelli sciolti cadevano a boccoli per niente aggraziati sulle sue spalle ossute, e degli enormi occhiali da sole senza una lente li tenevano lontani dal volto.
“Sono pronta” annunciò allegra dirigendosi verso la porta. Salutai Izzy che mi aveva tenuto compagnia in silenzio, chiedendosi sicuramente che intenzioni avessi. Uscimmo alla luce del sole e all’aperto mi sembrò ancora più bizzarra.
“Credo che saresti diventata una fantastica stilista” le dissi squadrandola da capo a piedi, lei sorrise imbarazzata.
“Cerco di arrangiarmi con quello che ho” rispose per giustificare gli abbinamenti che ad un occhio non esperto sarebbero sembrati completamente causali.
La portai in un piccolo bar abbastanza squallido, avevo come la sensazione che non avrebbe amato posti puliti ed ordinati ed io ero completamente d’accordo. Emily insisteva spesso per non entrare al Road Bar, ed io sbuffando non potevo far altro che accontentarla e cambiare zona di Los Angeles, sorseggiando una birra fredda sotto gli sguardi allibiti delle graziose bariste che la mattina erano abituate a servire solo caffè.
“Ah, il Road Bar, bella scelta” disse quando arrivammo all’ingresso, evidentemente lo conosceva e il mio istinto aveva avuto ragione nella scelta.
“Due birra medie per favore” ordinò al grosso barista dietro al bancone, abituato a servire alcolici di mattina sembrò del tutto indifferente.
“Oh scusa, magari volevi un caffè” disse alla svelta guardandomi preoccupata, mi scappò una risata e la tranquillizzai.
“Una birra fresca va benissimo” sembrò sollevata.
Parlammo molto, di argomenti leggeri senza intrufolarci nel privato delle nostre vite. Mi chiese di Emily e mi sentii a disagio a raccontarle di lei, come se avessi paura che non volesse davvero conoscere la nostra storia.
Non riuscivo bene a capire cosa provasse per me, se mi vedesse come un fratello, un amico, un conoscente o se le piacessi. Ma non avevo il coraggio di chiederglielo ed affrontare una discussione così delicata.
Non ci provava con me, era una ragazza tranquilla che chiacchierava con un vecchio amico, e mi fece sentire bene.
Mi toccai la tasca dei jeans controllando di aver preso la stagnola ben nascosta nel cassetto, sentendo un leggero rigonfiamento mi sentii sollevato. Inizia a pensare se fosse il caso di estrarla in quel momento. Cosa avrebbe pensato Janis? Sarebbe stata d’accordo? Si sarebbe sentita offesa? Mi avrebbe giudicato? Infondo aveva passato gli ultimi anni in strada, doveva essere abitata a quel genere di cose. Così, decisi di prendere il piccolo pacchetto a appoggiarlo sul tavolo osservando attentamente la sua reazione.
“È eroina?” Chiese impassibile
“Si” arricciò le labbra e mi guardò negli occhi
“La voi prendere ora?”
“Bhe, l’idea è quella” confermai aspettando di capire cosa ne pensasse.
“Ne hai un po’ anche per me o ti riservi tutto il divertimento?” Fui tremendamente sorpreso da quella risposta, tutte le ragazze che conoscevo (a parte le prostitute con cui non avevo ancora molto a che fare) schifavano le droghe pesanti, Emily per prima. Mi rompeva spesso perché smettessi, e bla bla bla, le promettevo che l’avrei fatto senza la minima intenzione di ascoltarla sul serio. Nemmeno mia madre mi stressava tanto per quella storia. Ma Janis, Janis anche in quello era diversa dalle altre.
A lei delle regole non importava, della salute nemmeno, il futuro era davanti a noi ed era il minuto seguente, l’istante dopo il presente. Viveva così, senza obbiettivi, senza aspettative, senza preoccupazioni. Non le fregava niente di se stessa, era inconsapevolmente una fottuta rock star. Dio solo sa quanto mi innamorai di lei in quel momento, e in nei giorni a seguire. Era perfetta, era l’angelo della morte, era la versione di me al femminile e forse era persino più tosta, sicuramente superava tutta la gente che conoscevo che amava definirsi cazzuta, confrontati a lei non erano niente. In poco tempo conquistò tutti i miei amici, era spaventosamente in gamba.
Iniziò ad uscire con noi, se non si presentava c’era sempre qualcuno pronto a chiedere dove fosse. Quando c’era lei ci divertivamo molto di più, ci spingeva sempre al limite e solo ora mi rendo conto di quanto in realtà fosse pericolosa. Era letale, non sapeva cosa fosse la paura  perché aveva già perso tutto. Quando non si possiede più nulla, né materialmente né sentimentalmente, cosa ti può fermare?
Con tutte le probabilità il suo fegato era più grande della sua faccia, si vedeva il rigonfiamento sul suo ventre che contrastava con il resto del corpo pelle e ossa. Era propensa all’autodistruzione e nessuno cercò di fermarla perché finalmente avevamo trovato qualcuno che non cercava di fermare noi.
Eravamo stupidi, ingenui, caratteristiche tipiche dei giovani che pensano di avere tanto tempo e non volerlo, si pensa solo a rompere tutto, il senso di grandezza e importanza che ti gonfia il petto facendoti sentire diverso dal resto del mondo. Ma in realtà sei proprio normale, come tanti, come tutti.
Credevamo che niente ci sarebbe stato davvero a cuore, niente al mondo avrebbe potuto far nascere in noi la voglia di lottare, di vivere, di invecchiare.
Ed ora guardo due delle mie quattro ragioni di vita sdraiati nei loro letti, e penso a quanto siamo stati stupidi io e Janis a non considerare che l’amore per due creature minuscole ci avrebbe fatto cambiare idea.
Questo successe troppi anni fa, quando ancora avevo un coraggio da leoni, ma una lezione l’ho imparata nel peggiore dei modi; perdendo la persona più importante del mondo per colpa di quegli errori.

Il barista appoggiò bruscamente i due bicchieri colmi di birra sul piccolo tavolino pericolante, ci scambiammo un occhiata mentre si allontanava.
“Sono sicuro non dica niente, ma forse è meglio se andiamo in bagno” suggerii e la vidi annuire, stava pensando la stessa cosa.
Prese la borsa che aveva appoggiato allo schienale della sedia e mi seguì. Aprii la porta e la feci passare, ci chiudemmo a chiave in un piccolo rettangolo di pareti traballanti piene di scritte; la turca ai nostri piedi era squallida e preservativi pieni erano spari lì intorno insieme a mozziconi e qualche siringa usata.
“Ce l’hai la siringa?” Chiese preoccupata di doverne raccogliere una da terra.
“Certo” confermai estraendone una nuova dai pantaloni, ancora impacchettata.
“Ti dispiace se…” non finì la frase ma intuii la richiesta, per un secondo mi chiesi se fosse il caso ma poi mi ripresi, avevo scambiato l’ago con sconosciuti perché non con lei?
“No, certo. Prima le signore” dissi porgendogliela; mentre la scartava io preparavo la roba.
“Allora, a te l’onore” con fare sicuro, di chi lo aveva fatto parecchie volte, risucchiò il liquido scuro immergendo la punta nel piccolo pezzo di cotone sul cucchiaio.
Fece uscire l’aria con la precisione di un infermiera, si diede qualche colpetto sulla vena in modo da evidenziarla meglio e poi si bucò.
Fece attenzione a non cedere all’impulso di iniettarsela tutta e me la passò mentre si appoggiava alla parete con gli occhi socchiusi.
La afferrai e feci la stessa cosa per poi accasciarmi di fronte a lei, in estati.
“Grazie” disse cercando di riprendersi, barcollò fuori dalle quattro pareti raggiungendo i lavandini e specchiandosi in un vetro sporco.
“Torniamo di là?” Chiese mentre mi rialzavo. Gettai a terra tutto ciò che non mi serviva più, presi un respiro profondo e la seguii al nostro tavolo come se nulla fosse.







Ciao a tutti, e con questo capitolo ho finito di sistemre ciò che avevo già scritto, ora mi tocca continuare!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se qualcuno li aveva già letti sarei curiosa di conoscere le vostre opinioni al riguardo.
A presto
  
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