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Autore: Fyan    21/01/2018    0 recensioni
In fuga dallo sterminio, una razza di eletti cerca salvezza nella neve. Noä non è un'Aurora, come suo marito: è una mezzelfa, ma è costretta a lasciare casa ed affetti pur di non vederne la morte.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Fuga della moglie di un Aurora

A
ncora una volta le deboli ginocchia di Noä cedettero sotto il peso del suo corpo, facendola affondare nella freddissima neve del nord. La tempesta nella quale l'intero gruppo di fuggitivi stava viaggiando era stata già abbastanza inclemente: quanti erano già morti in quella traversata? Quante volte aveva suonato il suo violino per una triste e malinconica canzone d'addio?
La giovane mezzelfa dagli occhi a mandorla ed i capelli ormai completamente spettinati ed annodati aveva perso il conto.
Il morale di tutti era sceso sotto quello spesso e soffice strato di neve quando il giovane principe Peridas era morto. Aveva solo tredici anni ed una terribile malattia di quelle fredde Terre Arcane se l'era portato via.

«Noä!» La voce maschile di un soldato si avvicinò immediatamente alle orecchie a punta della giovane. Era Tyler, suo marito.
La mano della mezzelfa corse rapida al grembo rigonfio, quello in cui portava ormai da quattro mesi un germoglio di vita.
I denti si strinsero, lo sguardo si abbassò, le mani tremarono ancora, mentre il soldato con gentilezza rimetteva la moglie in piedi.
«Non ce la faccio più.» Comunicò la giovane, disperata con le mani a coprire la pancia e il figlio che non smetteva di scalciare, sempre più debolmente.
Aveva così tanta voglia di piangere: che senso aveva continuare a mentire? Erano tutti disperati ormai, la terra che avevano abbandonato era lontana e non ammetteva ritorno. La terra davanti a loro, forse inesistente.

«Resisti moglie mia. Ci accamperemo il prima possibile.» La voce di Tyler era sempre così rassicurante, ma in quel momento era rotta dalla preoccupazione: una sua mano era corsa al grembo di Noä quando lei si era rimessa in piedi.
La giovane non fu in grado di sorridergli quella volta: lo guardò soltanto preoccupata, spaventata, sofferente. Come tutti gli aurora con cui stava viaggiando: la razza di suo marito, quella che era stata costretta a fuggire per non essere sterminata perché alla nascita ogni membro ricevevo un potere in dono.
Erano morti in tanti anche prima di quel disperato viaggio. I due sposi imperatori, i genitori di Peridas, erano già caduti per permettere al loro popolo di andar via.
Forse non c'era più nulla da sperare, ma Noä non poteva permettere che suo figlio morisse con lei in quella gelida landa desolata.

Una mano amica toccò la sua spalla: aveva la pelle scura come il cioccolato. Era Shana, l'unica che come lei non apparteneva alla razza aurora.
Era una bella donna, molto più alta di lei, con due occhi azzurro ghiaccio che incantavano chiunque la fissasse troppo a lungo. Noä l'aveva sempre trovata un po' scortese ma da quando era lì con lei aveva imparato a conoscerla ed apprezzare le sue qualità.
La sua voce così armoniosa insieme al suo violino. Il suo inguaribile ottimismo: Shana era l'unica che riusciva a tenere la speranza di tutti accesa, almeno con le sue canzoni. Era in quel modo che Noä aveva capito cosa aveva attirato Síoda, l'aurora che ora guidava l'intero popolo e suo compagno.

«Come sta il piccolino?» La voce di Shana sembrava sempre così calda anche in quel gelo.
«Si lamenta. Ma lo sento debole.» Seguì un sospiro addolorato.
«Ho parlato a Síoda: gli esploratori hanno trovato una caverna a qualche miglio da qui. Tra poco saremo al caldo.»
«Spero che questa tempesta smetta di soffiare. Non credo riuscirò ancora a camminare.»
Shana strinse le labbra carnose e poi la sua mano dalle lunghe dita affusolate accarezzò il pancione materno della mezzelfa. Sorrise, cercando di darle forza: lo faceva sempre con tutti.
«Stringi il mantello attorno alla vita e cammina dietro qualcuno. Dovresti resistere almeno un altro po'.»

Di ore ne passarono, forse troppe da vittime di quel vento implacabile e quel freddo impensabile.
Ma come aveva detto Shana, gli esploratori avevano davvero trovato un riparo. Era una grotta sì, ma era troppo piccola per ospitare tutti quanti. Qualcuno quella notte sarebbe morto di freddo, se la fame non aveva ancora voglia di portar via altre anime. Non c'era poi tanto da mangiare e nessun animale da cacciare: la verità era che tutti quanti erano spacciati.
Alcuni uomini si offrirono di rimanere sulla soglia di quella caverna, all'aperto, coperti almeno dal vento: le donne, i bambini e gli anziani furono ospitati all'interno e tra loro Noä e Shana si erano ritrovate sedute insieme, avvolte dalla stessa coperta.

«Non ce la fa nemmeno lui.» Shana interruppe il silenzio. I suoi occhi azzurri erano puntati all'esterno, lì dove Síoda sedeva accanto a Tyler e Han, i suoi fidati compagni, con le mani tra i capelli fulvi e la preoccupazione negli occhi.
«Ha preso l'incarico troppo in fretta.» Commentò la mezzelfa. «Non ha ancora superato la morte di Peridas.»
Shana annuì cupamente: Noä sapeva che anche lei insieme a Síoda aveva ancora il peso sul cuore. Avevano preso con loro il principe e l'avevano trattato come un figlio finché non se ne era andato. Tutti e due erano stati molto legati al giovane aurora, soprattutto perché Síoda e Peridas condividevano lo stesso padre.

Noä distolse lo sguardo da suo marito ed il compagno di Shana. Attorno a lei c'era solo gente tremante e bambini tristissimi che non avevano più nemmeno la forza di lamentarsi o piangere sul petto delle madri. Sempre che di madri ne avessero ancora.
Ancora un doloroso sospiro e la mezzelfa strinse a sé la pancia gonfia. Quel piccolino aveva avuto la sfortuna di crescere dentro di lei nel momento peggiore. Noä si malediva sempre così tanto per non averci mai pensato prima: causava tanto dolore a quella creatura in quel modo. Non mangiava lei, come sarebbe sopravvissuto lui?
Non restava che sperare, come esortava a fare Shana. Sperare, sperare di trovare finalmente un luogo abitabile.

Era passata un'altra dura notte e con sé aveva portato via altre cinque persone.
Al risveglio Noä aveva cercato Shana o Tyler, ma non erano lì con lei: l'avevano lasciata riposare per lasciarle forze per il viaggio, mentre di fuori preparavano il congedo per quelle persone che anche quella volta non ce l'avevano fatta.
La voce melodiosa e calda di Shana arrivava all'interno della caverna come un'eco: era rimasta da sola quella volta per il canto funebre. Noä non era più in forza per riuscire a suonare. Non aveva più la forza di far nulla.

«Moglie mia, sei sveglia.» La mano gentile di Tyler sfiorò la guancia rossa di freddo della mezzelfa sveglia da poco. Lei alzò lo sguardo a cercare i suoi occhi: era stanco e preoccupato ma rimaneva sempre composto ed impettito, da cavaliere che era.
«Da poco, Tyler.» La mezzelfa si mise seduta con una mano sulla pancia. Anche sotto il suo tocco era fredda. «Chi altro...?»
Il soldato sospirò, mettendosi seduto accanto alla moglie e circondandola con le braccia per farle calore.
«Camelia Nerwenye non ce l'ha fatta.» Rispose l'uomo cupamente. «Altri tre anziani ed uno degli esploratori.»
La mezzelfa abbassò lo sguardo stringendo le labbra. A poco a poco, sapeva, che sarebbe arrivata anche la sua ora. Quella sua e delle persone che amava, quelle che aveva più vicine ma che allo stesso tempo erano così distanti.

Noä non poteva nemmeno pensare di perdere anche lui, quel piccolino nella sua pancia che...
Il bambino non aveva ancora scalciato da quando si era svegliata. E lei non si era affatto svegliata durante la notte, per colpa dei lamenti della creatura.
Con terrore la giovane toccò la pancia. Nessun movimento, nessuno spasmo.
«Noä?» Questa volta nella voce del marito non c'era nessun velo a mascherare il terrore. I suoi occhi non erano puntati al viso della moglie, però: guardavano in basso.
Di istinto, senza fiato, il cuore che disperatamente batteva e la mente vuota, anche Noä abbassò lo sguardo. C'era un lago di sangue sotto i suoi vestiti.

Shana era proprio sulla soglia della caverna, appena di ritorno dal congedo ai caduti della notte. Stava tornando da Noä che non riusciva mai a lasciar sola, ma non fu capace di muoversi per raggiungerla quando la vide da lontano, piegata su se stessa, con un urlo di dolore che le moriva in gola.
Molti erano accorsi per comprendere cosa fosse successo, ma Shana aveva già capito.
«Sono morti sei di noi stanotte.»

I giorni erano passati e la marcia era andata avanti inclemente.
Noä aveva smesso di vivere. Ormai non aveva più alcuna ragione per continuare ad arrancare in quella neve, debole e con i morsi della fame che quasi le facevano sentire la presenza ormai inesistente del suo bambino.
Non sembrava che ci fosse più nulla da fare, nemmeno Shana era riuscita a parlarle: si era chiusa in un doloroso silenzio, pieno di lutto e terrore. Né suo marito era riuscito a farle fare qualsiasi altra cosa che non fosse piangere.

Eppure, un mattino in cui la bufera sembrava aver placato la propria ira, successe qualcosa di inaspettato.
«Un villaggio! Vedo un villaggio!» Era la voce di uno degli esploratori, che col fiato grosso correva in direzione dei superstiti in cammino. «Siamo salvi!»
Fu la notizia che rinnovò la speranza nei cuori della gente, soprattutto in quello di Shana, che mai aveva dubitato se non quando aveva visto l'amica in quelle condizioni.
Fu proprio a lei che si rivolse per prima. Si avvicinò, le posò una mano sulla spalla, come era solita fare ogni volta che parlava con lei. Le sorrise incoraggiante, ma con una piccola nota di amarezza sulle labbra.
L'alba che sorgeva dietro ai monti a nord era la prova vivente che qualcosa stava cambiando. Avevano sofferto abbastanza in quei lunghi mesi di cammino: qualcuno aveva voluto la loro salvezza, alla fine.
Shana non parlò a Noä, non sarebbe servito a nulla. Loro comunicavano con la musica.

 
Shadows fall and hope has fled.
Steel your heart, the dawn will come.
The night is long and the path is dark.
Look to the sky for one day soon
The dawn will come.
   
 
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