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Autore: Domenico De Ferraro    21/01/2018    1 recensioni
Polvere eravamo e polvere ritorniamo.
Nel vento voleremo.
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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LA MARCIA DELL’ANIMA

DI DINO FERRARO

Assettate , sotto a una croce con lo core chine di  passione ,miriade di versi mi volano attorno e nù saccio chiù,  quale  via  mi porterà a casa,  nel ricordo dell’addore dè maccarune,  camminando sotto ò cielo,  simile  a tutti , come ieri che mi faceva di vino e pescavo, ridevo, pensavo che tutto fosse stato lecito  con una  donna  piccina ,  moscia  che s’alliscia vicino a nù lampione  che s’arrampica  verso ò cielo .

La paura di chi siamo e la puzza sotto ò naso e nù creature sotto ò muro che chiagne ,  attaccate a chesta canzone , che vola ,s’arrigrea e dice voglio campà , voglio dire chelle che me passe per la  cape . Solagno ,  siente le voci dei condannati ò male passato , mortificato , zitto,  zitto senza nome , senza nà storia , che ti dice chi sei , chi ti ha fatto nascere dentro nù quartiere malfamato ,sotto n’albero mimose ,  sotto nù cielo  chine e stelle,  chine di nuvole e dulure , chine di passione per la  musica,  inseguendo  una bella figliola vestita di rosa , vestita di stracci , vestita come ò cielo , come era mamma soia quando incontrò a papa suo ,  sotto a una croce , sotto  la  grigia pioggia . 

Ora cosa siamo,  siamo miezzo stù burdello , dentro le budella di una città  chiù nera dello gravone , vola stà canzone pò ritorna,  si mette in riga,  saluta gli sposi saluta con bona creanza,  saluta  Antonio che rimasto incapace di parlare  dentro  a chesta  faccenda  con una faccia chiù verde di un pianta che s’arrampica sopra nù muro , che  sale , sale , lenta , sangue che scorre , scorre dentro le vene della vergine,  dentro il corpo che muore lentamente con tutti i suoi malanni .Ogni uomo è  padrone del proprio credo , ognuno può dire d’essere padre ,  figlio , spirito   dopo aver bevuto da questo calice le lacrime  versate dalla vergine  che hanno generato un nuovo mondo.

Siamo partiti un bel mattino in groppa  ad un somaro,   lo ciuccio  è  storia ,  lo ciuccio della sciorta ,padre , madre , figlio  sono santi  nel  delirio  di un era ,  in cerca  di  un  luogo  che li porterà dentro e fuori dalla storia , che hanno scelti di vivere , dentro di me che veggo e spero. Ogni uomo,  afflitto da  timore  vari è  un limite alla propria libertà , un  frutto ammunate,  chiano , chiano coppe a nù muro , assieme a chesta morte.  Assieme alla speranza dalla  bocca zuccherosa , spizzicane,  rassegnate , saglie , coppe,  saglie fino addò stà Gesù.  Parla , dimmi  che senti , dimmi quello che vedi,  io non sono , quello che sono,  io sono dentro questo gioco,  nella forma di un dialogo interiore , migrante,  morto nel lontano sessantotto,  in fila in  un corteo con una scarpa rotta ai piedi , con una tasca pieni di sassi  , ascoltando  timide voci che mi sussurrano  Ulisse ritorna  in questa alcova,  sdraiati , dammi la tua  verga  ,  dammi il tuo coraggio  il penare di un uomo solo,  contro gli dei , contro il fato. 

Ed io rimango perplesso,  forse tutto è inutile,  rime,  metriche,  schemi che si susseguono,  quando  apri la porta e ti ritrovi in strada con i tuoi amici di sempre a giocare a pallone a giocare contro i mostri della ragione che vendono l’anima ad un angolo di strada ,  dentro una fiaba troppo brutta per essere venduta.  
Vieni entra.
Lasciami decidere.
Beh  ti dico entra.
Va bene mi spoglio.
Ho qualcosa per te.
Poco mi resta da vivere.
Manco per scherzo.
Tu mi cornifichi ?
Io divido ed unisco.
Ma il cuore non ha segreti. 
E uno scrigno pieno di tesori
Forse ritorno a Milano. 
Salutami tua sorella.
Non ho sorelle ne fratelli.
Mi porti un bacione a Firenze 
Una cartolina potrei scriverla.
Va bene rimango in attesa
Fai bene non ti muovere.
Mi sollazzo con poco.
Rubiamo la luna?
Non sono un ladro io.
Neppure io.
Allora andiamo su Marte?
Troppo lontano.
Non ho la mutande di ricambio.
Io  ho  calzoni  troppo corti.
Ma su Marte non c'è la guerra?
Io penso che siano rimasti indietro nel tempo. 
Rammento un uomo  solo in partenza per Messina.
Poveretto e rimasto assai scosso dal tuo comportamento.
Io , un orsacchiotto di peluche.
Io , una marmotta. 
La marmitta dell’auto si è rotta.
Oh Dio come faremo ad arrivare a Palermo.
Nun vè muvite.
E chi se move.
Avasciate e mane.
Aizeteve  ò  cazone.
Te fatte a barba ? 
Ti sei messo ò  profumo?
Mi faccio mezz’ora e suonno. 
Si acchiappo a   petrusino c’è faccio ò mazzo…. 
Puveriello chillo tene lo scorbuto.
Chi ha chiamato a Giovanni?
Hai  risposto  a telefono?
Manca  per la cape.
Signora,  avascete ò panare
Uhe screanzato  alzatevi ò cazone.
Scusate mi  sono  distratto.    
Vi siete  pigliate ò  caffè ?
Mò mi faccio un  solitario.
Mò mi  faccio tre ,quattro sorsi di vino.
Passa ò tiempo , passa e gonfia queste  parole volgari ,  incurante di cosa si possa essere di come s’arriverà a conoscere la ragione che ha generato il male di un era . Ed in tanti si sono radunati fuori il palazzo comunale,  una folla sempre più minacciosa,  una folla ratta,  fatta di madre e figli , di calciatori , di campagnoli , di spazzini,  di figli e trocchie  che rubano il grano ai più poveri,  che ingrassano  alla faccia di  chi  fatica  ed è  bello  non  sapere  cosa è  il vero peccato.  Chi mangia tanto  vola in  paradiso tra tanti santi  con tanti voti , presi all’ultima elezione , viene condotto perfino   davanti al signore dell’universo,  che conosce questo amore e questo soffrire delle  derelitte folle. Tutto è un gioco di nuovi verbi  , che s’arrotolano nella mente di un santo,  nel loro  dubbio amletico  ci chiedono di morire in pace.
Fà appriesse. 
Nun c’è stò chiù a fa finta. 
Mi hai  tagliato la basetta?
Tengo tre uova sode.
Chiame a Giggino. 
Nun voglio parti.
E statte cà assieme a noi.
Facime  appresse.
N’ata vota , allora lo tiene per vizio.
Mò , non  voglio parlà.
Fai buono nun te mettere scuorno di niente.
Io ,  sono una signora.
Ovvero , chi dice il  contrario.
Teresaa.
Annuccia
Angelina
Genta , genta .
Scinne fà apprese 
Te mise le  mutandine?
No , madonna e mò , chi c’è lo dice al padrone.

Il mondo ruota intorno ad una speranza , bizzarra, spaurita , scurrile che tiene in se tutta le maledizioni  della gente  e tutto il mistero di una generazione che si  è evoluta nella piega socratica o chimerica di una verseggiare  rado ,  poderoso, privo  d’interesse, freddo, ossessivo, volgare,  povera pulce  che salta e vuole far vedere che sà saltare , come il nesso logico  che avvolge in sé  ogni generazione passata  come questa storia che si sussegue nel bene e nel male , priva d’interesse,  priva di identità , morta prima di uscire da casa . Come ieri , anche oggi la logica ha dato i suoi frutti in forme semantiche,  prive di forme simboliche , prive di quel non sò , che  anima il mondo intero.
Pigliateve  ò pullman.
Me la faccio a piede è  meglio.
Hai  visto a Giovanni ?
E chi è ?
Come Susanna. 
Chi Assuntina  la portiera.
Beh prima faceva a sarta,  mò si fà chiamare Enrico.
Santa Marta io mò piglia la scopa.
Ascite fore.
Francesco.
Chi è  stò nel bagno.
Pensare fa male.
La morte è fisica .
Un attimo è siamo in paradiso.
Una corsa contro il tempo.
Stò male non voglio ridere. 
Questi c’infornano.
E che simme pizze ,pezzi  di  pane.
No,  siamo giudei.
Oh Madonna  mi ero  dimenticato.
Scetate a stù suonno.
Hai  chiamate a Pietro.
Gli ho mandato una lettera di reclamo.
Hai fatto bene , stiamo messi proprio male.
Tanto , saranno due o tre metri.
La vedi la fornace?
Emana un calore tremendo.
Chi si butta  per primo ?
Io stò buono accussì.
C’è piense  diventeremo  carbonella.
Polvere eravamo e polvere ritorniamo. 
Nel vento voleremo.
Che bello,  poter sputare in faccia il destino.
Che magia
Che disgrazia 
Pazzia
Bellezza
Pezzi di merda
Forse domani potremo dirci liberi
Forse domani saremo con il signore
Con i nostri padri
Con tutto il nostro popolo
Assieme a Giggino
Ad  Assuntina a scagliosa
A  Paoluccio  il rigattiere.
A  Ciccillo  che girava la manovella.
E un film ?
Un delirio. 
Un lungo corteo di popoli e gente di ogni ceto,  razza e pensiero , tutti insieme , verso quel punto che è la fine ed il principio d’ogni domanda senza risposta , che si ripete dentro di noi ,accompagnati da  note allegre,   note che muoiono all’alba. S’ odono i nostri vagiti i lamenti immemori d’un vivere , echi d’un sordo suono che contiene in sè ogni speranza , ogni logica , ogni memoria. Davanti a noi una piazza tanto grande,  che non riesce a contenere la gioia d’essere liberi , di poter dire tutto quello non si mai detto di  ogni filosofia,  forma geometrica,  linea che congiunge un punto all’altro  bagnato dal mare dalle sue onde , folli , ebbre di ricordi che sono rinati all’improvviso senza senso nel nostro esprimere tutto l’amore che si è provato nel stare da soli difronte a Dio.
Voglio pregare.
Voglio una pizza.
Mi dà un panino ?
Non vuole un insalata?
Voglio la zuppa.
Ho fame
Mamma mia che buona.
Si segga , assaggi.
Veramente aspettavo il tram.
E quello che porta alla felicità.
Non sò forse.
Forse sei morto con noi aspettando.
Forse non  lo ho mai  capito  per davvero.
Venga alla mostra.
Mi vesto.
Prego,  non dimentichi.
Io non volevo ,avevo solo fame.
Giovanotto lei mi ferisce.
Io non pensavo a tanto,  per una scodella  mezza piena.
Per un sacco di cose ed altro.
Facciamo ammenda.
Me lo scrivo dietro questo quaderno.


Lo scrivere persegue una sua originale idea,  eclettica troppo bizzarra,  forse una delusione che sfocia nell’assemblaggio illogico di rime e versi cresciuti in fretta senza gradi , senza quella autorità morale,  legata alla prosodia . L'ultima cena è un punto d’incontro,  un luogo comune che fa desumere che tutto quello che si è detto ha una seria ripercussione etica sulla vita quotidiana e l’elemento cosi elencato,  sottoscritto,  versato alle casse dello stato come tributo ,un imbuto dove scorre ogni cosa dove il signore,  scivola incurante del patire dell’essere vittima di quel dissacrante moto dell’anima che rimanda  a pan duce degli astri.  Ed è propria una bella gatta da pelare,  d’acchiappare  ,   da soffriggere a fuoco lento renderla  tenera al palato di chi ha molto goduto d’amori d’altri tempi. Ed è giusto che ognuno possa sentirsi partecipe di questo gioco,  con il suo nome , con la sua volontà che riassume  tante tradizioni  antecedenti.
Puozzo campà cent’anni.
Puozzo addiventà santo.
Puozzo piglià nù terno.
Nà quaterna.
Nà cosa di soldi.
Sei  caduto dentro a stù pertuso.
Chiamate li guardie. 
Io mi metto a malattia. 
A me nun m’interessa.
Io sono di passaggio.
Ma se pò sapè chi lo ha ucciso?
Io tenevo a mia figlia per mano.
Io mi faceva la barba.
Ma come faremo a scoprire l’autore di questo delitto.
Ci manca il sale.
Io , lo trovo divertente.
Forse  l'autore aveva una sua  vita segreta , un qualcosa mai detto , forse era quello che voleva far  appariva ma non si lavava mai il viso e per questo il signore del letto difronte gli tirò una scarpa dietro la testa , lo ciaccò , gli uscì  tanto  sangue , due giorni dopo morì.

Nero questo cielo , c’è chi balla sopra la nostra terra,  il poeta è salito al cielo,  sanguinante e salito una bella sera con tutte sue speranze,  con una gran voglia di dire la sua di parlare ora con un santo ora con una santa , con molti , con se stesso,  oggi forse vive nel ricordo di tutti noi,  forse è morto per sempre ,  forse e lassù , perché lo abbiamo voluto tutti noi , forse era una brava persona , un uomo , un essere diverso,  un musico capace di fare  una musica strana che ti metteva  allegro , che ti faceva  capire che la vita e poca cosa senza l’amore di una donna,  senza avere eccessive ricchezze , un auto lussuosa  con tanto trucco con uno ,due , tre rose tra i capelli. Ella l’invito a sedersi , il poveretto ,  giunse appena in tempo,  tutto contento d’essere morto a quell’ora che sussurrò  all’orecchio del cocchiere del carro , avanti non fermarti .
Poi la gioia prese il sopravvento , s’unirono alla danza gli angeli con  le ali ed i demoni senza corna , tutti gridarono come bello essere qui con te,  festeggiare questo momento, senza peli sulla lingua , come bello mangiare la tua carne , bere  il tuo sangue vermiglio,  assaporare  il tuo sogno che diventa roseo al solo vederlo. Poi tutti compresero il senso , il fine funereo,  fulgente, gemente,  elegante,  senza guanti , un guardare di traverso la storia che c’arriso , sotto l’unico vessillo, nella  sorte  avversa d’essere,  non essere poi fine a se stessi , una forma antica , essenza d’una tragedia immane,  una voce che si spegne nella sera , insieme alle tante paure,  insieme al nostro dire che ci conduce  metaforicamente lontano dalla follia di  essere balordi poeti  in questa tragica epoca.
   
 
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