LA MARCIA DELL’ANIMA
DI DINO FERRARO
Assettate , sotto a una croce con lo core chine di passione ,miriade di versi mi volano attorno e nù saccio chiù, quale via mi porterà a casa, nel ricordo dell’addore dè maccarune, camminando sotto ò cielo, simile a tutti , come ieri che mi faceva di vino e pescavo, ridevo, pensavo che tutto fosse stato lecito con una donna piccina , moscia che s’alliscia vicino a nù lampione che s’arrampica verso ò cielo .
La paura di chi siamo e la puzza sotto ò naso e nù creature sotto ò muro che chiagne , attaccate a chesta canzone , che vola ,s’arrigrea e dice voglio campà , voglio dire chelle che me passe per la cape . Solagno , siente le voci dei condannati ò male passato , mortificato , zitto, zitto senza nome , senza nà storia , che ti dice chi sei , chi ti ha fatto nascere dentro nù quartiere malfamato ,sotto n’albero mimose , sotto nù cielo chine e stelle, chine di nuvole e dulure , chine di passione per la musica, inseguendo una bella figliola vestita di rosa , vestita di stracci , vestita come ò cielo , come era mamma soia quando incontrò a papa suo , sotto a una croce , sotto la grigia pioggia .
Ora cosa siamo, siamo miezzo stù burdello , dentro le budella di una città chiù nera dello gravone , vola stà canzone pò ritorna, si mette in riga, saluta gli sposi saluta con bona creanza, saluta Antonio che rimasto incapace di parlare dentro a chesta faccenda con una faccia chiù verde di un pianta che s’arrampica sopra nù muro , che sale , sale , lenta , sangue che scorre , scorre dentro le vene della vergine, dentro il corpo che muore lentamente con tutti i suoi malanni .Ogni uomo è padrone del proprio credo , ognuno può dire d’essere padre , figlio , spirito dopo aver bevuto da questo calice le lacrime versate dalla vergine che hanno generato un nuovo mondo.
Siamo partiti un bel mattino in groppa ad un somaro, lo ciuccio è storia , lo ciuccio della sciorta ,padre , madre , figlio sono santi nel delirio di un era , in cerca di un luogo che li porterà dentro e fuori dalla storia , che hanno scelti di vivere , dentro di me che veggo e spero. Ogni uomo, afflitto da timore vari è un limite alla propria libertà , un frutto ammunate, chiano , chiano coppe a nù muro , assieme a chesta morte. Assieme alla speranza dalla bocca zuccherosa , spizzicane, rassegnate , saglie , coppe, saglie fino addò stà Gesù. Parla , dimmi che senti , dimmi quello che vedi, io non sono , quello che sono, io sono dentro questo gioco, nella forma di un dialogo interiore , migrante, morto nel lontano sessantotto, in fila in un corteo con una scarpa rotta ai piedi , con una tasca pieni di sassi , ascoltando timide voci che mi sussurrano Ulisse ritorna in questa alcova, sdraiati , dammi la tua verga , dammi il tuo coraggio il penare di un uomo solo, contro gli dei , contro il fato.
Ed io rimango perplesso, forse tutto è inutile, rime, metriche, schemi che si susseguono, quando apri la porta e ti ritrovi in strada con i tuoi amici di sempre a giocare a pallone a giocare contro i mostri della ragione che vendono l’anima ad un angolo di strada , dentro una fiaba troppo brutta per essere venduta.
Vieni entra.
Lasciami decidere.
Beh ti dico entra.
Va bene mi spoglio.
Ho qualcosa per te.
Poco mi resta da vivere.
Manco per scherzo.
Tu mi cornifichi ?
Io divido ed unisco.
Ma il cuore non ha segreti.
E uno scrigno pieno di tesori
Forse ritorno a Milano.
Salutami tua sorella.
Non ho sorelle ne fratelli.
Mi porti un bacione a Firenze
Una cartolina potrei scriverla.
Va bene rimango in attesa
Fai bene non ti muovere.
Mi sollazzo con poco.
Rubiamo la luna?
Non sono un ladro io.
Neppure io.
Allora andiamo su Marte?
Troppo lontano.
Non ho la mutande di ricambio.
Io ho calzoni troppo corti.
Ma su Marte non c'è la guerra?
Io penso che siano rimasti indietro nel tempo.
Rammento un uomo solo in partenza per Messina.
Poveretto e rimasto assai scosso dal tuo comportamento.
Io , un orsacchiotto di peluche.
Io , una marmotta.
La marmitta dell’auto si è rotta.
Oh Dio come faremo ad arrivare a Palermo.
Nun vè muvite.
E chi se move.
Avasciate e mane.
Aizeteve ò cazone.
Te fatte a barba ?
Ti sei messo ò profumo?
Mi faccio mezz’ora e suonno.
Si acchiappo a petrusino c’è faccio ò mazzo….
Puveriello chillo tene lo scorbuto.
Chi ha chiamato a Giovanni?
Hai risposto a telefono?
Manca per la cape.
Signora, avascete ò panare
Uhe screanzato alzatevi ò cazone.
Scusate mi sono distratto.
Vi siete pigliate ò caffè ?
Mò mi faccio un solitario.
Mò mi faccio tre ,quattro sorsi di vino.
Passa ò tiempo , passa e gonfia queste parole volgari , incurante di cosa si possa essere di come s’arriverà a conoscere la ragione che ha generato il male di un era . Ed in tanti si sono radunati fuori il palazzo comunale, una folla sempre più minacciosa, una folla ratta, fatta di madre e figli , di calciatori , di campagnoli , di spazzini, di figli e trocchie che rubano il grano ai più poveri, che ingrassano alla faccia di chi fatica ed è bello non sapere cosa è il vero peccato. Chi mangia tanto vola in paradiso tra tanti santi con tanti voti , presi all’ultima elezione , viene condotto perfino davanti al signore dell’universo, che conosce questo amore e questo soffrire delle derelitte folle. Tutto è un gioco di nuovi verbi , che s’arrotolano nella mente di un santo, nel loro dubbio amletico ci chiedono di morire in pace.
Fà appriesse.
Nun c’è stò chiù a fa finta.
Mi hai tagliato la basetta?
Tengo tre uova sode.
Chiame a Giggino.
Nun voglio parti.
E statte cà assieme a noi.
Facime appresse.
N’ata vota , allora lo tiene per vizio.
Mò , non voglio parlà.
Fai buono nun te mettere scuorno di niente.
Io , sono una signora.
Ovvero , chi dice il contrario.
Teresaa.
Annuccia
Angelina
Genta , genta .
Scinne fà apprese
Te mise le mutandine?
No , madonna e mò , chi c’è lo dice al padrone.
Il mondo ruota intorno ad una speranza , bizzarra, spaurita , scurrile che tiene in se tutta le maledizioni della gente e tutto il mistero di una generazione che si è evoluta nella piega socratica o chimerica di una verseggiare rado , poderoso, privo d’interesse, freddo, ossessivo, volgare, povera pulce che salta e vuole far vedere che sà saltare , come il nesso logico che avvolge in sé ogni generazione passata come questa storia che si sussegue nel bene e nel male , priva d’interesse, priva di identità , morta prima di uscire da casa . Come ieri , anche oggi la logica ha dato i suoi frutti in forme semantiche, prive di forme simboliche , prive di quel non sò , che anima il mondo intero.
Pigliateve ò pullman.
Me la faccio a piede è meglio.
Hai visto a Giovanni ?
E chi è ?
Come Susanna.
Chi Assuntina la portiera.
Beh prima faceva a sarta, mò si fà chiamare Enrico.
Santa Marta io mò piglia la scopa.
Ascite fore.
Francesco.
Chi è stò nel bagno.
Pensare fa male.
La morte è fisica .
Un attimo è siamo in paradiso.
Una corsa contro il tempo.
Stò male non voglio ridere.
Questi c’infornano.
E che simme pizze ,pezzi di pane.
No, siamo giudei.
Oh Madonna mi ero dimenticato.
Scetate a stù suonno.
Hai chiamate a Pietro.
Gli ho mandato una lettera di reclamo.
Hai fatto bene , stiamo messi proprio male.
Tanto , saranno due o tre metri.
La vedi la fornace?
Emana un calore tremendo.
Chi si butta per primo ?
Io stò buono accussì.
C’è piense diventeremo carbonella.
Polvere eravamo e polvere ritorniamo.
Nel vento voleremo.
Che bello, poter sputare in faccia il destino.
Che magia
Che disgrazia
Pazzia
Bellezza
Pezzi di merda
Forse domani potremo dirci liberi
Forse domani saremo con il signore
Con i nostri padri
Con tutto il nostro popolo
Assieme a Giggino
Ad Assuntina a scagliosa
A Paoluccio il rigattiere.
A Ciccillo che girava la manovella.
E un film ?
Un delirio.
Un lungo corteo di popoli e gente di ogni ceto, razza e pensiero , tutti insieme , verso quel punto che è la fine ed il principio d’ogni domanda senza risposta , che si ripete dentro di noi ,accompagnati da note allegre, note che muoiono all’alba. S’ odono i nostri vagiti i lamenti immemori d’un vivere , echi d’un sordo suono che contiene in sè ogni speranza , ogni logica , ogni memoria. Davanti a noi una piazza tanto grande, che non riesce a contenere la gioia d’essere liberi , di poter dire tutto quello non si mai detto di ogni filosofia, forma geometrica, linea che congiunge un punto all’altro bagnato dal mare dalle sue onde , folli , ebbre di ricordi che sono rinati all’improvviso senza senso nel nostro esprimere tutto l’amore che si è provato nel stare da soli difronte a Dio.
Voglio pregare.
Voglio una pizza.
Mi dà un panino ?
Non vuole un insalata?
Voglio la zuppa.
Ho fame
Mamma mia che buona.
Si segga , assaggi.
Veramente aspettavo il tram.
E quello che porta alla felicità.
Non sò forse.
Forse sei morto con noi aspettando.
Forse non lo ho mai capito per davvero.
Venga alla mostra.
Mi vesto.
Prego, non dimentichi.
Io non volevo ,avevo solo fame.
Giovanotto lei mi ferisce.
Io non pensavo a tanto, per una scodella mezza piena.
Per un sacco di cose ed altro.
Facciamo ammenda.
Me lo scrivo dietro questo quaderno.
Lo scrivere persegue una sua originale idea, eclettica troppo bizzarra, forse una delusione che sfocia nell’assemblaggio illogico di rime e versi cresciuti in fretta senza gradi , senza quella autorità morale, legata alla prosodia . L'ultima cena è un punto d’incontro, un luogo comune che fa desumere che tutto quello che si è detto ha una seria ripercussione etica sulla vita quotidiana e l’elemento cosi elencato, sottoscritto, versato alle casse dello stato come tributo ,un imbuto dove scorre ogni cosa dove il signore, scivola incurante del patire dell’essere vittima di quel dissacrante moto dell’anima che rimanda a pan duce degli astri. Ed è propria una bella gatta da pelare, d’acchiappare , da soffriggere a fuoco lento renderla tenera al palato di chi ha molto goduto d’amori d’altri tempi. Ed è giusto che ognuno possa sentirsi partecipe di questo gioco, con il suo nome , con la sua volontà che riassume tante tradizioni antecedenti.
Puozzo campà cent’anni.
Puozzo addiventà santo.
Puozzo piglià nù terno.
Nà quaterna.
Nà cosa di soldi.
Sei caduto dentro a stù pertuso.
Chiamate li guardie.
Io mi metto a malattia.
A me nun m’interessa.
Io sono di passaggio.
Ma se pò sapè chi lo ha ucciso?
Io tenevo a mia figlia per mano.
Io mi faceva la barba.
Ma come faremo a scoprire l’autore di questo delitto.
Ci manca il sale.
Io , lo trovo divertente.
Forse l'autore aveva una sua vita segreta , un qualcosa mai detto , forse era quello che voleva far appariva ma non si lavava mai il viso e per questo il signore del letto difronte gli tirò una scarpa dietro la testa , lo ciaccò , gli uscì tanto sangue , due giorni dopo morì.
Nero questo cielo , c’è chi balla sopra la nostra terra, il poeta è salito al cielo, sanguinante e salito una bella sera con tutte sue speranze, con una gran voglia di dire la sua di parlare ora con un santo ora con una santa , con molti , con se stesso, oggi forse vive nel ricordo di tutti noi, forse è morto per sempre , forse e lassù , perché lo abbiamo voluto tutti noi , forse era una brava persona , un uomo , un essere diverso, un musico capace di fare una musica strana che ti metteva allegro , che ti faceva capire che la vita e poca cosa senza l’amore di una donna, senza avere eccessive ricchezze , un auto lussuosa con tanto trucco con uno ,due , tre rose tra i capelli. Ella l’invito a sedersi , il poveretto , giunse appena in tempo, tutto contento d’essere morto a quell’ora che sussurrò all’orecchio del cocchiere del carro , avanti non fermarti .
Poi la gioia prese il sopravvento , s’unirono alla danza gli angeli con le ali ed i demoni senza corna , tutti gridarono come bello essere qui con te, festeggiare questo momento, senza peli sulla lingua , come bello mangiare la tua carne , bere il tuo sangue vermiglio, assaporare il tuo sogno che diventa roseo al solo vederlo. Poi tutti compresero il senso , il fine funereo, fulgente, gemente, elegante, senza guanti , un guardare di traverso la storia che c’arriso , sotto l’unico vessillo, nella sorte avversa d’essere, non essere poi fine a se stessi , una forma antica , essenza d’una tragedia immane, una voce che si spegne nella sera , insieme alle tante paure, insieme al nostro dire che ci conduce metaforicamente lontano dalla follia di essere balordi poeti in questa tragica epoca.
DI DINO FERRARO
Assettate , sotto a una croce con lo core chine di passione ,miriade di versi mi volano attorno e nù saccio chiù, quale via mi porterà a casa, nel ricordo dell’addore dè maccarune, camminando sotto ò cielo, simile a tutti , come ieri che mi faceva di vino e pescavo, ridevo, pensavo che tutto fosse stato lecito con una donna piccina , moscia che s’alliscia vicino a nù lampione che s’arrampica verso ò cielo .
La paura di chi siamo e la puzza sotto ò naso e nù creature sotto ò muro che chiagne , attaccate a chesta canzone , che vola ,s’arrigrea e dice voglio campà , voglio dire chelle che me passe per la cape . Solagno , siente le voci dei condannati ò male passato , mortificato , zitto, zitto senza nome , senza nà storia , che ti dice chi sei , chi ti ha fatto nascere dentro nù quartiere malfamato ,sotto n’albero mimose , sotto nù cielo chine e stelle, chine di nuvole e dulure , chine di passione per la musica, inseguendo una bella figliola vestita di rosa , vestita di stracci , vestita come ò cielo , come era mamma soia quando incontrò a papa suo , sotto a una croce , sotto la grigia pioggia .
Ora cosa siamo, siamo miezzo stù burdello , dentro le budella di una città chiù nera dello gravone , vola stà canzone pò ritorna, si mette in riga, saluta gli sposi saluta con bona creanza, saluta Antonio che rimasto incapace di parlare dentro a chesta faccenda con una faccia chiù verde di un pianta che s’arrampica sopra nù muro , che sale , sale , lenta , sangue che scorre , scorre dentro le vene della vergine, dentro il corpo che muore lentamente con tutti i suoi malanni .Ogni uomo è padrone del proprio credo , ognuno può dire d’essere padre , figlio , spirito dopo aver bevuto da questo calice le lacrime versate dalla vergine che hanno generato un nuovo mondo.
Siamo partiti un bel mattino in groppa ad un somaro, lo ciuccio è storia , lo ciuccio della sciorta ,padre , madre , figlio sono santi nel delirio di un era , in cerca di un luogo che li porterà dentro e fuori dalla storia , che hanno scelti di vivere , dentro di me che veggo e spero. Ogni uomo, afflitto da timore vari è un limite alla propria libertà , un frutto ammunate, chiano , chiano coppe a nù muro , assieme a chesta morte. Assieme alla speranza dalla bocca zuccherosa , spizzicane, rassegnate , saglie , coppe, saglie fino addò stà Gesù. Parla , dimmi che senti , dimmi quello che vedi, io non sono , quello che sono, io sono dentro questo gioco, nella forma di un dialogo interiore , migrante, morto nel lontano sessantotto, in fila in un corteo con una scarpa rotta ai piedi , con una tasca pieni di sassi , ascoltando timide voci che mi sussurrano Ulisse ritorna in questa alcova, sdraiati , dammi la tua verga , dammi il tuo coraggio il penare di un uomo solo, contro gli dei , contro il fato.
Ed io rimango perplesso, forse tutto è inutile, rime, metriche, schemi che si susseguono, quando apri la porta e ti ritrovi in strada con i tuoi amici di sempre a giocare a pallone a giocare contro i mostri della ragione che vendono l’anima ad un angolo di strada , dentro una fiaba troppo brutta per essere venduta.
Vieni entra.
Lasciami decidere.
Beh ti dico entra.
Va bene mi spoglio.
Ho qualcosa per te.
Poco mi resta da vivere.
Manco per scherzo.
Tu mi cornifichi ?
Io divido ed unisco.
Ma il cuore non ha segreti.
E uno scrigno pieno di tesori
Forse ritorno a Milano.
Salutami tua sorella.
Non ho sorelle ne fratelli.
Mi porti un bacione a Firenze
Una cartolina potrei scriverla.
Va bene rimango in attesa
Fai bene non ti muovere.
Mi sollazzo con poco.
Rubiamo la luna?
Non sono un ladro io.
Neppure io.
Allora andiamo su Marte?
Troppo lontano.
Non ho la mutande di ricambio.
Io ho calzoni troppo corti.
Ma su Marte non c'è la guerra?
Io penso che siano rimasti indietro nel tempo.
Rammento un uomo solo in partenza per Messina.
Poveretto e rimasto assai scosso dal tuo comportamento.
Io , un orsacchiotto di peluche.
Io , una marmotta.
La marmitta dell’auto si è rotta.
Oh Dio come faremo ad arrivare a Palermo.
Nun vè muvite.
E chi se move.
Avasciate e mane.
Aizeteve ò cazone.
Te fatte a barba ?
Ti sei messo ò profumo?
Mi faccio mezz’ora e suonno.
Si acchiappo a petrusino c’è faccio ò mazzo….
Puveriello chillo tene lo scorbuto.
Chi ha chiamato a Giovanni?
Hai risposto a telefono?
Manca per la cape.
Signora, avascete ò panare
Uhe screanzato alzatevi ò cazone.
Scusate mi sono distratto.
Vi siete pigliate ò caffè ?
Mò mi faccio un solitario.
Mò mi faccio tre ,quattro sorsi di vino.
Passa ò tiempo , passa e gonfia queste parole volgari , incurante di cosa si possa essere di come s’arriverà a conoscere la ragione che ha generato il male di un era . Ed in tanti si sono radunati fuori il palazzo comunale, una folla sempre più minacciosa, una folla ratta, fatta di madre e figli , di calciatori , di campagnoli , di spazzini, di figli e trocchie che rubano il grano ai più poveri, che ingrassano alla faccia di chi fatica ed è bello non sapere cosa è il vero peccato. Chi mangia tanto vola in paradiso tra tanti santi con tanti voti , presi all’ultima elezione , viene condotto perfino davanti al signore dell’universo, che conosce questo amore e questo soffrire delle derelitte folle. Tutto è un gioco di nuovi verbi , che s’arrotolano nella mente di un santo, nel loro dubbio amletico ci chiedono di morire in pace.
Fà appriesse.
Nun c’è stò chiù a fa finta.
Mi hai tagliato la basetta?
Tengo tre uova sode.
Chiame a Giggino.
Nun voglio parti.
E statte cà assieme a noi.
Facime appresse.
N’ata vota , allora lo tiene per vizio.
Mò , non voglio parlà.
Fai buono nun te mettere scuorno di niente.
Io , sono una signora.
Ovvero , chi dice il contrario.
Teresaa.
Annuccia
Angelina
Genta , genta .
Scinne fà apprese
Te mise le mutandine?
No , madonna e mò , chi c’è lo dice al padrone.
Il mondo ruota intorno ad una speranza , bizzarra, spaurita , scurrile che tiene in se tutta le maledizioni della gente e tutto il mistero di una generazione che si è evoluta nella piega socratica o chimerica di una verseggiare rado , poderoso, privo d’interesse, freddo, ossessivo, volgare, povera pulce che salta e vuole far vedere che sà saltare , come il nesso logico che avvolge in sé ogni generazione passata come questa storia che si sussegue nel bene e nel male , priva d’interesse, priva di identità , morta prima di uscire da casa . Come ieri , anche oggi la logica ha dato i suoi frutti in forme semantiche, prive di forme simboliche , prive di quel non sò , che anima il mondo intero.
Pigliateve ò pullman.
Me la faccio a piede è meglio.
Hai visto a Giovanni ?
E chi è ?
Come Susanna.
Chi Assuntina la portiera.
Beh prima faceva a sarta, mò si fà chiamare Enrico.
Santa Marta io mò piglia la scopa.
Ascite fore.
Francesco.
Chi è stò nel bagno.
Pensare fa male.
La morte è fisica .
Un attimo è siamo in paradiso.
Una corsa contro il tempo.
Stò male non voglio ridere.
Questi c’infornano.
E che simme pizze ,pezzi di pane.
No, siamo giudei.
Oh Madonna mi ero dimenticato.
Scetate a stù suonno.
Hai chiamate a Pietro.
Gli ho mandato una lettera di reclamo.
Hai fatto bene , stiamo messi proprio male.
Tanto , saranno due o tre metri.
La vedi la fornace?
Emana un calore tremendo.
Chi si butta per primo ?
Io stò buono accussì.
C’è piense diventeremo carbonella.
Polvere eravamo e polvere ritorniamo.
Nel vento voleremo.
Che bello, poter sputare in faccia il destino.
Che magia
Che disgrazia
Pazzia
Bellezza
Pezzi di merda
Forse domani potremo dirci liberi
Forse domani saremo con il signore
Con i nostri padri
Con tutto il nostro popolo
Assieme a Giggino
Ad Assuntina a scagliosa
A Paoluccio il rigattiere.
A Ciccillo che girava la manovella.
E un film ?
Un delirio.
Un lungo corteo di popoli e gente di ogni ceto, razza e pensiero , tutti insieme , verso quel punto che è la fine ed il principio d’ogni domanda senza risposta , che si ripete dentro di noi ,accompagnati da note allegre, note che muoiono all’alba. S’ odono i nostri vagiti i lamenti immemori d’un vivere , echi d’un sordo suono che contiene in sè ogni speranza , ogni logica , ogni memoria. Davanti a noi una piazza tanto grande, che non riesce a contenere la gioia d’essere liberi , di poter dire tutto quello non si mai detto di ogni filosofia, forma geometrica, linea che congiunge un punto all’altro bagnato dal mare dalle sue onde , folli , ebbre di ricordi che sono rinati all’improvviso senza senso nel nostro esprimere tutto l’amore che si è provato nel stare da soli difronte a Dio.
Voglio pregare.
Voglio una pizza.
Mi dà un panino ?
Non vuole un insalata?
Voglio la zuppa.
Ho fame
Mamma mia che buona.
Si segga , assaggi.
Veramente aspettavo il tram.
E quello che porta alla felicità.
Non sò forse.
Forse sei morto con noi aspettando.
Forse non lo ho mai capito per davvero.
Venga alla mostra.
Mi vesto.
Prego, non dimentichi.
Io non volevo ,avevo solo fame.
Giovanotto lei mi ferisce.
Io non pensavo a tanto, per una scodella mezza piena.
Per un sacco di cose ed altro.
Facciamo ammenda.
Me lo scrivo dietro questo quaderno.
Lo scrivere persegue una sua originale idea, eclettica troppo bizzarra, forse una delusione che sfocia nell’assemblaggio illogico di rime e versi cresciuti in fretta senza gradi , senza quella autorità morale, legata alla prosodia . L'ultima cena è un punto d’incontro, un luogo comune che fa desumere che tutto quello che si è detto ha una seria ripercussione etica sulla vita quotidiana e l’elemento cosi elencato, sottoscritto, versato alle casse dello stato come tributo ,un imbuto dove scorre ogni cosa dove il signore, scivola incurante del patire dell’essere vittima di quel dissacrante moto dell’anima che rimanda a pan duce degli astri. Ed è propria una bella gatta da pelare, d’acchiappare , da soffriggere a fuoco lento renderla tenera al palato di chi ha molto goduto d’amori d’altri tempi. Ed è giusto che ognuno possa sentirsi partecipe di questo gioco, con il suo nome , con la sua volontà che riassume tante tradizioni antecedenti.
Puozzo campà cent’anni.
Puozzo addiventà santo.
Puozzo piglià nù terno.
Nà quaterna.
Nà cosa di soldi.
Sei caduto dentro a stù pertuso.
Chiamate li guardie.
Io mi metto a malattia.
A me nun m’interessa.
Io sono di passaggio.
Ma se pò sapè chi lo ha ucciso?
Io tenevo a mia figlia per mano.
Io mi faceva la barba.
Ma come faremo a scoprire l’autore di questo delitto.
Ci manca il sale.
Io , lo trovo divertente.
Forse l'autore aveva una sua vita segreta , un qualcosa mai detto , forse era quello che voleva far appariva ma non si lavava mai il viso e per questo il signore del letto difronte gli tirò una scarpa dietro la testa , lo ciaccò , gli uscì tanto sangue , due giorni dopo morì.
Nero questo cielo , c’è chi balla sopra la nostra terra, il poeta è salito al cielo, sanguinante e salito una bella sera con tutte sue speranze, con una gran voglia di dire la sua di parlare ora con un santo ora con una santa , con molti , con se stesso, oggi forse vive nel ricordo di tutti noi, forse è morto per sempre , forse e lassù , perché lo abbiamo voluto tutti noi , forse era una brava persona , un uomo , un essere diverso, un musico capace di fare una musica strana che ti metteva allegro , che ti faceva capire che la vita e poca cosa senza l’amore di una donna, senza avere eccessive ricchezze , un auto lussuosa con tanto trucco con uno ,due , tre rose tra i capelli. Ella l’invito a sedersi , il poveretto , giunse appena in tempo, tutto contento d’essere morto a quell’ora che sussurrò all’orecchio del cocchiere del carro , avanti non fermarti .
Poi la gioia prese il sopravvento , s’unirono alla danza gli angeli con le ali ed i demoni senza corna , tutti gridarono come bello essere qui con te, festeggiare questo momento, senza peli sulla lingua , come bello mangiare la tua carne , bere il tuo sangue vermiglio, assaporare il tuo sogno che diventa roseo al solo vederlo. Poi tutti compresero il senso , il fine funereo, fulgente, gemente, elegante, senza guanti , un guardare di traverso la storia che c’arriso , sotto l’unico vessillo, nella sorte avversa d’essere, non essere poi fine a se stessi , una forma antica , essenza d’una tragedia immane, una voce che si spegne nella sera , insieme alle tante paure, insieme al nostro dire che ci conduce metaforicamente lontano dalla follia di essere balordi poeti in questa tragica epoca.