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Autore: KendraVale    22/01/2018    0 recensioni
Koral Nilson è una ragazza intelligente che studia all'università di Beni culturali, nella rinomata città Laguna Blu. Un giorno la ragazza trova un biglietto in egiziano antico che la condurrà fino in Egitto. Da quel giorno la sua vita cambia totalmente, perché troverà indizi che la condurranno ad un tesoro perduto da migliaia di anni e conoscerà entità magiche. Non perdetevi le avventure di questa aspirante archeologa, in uno scenario totalmente affascinante come quello dell'antica civiltà egiziana.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Il biglietto 
Capitolo 1
Ciao, mi presento sono Koral Nilson, ho ventiquattro anni e sono una studentessa della Facoltà di Beni Culturali nella rinomata città di Laguna Blu: conosciuta per la grande palude caratterizzata dalla presenza di alghe dal pigmento colorato, da cui hanno dato il nome alla città. Ho deciso di raccontarvi una storia che mi è capitata recentemente mentre ero all’università. Di solito sono una ragazza a cui piace leggere, ma non scrivere, però la cosa di cui voglio parlarvi è davvero importante ed è, a parer mio, una storia tremendamente affascinante. Prima di iniziare a raccontarvela, vorrei precisare una cosa, sono una ragazza a cui piace l’avventura, le sfide, la magia e credo di essere ossessionata dall’arte, per la precisione da qualsiasi forma artistica. Facendo questa piccola premessa, spero che vi sia di aiuto per capire quello che sto per raccontarvi…
Era la mattina del 19 settembre, quando mi recai all’università con la mia auto. Nella strada principale che ho percorso per arrivare nella zona connessa al mio ateneo, c’erano poche macchine in circolazione, tutto era semplicemente ordinario come sempre: il posto di blocco della polizia sul lato destro della strada, il giornalaio che stava tirando su la serranda del proprio chioschetto, la comitiva di bambini che attraversava la strada per andare a giocare in un cortile davanti alla scuola e il Signor Botti che portava a spasso il suo cane. Dopo aver passato il centro della città arrivai in una piazza rettangolare al cui centro vi era la statua di una sirena sullo scoglio. Quella mattina parcheggiai proprio davanti alla statua, misi il freno a mano, spensi il motore e scesi dall’auto. Varcai la soglia dell’ingresso della struttura, era molto imponente e suggestiva; la sua maestosità fa si che  quando i turisti vengono a visitare la cittadella rimangono sempre colpiti dalla struttura di questo edificio. 
Comunque, come ogni mattina salutai l’addetto alla manutenzione che era li da diverse settimane in cerca di aggiustare lo scarico dell’acqua del bagno dei professori e inoltre, salutai anche la segretaria Miss. Dolvestein; una signora buona e graziosa, il cui  timbro di voce, sottile e acuto può essere scambiato per quello di una bambina. Entrai nella sala relax per prendermi un buon cappuccino prima di iniziare la lezione e vicino alla macchinetta del caffè c’era un ragazzo dai capelli arruffati che stava leggendo un libro sulla storia contemporanea. Chiesi a lui se poteva gentilmente spostare il braccio che aveva appoggiato sulla macchinetta, perché dovevo inserire le monete nella fessura. Lui mi guardò con aria svampita e un po’ assonnata, ma si spostò senza fare tante storie. Lo ringraziai e poi scelsi la bevanda. Mi ricordo che quella mattina il cappuccino era più delizioso del solito, zuccherato e caldo come non mai. Proseguii lungo il corridoio che portava alla classe del professore di egittologia Alfred Strauss. Egli è un professore simpatico, ma allo stesso tempo severo e pignolo, adora fare domande durante la sua lezione e alle volte si mangia delle barrette di cioccolato al caramello che mi fanno venire l’acquolina ogni volta che ne tira fuori una dalla sua valigetta. Mi sedetti vicino alla mia compagna e nonchè amica del cuore, Sakura Mori, di origine giapponese e parlammo di alcune perplessità della lezione precedente del professor Alfred. Sakura mi disse che alcuni geroglifici potevano avere più significati e che probabilmente avevamo sentito male durante la prima lezione. Confermai la mia poca attenzione a quella spiegazione del professore, perché quel giorno ero particolarmente distratta, almeno così mi ricordavo. Poco dopo arrivò l’insegnate, con il suo cappello di feltro nero, il suo impermeabile grigio tortora, la sua valigetta in pelle nera e la sua pipa di legno. Quel giorno sembrava il famoso detective Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle. Feci un leggero sorriso per la sua buffa presentazione mattutina all’università, e pensai che fosse un tipo proprio particolare. Dopo aver posato il suo impermeabile al porta-mantelli, prese in mano il libro di egittologia, dicendo di aprirlo anche noi a pagina 38 del capitolo 7. Sulla pagina che aprii con interesse, c’era un articolo su un mito egiziano risalente al periodo dell’Antico Regno. Quello era il tempo in cui gli Egiziani costruirono le prime piramidi e la famosa Sfinge di Giza. Credo di aver adorato quel capitolo in particolare, non solo per le fotografie suggestive, ma soprattutto per il contenuto. Alfred iniziò a spiegare che durante l’Antico Regno passarono ben quattro dinastie di sovrani dalla terza, compresa, alla sesta. Grazie al mio inconfondibile evidenziatore fucsia, sottolineai le parti più importanti, anche il titolo del mito, scritto in un paragrafo circondato da una cornicetta in blu scuro. Il titolo del racconto era: “Il mito di Osiride”. Dopo averlo spiegato ci disse di completare l’esercizio sottostante, ovvero tradurlo dai geroglifici e riscriverlo. Impiegai almeno quindici minuti e poi aspettai che gli altri finissero di completarlo. Dopo due ore intense di egittologia, finalmente terminò la lezione e me ne andai diritta in biblioteca per consultare qualche libro, come ero solita a fare dopo qualsiasi lezione. Entrai a passo felpato, perché alcuni studenti stavano studiando silenziosamente in un angolo della biblioteca e poi c’era la terribile bibliotecaria, la signora Moira Blink. È una donna molto scialba, bianca di viso, introversa e poco paziente. Avevo il terrore di far cadere un libro o semplicemente di tossire per paura che lei mi dicesse qualcosa, per fortuna quel giorno era andato tutto per il meglio e non era successo nulla.  Il mio posto preferito della biblioteca era il tavolo vicino ad una grande vetrata realizzata a mosaico, la luce che penetrava dalla finestra rifletteva i colori del disegno realizzato sul vetro, rosso, verde, giallo e viola. Entrai nel settore dei libri storici, risalenti al periodo storico del Nuovo Regno, presi un libro a caso nella speranza che ci fosse quello che stavo cercando. Mi sedetti e incominciai a leggere…
Vidi che nella piega della pagina, vi era un biglietto dalla carta ingiallita e increspata, “cosa mai potrà essere?”, mi domandai all’istante. Prima di avventare le mie dita lunghe e sottili sul biglietto, diedi un’occhiata in giro, per fortuna non c’era nessuno nei paraggi. Per me era una cosa alquanto strana trovare messaggi nascosti tra le pagine di un vecchio libro, anche perché a giudicare dallo stato attuale della carta non poteva essere sicuramente un biglietto recente, scritto da qualche ragazzo burlone. Lo aprii con decisione e vidi che c’erano raffigurati dei simboli, parevano essere proprio i geroglifici. L’ordine dei simboli era poco chiaro, anche perché sembrava mancare una parte per completare il messaggio. Iniziai subito a decifrarlo.
“Viene la notte nel giorno, tempi bui saranno se l’assassino verrà ricordato…”; ma poi non riuscii a proseguire, i geroglifici posti in quell’ordine erano troppo difficili. Mi domandai cosa volessero significare e perché un foglietto di questo genere fosse all’interno di un vecchio libro. Provai almeno cinque volte a tradurlo modificando le frasi per avere più combinazioni possibili, ma nulla mi soddisfaceva. In quel lasso di tempo mi venne in mente di chiedere un aiuto al professore di egittologia e così feci. Mi alzai dalla sedia scricchiolante per dirigermi nell’ufficio personale di Alfred Strauss. Bussai due volte con decisione alla porta leggermente socchiusa e il signor Alfred rispose. “Avanti!”. Entrai nella stanza e mi avvicinai alla sua scrivania in legno, essa era messa obliquamente rivolta verso la porta, in modo tale da vedere bene chi entri nell’ufficio. Sulla scrivania c’era una fotografia di lui e della sua famiglia, la moglie Astra e i due bambini, Gym e Hantony. Osservai fugacemente l’immagine incorniciata da una piccola cengia color porpora. Il mio sguardo si posò subito dopo sul volto del professore che mi stava fissando con gli occhi spalancati. Alfred mi domandò: “cosa posso fare per lei signorina Nilson?”. Aveva un tono di voce gentile, caldo e piacevolmente intonato che rimasi un attimo spiazzata, ero un po’ imbarazzata per la richiesta che stavo per fargli. Risposi chiaramente che avevo bisogno del suo aiuto per decifrare un messaggio in egiziano antico per un esercizio. Il professore mi guardò un po’ basito, anche perché il corso che frequento è il più avanzato rispetto gli altri e in teoria deve essere scontato che io sappia decifrarlo, cosa che in realtà non lo è. “Mi dia pure l’esercizio signorina”, rispose professionalmente. Allungai il mio braccio esile verso di lui, avevo tra le dita quel biglietto tanto misterioso quanto terribilmente affascinante. Alfred l’afferrò e lo aprì. 
“Signorina a cosa le serve questo esercizio?”, mi domandò nuovamente il professore. Rimasi un po’ imbarazzata, non sapevo bene come giustificare la mia richiesta, ma poi risposi che erano semplicemente degli esercizi per allenarmi quotidianamente, ma in questo caso avevo scaricato da internet un esercizio troppo difficile. Alfred mi guardò con quegli occhi piccoli, ma arguti e poi iniziò a tradurmi il messaggio: “Viene la notte nel giorno. Tempi bui verranno se l’assassino verrà ricordato. Nel Nilo piangerà colui che ama l’amore se il tesoro non verrà trovato”. Mentre il professore mi leggeva il messaggio ero assorta nei miei pensieri nel tentativo di capire il significato di quelle parole. Quando ebbe finito di leggerlo, cercai di ringraziarlo subito, ma lui mi interruppe per dirmi che era una scrittura più complicata del solito e che la forma con cui erano disposti i geroglifici era totalmente diversa da quelle viste prima di allora. In quel preciso momento risposi: “la ringrazio professore, è stato molto gentile per aver speso un po’ del suo tempo per aiutarmi”. Conclusa la frase indietreggiai avvicinandomi piano piano alla porta, pronta per uscire. Alfred mi salutò e poi chiusi lentamente l’adito. Mi allontanai dall’ufficio per ritornare in biblioteca e quando varcai la soglia vidi la bibliotecaria che stava sistemando alcuni libri vecchi e malconci su uno scaffale impolverato. Sempre a passo felpato mi avvicinai e provai a chiederle un informazione. “Buon giorno Miss. Moira Blink sa per caso dirmi se ci sono dei libri che parlano di miti egiziani antichi?”, domandai con voce fioca. “Nel reparto 9, decimo scaffale in alto a sinistra troverai Miti del Mondo, prova a vedere li…”, rispose decisa e con lo sguardo rivolto verso il basso per guardare i libri che stava sistemando. Mi ricordo che quel giorno la ringraziai almeno sei volte, come se volessi prendermela in grazia, poi mi voltai e andai subito dove la Signora Blink mi consigliò. Presi la scaletta di legno alta quattro gradini e ci salii sopra per arrivare allo scaffale, perché purtroppo non godo di un altezza elevata come altri studenti universitari. Finalmente trovai il libro, lo presi e mi misi subito a leggerlo. Pensai che un libro enorme così dovesse avere più di mille racconti o di miti antichi riguardanti le numerose popolazioni storiche, come per esempio i greci, i romani, i maya, gli egiziani e perfino miti sulla cultura giapponese. Il mio interesse si posò sopra una pagina bianca come il latte, dalle scritte standard e dai disegni poco curati, ma decisamente elettrizzanti per via del colore utilizzato per stamparle. C’erano segnati i miti antichi egiziani in ordine alfabetico uno sotto l’altro. In quell’istante pensai che non potevo leggermeli tutti in un solo giorno, anche perché erano molti e poi mi serviva del tempo per leggerli e soprattutto per capirli, così da decifrare il messaggio segreto.  
Iniziai a leggermi il primo: “Il nome sconosciuto di Ra”, poi passai al secondo era il mito di Osiride, chiamato “Seth e Osiride, due fratelli nemici”. Ogni singola parola che leggevo mi catturava e facevo fatica a fermarmi perché la storia era decisamente intrigante. Mi colpì in particolare questo mito, per la sua distinta ed accurata attenzione per i dettagli, per la descrizione dei vari personaggi e nel complesso per la storia vera e propria. Mentre avevo il naso ficcato nel libro, arrivò a disturbarmi la bibliotecaria dicendomi che era l’ora di chiusura e che dovevo assolutamente rimettere il libro al suo posto e dirigermi all’uscita. Ero decisamente scocciata di questa cosa però non obbiettai e le risposi che sarei uscita all’istante. Posai il libro sul decimo scaffale e poi uscii tristemente dalla libreria. La mia giornata si era conclusa così, lasciando in sospeso la lettura di quei miti terribilmente affascinanti e con una sconcertante scoperta, il biglietto in egiziano antico. Era ormai l’una e il mio stomaco incominciava a borbottare implorandomi di dargli del cibo succulento per saziarlo. Mandai un messaggino alla mia compagna e nonché amica del cuore, Sakura Mori, chiedendole di venire a pranzare con me. 
“Saku, hai voglia di pranzare con me? 
Ti aspetto all’entrata dell’università! 
Sbrigati! 
XD tvb”
Dopo cinque minuti la vidi che stava arrivando tutta di corsa, con la sua borsetta che le stava dondolando da una parte all’altra della cintola. Io e Sakura, quel giorno andammo nel nostro solito ristorantino giapponese il “Ichi” della famiglia Kimura. Io ero contentissima di mangiare li perché prediligevo il cibo giapponese di qualsiasi altro cibo di nazionalità diversa.  La signora Ichiro che ormai ci conosceva già, ci portò due bottigliette d’acqua da mezzo litro una frizzante per me e l’altra naturale per Sakura. “Arigatò Ichiro San”, ringraziai dolcemente. Dopo di che ordinai una porzione di ramen, una di gamberetti allo zenzero e infine una porzione di Uramaki Ebiten. Io e Sakura quel giorno mangiammo tantissimo eravamo sazie, ma felici. Dopo il pranzo andai verso la macchina per tornare a casa. La mia autovettura era ordinariamente ferma e immobile davanti alla statua della sirena e vicino alla mia c’era una Volkswagen grigio argentea tutta tamarrata, con il conducente anch’esso tirato a lucido che fumava attaccato al mio sportello. “Potresti spostarti per favore?”, domandai garbatamente al ragazzo. In quel preciso momento quando le mie labbra finirono di pronunciare quelle medesime parole, il ragazzo mi guardò accigliando l’occhio destro, come se volesse fare un’espressione decisamente ammiccante e si scostò dalla porta della mia macchina. Il ragazzo mi guardò dritto negli occhi e mi disse: “è tua la macchina?”, espirando il fumo dalle narici. “Direi proprio di si…”, risposi seccata. In quel momento ho pensato come mai un ragazzo sbruffone si fosse proprio messo a fumare appoggiato alla mia macchina, la cosa mi dava alquanto sui nervi. Feci un passo avanti verso per aprire la portiera. Quando allungai la mano il ragazzo con rapidità me la prese portandosela verso di lui e in quel momento con un gesto istintivo, allontanai la mia mano dalla sua. “ Si può sapere cosa stai facendo?”, domandai in modo arrogante. Lui mi fissò negli occhi e mi rispose: “sei carina, posso avere il tuo numero?”. Rimasi alquanto scioccata dalla cosa e se devo essere sincera rimasi un po’ imbarazzata, mai nessuno mi aveva detto in faccia di essere carina e questo mi lusingava abbastanza. La cosa che sinceramente non capii era il motivo e il comportamento di quel gesto spudorato senza nemmeno conoscermi. Le mie palpebre si aprirono e si chiusero un paio di volte e poi risposi: “grazie, ma no”. Una risposta fredda che avrebbe fatto anche congelare un morto intrappolato in un ghiacciaio. Cosa dovevo rispondere? Ho semplicemente detto la prima cosa che mi era passata per la mente e liquidai quel ragazzo in quel modo, salendo sulla mia macchina senza guardarlo una seconda volta e me ne andai. So di essere stata antipatica e senza cuore, ma d'altronde io quel ragazzo non lo conoscevo e non mi era affatto piaciuto il suo modo di fare. Finalmente dopo un quarto d’ora di viaggio arrivai a casa, nella mia dolce casa. “Mamma sono tornata!”, urlai con un tono acuto e quasi fastidioso. Mia madre era nella cucina che stava cucinando già per la cena e c’era un profumo davvero delizioso! Dissi a mia madre che se avesse avuto bisogno di me mi avrebbe potuto trovare in camera mia. Aprii la porta della mia stanza e pouf! Mi tuffai sul mio letto. Mia madre di mattina mi aveva fatto il letto cambiando le lenzuola e tutto il resto. Esse avevano un profumo frizzantino che richiamava l’odore di agrumi e legno. In quel momento pensai che era piacevole dormire in lenzuola pulite e candide. Dopo qualche minuto di relax mi alzai e andai vicino al mio puf di pelle bianco vicino alla scrivania. Appoggiai i miei vestiti del giorno e mi misi qualcosa di comodo per stare in casa. Trascorsi quelle ultime ore del pomeriggio che mi rimanevano guardando la mia serie tv preferita. Ero al decimo episodio della sesta stagione di “ The vampire Diaries”. Io adoro quella serie, soprattutto per gli attori in particolare per l’attore che interpreta il personaggio di Damon Salvatore. Ma quanto è bello? Riuscivo perfino a sognarlo di notte, solamente io e lui. Un sogno ricorrente con lui è sicuramente quello in cui io mi trasformo in un vampiro e incontro lui e ci innamoriamo perdutamente e mi bacia sotto la pioggia. Devo dire che è un sogno bellissimo! Tornando a noi e cercando di essere seria, una volta finiti gli episodi della serie era già l’ora di cena e andai in cucina. “Mamma ogni sera ci prepari sempre qualcosa di buono! Sei una mamma super!”, dissi sorridendo e guardandola negli occhi. “Ti ringrazio piccola, lo sapete che a me piace cucinare!”, disse dolcemente mia madre. Mio padre era seduto capotavola e vicino a lui c’era mia sorella Silver, più grande di me di sei anni. Silver ci fa visita ogni settimana venendo a mangiare qui il venerdì, quando suo marito fa il turno di notte in una fabbrica per metalmeccanica. “Cosa ci hai preparato di buono mamma?”, domandò mia sorella. Mia mamma che nel frattempo era rientrata in cucina, se ne ritornò con un recipiente in terracotta al cui interno c’era un polletto speziato con le patate al forno. Le mie narici iniziarono a impazzire dal profumo delizioso che aleggiava in sala da pranzo. Feci i complimenti a mia madre e poi mi presi la mia porzione di cibo. Terminato il pasto passammo al dolce, una torta al limone con una pallina di gelato. Davvero eccezionale! Sembrava di essere al ristorante, con queste sole due differenze: la prima non devo pagare al termine della cena e la seconda è che la cucina casereccia di mia madre è nettamente più buona. 

 
   
 
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