Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |       
Autore: Urban BlackWolf    22/01/2018    7 recensioni
Può un falco forzare se stesso e rallentare per mettere in discussione le scelte fatte nonostante la sua natura lo costringa alla velocità, alla determinazione nel raggiungimento dell’obbiettivo di una vendetta?
E può una gru riuscire a proteggere con l’amore e la cieca fedeltà tutto ciò nel quale crede fermamente?
Possono due esseri tanto diversi fondersi in uno per tentare di abbattere le barriere che li separano pur solcando lo stesso cielo?
Ungheria 1950: Michiru, figlia della ricca e storica Buda, dove tutto è cultura e tradizione, lacerata tra il dovere ed il volere, dalla parte opposta di un Danubio che scorre lento e svogliato, Haruka figlia di Pest, che guarda al futuro correndo tra i vicoli dei distretti operai delle fabbriche che l’hanno vista crescere forte ed orgogliosa.
Una serie di eventi le porteranno ad incontrarsi, a piacersi, ad amarsi per poi perdersi e ritrovarsi nuovamente, a fronteggiarsi e forse anche a cambiare se stesse.
Genere: Romantico, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Le Gru della Manciuria

 

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaioh, Usagi Tzukino e Minako Aino apparsi in questo capitolo appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Capitolo I

 

 

 

La velocità di un piccolo falco

Pest – Distretto VII, Fabbrica C.A.P. – Agosto 1950

 

 

Jànos Tenoh chiuse la conversazione con il Ministero dei Trasporti dimenticando per un istante la cornetta a mezz’aria. Guardando un punto indecifrato, sentì una sensazione molto simile alla felicità scaldarlo dal di dentro.

“Ci siamo riusciti…” Soffiò lentamente scandendo ogni singola parola, perché risultasse chiaro anche alla sua incredulità, che la meta che come fabbrica stavano inseguendo da più di un anno, era stata raggiunta.

Abbandonando la bachelite nera adagiandola sul telefono, respirò profondamente serrando le mani dietro la schiena e puntando l’attenzione al grande orologio a muro che stava per segnare le otto del mattino, si diresse ai vetri della finestra che dava sul cortile sapendo che da li a qualche secondo, l’avrebbe vista schizzare come ogni mattina passando il cancellone in ferro battuto come inseguita da un demonio alato.

Sorrise al mattonato rossiccio del quale erano composti tutti i muri dei prospetti affaccianti sullo spiazzo, iniziando a contare mentalmente, uno, due, tre, quatt…, ed eccola li, puntualmente sulla soglia del ritardo, fare la barba alla guardia che stava per chiudere l’entrata arrivando proprio sul fischio dell’inizio del turno. Scuotendo la testa, l’uomo sciolse le dita serrando la destra alla maniglia del telaio girandola con un movimento secco.

“Haruka!” Urlò confondendo la sua voce con l’eco della sirena.

Irrigidendo la schiena ancora incurvata per l’apnea della corsa, la ragazza corrugò la fronte alzando la testa in direzione dell’ufficio del padre dimenticando le mani arpionate ai fianchi.

“Possibile che tu sia sempre in ritardo?!” Disse marcando il tono rendendolo volutamente più severo di quanto in realtà non fosse.

La vide muovere leggermente le spalle facendole cenno con l’indice di salire su da lui e richiudendo l’anta permise finalmente alle labbra di accendersi in un voluminoso sorriso.

Amava terribilmente le sue due figlie, ma doveva ammettere che quando la minore, Haruka, lo guardava con quello sguardo verde tanto simile a quello della madre e carico di furbesca sfida dannatamente identico al suo, non poteva non domandarsi cosa avesse fatto di buono nella vita per meritarsi un angelo biondo come quella ragazzina. Sempre di corsa, in perenne movimento, mai soddisfatta di quel che faceva e per questo immersa nella frenetica ricerca di migliorare quello che in realtà già andava benissimo così, Haruka assomigliava più ad un piccolo falco pescatore che ad una donna di vent’anni. Ogni volta che si prefissava un obbiettivo, si gettava a capofitto pur di realizzarlo, con determinazione e sagacia e pur odiando il padre di colei che era stata sua moglie fino a quando gli strascichi di una malattia non gliela avevano strappata, Jànos non poteva che ammettere quanto il soprannome che quell’uomo aveva dato a sua nipote fin dalla nascita fosse calzante. Precoce nel venire al mondo di sette mesi come se il periodo trascorso nell’utero materno fosse tempo strappato alle bellezze del mondo, il nonno la chiamava Turul, ovvero il falco che si libra veloce nel cielo simbolo della loro bella città.

Sedendosi sul piano in legno grezzo della sua scrivania, iniziò a far dondolare un piede mantenendo ben saldo l’altro al pavimento in quella che nei piani avrebbe dovuto essere una posa plastica di severo giudizio, ma che di fatto nascondeva tutta la frenesia della notizia appena ricevuta.

Haruka sospirò asciugandosi il sudore della fronte con il fazzoletto macchiato di grasso che teneva sempre nella tasca posteriore dei pantaloni.

“Dannazione!” Mormorò osservando la strada al di là del cancello.

“Se continuo ad essere tanto lenta, non riuscirò mai a vincere la gara di corsa che si terrà durante la Festa della vendemmia.”

Calciando l’aria tornò a guardare la finestra da dov’era stata ripresa per poi ricordarsi il richiamo paterno.

“O porca…” E scattò verso i pochi gradini che immettevano agli uffici saltandoli a due a due e da li all’interno, su per la doppia rampa in breccia ormai opaca che tanto metteva a dura prova le sue povere caviglie ogni volta che la saliva o la discendeva con quell’impeto. Rischiando di scivolare un paio di volte, si ritrovò sul corridoio del primo piano percorrendolo velocemente fino ad arrivare ansante davanti all’ultima porta, bussare discretamente ed attendere alcuni istanti. All’invito ad entrare cercò di far decelerare i battiti trattenendo a stento il respiro.

“Buongiorno!” Disse richiudendosi l’anta alle spalle sfoderando uno dei suoi classici sorrisi ammaliatori.

“Buongiorno un accidente! Ma dì, ti sembra una cosa normale che proprio tu, mia figlia, debba arrivare in ritardo ogni singolo giorno?!” Domandò incrociando le braccia ad un petto reso ampio e vigoroso da anni di lavoro a piantar rivetti sulle impalcature di mezza Budapest.

“Tecnicamente sarei arrivata sul fischio e perciò in perfetto orario.”

“Tecnicamente…”

“Già! - Ribadì alzando l’indice. - In alcuni paesi questa potrebbe essere scambiata per virtù.”

“Virtù…”

“Esattamente!”

Guardandola dall’alto in basso Jànos tornò a scuotere la testa bionda ormai spruzzata dal primo grigio per poi alzarsi. Era imponente ed anche se la figlia aveva preso la stessa caratteristica fisica, essendo molto alta, davanti al padre sembrava un giunco. Socchiudendo gli occhi stirò le labbra davanti a quel viso ancora arrossato dallo sforzo. Camicia arrotolata agli avambracci già madida di sudore, il gilet mezzo slacciato, i capelli portati corti tutti arruffati. Sua figlia era un maschio mancato, ma in verità anche se spesso si ritrovava a riprenderne gli atteggiamenti troppo spigolosi, a lui la sua Ruka andava bene così, perché sicuro come del suo nome, anche se avesse avuto in dote un figlio non sarebbe mai stato all’altezza di quel diavolo. L’unica cosa che lo preoccupava erano le tendenze in campo sentimentale che dopo l’adolescenza Haruka aveva iniziato a manifestare verso il proprio sesso e che sotto un regime autoritario come quello che stava imbavagliando la libertà dell’Ungheria, non erano affatto viste di buon occhio.

“Come pretendi di correre veloce se lo fai vestita in questo modo?” Inquisì alzando il mento invaso da una leggera barba.

Già da tempo aveva rinunciato a vedere sua figlia in gonna, ma almeno quando si allenava doveva farlo con gli abiti e le scarpe giuste.

“Lo sai che non ho molto tempo per prepararmi e comunque per battere quelle quattro bimbette mi basterà farmela di corsa ogni mattina da casa a qui fino alla fine del prossimo mese.”

“Non chiamarle bimbette. La gara di corsa femminile vedrà le atlete migliori di ogni distretto cittadino, vedi perciò di non sottovalutare la cosa. Potresti allenarti la mattina presto, quando io e tua sorella ci alziamo per venire in fabbrica, invece che poltrire tra le lenzuola fino all’ultimo secondo utile per poi scapicollarti qui con il rischio di essere fermata dalla Polizia.”

Piegando leggermente la testa da un lato lei guardò il suo apa dritto negli occhi. “E perché mai dovrebbero fermarmi scusa.”

“Non certo per la velocità Ruka! - Sfotte' per tornare serio. - Lo sai che non voglio che tu vada in giro vestita in questo modo. Se per lavorare più comodamente hai bisogno di un paio di pantaloni, i capannoni per l’assemblaggio sono muniti di spogliatoi! Piuttosto hai fatto colazione?”

“Si signore.”

“Sicura?” Le si avvicinò ulteriormente sovrastandola.

“No… signore.”

Cercando di guardarla nella maniera più severa possibile non poté che cedere scoppiando in una fragorosa risata e dirigendosi verso il secondo cassetto della sua scrivania lo aprì estraendone un sacchetto colorato di giallo chiaro. Dilatando le pupille la figlia raddrizzò la schiena intuendone il contenuto dalla scritta rossa in stile inglese tipica della pasticceria più grande del quinto distretto.

“A proposito Haruka…, mi ha appena chiamato il responsabile dell’ufficio tecnico del Ministero dei Trasporti; la C.A.P. si è aggiudicata la commessa per la costruzione del nuovo ponte.” Disse alzando il sacchetto con un paio di kurtőskalács alla crema sopra la testa.

Come un cucciolo leggermente distratto dall’istinto base della fame, le ci volle qualche secondo per mettere bene a fuoco la notizia che stavano aspettando tutti con ansia da quando la cooperativa aveva consegnato al dicastero la proposta del bando di gara.

“Abbiamo vinto?!”

“Si amore, abbiamo vinto!” Rispose con un sorrisetto tronfio identico a quello che era solita metter su lei quando sentiva di avere nel petto un moto d’orgoglio.

“Fantastico! - Urlò serrando i pugni come un pugile dopo un fulmineo uppercut. - Quando iniziamo?!”

“Non appena arriveranno le autorizzazioni per trivellare.”

Smorzando l’entusiasmo, Haruka sembrò rabbuiarsi di colpo. “E l’acciaio?”

“Non preoccuparti per questo ragazzina. Proprio ieri la banca mi ha assicurato che in caso di vittoria ci avrebbe concesso i finanziamenti necessari per il materiale. Non è quanto avevamo chiesto, ma assemblando gran parte dei componenti del ponte qui, abbatteremo le spese di spedizione riuscendo a rientrare dei costi. E poi non dimenticarti che abbiamo un paio di creditori che dovrebbero saldarci a breve.”

“Appunto dovrebbero. Sai che questa cosa di aspettare i comodi degli altri non mi piace affatto apa. Come non sono per niente convinta che ci convenga riporre tanta fiducia in una banca.”

Tornandole davanti le poggiò una mano sulla spalla. “Ma è così che si fanno gli affari amore. La Kaioh Bank è degna di fiducia. Sono sicurissimo che non faranno pressioni e comunque i tassi d’interesse che ci hanno prospettato sono molto vantaggiosi. Ora scendi all’ufficio progetti e vai a dare a Johanna la bella notizia e bada che uno dei due cannoli qui dentro è per lei, chiaro?”

“Per me ti stai fidando troppo di quella gente di Buda.” Disse afferrando il sacchetto non distogliendo gli occhi da quelli del padre.

“E tu... troppo poco. Sono il presidente di questa cooperativa da tre anni e so quello che faccio. Ti dico di stare serena Haruka. Coraggio, ora va e vedi di cambiarti almeno la camicia.” Concluse con una poderosa carezza che in pratica le cinse tutto il retro del collo.

 

 

Il vasto spazio dalle enormi finestre dell’ufficio tecnico era ancora deserto. Le piaceva disegnare con il silenzio, soprattutto la mattina presto, quando la luce ad est invadeva le volte bianche di calce e i muri tappezzati dalle cianografie seppiate. Tenendo saldamente sotto l’avambraccio sinistro una grande squadra di legno, la ragazza trattenne il fiato e chiudendo un occhio avvicinò la punta metallica del pennino al lucido iniziando a scrivere lentamente ed in maniera perfettamente lineare, la scritta in capo all’ultimo lavoro appena terminato; C.A.P. Cooperativa Acciaierie Pest…

“Jo!” Ed una poderosa macchia nera iniziò ad invadere la parte finale della scritta.

“Ma che cavolo… Ruka!” Alzando di scatto il pennino afferrò rapida un fazzoletto tamponando alla bene e meglio il danno.

“Che c’è?!” Avvicinandosi al tecnigrafo dove la sorella era solita passare le ore di lavoro dietro a qualche progetto, le mise la destra sulla schiena affacciandosi noncurante da un lato.

“Come che c’è?! Non vedi!? Guarda che casino.” Le mostrò venendo attratta dall’odore proveniente dal sacchetto giallo.

“O per così poco. Grattalo via.”

“E certo che lo gratterò via, ma… che cos’è questo?” Disse cercando di prenderglielo.

“A no, prima le notizie di lavoro, poi si mangia.”

“Quale notizie?” Chiese facendo compiere allo sgabello di legno un mezzo giro.

Apa è stato appena contattato dal Ministero dei Trasporti… La commessa del nuovo ponte sul Danubio è nostra!”

“Dici sul serio? Non mi stai prendendo in giro come al tuo solito Ruka?!”

“Non scherzo mai con il lavoro, dovresti saperlo sorella.”

Serrando gli occhi Johanna strinse i pugni come aveva fatto poco prima l’altra. “Si! Lo sapevo che ce l’avremmo fatta con la Ganz impegnata nella nuova tratta ferroviaria a sud.”

“In gara c’era sempre la Mávag.” Sottolineò porgendole un cannolo.

“Poca cosa Ruka, poca cosa.” E ringraziandola addentò il dolce stracolmo di crema avvertendo sul palato un formicolio di godimento.

In città erano sempre state le fabbriche della Ganz e della Mávag a farla da padrone. Ormai era più di un secolo che gestivano il settore dei trasporti nazionali con strade ferrate, tram e locomotive, ma da qualche anno avevano iniziato concorrenzialmente a farsi la guerra anche nell’emisfero dei ponti. Un affare redditizio, soprattutto in virtù della ricostruzione post bellica. Per cercare di sopravvivere, le fabbriche minori della città avevano dovuto riunirsi in consorzi più o meno grandi e proprio grazie alla fusione di quattro piccole “sorelle”, un lustro prima era nata la C.A.P..

“Quando dovremmo iniziare con le fondazioni per le pilastrature?”

“Appena pronti i permessi. Fai vedere un po’? A cosa stavi lavorando?” Chiese iniziando a scombussolarle i lucidi presenti sul piano inclinato.

“Ferma con quelle zampacce Ruka, hai già fatto abbastanza danno per oggi!”

Sorpresa nel vedersi davanti la decorazione di un basso rilievo, guardò l’altra perplessa. “E questo?”

“E questo sarebbe dovuto essere una sorpresa per mia sorella che tanto è stata brava a superare gli esami d’ammissione ad Ingegneria, ma che di fatto è troppo impicciona da non sapersi tenere le mani nelle tasche!” La scansò con una leggera spallata.

“E’ un falco!”

“Si zucca vuota. Questo in particolare sarà posto sulla sponda sinistra, verso Pest e sarà una colatura in rame.”

“E questa H sotto gli artigli?” Indicò con l’indice.

“Ufficialmente la Commissione Artistica sa che è Horus, signore egizio del cielo, ma ufficiosamente è l’iniziale del tuo nome… zucca vuota.”

Grattandosi la tempia Haruka fece un paio di passi indietro imbarazzata. “Ma che sciocchezza e poi nostro padre non ti darà mai il permesso di metterla su. Lo sai che non sopporta il soprannome con il quale mi ha sempre chiamata il nonno.”

“Sai sempre tutto eh?! Guarda che i bozzetti li ha visti anche lui e non ha detto proprio niente.” Controbatté finendo il suo dolce.

“Lo sa?”

“Certo! Vuoi che il Presidente non lo sappia? Non ama questo uccello, ma visto che nonostante il lavoro che svolgi sempre sulle macchine della fabbrica sei stata ammessa alla BME con un punteggio schifosamente alto, per questa volta farà finta di niente.” E rise a quell’espressione un po’ persa che la sorella minore era solita metter su quando non riusciva ad afferrare subito le cose.

 

 

La scelta di una piccola gru

Buda – Distretto I, Palazzo Kaioh

 

Alexander Kaioh era un uomo pragmatico, lineare, molto portato per gli affari, ma senza quella vena di cinismo proprio di ogni singolo banchiere che si rispetti. Di famiglia operaia, era riuscito a costruirsi un impero finanziario grazie ad uno spiccato fiuto per gli affari e a quel conflitto mondiale finito ormai da qualche anno. Non aveva combattuto quella guerra e di questo se ne dispiaceva, ma l’aver scelto la così detta “via della fuga”, gli aveva permesso di proteggere le creature che ai suoi occhi rappresentavano il fulcro di tutta la sua vita e non si sarebbe mai pentito per questo.

Venticinque anni prima, durante un breve viaggio di studi, aveva incontrato l’amore decidendo di rimanerle accanto e scegliendo di allontanarsi dalla sua Ungheria per adottarne il paese, ovvero il Giappone. Ancor prima dello scoppio della guerra, a Budapest Alexander non aveva più legami; la famiglia, gli amici di un tempo, i compagni di studi, si erano dissolti nelle pieghe del passato. Era rimasto solo ed anche se dentro al petto avrebbe sempre sentito l’ululato forte dell’orgoglio magiaro, se non fosse stato per la devastazione post bellica che aveva colpito l’arcipelago del Sol Levante, non sarebbe mai più tornato in patria.

Cercando di schivare i proiettili della depressione economica subita da ragazzo, che aveva giurato non avrebbero mai subito la moglie Kurēn e la figlia Michiru, era riuscito a creare solide congiunzioni finanziarie tra Giappone ed Ungheria, sia prima che durante il conflitto, arricchendosi paurosamente e ritrovandosi a capo di una delle più potenti banche del paese europeo.

Portandosi la mano alla fronte, avvertì la morsa della consueta emicrania giornaliera farsi strada tra la sua stanchezza e poggiando i muscoli delle spalle allo schienale della poltrona, guardò alla sua sinistra una delle poche cose che riusciva ad allietargli quei momenti dolorosi; uno splendido quadro che raffigurava la danza rituale delle gru maestose ed eleganti tipiche della terra di Hokkaidō. Perdere le iridi su quei pigmenti, a quegli uccelli tanto eleganti quanto perfetti nell’esprimere il loro amore, gli faceva immancabilmente pensare a colei che era stata la regina del suo cuore.

Due colpi alla porta e l’uomo riconobbe in quel suono gentile il tocco della figlia e senza neanche chiedere conferma la invitò ad entrare.

“E se non fossi stata io?” Gli chiese lei stringendo nelle mani un vassoio con dell’acqua ed un paio di aspirine.

“Ho tirato ad indovinare.” Rispose scherzoso accogliendola con un sorriso.

Quanto poteva essere bella la sua dolcissima figlia e quanto in lei rivedeva Kurēn; la stessa corporatura esile, gli stessi capelli, anche se mossi come onde di spuma, il naso grazioso e la postura elegante che la ragazza aveva adottato dall’osservazione avida dei comportamenti materni. In realtà in quel dono meraviglioso lasciatole dalla moglie, c’era tanto anche di lui, anche se Alexander non riusciva a vederlo, perché pur se mezzosangue, Michiru non aveva affatto le caratteristiche somatiche tipiche della razza nipponica come il taglio obliquo degli occhi o la carnagione, anzi, le perle blu, prese dalla famiglia Kaioh, incorniciate da un viso dai lineamenti morbidi ed ovali, facevano si che raramente qualcuno si soffermasse a chiederle se fosse nata o meno in Europa.

“Ti fa tanto male?” Poggiando il vassoio sul piano della scrivania lo guardò accigliata afferrare pasticche e bicchiere.

“Non più del solito tesoro.” Chiudendo gli occhi ed inclinando la testa all’indietro ingoiò tutto d’un fiato.

“Dovresti farti controllare. Non mi piacciono questi continui mal di testa.”

“Ne ho sempre sofferto Michiru.” Disse avvertendo le labbra tenerissime di lei sfiorargli la fronte.

“Stai lavorando troppo, papà.”

“Lo so, ma presto avrò un valido aiuto. Ancora qualche anno e potrai affiancarmi.” Lasciandole una carezza terminò di bere.

“Dovrò fare parecchio praticantato prima di riuscire ad aiutarti, perciò visto che il tempo del tuo ritiro è ancora piuttosto lontano, io opterei per un controllino medico.”

“Michiru…”

“So essere sfiancante se voglio, lo sai. Non costringermi a darti il tormento.”

“So anche questo. Sei proprio come la tua povera madre.”

Alla ragazza non sfuggì la fugace occhiata data dal genitore al quadro e poggiandosi alla scrivania, perse lo sguardo a quei due splendidi uccelli ricordandosi la prima volta che aveva avuto modo di vedere quella particolare razza di gru da vicino, in una delle tante paludi sparse nelle vicinanze della casa materna.

“Mi manca l’isola di Hokkaidō sai. - Rivelò. - Budapest è così… diversa.”

“Se l’Ungheria avesse avuto il mare sarebbe stato meno traumatico per te abbandonare il Giappone, ma purtroppo non ho potuto fare altrimenti cara.”

Lei si voltò di scatto afferrando nel tono del genitore una punta di rammarico.

“Lo hai fatto per me e la mamma. La guerra ha colpito anche li."

“Già…” Soffiò piano non aggiungendo il suo sentirsi terribilmente responsabile, visto che non era riuscito a salvare la moglie dalla malattia che l’aveva colpita al ritorno in Europa.

Tra padre e figlia scese il silenzio ed ognuno si perse nei propri pensieri fino a quando la cameriera bussò per annunciare l’arrivo di un ospite.

“Signor Kaioh, il signor Nagyry è giù da basso che l’attende.”

“Gli dica che sarò da lui a breve, grazie.- Alzandosi di malavoglia, si diresse verso la cassaforte dove teneva i documenti più importanti. - Vai all’Università oggi?”

“Si, avevo intenzione di seguire una lezione.” Rispose non staccando gli occhi dal dipinto.

“Mi raccomando, stai attenta. Con la ripresa dell’anno accademico sono ripresi anche i malcontenti studenteschi verso il regime e so per certo che tra i corridoi di Economia ci sono parecchi dissidenti pronti ad arringare i più giovani.”

Stirando leggermente le labbra, Michiru sentì la presenza paterna al fianco e staccando finalmente il contatto con l’immagine lo rassicurò. “Non sono più una matricola papà.”

“Ma sei sempre mia figlia e come padre ho tutto il diritto di darti fastidio con le mie sciocche preoccupazioni.”

“Va bene, come vuoi. Adesso però devo andare o rischio di non trovare più un posto per prendere degli appunti decenti.” Un’ultima occhiata all’opera della madre, un bacio alla guancia di quel padre sempre tanto apprensivo, poi via verso la porta.

“Michiru… “

“Dimmi.”

“Avresti voluto frequentare l’Accademia delle Belle Arti, non è vero?” Le chiese a bruciapelo.

Con la mano già sulla maniglia lei voltò il busto fingendo come sempre. Certo che avrebbe voluto, perché l’economia, la finanza e tutto ciò che da sempre ruotava attorno al dio denaro, pur beneficiandone ampiamente nella vita quotidiana, non le aveva mai acceso l’interesse.

“Sono la tua unica erede.” Un dato di fatto che chiudeva ogni tipo di discussione in merito.

“Si, ma sei così portata per la pittura… Forse anche più di Kurēn. Non avrei dovuto accettare quello che per te è un sacrificio giornaliero Michiru.”

“Ormai è tardi per tornare indietro papà. Sto iniziando il terzo anno. Ho scelto di seguire le tue orme e l’ho fatto con convinzione, perciò non preoccuparti. Ci vediamo questa sera a cena?” Chiese per sviare il malessere che provava ogni qual volta si affrontava l’argomento.

“No. Questa sera sono con Nagyry a cena dal ministro dei trasporti. Devo ragguagliarlo sulle garanzie di un grosso prestito che la banca dovrebbe sottoscrivere con i vincitori di un appalto sul Danubio.” Concluse alzando a mezz’aria il plico che aveva appena afferrato dalla cassaforte lasciando che ne intuisse il contenuto.

“Allora a domani.” Ed uscendo trattenne un sospiro a stento.

Abbassando il braccio Alexander tornò a fissare il quadro, rappresentazione dell’amore che la moglie aveva sempre nutrito per lui. “Kurēn, la nostra bambina è cresciuta e ha scelto la sua strada, anche se a volte vorrei che Michiru non avesse ereditato la fedeltà ed il sacrificio nipponico verso la famiglia.”

Incontrando sul pianerottolo la domestica alla quale aveva affidato la borsa con i libri scolastici, la giovane donna ringraziò dirigendosi verso le scale. Si sentiva spossata e priva d’entusiasmo, ma avrebbe continuato. La pittura, come la musica, non avrebbe aiutato il padre a gestire una banca fiorente come la loro e del signor Andràs Nagyry, collaboratore di Alexander e titolare della quota di minoranza della Kaioh Bank, lei non si fidava poi un gran che. Non che fosse uomo di scarsa stima o poco portato per gli affari, ma adesso che Michiru stava apprendendo i rudimenti dell’economia, alcune azioni compiute dall’uomo a danno dei piccoli risparmiatori le sembravano quanto meno azzardate e prive di scrupolo.

“Buongiorno Michiru.” Dal fondo della scala lui salutò accennando un leggero inchino con la testa.

Sempre terribilmente gentile. Sempre dannatamente affabile.

“Buongiorno a lei Andràs. Come state questa mattina?” Chiese raggiungendolo mentre simulava un interesse che non provava affatto.

“Molto bene grazie. Siete diretta all’Università?”

“Come ogni mattina.”

Quanto era strano il viso di quell’uomo. Il padre si fidava ciecamente di lui, ma quegli occhi antracite sembravano due enormi sfere molto simili a quelle di uno squalo e quella bocca piena di piccoli denti le faceva una certa impressione.

“Scusate, ma ora devo andare. Credo di essere già sufficientemente in ritardo.”

“Allora buona lezione.”

Salutandolo con una stretta di mano Michiru si diresse al portoncino d’ingresso sperando in un passaggio dell’autista di famiglia. Non le andava di correre a perdifiato fino alla BME. Inondati i polmoni di aria calda e carica di odori, raggiunse il giardino e li lo vide, il signor Takaoka, da sempre al servizio della famiglia Kōtei e per questo rimastole accanto anche dopo la prematura morte della madre. Avrebbe potuto ritornarsene in patria, ma lo spirito di dedizione che aveva nei confronti suoi e del padre lo avevano spinto a trattenersi in Ungheria.

“Signorina Michiru…”

“Voliamo signor Takaoka. Voliamo…” Disse scherzosamente lasciandosi aprire lo sportello.

 

 

“Usagi stammi incollata, perché oggi qui si mette male.” Disse Minako afferrando rattamente la mano della sorella minore mentre i suoi grandi occhi azzurri non riuscivano a smettere di guardarsi intorno.

Quella parte di università era caotica, trafficata, incoerente. In altre parole era Architettura. Era la prima volta che Minako Aino si avventurava fin dentro al ventre molle di quel covo di artistoidi fuori controllo.

“Tu credi che arriveranno a picchiarsi?”

“Se le daranno di santa ragione vedrai.”

“Allora torniamocene a casa.” Piagnucolò la biondina stringendosi all’avambraccio della maggiore.

“Ti ricordo che in questo preciso istante avresti dovuto stare a scuola e non per i corridoi di una Facoltà! Se nostro padre dovesse anche solo sub dorare che questa mattina mi hai seguita…” Lasciò cadere enfatizzando.

“Ma c’era il compito di matematica oggi!”

“E allora!”

Chinando la testa e piazzando il viso quasi fin sotto l’ascella dell’altra cercò di nascondersi come una tartaruga dentro al suo carapace.

“Neanche tu dovresti essere qui… soprattutto per quel tipo.” Bofonchiò attirandosi contro gli occhi incandescenti dell’altra.

“Bada Usa…” Ringhiò ben sapendo quanto quella piaga che il destino le aveva dato in sorte avesse ragione.

Era per seguire un giovane universitario che abitava vicino all’Accademia di Danza che frequentava, che aveva trasgredito al più elementare buon senso. Ma quel ragazzo dalla carnagione chiarissima ed il fisico mozzafiato, era talmente affascinante che questa volta non aveva proprio saputo resistere al richiamo di quell’infantile pedinamento. Minako era pur sempre una diciottenne e come tale voleva vivere le esperienze della vita completamente ed in tutta frenesia, proprio come una bocca quando addenta la polpa succosa di una mela. Certo è che in quella mattina dal caotico vai e vieni degli studenti iscritti all’Università Pubblica, non aveva assolutamente messo in conto quella zavorra piagnucolante di sua sorella.

Accidenti… eppure ero sicurissima di averlo visto entrare ad Architettura! Possibile che me lo sia lasciato sfuggire così! Pensò osservando con maggiore attenzione le persone presenti accanto all’androne spingendo poi lo sforzo visivo lungo l’enorme rampa che portava al piano delle aule.

“Ei ragazzine, toglietevi un po’ dai piedi!” Urlò uno studente dando ad Usagi una spintonata spostandola malamente. Con le braccia occupate da un pacco abbastanza voluminoso se le guardò con supponenza.

“Stai attento tu… cafone che non sei altro!”

Bloccando il passo febbrile lui si voltò verso le due gonfiando i bicipiti. “Come scusa?”

“Ho detto e ribadisco, che dovresti essere tu a stare più attento.”

“Ma sentite questa ochetta.” Vomitò sicuro di se pronto a tornare indietro quando una figura alle spalle delle due lo bloccò.

“Cosa succede qui?” Una voce dolce, ma decisa, si fece largo tra le altre che stavano invadendo gli spazi del corridoio.

“Nulla Michiru, nulla. - Si affrettò a dire lui sistemandosi meglio la scatola sulla pelle delle braccia. - Sei in ritardo! Gli altri ti stanno aspettando da un pezzo.”

“Dove sono?”

“Al solito posto.”

“Abbiamo ciò che ci serve?”

Gagliardamente lui alzò il cartone lasciandole intendere di si.

“Perfetto. Vi raggiungerò appena trovato Hairàm.”

“E’ di sopra. Scenderà fra poco. Tu però stai attenta. Oggi gli animi sono piuttosto caldi.” Consigliò e dopo un fugace scambio di sguardi il ragazzo si dileguò come se gli fosse stato impartito un ordine mentale.

Minako ed Usagi squadrarono la ragazza più alta sgranando gli occhi.

“Dite un po’ signorine, cosa ci fate voi qui?”

Come una statua di sale la più piccola guardò la sorella che senza scomporsi troppo affermò sicura di stare per seguire la prima lezione della mattina.

Alzando le sopracciglia Michiru sorrise maliziosa. “Tu frequenteresti l’Università?”

E con una faccia di bronzo degna di un’attrice navigata Minako rispose affermativamente.

“E anche lei?”

Presa in contropiede Usagi entrò nel panico ed iniziando a balbettare frasi senza senso costrinse l'altra ad intervenire. "No, lei no. Mi ha solo accompagnata. E’ mia sorella minore!”

“Kaioh!” Riecheggiò e le tre guardarono all’unisono il fondo della scalinata.

Un bellissimo ragazzo dal viso intelligente, lo sguardo castano ed i capelli folti e biondi, la salutò con la mano facendole cenno di seguirla.

“Scusate, adesso devo andare. Se fossi in te porterei mia sorella a casa. La BME non è un posto per liceali.”

Le biondine la guardarono raggiungere e salutare l’amico e sparire poco dopo tra il caos.

“Cavolo, ma hai vista quanto è bella! Se tutte le universitarie sono così non troverò mai uno stralcio di ragazzo! Che depressione…. Mina?!”

Ma porcaccia la miseria! Ha già la ragazza! Pensò l’altra riconoscendo in quel giovane ben vestito la sua attuale spina amorosa.

“Muoviti Usa, voglio andare in fondo a questa storia!”

Sentitasi afferrata per la mano e trascinata come una carpa all’amo di un pescatore, alla più piccola non rimase altro che seguirla in quello che presto si sarebbe trasformato in un inseguimento in piena regola.

 

 

La parte dei sotterranei di Ingegneria era sempre stato il loro ritrovo migliore. Protetto da sguardi indiscreti, facilmente raggiungibile da ogni punto della BME, non troppo grande, ma ricco di anfratti per poter nascondere agilmente una macchina ciclostile, inchiostro, fogli e volantini. Il loro gruppo non era numeroso, perché in tempi tanto incerti come quello, l’assembramento di troppi ragazzi veniva subito considerato sospetto, alzando così il rischio di venire arrestati senza alcun motivo.

Oltre a Michiru, entrata nel gruppo meno di un anno prima, vi erano altri dieci studenti, tre ragazze e sette ragazzi. Tutti iscritti all’Università Pubblica. Tutti di buona estrazione sociale. Tutti incensurati. Nerbo giovane della Buda bene, futuro della nazione, menti pensanti insospettabili agli occhi del Regime e per questo abbastanza liberi di agire nell’ombra.

“Dunque ragazzi, il nostro obbiettivo è la Festa della Vendemmia che si svolgerà alla fine di settembre alle pendici del Castello di Buda.” Hairàm Ferhèr, studente al quarto anno di Architettura e leader del gruppo, si sedette sul tavolo afferrando un volantino dalla scatola.

“Se riusciremo nell’intento di lanciare sulla folla anche solo la metà di questi, potremmo ritenerci soddisfatti.”

“Certo la fai facile tu, ma io non la vedo una cosa tanto semplice. Primo perché essendo una festa all’aperto che si svolgerà alle pendici del castello, vicino alle vigne, non vedrà punti alti da dove fare un lancio ottimale e secondo, visto l’importanza dell’evento sicuramente ci sarà anche la ÁHV, il che rende tutto troppo pericoloso.” Disse Anna, una delle fondatrici del gruppo.

“Hairàm sono cose da considerare.” Appoggiò Adam, il ragazzo che aveva spintonato poco prima le due biondine e che si era preso la briga di portare in giro “merce tanto scottante”:

“E allora La voce di Buda cosa si è presa la briga di fare negli ultimi giorni? Stampare questa roba è stato pericoloso e se ora non ce ne servissimo per far capire a quei bastardi stranieri che devono andarsene, tanto valeva non rischiare le chiappe e rimanercene a casa a studiare!” Stizzito sventolò il foglietto a mezz’aria accavallando le gambe.

La voce di Buda è solo uno dei tanti gruppetti di studenti sparsi per le sedi di tutta la città. Non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima che ribadisco l’importanza che avrebbe il solo unirci, invece che tentare la sorte con queste sciocche opere di rappresaglia!” Insistette lei iniziando a toccarsi i folti capelli rossi nervosamente.

“Potevi parlare prima che preparassimo questi mille volantini!” Intervenne un terzo ragazzo alle prese con l’ingrassaggio della manovella del ciclostile.

“Ma sei stupido o cosa! Io l’ho detto Lukàs!”

“Potevi dirlo meglio, perché non lo ha capito nessuno mia cara!”

“Ora basta! Facciamola finita. - Azzittì tutti la voce potente del capo gruppo. - L’azione va compiuta punto e basta. Anna, se ti preme tanto sapere da dove lanceremo i volantini non ti preoccupare, lo faremo durante lo svolgimento della gara di corsa femminile. Il tracciato che gli organizzatori hanno scelto, per un tratto passa tra i palazzi della parte nord-ovest del secondo distretto. Li ci sono dei palazzi. Basterà riuscire ad entrare in un androne ed arrivare al tetto. Se la giornata poi sarà ventosa il lancio sarà perfetto.”

“E la polizia?” Chiese lei dubbiosa.

“Per la gara femminile? Fosse quella maschile capirei, ma con tutto il rispetto…” E l’ilarità testosteronica salì alta tra i muri scrostati dei sotterranei.

“Ma quanto siete stupidi! Piuttosto... chi tra noi s'incaricherà di portarli in giro e lanciarli?”

Improvvisamente le risa maschili cessarono e gli schiamazzi anche, perché quello era il compito più rischioso.

“Bè, qui la cosa si fa complicata ragazzi.”

“Non vedo nulla di complicato Hairàm.” Michiru, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio ad ascoltare gli altri con le spalle poggiate al muro e le braccia conserte al petto, parlò attirandosi contro gli sguardi di tutti.

“Che vuoi dire?”

“Voglio dire che se partecipassi alla corsa avrei tutto il tempo di portare i volantini e passare inosservata tra i controlli. Non potrei lanciarli, ma lasciarli in un posto sicuro si.”

“Geniale Kaioh.” Disse Adam ammirato.

“Non se ne parla Michiru. E’ troppo pericoloso!”

“E’ pericoloso per tutti o non ti fidi perché sono una donna?!” Punzecchiò lei sapendo di colpire il nervo scoperto del capo gruppo.

Michiru non era entrata a far parte della voce di Buda spinta da un nazionalismo che come mezzosangue non provava affatto, ma dalla necessità di dare, si, voce ad una libertà, ma a quella delle donne di quel paese. Tutto intorno a lei era pervaso da un sessismo strisciante che poco era congeniale al retaggio culturale impartitole fin da bambina. Persino all’interno di quel gruppo il maschilismo la faceva da padrone. Questa cosa doveva finire.

“Lo sai che mi fido di te Kaioh…” Sospirò lui sempre un po’ stupito da quello sguardo freddo e determinato che faceva di quella donna un leader nato.

“D’accordo Michiru, allora tu porterai i volantini sul tetto mentre io li lancerò sulla folla al momento giusto. Adesso dobbiamo solo scegliere il palazzo.” Intervenne galvanizzato Adam mentre un leggero vociare proveniente dall’esterno accendeva in tutti un campanello d’allarme.

“Hairàm, Hairàm dove sei?!”

Riconosciuta la voce del compagno preposto a fare da sentinella, il ragazzo si alzò dalla scrivania dirigendosi verso la porta quando si ritrovò una ragazzina dai capelli lisci e biondissimi tra le braccia.

“Guarda un po’ chi stava gironzolando nei paraggi?”

"E tu chi diavolo sei?" Chiese perdendosi in due laghi azzurri agitatissimi.

“E qui ce n’è un’altra!”

Michiru spalancò allora gli occhi staccandosi dal muro. E quelle due?

 

 

 

NOTE: Ciau, visto che qui un lavoro decente non si trova e di tempo un po’ ne ho, continuo a mettere su carta la mia fantasia ;)

Questa volta ho cambiato terra, mi sono staccata dalle ridenti valli svizzere tuffandomi in una nazione, l’Ungheria, che in tutta onestà non conoscevo affatto e che invece mi ha catturata per la sua travagliatissima storia. Proprio perché l’ungherese è una lingua complicatissima cercherò di usare meno parole possibili, anche perché tra accenti vari rischio di fare una confusione pazzesca.

In primis metto subito le mani avanti, perché il titolo “le gru della Manciuria” a primo sguardo può far giustamente pensare al Giappone, nello specifico all’isola di Hokkaidō e non ha nulla a che vedere con la location nel quale si dipanerà il racconto, ma in realtà questo splendido uccello rappresenta l’interiorità insita in Michiru e più in là cercherò di spiegarlo meglio. Questa ff sarà abbastanza complessa, sia per il numero di personaggi, che per gli argomenti trattati. Non sarà da bollino rosso, ma diciamo che qualche cosa di “crudo” ci sarà, soprattutto perché il periodo storico è quello pre rivoluzionario, dove i moti studenteschi contro l’armata di occupazione sovietica stanno iniziando a posare le basi per gli scontri sanguinari che ci saranno nel 1956.

I temi principe saranno due; l’amore e la vendetta. Il bianco e il nero. Buda e Pest. Un falco ed una gru.

Ritroveremo tanti personaggi amati, da Setsuna a Makoto, Minako e la coppia Mano-Usa. Mi sono permessa di schiaffare tra questa storia anche Giovanna, che qui chiamerò Johanna, forse più musicale, ma sempre la solita bestia sarà 

Come credo si sia già capito punterò molto l’attenzione sul dualismo padre-figlia, sia con Haruka che con Michiru, perché sarà proprio questo legame a far scontrare le due una volta incontratesi. Ci sarà anche un’evoluzione piuttosto marcata nei caratteri di Kaioh e Tenoh; la prima molto probabilmente scoprirà di avere un orgoglio magiaro molto più sviluppato di quel che crede e la seconda, dalla serenità di una vita famigliare amorevole, passerà ad un tormento molto difficile da lenire.

Ho inserito parecchie cose reali che mi hanno dato degli spunti, tipo:

la Ganz e la Mávag, due delle più fiorenti industrie con sede a Budapest,

la ÁHV, ovvero la polizia segreta ungherese,

il Turul, ovvero il falco simbolo della città e spesso usato come raffigurazione sui ponti cittadini,

la BME, l’università pubblica che fra le altre comprende Economia, Architettura ed Ingegneria.

In fine il significato del nome della madre di Michiru, Kurēn Kōtei, letteralmente imperatore gru.

Spero che questa nuova storia vi piaccia. Ci metterò tanta buona volontà.

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Urban BlackWolf